L’anima sui passi di Madre Speranza

(Suor Rifugio Lanese eam)

I PRIMI PASSI VERSO LA SANTITÀ

Nell’anno della beatificazione di Madre Speranza sembra opportuno prenderla come maestra del nostro cammino di ritorno al Padre, visto che Lei ne conosce la strada.

La Madre ha percorso anche lei un cammino, intrapreso fin dalla nascita, ma in modo cosciente e deliberato dal momento in cui uscì dalla casa paterna, nel 1914 la Madre aveva 21 anni e decise di partire per farsi suora. Aveva scelto la data del 15 ottobre per partire. Alla mamma che era a letto malata e che le chiedeva se poteva rimandare di qualche giorno la sua partenza, rispose: "È che vorrei cominciare la mia vita religiosa il giorno di Santa Teresa d'Avila, perché Lei é stata una grande santa e io vorrei che mi aiutasse a farmi santa". "Va, figlia mia, - le rispose la mamma - Va tranquilla e il Signore ti aiuti a farti santa, grande santa". …"

La Madre Speranza era una creatura come tante, col suo carattere, con le sue buone qualità, con i suoi lati fragili. Era una donna intelligente, intraprendente, generosa, altruista, sensibile soprattutto verso i poveri, allenata al sacrificio perché prima di 9 figli, con genitori che facevano i braccianti agricoli, dovette necessariamente fin da piccola aiutare la mamma ad accudire ai fratellini.

Poi la famiglia subì l’alluvione e la perdita della capanna che era la loro casa. La Madre fu ospitata dal parroco e qui si diede da fare per la gestione della canonica.

Quando decise finalmente di pensare al suo avvenire, entrò tra le Figlie del Calvario, ma non si trovava bene nella comunità che l’accolse soprattutto perché forse c’era poca igiene. La Madre pensa di non farcela e di tornare in dietro, ma il Vescovo le suggerisce di considerarsi una scopa, senza ambizioni. La scopa pulisce ma poi non viene messa nell’urna ed esposta alla venerazione, ma viene nascosta in un angolo buio perché non faccia disordine.

La Madre capisce che deve lavora sul suo carattere, che deve avere di mira solo Gesù e a non dare troppo peso al "Che diranno?". Dio deve essere l’unico punto di riferimento della sua vita. Infatti va avanti e, tra le Figlie del Calvario, impara a contemplare la passione di Cristo.

Poi la Congregazione viene assorbita nella Congregazione delle Figlie di Maria Immacolata e qui verso l’anno 1927 la Madre comincia a scrivere il diario della sua vita intima con Dio in obbedienza al Padre Spirituale

Questa notte 5 Novembre 1927 Mi sono "distratta", ossia, ho trascorso parte della notte fuori di me e molto unita al buon Gesù. Lui mi diceva che devo riuscire a farlo conoscere agli uomini non come un Padre offeso dalle ingratitudini dei suoi figli, ma come un Padre amorevole, che cerca in ogni maniera di confortare, aiutare e rendere felici i suoi figli e li segue e cerca con amore instancabile, come se non potesse essere felice senza di loro. Quanto mi ha impressionato questo, padre mio! mi sono distratta e il buon Gesù mi ha detto, che non debbo desiderare altro che amarlo e soffrire, per riparare le offese che riceve dal suo amato clero. Debbo far sì che quanti vivono con me sentano questo desiderio di soffrire e offrirsi come vittime di espiazione per i peccati che commettono i sacerdoti del mondo intero. Devo adoperarmi con tutte le forze per cercare solo la sua gloria, anche se ciò comporterà il disprezzo di me stessa. Che vuol dirmi Gesù, con tutto questo, padre mio?

24 Dicembre 1927 Questa notte mi sono distratta e solo il buon Gesù sa quanto ho goduto con Gesù Bambino! Che emozione alla presenza e di fronte alla sua dignità! Che gioia! Il Bambino divino mi ha chiesto di sforzarmi di pensare di più a Lui, fino a che il mio cuore e la mia mente restino fissi in Lui e niente e nessuno mi distolgano da Lui. Come farò, padre mio?

2 Gennaio 1928 Questa notte mi sono distratta e il buon Gesù mi ha detto che vuole servirsi di me per realizzare grandi cose. Io gli ho risposto che, con il suo aiuto e la sua grazia, sono disposta a fare tutto quello che vorrà, ma che mi sento molto inutile e incapace di fare qualcosa di buono. Lui ha aggiunto che è vero, ma vuole servirsi della mia nullità perché meglio risalti che è Lui a realizzare imprese tanto grandi e di tanta utilità per la sua Chiesa e per le anime. Cosa vorrà da me il buon Gesù, padre mio? Il padre mi ha risposto che debbo preoccuparmi soltanto di fare la volontà del buon Gesù e che questa si compia in me anche se mi costasse molto e se non la dovessi capire.

5 Gennaio 1928 Questa notte il buon Gesù mi ha chiesto – e oserei dire, mi ha imposto – di aspirare decisamente ad una maggiore perfezione, per potermi chiedere ciò che tanto desidera; per conseguire ciò, ha aggiunto, devo usare tutti i mezzi. Il primo è incoraggiarmi a fare per Lui grandi cose, costi quello che costi.

La supplico, padre mio, mi aiuti e non si stanchi di lavorare con questa povera creatura perché, se è vero che non do al buon Gesù e a lei la soddisfazione di vedermi avanzare nella perfezione alla quale sono chiamata, tuttavia è vero anche che, già da tempo, non desidero altro che fare la volontà del buon Gesù, sempre dopo avergliela comunicata e averne ottenuto il permesso.

23 Gennaio 1928 Questa notte mi sono distratta e il buon Gesù si è comportato, al solito, come un vero Padre! Mi ha detto nuovamente che desidera non abbia altra aspirazione se non quella di amarlo e soffrire per Lui; a tale scopo Egli mi farà gustare con più intensità le dolcezze del suo amore;

Sicuramente la Madre non era una grande peccatrice, poteva avere una natura istintiva da controllare, poteva avere senso critico, rispetto umano, forse un po’ di auto compiacenza… tratti caratteriali da purificare, ma da questo modo di comportarsi di Gesù con la Nostra Madre possiamo dire che prima di ogni cosa Gesù vuole da lei un grande desiderio di santità e un grande distacco dalle creature. Vuole che la Madre abbia solo Lui nella mente e nel cuore. Sembra di leggervi l’atteggiamento del fidanzato geloso, che vuole che la sua fidanzata solo per sé.

Infatti, quando Dio irrompe nell’anima, l’anima si desta, vede una luce in fondo al suo tunnel, si accende la speranza e si fa vivo il desiderio di raggiungere la luce. Vive una sorta di innamoramento.

Questo percorso vale per tutte le anime a prescindere dalla loro vocazione: I chiamati ad una speciale consacrazione vanno a Dio senza intermediari, mentre i chiamati al matrimonio vanno a Dio attraverso il coniuge; ma l’amore per il coniuge deve avere le stesse caratteristiche di quello per Dio. L’amore, per essere tale ha sempre bisogno di essere gratuito, fedele, esclusivo, generoso, espropriante. Il vero amore è tanto esclusivo che non tollera neanche di venire dopo l’amore di sé. L’amore genera vita proprio perché ci fa uscire da noi stessi e ci fa vivere per l’altro.

Ma un amore così esigente si può attingere solo alla sorgente, perciò ogni anima, qualunque sia la sua vocazione, ha bisogno di vivere l’intima comunione con Dio, per accogliere il suo Amore e donarlo "decodificato", cioè trasformato in gesti concreti di amore verso il coniuge, i figli, i fratelli in Cristo. L’amore ha tante sfaccettature quante sono le esigenze dei fratelli, perciò S. Paolo dice: "La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine". (1Corinzi 13:4-8)

 

IL DESIDERIO DELLA SANTITÀ

La Madre nel libro scritto in occasione del 25° della fondazione delle Ancelle, indica come primo passo per seguire il Signore proprio il desiderio della santità.

Il desiderio può sembrare un prodotto della nostra buona volontà, in realtà è frutto dell’azione dello Spirito Santo che ci ispira pensieri positivi, utili per la nostra salvezza.

Frutto della buona volontà è solo assecondare questa ispirazione divina. Chissà quante volte abbiamo volutamente ignorato le buone ispirazioni ma Dio, pazientemente è tornato a bussare alla porta del nostro cuore perché lo accogliessimo nella nostra intimità.

Cosa c’è di più grande che sentirsi oggetto dell’amore divino? Perché allora è tanto raro che le anime lo accolgano?

 

LA TRIPLICE CONCUPISCENZA

Noi, piccole anime nate dopo il peccato originale, ereditiamo fin dalla nascita tre grandi inclinazioni: PIACERE – AVERE – POTERE.

L’inclinazione al piacere, insito nel cuore dell’uomo, è la prima delle tre concupiscenze. Tutti tendiamo a soddisfare questa tendenza. Ma bisogna tener conto che non ogni piacere è lecito e lascia libero il cuore. Il piacere, nel piano di Dio, è ordinato al dovere, ma spesso il dovere ci pesa e tendiamo a slegare il piacere dal dovere. In questo caso l’anima soffre, avverte una sensazione di trascinamento: si sente tirata da due forze: dal piacere che la rende schiava e dal dovere che la richiama all’ordine morale verso se stessa, verso Dio, verso i fratelli.

Viviamo in stato di lotta, lo dice anche S. Paolo:

"Sappiamo infatti che la legge è spirituale, mentre io sono di carne, venduto come schiavo del peccato. Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio,  ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mente, servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato".(Rm 7,14-25)

Se, nel prendere le sue decisioni, l’anima non ha chiara questa situazione di fragilità, cede al piacere e per giustificare il richiamo della coscienza, cerca e trova alleati nel mondo, nella cultura attuale "Fanno tutti così!", in realtà cerca, senza riuscirci, un anestetico per la coscienza. Ma il disgusto cresce. La volontà è debole e oscilla tra il lecito e l’illecito, brancola nel buio, non sa orientarsi, è tentata di porre fine a questo non senso.

E’ la situazione delle anime schiave del peccato. In questa situazione si è trovato anche S. Agostino: Lui cercava il piacere e invece trovava il rimorso:

Voglio ricordare il mio sudicio passato e le devastazioni della carne nella mia anima non perché le ami, ma per amare te, Dio mio. Per amore del tuo amore m’induco a tanto, a ripercorrere le vie dei miei gravi delitti. Vorrei sentire nell’amarezza del mio ripensamento la tua dolcezza, o dolcezza non fallace, dolcezza felice e sicura, che mi ricomponi dopo il dissipamento ove mi lacerai a brano a brano. Separandomi da te, dall’unità, svanii nel molteplice quando, durante l’adolescenza, fui riarso dalla brama di saziarmi delle cose più basse e non ebbi ritegno a imbestialirmi in diversi e tenebrosi amori. La mia bella forma si deturpò e divenni putrido marciume ai tuoi occhi, mentre piacevo a me stesso e desideravo piacere agli occhi degli uomini

Che altro mi dilettava allora. se non amare e sentirmi amato? Ma non mi tenevo nei limiti della devozione di anima ad anima, fino al confine luminoso dell’amicizia. Esalavo invece dalla paludosa concupiscenza della carne e dalle polle della pubertà un vapore, che obnubilava e offuscava il mio cuore. Non si distingueva più l’azzurro dell’affetto dalla foschia della libidine. L’uno e l’altra restio a sopportare, e nulla redarguivo così aspramente negli altri, se li sorprendevo, come ciò che facevo loro; mentre, se ero io ad essere sorpreso e redarguito, preferivo infierire, piuttosto di cedere". (Dalle confessioni di S. Agostino)

 

INTERVENTO DIVINO

"Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati".

(Ef 2:4-5)

Dio è sempre attento al dolore dei suoi figli, anche se da se stessi si sono messi nella situazione di disordine, e stimola i loro cuori a desiderare di rispondere al Suo amore.

Il desiderio della perfezione, dice Madre Speranza, si può così definire: un atto della nostra volontà che sotto l’impulso della grazia aspira incessantemente al nostro progresso spirituale. Molte volte questo atto suole essere accompagnato da emozioni ed affetti che fanno molto più grande il desiderio, ma che non sono in alcun modo necessari.

La principale causa è che Dio ci ama fortemente e desidera essere unito a noi, e così ci cerca con amore instancabile, come se non potesse essere felice senza di noi. D’altra parte quando la nostra povera anima, illuminata dalla luce della fede si volge a se stessa, lì, nel suo interiore sente un vuoto talmente grande, che non si può riempire che con Dio stesso; sospira così per Lui, per l’Amore Divino, per la perfezione, come un cervo assetato, per la fonte dell’acqua viva. Siccome qui mai potrà essere saziato completamente questo desiderio, dato che sempre ci resta strada da fare per arrivare alla pienezza dell’unione con Dio, risulta che, se noi non lo disturbiamo, questo amore e questo desiderio della nostra perfezione per la gloria di Dio, crescerà continuamente.

E’ certo che sono molti gli ostacoli, che tentano annientare o per lo meno soffocare questi desideri: la concupiscenza, il timore della sofferenza, delle lotte dinanzi alle difficoltà che abbiamo da vincere, la preoccupazione di ciò che diranno, l’amore al proprio giudizio e la durata nello sforzo per corrispondere alla grazia ed andare avanti.

Tutto ci sarà facilissimo, se arriviamo a convincerci che mai lavoriamo da soli, ma che il Buon Gesù lavora con noi instancabilmente come buon Padre senza contare, né tenere in considerazione i disgusti che gli diamo;… (El pan 15, 148-151).

 

NOTTE DEI SENSI

Ma man mano che l’anima si avvicina alla luce, Dio ogni tanto prova a lasciarla senza il fervore sensibile, per vedere se sa muoversi per impulso proprio, come fa la mamma quando vuole che il bambino impari a camminare.

In questi momenti l’anima vede se stessa e il contrasto tra la purezza divina e il suo fango. Il contrasto la sconcerta: come può lei – fango – unirsi a Lui Luce? E’ tentata di fuggire in dietro, di tornare alla realtà conosciuta e aborrita. Il tentatore le suggerisce pensieri di scoraggiamento:

"Sono stanco della lotta della vita, io non posso avanzare nella perfezione, è inutile che mi stia sforzando, non è per mancanza di proposito; tanto più faccio, tanto peggio mi trovo e così mi contenterò di non offendere Dio col peccato mortale; le mie forze – lo vedo – non sono per arrivare ad essere santo". Povera anima! Certo, senza orazione, senza mortificazione, senza umiltà e senza pietà, il suo lavoro rende ben poco profitto per sé e per il prossimo: è un povero paralitico che si muove a stento". (El pan 15, 143)

Ma Dio non l’abbandona; con costanza vince le sue titubanze e fa come la donna quando impasta la farina: farina e acqua sembrano incompatibili, l’acqua tende a sfuggire, la farina tende a volatilizzarsi, la donna infatti s’infarina lei pure ma continua ad accostarle con garbo, vuole che familiarizzino finché la farina cede, si lascia intridere, impastare, amalgamare.

E’ la lotta tra la natura e la grazia: la natura vuole esprimersi nella sua interezza, e non accetta limiti, assecondata in questo anche dalla logica del mondo, che ritiene di aver diritto al piacere. Magari l’asseconda, ma poi si crea il contrasto con la coscienza e cresce il disgusto della propria vita, perchè, pur affannandosi nella ricerca del piacere, non riesce a colmare il suo desiderio di felicità, perché in realtà l’anima tende alla felicità piena che può venire solo da Dio.

E’ l’esperienza che ha fatto anche S. Agostino:

"Dio buono, cosa avviene nell'uomo, che per la salvezza di un'anima insperatamente liberata da grave pericolo prova gioia maggiore che se avesse sempre conservato la speranza, o minore fosse stato il pericolo? Invero anche tu, Padre misericordioso, gioisci maggiormente per un solo pentito che per novantanove giusti, i quali non hanno bisogno di penitenza; e noi proviamo grande gioia all'udire ogni volta che udiamo quanto esulta il pastore nel riportare sulle spalle la pecora errabonda, e come la dracma sia riposta nei tuoi tesori fra le congratulazioni dei vicini alla donna che l'ha ritrovata; e ci fa piangere di gioia la festa della tua casa, ogni volta che nella tua casa leggiamo del figlio minore che era morto ed è tornato in vita, era perduto e fu ritrovato. Tu gioisci in noi e nei tuoi angeli santificati da un santo amore, perché sei sempre il medesimo, e le cose che non esistono sempre né sempre nel medesimo modo tu nel medesimo modo le conosci sempre tutte". (S. Agostino "Le confessioni"3. 6.)

 

SINTESI

In questa prima fase della vita spirituale, l’anima sperimenta la lotta tra la natura e la grazia. A momenti di grande fervore spirituale, si alternano momenti di buio. Il fervore sensibile è davvero un’ala per i principianti; è lo zucchero che la mamma dona al suo bambino, perché prenda la medicina. Ma quando Dio ritira il fervore sensibile la parola d’ordine è PERSEVERARE.