La nuova evangelizzazione: l’annuncio della misericordia

(Sac. Angelo Spilla)

"Vai dai tuoi" (Mc 5,19)

Quando la pace del Signore viene donata nei cuori la prima reazione è condividerla con chi vogliamo sperimenti la stessa gioia. Esaminiamo il brano del vangelo dove viene riportata la guarigione dell’indemoniato di Gerasa (Mc 5, 1-20).

L’evangelista Marco ci presenta in questo brano non un quadro statico, ma una successione di scene in cui il dialogo e il movimento hanno un’importanza fondamentale: Gesù in territorio pagano si trova improvvisamente di fronte l’indemoniato; vengono descritte le abitudini dell’indemoniato e dei suoi rapporti con gli altri uomini; segue il dialogo di Gesù con questo indemoniato; la legione dei demoni esce da quell’uomo ed entra nei porci che precipitano dal dirupo nel lago; c’è poi la reazione dei testimoni e della gente che accorre dopo essere stata informata del fatto, ed, infine, segue il concedo dell’uomo liberato e la "proclamazione" del fatto.

Si tratta di un brano del vangelo assai interessante per il tipo di guarigione operata da Gesù. Ma particolarmente interessante in questo brano risulta quando l’uomo una volta liberato dal demonio chiede a Gesù di poterlo seguire:"lo supplicò di poter stare con lui"(v.18). All’inizio lo aveva scongiurato di non tormentarlo, adesso l’uomo vuole "stare con lui". Poche ore prima diceva che Gesù non c’entrava con lui, ora chiede di poter "entrare" al suo seguito. La cosa, poi, ancora sorprendente è il fatto che Gesù non glielo concede. Anzi gli dice:"Va nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto" (v. 19).

Gesù vuole richiamare il fatto che questo ex indemoniato è chiamato a diventare il primo missionario, il primo evangelizzatore in terra pagana, ai confini del territorio ebreo.

Gesù aveva compiuto il miracolo, ora tocca a quest’uomo guarito completare l’annuncio, renderlo attuale. Deve far capire agli altri che, mandando via Gesù dall’altra parte del lago, hanno perso soprattutto un’occasione. Lui può dirlo."Quello se ne andò e si mise a proclamare per la Decapoli"(v.20).

L’episodio dell’indemoniato di Gerasa dovrebbe costituire uno strumento di verifica decisamente inquietante per la presenza di noi cristiani in certi ambienti. Certa gente ci accetta "purchè" non disturbiamo.

Ecco il richiamo del vangelo per noi:"Vai dai tuoi". Perché? Per annunziare ciò che il Signore ha realizzato nella nostra vita, per trasmettere l’amore che Dio ha per noi, per aiutare i nostri fratelli a fare la nostra stessa esperienza di vita e di salvezza, per evangelizzare nel proprio ambiente di vita. Incomincia a condividere nel tuo ambiente di vita quel poco di Gesù che hai incontrato.

Nella Chiesa primitiva accadeva che quando i familiari di un cristiano rispondevano positivamente all’invito evangelico diventavano tutti insieme una piattaforme, un luogo di ancoraggio per la comunità cristiana nascente. Era una "oikìa",cioè una casa-famiglia che mantenendo, anzi sviluppando i legami naturali ed esterni alla famiglia stessa, viveva nella modalità dell’assemblea convocata ("ekklesìa"): preghiera, ascolto dell’insegnamento degli apostoli, frazione del pane e comunione fraterna (cfr At 2, 42-48). Il libro degli Atti degli Apostoli è particolarmente significativo in ordine alla ricostruzione dello sviluppo della Chiesa dei primi tempi. In esso vi è la presentazione della Chiesa delle origini basata sulle famiglie e con una struttura iniziale essenzialmente "domestica". E’ la "casa" il luogo primario di ascolto e di annuncio del vangelo:"Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore"(At 2,46).

Sono state propriamente queste riunioni nelle case a permettere ai cristiani di maturare la coscienza della loro identità e della loro differenza rispetto al giudaismo. Nelle chiese domestiche partecipava gente di ogni rango e di situazione sociale diversa e si può comprendere quanto Paolo afferma:"Non c’è più giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù"(Gal 3,28).

Per essere Chiesa di Cristo, dunque, i cristiani dei primi secoli non hanno dovuto ideare nessun nuovo tipo di aggregazione sociale perché questa esisteva già: la famiglia era da sempre predisposta e plasmata dal Creatore per diffondere il vangelo nel mondo in ogni tempo storico.

 

1. Evangelizzare è il compito principale e prioritario della Chiesa e di ogni cristiano

L’apostolo San Paolo sull’esempio di Gesù che ha detto:"Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura" (Mt 16,15), ci ha ricordato che se abbiamo scelto di rispondere alla chiamata del Signore ed essere cristiani, non possiamo scegliere se evangelizzare. L’evangelizzazione è un dovere:"Non è per me un vanto predicare il vangelo, è un dovere per me:guai a me se non predicassi il vangelo!" (1 Cor 9,16).

Il comando di Gesù è valido per la Chiesa di tutti i tempi, è valido per noi oggi, perché ogni persona ha il diritto adesso ad "essere servita" da Dio.

Dobbiamo credere che dall’obbedienza a questo comando deriva una effettiva autorità spirituale. Gesù risorto ha acquisito ogni potere ("Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra"- Mt 28,18) e, con il dono dello Spirito, comunica una reale efficacia apostolica a chi si impegna sinceramente in questo compito.

Per evangelizzare, poi, va ricordato che non ci sono limiti di luogo, ogni luogo è quello giusto. Casa, strada, luogo di lavoro, autobus, bar, piscina, supermercato, casa di amici, treno…

Non ci sono luoghi o situazioni "imbarazzanti" anzi, a volte il luogo o la circostanza che tu pensi meno adatta per evangelizzare, magari si rivela proprio quella "giusta"!.

Dobbiamo parlare di Gesù e del Vangelo, perché non portiamo noi stessi. Non predichiamo noi stessi, non mettiamo noi stessi come modelli di predicazione e di buon comportamento. Non dobbiamo attrarre a noi, ma portare tutti a Gesù.

Parliamo non di noi stessi, ma di Gesù salvatore, dell’Amore di Dio, della speranza, del perdono per tutti. Non basta testimoniare il Vangelo con la vita: alla testimonianza va aggiunto anche l’annuncio esplicito. Anche perché "la fede si rafforza donandola" (Redemptoris missio, 2); più si evangelizza e più si cresce nella fede.

"Vai dai tuoi…" significa per noi portare il vangelo alle persone tutte cominciando dal nostro ambiente. Abbiamo il dovere di condividere questo dono preziosissimo che abbiamo ricevuto senza nostro merito: il Vangelo.

Se vogliamo che una relazione umana già esistente, magari collaudata da antica data (come quella ad esempio, tra due familiari), diventi nuova, occorre che noi stessi assumiamo un’immagine nuova. Occorre cioè che chi vogliamo evangelizzare scopra la verità della nostra conversione, per poter poi accettare la nostra testimonianza. Dunque la prima verità che deve apparire è la conversione dell’evangelizzatore, il suo impegno nella preghiera, nell’amore per il fratello nel nome di Gesù, il suo servizio generoso e costante fatto in obbedienza al comando del Signore.

"Vai dai tuoi". Lo ripete ancora Gesù ad ognuno di noi. Nell’ambiente di vita di ognuno di noi vi sono i parenti, i vicini, i colleghi, gli amici. Ogni cristiano è chiamato ad evangelizzare innanzitutto nelle relazioni già esistenti ed in questo ambito è insostituibile. Se io non evangelizzo nel mio ambito di vita quotidiano, chi lo potrà fare per me? Sei proprio tu colui che questa persona "attendeva" per essere accompagnata nell’incontro con Dio. Il comando di Gesù non è semplicemente di fare tanta strada, ma di predicare il Regno dei cieli mentre si percorre la strada della vita. Accettare con fede ogni persona ed ogni situazione e impegnarsi ad avvicinarla, come farebbe Gesù, affinché incontri la grazia di Dio. Che il fratello che incontri si stupisca di come tu ti senti coinvolto nei suoi confronti. Nell’ambiente di vita si valorizzano le relazioni esistenti. Non si va a evangelizzare, ma si evangelizza mentre si va.

La Buona novella viene accolta solo quando essa passa da una persona ad un’altra persona; solo quando tra due persone vi è "prossimità", una vicinanza di affetti e di amicizia. Evangelizzare è far fare all’altro l’esperienza della fede che non è semplice trasmissione di dati, ma è appunto una "esperienza", innanzitutto d’amore.

Nel proprio ambiente di vita significa, ancora, che il cristiano si deve impegnare senza cercare alibi di difficoltà o di insuccessi precedenti: la relazione che già vive è voluta dal Signore. Il discepolo di Gesù sa che non ha diritto di lamentarsi, né di giudicare: da credente deve sentirsi mandato a trasformare le situazioni, ad essere luce per chi non crede, consolazione per chi soffre, speranza per chi è in difficoltà.

Ogni credente deve dunque saper accettare con fede ogni persona ed ogni situazione e impegnarsi ad avvicinarla, come farebbe Gesù, affinché incontri la grazia di Dio.

 

2. Trasmissione della fede:di generazione in generazione

L’ambiente, inteso come contesto sociale e come cultura, sta rendendo difficile sia l’atto educativo che, di conseguenza, la trasmissione della fede.

Il contesto in cui oggi ci muoviamo come cristiani è segnato fortemente dal secolarismo, dall’indifferentismo religioso, dalla cultura estranea o contraria al Vangelo. E’ il contesto di un’interruzione o di un rallentamento dei canali classici di trasmissione della fede, come la famiglia, il mondo della scuola e la stessa comunità cristiana.

Sono concetti emersi nel Convegno Ecclesiale di Verona celebrato nell’ottobre del 2006, sottolineando che la fede nella società odierna vive in una sostanziale marginalità.

Il rischio per la comunità cristiana, di fronte ad un mondo contemporaneo che appare troppo complesso e veloce nei suoi cambiamenti, è quello di ritirarsi sulla difensiva, di chiudersi in una fede ritualizzata o intimistica rinunciando alla testimonianza, di vivere un sostanziale individualismo.

Il compito del cristiano è quello di testimoniare Gesù Cristo, cioè di sviluppare uno stretto rapporto tra fede e vita, tra principi evangelici e comportamenti quotidiani,

La fede, poi, non va mai scambiata con la semplice ripetizione di una dottrina, ma va vissuta nel quotidiano in modo che diventi il racconto di una testimonianza personale e comunitaria. Fede ed esperienza sono inseparabili; ecco perché il messaggio cristiano non si può separare dalla storia concreta, dai contesti geografici e linguistici in cui di volta in volta si incarna.

Certamente come responsabile principale della trasmissione della fede è chiamata la comunità cristiana stessa: una comunità che si mette in ascolto della Parola di Dio, che prega, che si nutre del Corpo di Cristo nell’Eucarestia, che testimonia la carità al prossimo.

E’ il richiamo alla sfida educativa che interpella tutta la comunità ecclesiale e in primo luogo gli operatori pastorali.

Ci accorgiamo, però, che la trasmissione della fede soffre una crisi di contesto che è mancanza di ambiente idoneo e favorevole come lo sono state le antiche strutture, tipo la famiglia e la scuola, predisposte alla comunicazione dell’esperienza tra le generazioni, garanti della bontà della sua realizzazione. Ma anche all’interno della Chiesa stessa lamentiamo i limiti dell’impegno formativo della Chiesa e delle nostre comunità. Si consideri la riduzione della pratica religiosa, il divergere dei modi di comportarsi dai modelli del cristianesimo, l’analfabetismo religioso riscontrato anche in quei laici che hanno frequentato per anni il catechismo e l’insegnamento della religione.

Non va dimenticato, anche, che esistono numerose esperienze e vie nuove di proposta di fede e della vita cristiana, tra le quali i movimenti ecclesiali in genere, che offrono dei notevoli risultati. Rimane comunque il problema di una migliore integrazione nel tessuto complessivo della realtà ecclesiale.

Comunque il problema della trasmissione della fede non può fermarsi unicamente all’analisi. Deve condurci a indicazioni operative, cioè passare dall’operazione, che richiede intelligenza, alla capacità di proporre, propriamente a un intus-legere in senso pieno; una volontà che richiami la capacità di proporre.

Riflettendo sul compito, dunque, della trasmissione della fede occorre rifarsi propriamente all’immagine biblica che ci riporta alle origini dell’esperienza religiosa del popolo ebraico.

Per ogni celebrazione della festa ebraica della Pasqua, durante la cena, il più piccolo dei figli della famiglia chiede al padre perché quella è una notte diversa dalle altre e perché in quella notte, a differenza delle altre in cui si mangia lievitato e azzimo, in quella notte si mangia tutto quanto azzimo. E’ interessante la risposta data dal padre che risponde alla presenza di tutta quanta la famiglia riunita per la cena pasquale:"Schiavi fummo in Egitto del Faraone, e il Signore Dio nostro ci fece uscire di là con mano forte e con braccio disteso".

Questa immagine ci aiuta a comprendere il problema della nuova evangelizzazione e della trasmissione della fede.

Il richiamo del libro dell’Esodo dice come è possibile stringere un buon legame fra le generazioni, quelle dei padri e quelle dei figli. Un legame istituito dalla narrazione del fatto che ha fondato l’identità e quindi la libertà del popolo a cui il bambino appartiene. Questa narrazione viene ripetuta annualmente perché si custodisca la memoria dell’evento fondatore "di generazione in generazione". La memoria viene custodita perché in caso contrario si verrebbe a perdere anche la consapevolezza della propria identità; si rimane sradicati, spaesati, esiliati da se stessi. La generazione dei figli entra nello stesso universo dei padri. Si costituisce un popolo non solo in senso etnico ma anche culturale.

In questo dialogo, poi, il padre aggiunge:"In ogni generazione e generazione ognuno è obbligato a vedere se stesso come essendo proprio lui uscito dall’Egitto". Non viene presentato un fatto che appartiene definitivamente al passato ma un avvenimento che continua ancora oggi ed esercita il suo influsso. Anche ora, ogni generazione di figli ha bisogno di sapere la sua origine. Di generazione in generazione si trasmette una dimensione essenziale del presente, dal cui riconoscimento o negazione dipende la costituzione del proprio io. E sono i padri a testimoniare questa presenza e a introdurre così i figli nella vita.

Questo richiamo ci serve per comprendere il compito e la modalità della trasmissione della fede. E’ il richiamo alla Traditio come presenza capace di memoria e di speranza autentica; un tramandare che non riguarda solo il passato, ma che tocca il presente e si apre al futuro; un antico che diventa principio del nuovo perché proposto da comunità fedeli al passato e aperte al futuro e, quindi, capace di generare. Non si può pensare alla tradizione cristiana come mera conservazione; sarebbe uno scadere nel ripetere delle formule. Noi sappiamo, invece, come l’incontro con il Signore Gesù ci coinvolge e ci trasforma. Tutto questo richiede, pertanto, una piena comunione con Cristo e con la Chiesa. Una Chiesa, composta da laici e chierici, che sappia trasmettere la fede, si lasci rigenerare continuamente dalla Parola e sappia radicare sulla Parola tutte le proprie iniziative e tutta la propria vita. Una Chiesa che non corra il rischio, anche, della omologazione mortificante in quanto ognuno viene riconosciuto per la ricchezza carismatica che porta, quale dono dello Spirito Santo alla Chiesa stessa.

3. Nuova evangelizzare e annuncio dell’Amore Misericordioso del Signore

Propriamente dalle parole di Gesù che pronunziò presso la sinagoga di Nazareth :"Il Signore mi ha mandato ad annunciare l’anno di misericordia" (Lc 4,19), comprendiamo che la via della nuova evangelizzazione deve partire dall’Amore Misericordioso.

Non possiamo annunciare contenuti diversi da quelli che Gesù ci ha offerto nel suo vangelo. Ce lo ha ricordato anche San Paolo quando dice:" Se io o un altro, o persino un angelo dal cielo, vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi ho annunciato, si anatema!" (Gal 1,8).

Non diamo per scontato che le persone, anche battezzate, conoscono il vero volto di Dio.

Ricordiamo, a tal proposito, le parole di Madre Speranza, tratte dal suo Diario, che lo stesso Giovanni Paolo II ha poi ricordato ai membri della Famiglia religiosa Amore Misericordioso a Collevalenza il 22 novembre 1981:"L’uomo ha intimamente bisogno di aprirsi alla misericordia divina, per sentirsi radicalmente compreso nella debolezza della sua natura ferita; egli necessita di essere fermamente convinto di quelle parole a voi care e che formano spesso l’oggetto della vostra riflessione, cioè che Dio è un Padre pieno di bontà che cerca con tutti i mezzi di confortare, aiutare e rendere felice i propri figli; li cerca e li insegue con amore instancabile, come se Lui non potesse essere felice senza di loro. L’uomo, il più perverso, il più miserabile ed infine il più perduto, è amato con tenerezza immensa da Gesù che è per lui un padre e una tenera madre".

E’ significativa la risposta che Madre Speranza diede ad un monsignore che a Roma le chiedeva che cos’era questa nuova devozione dell’Amore Misericordioso del Signore:"Non è nuova, ma antica quanto il Vangelo".

Evangelizzare è portare il lieto annuncio della salvezza a tutti gli strati dell’umanità, per trasformarla dal di dentro e renderla nuova. Ma non c’è umanità nuova se prima non ci sono uomini nuovi. Questa novità nasce dal battesimo e dalla vita secondo il vangelo.

Ricordiamoci che la Chiesa evangelizza in modo vitale, in profondità, fino alle ultime radici, la cultura e le culture dell’uomo. e che il vangelo è proclamato mediante la testimonianza della vita. A questa testimonianza tutti i cristiani sono chiamati e possono essere, sotto questo aspetto, dei veri evangelizzatori.

Questa testimonianza, tuttavia, si rivelerà impotente se non è illuminata, giustificata e esplicitata da un annuncio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù. La buona novella proclamata dalla testimonianza di vita dovrà essere, presto o tardi, annunciata dalla parola di vita.

Non c’è vera evangelizzazione se non sono proclamati il nome, l’insegnamento, la vita, le promesse, il regno, il mistero di Gesù di Nazareth, figlio di Dio.

L’annuncio deve essere capito, accolto, assimilato. Deve suscitare l’adesione del cuore alla verità e al programma di vita che esso propone.

Chi è stato evangelizzato a sua volta evangelizza. Qui è la prova della verità. È impensabile che un uomo abbia accolto la parola e si sia dato al regno di Dio senza diventare a sua volta testimone e annunciatore della parola e del regno.

Evangelizzare è:rinnovamento dell’umanità, testimonianza di vita, annuncio esplicito, adesione del cuore, ingresso nella comunità, accoglimento dei sacramenti, iniziative di apostolato.

Evangelizzare è testimoniare Dio rivelato da Gesù Cristo nello Spirito Santo. Testimoniare che, nel suo Figlio, Dio ha amato il mondo, ha dato l’esistenza a tutte le cose e ha chiamato gli uomini alla vita eterna. Per l’uomo, il creatore non è una parola anonima e lontana: è il Padre. "Siamo chiamati figli di Dio e lo siamo realmente" (1 Gv 3,1).

E siamo fratelli gli uni gli altri in Dio. In Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, morto e risuscitato, la salvezza è offerta ad ogni uomo come dono di grazia e misericordia di Dio stesso. Questa salvezza oltrepassa tutti i limiti della vita presente e si realizza in Dio, ha inizio in questa vita, ma si compie nell’eternità. Il nucleo del vangelo è: proclamazione dell’amore di Dio verso di noi e del nostro amore verso di lui, predicazione dell’amore fraterno per tutti gli uomini, capacità di dono, di perdono, di abnegazione e di aiuto ai fratelli, predicazione del mistero del male e della ricerca attiva del bene, predicazione della ricerca di Dio attraverso la preghiera e i sacramenti, segni del Cristo vivente e operante nella chiesa. L’incontro con Cristo nei sacramenti è il completamento naturale, il punto di arrivo dell’evangelizzazione. Evangelizzare è impiantare la Chiesa. La Chiesa non esiste senza la vita sacramentale culminante nell’eucaristia. Il vangelo coinvolge la vita concreta, personale e sociale dell’uomo. L’evangelizzazione è un messaggio esplicito, costantemente aggiornato e applicato, sui diritti e sui doveri di ogni persona umana, sulla vita familiare, sulla vita comune nella società, sulla vita internazionale, la pace, la giustizia, lo sviluppo, la liberazione.

La chiesa vede davanti a sé un’immensa folla umana che ha bisogno del vangelo e vi ha diritto perché Dio "vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità" (1 Tm 2,4). Sa di avere il dovere di predicare la salvezza a tutti. Sa che il messaggio evangelico non è riservato a un piccolo gruppo di eletti, ma è destinato a tutti. La Chiesa fa propria l’angoscia di Cristo di fronte alle folle sbandate e sfinite "come pecore senza pastore" e ripete spesso la sua parola: "Sento compassione di questa folla" (Mt 9,36;15,32).

Il campo proprio della loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell’economia, della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti di comunicazione sociale, di quelle realtà particolarmente aperte all’evangelizzazione come l’amore, la famiglia, l’educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza.

Più ci saranno ministri sacri e laici penetrati di spirito evangelico, responsabili di queste realtà e impegnati in esse, competenti nel promuoverle e consapevoli di dover sviluppare tutta la loro capacità cristiana, spesso tenuta nascosta e soffocata, tanto più queste realtà si troveranno al servizio della edificazione del regno di Dio e della salvezza in Gesù Cristo.

Consideriamo ora la persona stessa degli evangelizzatori. Si ripete spesso che il nostro secolo ha sete di autenticità. Dei giovani si dice che hanno orrore del fittizio, del falso e ricercano la verità e la trasparenza. Tacitamente o con alte grida, ma sempre con forza ci domandano: Credete veramente a quello che annunciate? Vivete quello che credete? Predicate veramente quello che vivete?. La testimonianza della vita è diventata più che mai una condizione essenziale per l’efficacia profonda della predicazione.

Bisogna che il nostro zelo per l’evangelizzazione scaturisca da una vera santità di vita e che la predicazione, alimentata dalla preghiera e dall’amore all’eucaristia, faccia crescere in santità colui che predica.

Il mondo reclama evangelizzatori che gli parlino di un Dio che essi conoscono, che è loro familiare, come se vedessero l’invisibile (cf. Eb 11,27). Il mondo esige e aspetta da noi semplicità di vita, spirito di preghiera, carità verso tutti specialmente verso i piccoli e i poveri, ubbidienza e umiltà, distacco da noi stessi e rinuncia. Senza questo contrassegno della santità, la nostra parola difficilmente si aprirà la strada nel cuore dell’uomo del nostro tempo, ma rischia di essere vana e infeconda. Come evangelizzatori dobbiamo offrire una immagine di persone mature nella fede, capaci di trovarsi insieme al di sopra delle tensioni concrete, grazie alla ricerca comune, sincera e disinteressata della verità. L’opera dell’evangelizzazione suppone nell’evangelizzatore un amore fraterno sempre crescente verso coloro che egli evangelizza. L’apostolo Paolo, modello di ogni evangelizzatore, scriveva: "Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari" (1 Ts 2,8). Affetto non tanto di pedagogo, ma di padre e di madre (cf. 1 Ts 2,7.11; 1 Cor 4,15; Gal 4,19).

I fedeli hanno bisogno di queste certezze per la loro vita cristiana, ne hanno diritto in quanto sono figli di Dio che si abbandonano interamente alle esigenze del suo amore.

L’evento della beatificazione di Madre Speranza ci deve spronare a testimoniare la santità della vita negli impegni di ogni giorno, così che il vangelo della misericordia e della grazia del Signore si diffonda per il mondo intero. E’ fonte di grande gioia essere, oggi, nelle nostre circostanze, annunciatori di Cristo e del suo Vangelo di misericordia. Ma implica anche il prezzo della testimonianza , del non vergognarci di lui quando siamo derisi o perseguitati per il suo nome. E’ il prezzo santo da pagare per trasmettere anche oggi la fede, senza paura, guardando a Colui che è " l’autore e il perfezionatore della fede".

Ancora Madre Speranza ci esorta:" Come oseremo dire di amare Gesù se non ci sforziamo di fare il possibile perché arrivino ad amarlo tutti quelli che incontriamo?".