Parabola del buon Samaritano (Lc.10,29-37)

(P. Antonio Garofalo, fam)

Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Và e anche tu fà lo stesso».

 

La parabola del buon samaritano è una delle più note dei vangeli e molti cristiani nel corso dei secoli si sono confrontati con essa. Luca colloca questa parabola nella prima tappa del grande viaggio di Gesù verso Gerusalemme. Il racconto della parabola è occasionato da un maestro della legge che domanda a Gesù che cosa deve fare per ottenere la vita eterna.

Gesù, invece di rispondere, racconta questa parabola. Da Gerusalemme a Gerico ci sono circa 27 chilometri per un totale di 1100 metri di dislivello. La strada passa attraverso l’inospitale deserto di Giuda, caratterizzato da tanti burroni. Era una strada tortuosa e pericolosa, facile teatro di imboscate. E proprio in un’imboscata cade un viandante. I briganti lo spogliano, lo percuotono, le derubano, e se ne vanno poi indisturbati, lasciandolo solo come lo avevano trovato; questa volta, però, lo restituiscono a se stesso mezzo morto.

Gerico era città sacerdotale, e proprio lì sono diretti il sacerdote e il levita, di ritorno dal loro servizio nel Tempio di Gerusalemme. Il sacerdote vede quell’uomo mezzo morto. Lo vede! Non è che non si accorga di lui, se ne accorge eccome! Lo vede mezzo morto, solo sulla strada. E tuttavia tira dritto. Sarebbe troppo scomodo fermarsi. Dentro di sé forse ha pensato che era già pericoloso passare per quella strada, figuriamoci se poteva fermarsi per aiutare un altro! E se i briganti fossero ancora lì dietro e stanno tendendo anche a lui un’imboscata? Siamo qui nel deserto, anche se volessi, come potrei aiutarlo? E poi... e poi sono un sacerdote, mica un infermiere! E se poi quello "sciagurato" mi muore tra le braccia, come faccio? Sono un sacerdote, non posso venire a contatto con la morte, perderei la mia purità rituale. No. Non è per niente ragionevole fermarmi.

Spesso le parabole contengono un aspetto inverosimile o inaudito, che costituisce il fulcro del racconto, che suscita l’attenzione e permette la riflessione. In questa parabola l’elemento inaudito sta nel fatto che sulla stessa strada dopo il sacerdote e il levita passa nientemeno che un samaritano, cioè un eretico, uno straniero odiato dagli ebrei e a sua volta nemico degli ebrei.

Per questo Samaritano amare il prossimo significa veramente farsi carico, significa accettare di perdere tempo, rimetterci denaro, significa ospitare nel suo cuore la persona che ha incontrato bisognosa durante il cammino. Noi, ne siamo capaci? Sì, forse siamo capaci di dedicare un pò del nostro tempo per chi ha bisogno, magari ci procura anche soddisfazione, ci compiacciamo di noi stessi, pensiamo: come sono bravo! Ma se appena appena ci rendiamo conto che l’avventura in cui ci siamo imbarcati è troppo impegnativa, allora ci diamo alla fuga non appena possibile.

Anche il samaritano, probabilmente in viaggio per affari, vede quell’uomo, si rende conto che è stato privato del bene della salute. Le parabole di solito sono molto equilibrate nel descrivere i sentimenti dei protagonisti; qui invece si dice che questo samaritano, quando vide il malcapitato non pensò alla tradizione in cui era vissuto, ai suoi rapporti con gli ebrei, non pensò a quanto aveva già da fare, ma ne ebbe compassione. Ciò che gli fa prendere una decisione non è la sua cultura o quanto aveva programmato, ma la compassione.

I briganti lo avevano spogliato e ferito e se ne erano andati; il sacerdote e il levita avevano visto ed erano passati oltre dall’altra parte della strada con un atteggiamento di separazione, di distacco; il samaritano non bada alle barriere di culto, di nazionalità che lo separavano da quell’uomo, non bada a possibili pericoli, non si attende alcuna ricompensa e si fa vicino per un soccorso premuroso e diligente; lo aiuta con quello che ha a portata di mano: lo disinfetta con del vino, lo massaggia con dell’olio, lo solleva sulla propria cavalcatura per portarlo fino alla prima locanda e l’indomani lascia un po’ di soldi al locandiere perché possa continuare ad assistere quell’uomo.

Le varie azioni, compiute dal samaritano servendosi dei propri beni, sono riassunte nel verbo, ripreso due volte "avere cura di lui". Si è assunto la responsabilità per quell’uomo, correndo anche dei seri rischi: lo porta, ossia gli fa da madre; spende del denaro per permettergli di rimettersi in vita, ossia gli fa da padre. Quello che i due addetti al culto non hanno fatto, lo compie invece il samaritano, perché mosso a compassione: è la compassione che lo fa uscire dalle frontiere della legge e gli fa incontrare l’uomo; è la compassione che trasforma la sua competenza e assistenza in comunicazione vera e personale, in servizio. Per il samaritano quell’uomo vale più del suo viaggio, dei suoi affari, del suo olio, del suo vino, dei suoi denari, del suo tempo. Si è identificato con quell’uomo bisognoso, si chiede fra sé cosa gli capiterà se non si ferma e perciò lo aiuta, senza badare al pericolo o alla ricompensa.

Nella lettera agli Ebrei è scritto: "Gesù proprio per essere stato messo alla prova in tutto e aver sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova" (16). Proprio perché ha patito come noi, è in grado di capire quelli che patiscono. La misericordia viene allora avvicinata all’idea di "compassione", intesa in senso etimologico come capacità di soffrire insieme, di condividere la sofferenza.

Alla fine della parabola Gesù invita il dottore della legge a mettersi non dal punto di vista del sacerdote, del levita e neppure da quello del samaritano, ma da quello dello sfortunato viandante, e gli domanda: "Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?". Il dottore della legge risponde giustamente: "Chi ha avuto compassione di lui". Per l’uomo derubato e ferito dai briganti il prossimo è il samaritano: egli si è comportato come suo prossimo. Nel dialogo che precedeva la parabola, il dottore della legge aveva detto che per avere la vita eterna bisognava osservare il comandamento presente nella legge, ossia amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come se stessi, e Gesù aveva dato la sua approvazione. Mettere Dio al centro è il cardine della vita; ma chi ama Dio insieme a lui deve amare anche il prossimo. Noi, spesso, siamo portati a vedere molto diversi i due comandamenti dell’amore a Dio e dell’amore al prossimo.

Madre Speranza era molto attenta a questa dimensione di misericordia verso gli altri: "Il mondo sfugge quelli che piangono e allora gli afflitti pur avendo bisogno di sfogarsi si isolano. La nostra accoglienza sia per loro un' ancora di salvezza. È importante allora capirli e immedesimarci con empatia nelle loro situazioni; dal momento che si vedranno capiti si sentiranno confortati e le nostre parole scenderanno come balsamo salutare sulle loro ferite". (17)

E ancora: "Qualcuna mi ha detto che non sa come fare per amare il prossimo come se stessa, essa vede questo molto difficile. A me non sembra: perché per questo è necessario amare Gesù, infatti è noto che colui che ama gli altri senza sforzo, ama ciò che ama l'Amato. Siccome Gesù ama svisceratamente gli uomini è logico che chi ama Gesù ami anche il prossimo da questi tanto amato."

Fondamentalmente però, con questa parabola, Gesù vuole presentare se stesso, vuole spiegare la missione che ha ricevuto dal Padre, Egli non ci dice prima di tutto quello che dobbiamo fare, ma rivela la sua persona e la sua missione: andando verso Gerusalemme, verso la croce, egli è il Figlio di Dio che porta a compimento la compassione del Padre per gli uomini e che si fa prossimo ad ogni persona.

Cristo ci ha rivelato un Dio come lo vorremmo. Un Dio che è amore e misericordia; apparentemente non serve, non è utile, non frutta: però ci dà tutto, ci dà ciò che nessuna analisi scientifica, nessun progresso tecnologico e neppure lo sviluppo delle scienze umane potrà mai darci: sentirci amati singolarmente, uno per uno, in modo assoluto. Quando ci accorgiamo che Dio ci ama così, allora sentiamo che lo stare lontano da lui e dagli altri per altre ragioni umane è perdere tempo, è perdere Dio stesso.

Gesù ha raccontato questa parabola perché la misericordia di Dio verso gli uomini costituisce la parte essenziale del suo messaggio. Dio regna là dove gli uomini cominciano a comportarsi come quel samaritano; agire come quel samaritano è testimoniare che il regno di Dio è venuto tra noi e agisce dentro di noi.

Anche Gesù è un povero Galileo, disprezzato da molti dottori della legge, ma in realtà è l’inviato di Dio che si mette dalla parte dell’uomo, che è un viaggiatore ferito, e non rifiuta di essere solidale con lui, di morire per lui.

Questa parabola illustra molto bene il comportamento di Gesù: è venuto tra noi per mettersi con tutto se stesso accanto ad ogni uomo, ha amato e aiutato veramente tutti, particolarmente i più bisognosi, giudei e pagani, uomini e donne, senza preclusioni verso nessuno. Attraverso la parabola del buon samaritano Gesù annuncia una notizia inaudita e lieta: egli è venuto per donare a tutti gratuitamente il suo amore, tutti possono ricevere la sua compassione non meritata.

La Madre Speranza così scriveva nel suo Diario: "Questa notte l'ho trascorsa col buon Gesù: mi sono raccolta un po' per pregare e la notte è trascorsa senza accorgermi. Gesù mi ha detto che quanto più mi eserciterò nella virtù della carità, tanto più cresceranno in me i sentimenti di pietà che sgorgano con facilità da un cuore che già vive l'amore di Dio, ed è questo che fa vedere la bellezza, la bontà e l'infinita misericordia di Dio." (18)

Dio si è "accorto" della situazione di bisogno, di necessità in cui è sprofondata l’umanità, ha preso il fatto in considerazione, ha partecipato affettivamente a questa situazione, è venuto a compatire, a salvare e all’origine di tutto questo c’è l’azione di Dio, è Lui che per primo condona, dona e trasforma, usa misericordia e rende l’uomo capace di misericordia: l’origine di tutto è la misericordia di Dio, il suo amore paterno. Non sono dunque gli uomini a produrre la novità cristiana, a mettere in atto la liberazione; la salvezza è dono di Dio e solo per sua iniziativa eserciterà la sua misericordia, ossia fa dell'uomo l'oggetto della sua benevolenza e gratuità.

Il secondo passo è quello di provare compassione, letteralmente, nel senso di "con-patire". Succede infatti, talvolta, di accorgersi che un altro ha bisogno, ma posso fermarmi lì, non mi interessa, non soffro insieme a lui; teoricamente penso che dovrei fare qualcosa, ma non mi muove dentro, non c’è la commozione e non c’è la compassione. "Misericordia", invece, è l’atteggiamento per cui io soffro vedendo l’altro soffrire, non a livello teorico ma a livello reale, personale, sentimentale: è la partecipazione reale dell’affetto e della volontà, per cui mi accorgo e partecipo in modo sensibile a questo bisogno dell’altro.

La parola italiana "misericordia" deriva direttamente dal latino ed è composta dalla radice del verbo "miserere" = avere pietà e da "cor-cordis" = cuore: quindi, avere un "cuore che sente pietà". Spesso nella dei testi ebraici viene usato un vocabolo per indicare il Dio misericordioso: rehamim, che significa "viscere materne", cioè un sentimento intimo che lega profondamente ed amorosamente due esseri in relazione. L’essere misericordioso diventa, quindi, un aspetto privilegiato dello stesso essere di Dio, Dio resta fedele al suo impegno, il Suo è un amore fedele perché non può rinnegare se stesso; esiste dunque uno stretto legame fra l’amore e la fedeltà, la misericordia è innanzi tutto questa fedeltà di Dio verso sè stesso, fedeltà verso la sua parola che è promessa.

Dio ama ed usa misericordia perché lo lega all’uomo lo stesso rapporto che unisce la madre ad un figlio, una relazione unica, forte, un amore particolare, un’esigenza del cuore stesso di Dio, una tenerezza gratuita fatta di pazienza e comprensione: "Sion ha detto il Signore mi ha abbandonato, si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo seno? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai" (19) .

Il Signore non finisce mai di pensare a noi, il suo amore veglia continuamente sulla nostra vita, Egli non si arrende non si stanca neanche quando siamo lontani da Lui, è sempre pronto a tendere la mano e rialzarci. Il crocifisso è la prova più eloquente di questo Amore Misericordioso, Dio infatti ci ha amati donandoci il suo Figlio che immolato sulla croce ha redento l’umanità: "La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Infatti, mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito."

Dio si interessa per primo dell’uomo, Dio ha abitato la storia dell’uomo con l’incarnazione di Gesù, andando alla ricerca della sua creatura e per farsi ritrovare da lui. Chi non ama una misericordia concepita e vissuta in questo modo? La Madre Speranza era cosciente di tanto dono, scriveva ancora nel suo diario:"Gesù mio, fà che il mio amore per te sia sempre un amore riconoscente, mai provocato dalla paura del castigo che ho meritato, neanche per il premio che posso sperare dal tuo amore e dalla tua misericordia, ma fa' che ti ami con tutte le forze, perché meriti di essere amato più di ogni cosa." (20).

Prendiamo consapevolezza di questo amore, di questa nostra preziosità agli occhi Dio: un Dio che ci cerca, che ci vuole donare tutto se stesso, anche se noi non lo chiediamo, una misericordia che è presente sempre e che opera sempre anche se noi non ce ne accorgiamo.


(16) Eb. 2, 14-18

(17) Consigli pratici (1941) (El Pan 5)

(18) Diario 16 Marzo 1952

(19) Is. 49,15

(20) Diario (1927-1962) (El Pan 18).