"DIVES IN MISERICORDIA 25 ANNI DOPO:
UN MESSAGGIO AL CUORE DEL VANGELO"
L’uomo non può vivere senza amore
S.E. Mons. Lorenzo Chiarinelli

Il 30 novembre 1980, il santo Padre Giovanni Paolo II pubblicava l'Enciclica "Dives in misericordia" e affermava: "Occorre che la Chiesa del nostro tempo prenda più profonda e particolare coscienza della necessità di rendere testimonianza alla misericordia di Dio in tutta la sua missione, sulle orme della tradizione dell'antica e della nuova Alleanza e, soprattutto, dello stesso Gesù Cristo e dei suoi Apostoli. La Chiesa deve rendere testimonianza alla misericordia di Dio rivelata in Cristo, nell'intera sua missione di Messia, professandola in primo luogo come verità salvifica di fede e necessaria ad una vita coerente con la fede, poi cercando di introdurla e di incarnarla nella vita dei suoi fedeli e, per quanto possibile, in quella di tutti gli uomini di buona volontà" (DiM 12).

Con questo impegnativo messaggio Giovanni Paolo II intendeva caratterizzare il terzo anno del suo pontificato e aprire quel suggestivo cammino che, poi, durante il Giubileo del 2000, troverà la sua alta espressione nel "giorno del perdono" (7 marzo 2000). In quella occasione lo sguardo di Giovanni Paolo concentrato sul Crocifisso divenne l'icona commovente di una misericordia accoratamente implorata e di una misericordia senza misura elargita.

Passi del cammino

Per far memoria, qui ed ora, a 25 anni di distanza da quella Enciclica mi pare doveroso premettere due sottolineature, l'una che mi ricorda un cammino di Chiesa, l'altra che ci aiuta a cogliere il carisma di questo luogo.

  1. L'11 ottobre 1962 il Papa Giovanni XXIII apriva il Concilio Ecumenico Vaticano II. Quella storica allocuzione, scaturita dalla mente e dal cuore di Giovanni XXIII, era un invito alla gioia, che è fede, fiducia, speranza: "Gaudet Mater Ecclesia quod, singulari Divinae Providentiae munere, optatissimus iam dies illuxit". Ma era anche un invito e un compito di misericordia. Il Papa, riaffermando la perenne verità affidata alla Chiesa e ricordando i non pochi errori del mondo contemporaneo, esclama: " Per quanto concerne questo nostro tempo, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che della severità".
    Questo messaggio viene consegnato alla Chiesa e al mondo e, pur con tonalità diversificate, ha attraversato e segnato la vita della Chiesa in questi oltre 40 anni.
  2. Mi è caro richiamare tre brevi riflessioni.
  1. Il 31 dicembre 1975, il Papa Paolo VI, dopo aver messo a tema il disegno di Dio che è amore, esclamava: "Questa è la sorgente della compassione! È in questa corrente il nostro destino di professarci medici di quella civiltà dell'amore…Sì, fratelli, allora la patologia sociale è il primo campo del nostro cristiano interesse. Bisogna avere sensibilità e amore per l'umanità che soffre, fisicamente, socialmente, moralmente".
  2. Di Giovanni Paolo II – al di là di quanto diremo sulla Enciclica – mi piace ricordare quanto di lui ha detto nella Messa esequiale (8 aprile 2005) l'allora card. Jeseph Ratzinger. "Egli ha interpretato per noi il mistero pasquale come mistero della divina misericordia. Scrive nel suo ultimo libro: Il limite imposto al male "è in definitiva la divina misericordia"("Memoria e identità", pag. 70). E riflettendo sull'attentato dice: "Cristo, soffrendo per tutti noi, ha conferito un nuovo senso alla sofferenza; l'ha introdotta in una nuova dimensione, in un nuovo ordine: quello dell'amore... È la sofferenza che brucia e consuma il male con la fiamma dell'amore e trae anche dal peccato una multiforme fioritura di bene"(pag. 199). Animato da questa visione, il Papa ha sofferto ed amato in comunione con Cristo e perciò il messaggio della sua sofferenza e del suo silenzio è stato così eloquente e fecondo". E il card. Ratzinger esplora anche la dimensione mariana dell'atteggiamento di Giovanni Paolo II: "Divina Misericordia: il Santo Padre ha trovato il riflesso più puro della misericordia di Dio nella Madre di Dio. Lui, che aveva perso in tenera età la mamma, tanto più ha amato la Madre divina. Ha sentito le parole del Signore crocifisso come dette proprio a lui personalmente: "Ecco tua madre!". Ed ha fatto come il discepolo prediletto: l'ha accolta nell'intimo del suo essere (eis ta idia: Gv 19.20). Totus tuus. E della Madre ha imparato a conformarsi a Cristo".
  3. E di Benedetto XVI? Senza riandare alla numerosissima e alta riflessione di teologo, è bello qui ricordare la catechesi che il S. Padre ha tenuto mercoledì 9 novembre 2005 sul salmo 135, chiamato "il grande Hallel". Ha detto il Papa: "Fermiamoci innanzitutto sul ritornello: «Eterna è la sua misericordia». Al centro della frase risuona la parola "misericordia" che, in realtà, è una traduzione legittima, ma limitata, del vocabolo originario ebraico hesed. Questo, infatti, fa parte del linguaggio caratteristico usato dalla Bibbia per esprimere l'alleanza che intercorre tra il Signore e il suo popolo. Il termine cerca di definire gli atteggiamenti che si stabiliscono all'interno di questa relazione: la fedeltà, la lealtà, l'amore ed evidentemente la misericordia di Dio. Abbiamo qui la raffigurazione sintetica del legame profondo e interpersonale instaurato dal Creatore con la sua creatura. All'interno di tale rapporto, Dio non appare nella Bibbia come un Signore impassibile e implacabile, né un essere oscuro e indecifrabile, simile al fato, contro la cui forza misteriosa è inutile lottare. Egli si manifesta invece come una persona che ama le sue creature, veglia su di esse, le segue nel cammino della storia e soffre per le infedeltà che spesso il popolo oppone al suo hesed, al suo amore misericordioso e paterno.
  1. Ma in questo luogo la mente è sollecitata a ripercorre l'avventurosa vicenda di questo che è "il Santuario dell'Amore Misericordioso" e il cuore si sente in singolare sintonia con i Figli e le Figlie dell'Amore Misericordioso. Rievochiamo almeno qualche passaggio.
    • Nelle prime Costituzioni dei Figli dell'Amore Misericordioso, Madre Speranza, come premessa, così scriveva: "Dios, Amor Misericordioso, en estos tiempos difficiles y de lucha para su Iglesia, quiete derramar benigno las riquezas de su misericordia y a este fin hace nacer una pìa Famiglia de Sacerdotes y Hermanos Ilamada "Hijos del Amor Misericordioso" la cual ejercitará varias obras de caridad con muchas ventajas para humanidad. Llevarán la ayuda y el alivio a muchas familias necessitadas y afligidas, el consuelo a los enfermos; en ella los huérfanos y los necesitados econtrarán su familia, los jóvenes su guía, los débiles su sostén; los caídos fuerzas para levantarse. Todo esto será hecho única y exclusivamente por amor a Nuestro Señor Jesucristo y para la santificación de los miembros de dicha Familia Religiosa".
    • Nel settembre 1959 Madre Speranza scrive al Vescovo di Todi (mons. Alfonso M. De Sanctis) di riconoscere il Santuario: "Vedendo lo sviluppo che sta prendendo la devozione a Gesù Amore Misericordioso nella nostra zona, credo sia giunto il tempo di dare alla bella Cappella dell'Istituto Amore Misericordioso la denominazione di santuario Diocesano all'Amore Misericordioso di Gesù".
    • Il grande Tempio sorgerà dopo poco. Sarà solennemente inaugurato il 31 ottobre 1965. Per l'occasione il card. Amleto G. Cicognani, Segretario di Stato, invierà un atteso telegramma: "L'Augusto Pontefice è lieto di esprimere la Sua paterna compiacenza per la testimonianza di fede viva e operosa, di cui cotesto tempio – casa di preghiera e porta del cielo – è simbolo eloquente, ed auspica che il santo fervore suscitato dalle odierne celebrazioni sia custodito ed alimentato nei cuori". Ci sarà in seguito (22 novembre 1982) la visita di Giovanni Paolo II e il tempio Santuario dell'Amore Misericordioso sarà insignito del titolo di "Basilica minore".

    Ma intanto era stata pubblicata (30 novembre 1980) l'Enciclica Dives in Misericordia.
    Accostiamoci ad essa un po' più da vicino.

    Un messaggio – Un compito

    Il Documento – anche nell'intenzione del S. Padre (cf. DiM 1) – si collocava in stretta continuità con l'enciclica precedente Redemptor Hominis (4 marzo 1979). Si può anzi affermare che la ragione ultima che fa di Cristo il Redentore dell'uomo e che lega misteriosamente l'uomo a Cristo (cf. RH 1; 13) va ricercata unicamente nell'orizzonte della "misericordia".

    "Solo l'amore è credibile", ha scritto H.U. von Balthasar(1): è solo nel mistero del Padre e del suo amore che Cristo fa nota all'uomo la sua vocazione (GS 22).

    "Quanto più la missione svolta dalla Chiesa si incentra sull'uomo, quanto più è, per così dire, antropocentrica, tanto più essa deve confermarsi e realizzarsi teocentricamente, cioè orientatasi in Gesù Cristo verso il Padre. Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e perfino a contrapporre il geocentrismo e l'antropocentrismo, la Chiesa invece, seguendo il Cristo, cerca di congiungerli nella storia dell'uomo in maniera organica e profonda" (DiM 1).

    Questa profonda connessione, però, che è tipicamente "teologica", e l'humus che la fa sorgere, che è essenzialmente "teologale", non è stata ancora colta a sufficienza.

    In verità, notava già nel 1976 L. Bors, "misericordia" è una parola che molti odono solamente malvolentieri(2). E scandagliare la profondità cui si allude quanto si parla di misericordia esige un atteggiamento di contemplazione, di silenzio interiore, di stupore che non è facile oggi conquistare.

    Del resto in un albero la fioritura dei rami è colta immediatamente e come tale goduta: ma ognuno sa che essa è "inintelligibile" e "infondata" se si prescinde dalla solidità del tronco e dalla profondità delle radici.

    L'analogia, seppur fragile, può ben indicare la "collocazione" e la "correlazione" dell'enciclica. E in maniera esplicita Giovanni Paolo II motiva la difesa dell'uomo e fonda la missione della Chiesa proprio in questo "sempre più maturo riferimento" al Padre e al suo amore, giacché qui è il cuore e la pienezza della divina rivelazione (cf. DiM 2).

    Non solo.

    La misericordia , oltre che rivelazione dell'insondabile mistero di Dio, costituisce anche la vocazione dell'uomo, il suo ideale, il suo impegno, così come Cristo lo ha proposto: "Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro" (Lc 6, 36). Il volto vero dell'uomo non può che ripetere i lineamenti del volto del Padre, così come il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, li ha rivelati (cf. Gv 1, 18).

    Per tali ragioni – afferma il Papa – "desidero che a queste considerazioni rendano più vicino a tutti tale mistero e diventino, nello stesso tempo, un vibrante appello della Chiesa per la misericordia, di cui l'uomo e il mondo contemporaneo hanno tanto bisogno. E ne hanno bisogno, anche se sovente non lo sanno" (DiM 2).

    1. Il volto di Dio

    "Dio invisibile, lascia che noi ti scopriamo …

    Dio intangibile, fa' che noi ti tocchiamo …

    Risale il pesce per scoprire il mare;

    l'aquila cala per trovare l'aria;

    io chiedo alle rotanti stelle:

    il volto di Dio, voi me lo potete scoprire?

    Il volto di Dio, voi me lo potete mostrare?" (F. Thompson).

    Il medesimo sospiro, che è appassionato desiderio di Dio, si sprigiona dai Salmi:

    "L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente:

    quando verrò e vedrò il volto di Dio?" (Sal. 42).

    "Di te ha detto il mio cuore: cercate il suo volto;

    il tuo volto, Signore, io cerco" (Sal. 27)

    E alla pressante invocazione dell'uomo Dio risponde: si rivela, si dona, fa brillare il suo volto (cf. Num 6, 25).

    Ai piedi dell'Horeb, dal roveto ardente, Dio si era rivelato a Mosè che gli chiedeva il nome, come "Io Sono colui che sono" (Es 3,14).

    Ma, allorché Mosè, nelle misteriose relazioni con Dio sul monte, gli chiede di vedere il suo volto, Dio risponde: "Tu non potrai vedere il mio volto". Quando però passa dinanzi a Mosè nascosto nella cavità della rupe, risuona una commovente voce di rivelazione: "Il Signore, il Signore, Dio di misericordia e pietoso, lento all'ira, ricco di grazia e di fedeltà" (Es 33,20; 24,6). Ecco il nome, ecco il volto di Dio: la misericordia, la pietà, la grazia, la fedeltà.

    Ma lo svelamento del volto di Dio, verrà e sarà lo stupore che affascina.

    "E Dio che disse. Rifulga la luce dalla tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge nel volto di Cristo" (2Cor 4,6).

    Lui, Gesù, è il volto del Padre (cf. Gv 14,9).

    Quali i tratti caratteristici di questo volto?

    Il Vangelo li descrive così:

    "Un uomo aveva due figli … E il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano … Mi alzerò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre ho peccato contro di te … Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivistitelo … Facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato … " (cf. Lc 15, 11-32).

    Ecco l'indimenticabile volto del Padre: una persona che attende, una voce che perdona, una mano che abbraccia, un cuore "ricco di misericordia" (Rf 2, 4), che vuol dire amore gratuito e responsabile, tenero e fedele, geloso e paziente, come l'esperienza di Israele sta e provare in tutta la sua lunga storia (cf. DiM 4) e come risulta dalla stessa ricchezza semantica dell'espressione (cf. Nota 52 dell'enciclica).

    E, Cristo, rivelazione del Padre, viene come dono della fedeltà di Dio (ebr. hesed) e come portatore della bontà misericordiosa di Lui (ebr. rahamim) a tutte le generazioni.

    "Andate e imparate che cosa significhi: misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori" (Mt 9, 13).

    E lo stesso Spirito Santo che Cristo, morto e risorto, dona ai discepoli, è Spirito della misericordia e del perdono:

    "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi … Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi; a chi non li rimetterete resteranno non rimessi" (Gv 20,20).

    Giovanni Paolo II, appassionato difensore dell'uomo, sente con urgenza e prepotenza il bisogno di "ripresentare" questo volto di Dio all'uomo di oggi: all'uomo fragile, minacciato, impaurito (cf. DiM 10-11); all'uomo assetato di giustizia e sempre tentato di conseguirla ingiustamente (cf. DiM 12).

    Nessuno – annota il papa – può negare che anche i programmi più belli subiscono nella pratica continue deformazione; che la distanza tra ideali sognati e realtà sperimentata è sempre grande; che molti valori etici fondamentali sono in declino; che la crisi della verità nei rapporti interumani è preoccupante.

    "L'uomo non può vivere senza amore", aveva detto nella Redemptor Hominis (n. 10): ora, nella nuova enciclica, questo amore ha il tono e il calore della misericordia.

    "L'autentica misericordia è, per così dire, la fonte più profonda della giustizia. Se quest'ultima è di per sé idonea al "arbitrare" tra gli uomini nella reciproca ripartizione dei beni oggettivi secondo l'equa misura, l'amore invece, e soltanto l'amore (anche quell'amore benigno, che chiamiamo "misericordia"), è capace di restituire l'uomo a se stesso (DiM 14).

    2. Come il Padre vostro

    A questo punto si potrebbe avanzare una domanda: non pare che questa idea di misericordia adagi l'uomo e la sua storia, la stessa Chiesa e il suo compito, in un attendere passivo, in un vivere a poco prezzo, in un disimpegno facile?

    Evidentemente la risposta è negativa.

    La misericordia di Dio non è una "polizza di assicurazione" né un "tranquillante" per anime fragili.

    Essa è dono ed appello; è amore gratuito ed esigente; è energia di Dio capace di trasformare il cuore dell'uomo e porsi come forza di rivoluzione dentro la città dell'uomo. Ogni dono di Dio è apertura di un credito all'uomo, è rendere possibile un cammino. Ogni dono di Dio è come l'evento dell'esodo: apre una strada, abilita ad un'avventura in cui però bisogna giocarsi totalmente.

    "Redenzione – scrive L. Boros – non significa magia, ma l'apertura di una nuova possibilità proprio là dove l'umano ha termine, l'apertura di una nuova dimensione e non l'abolizione della dura realtà. L'umano deve sussistere con tutta la sua sicurtà: in questa oscurità viene poi l'appello alla redenzione, un appello a vivere diversamente la nostra amara esistenza, su altre basi e con altre promesse. Questa è la redenzione"(3).

    E questa è la ricchezza della misericordia.

    "Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro".

    Questa espressione sembra costituire la sintesi tematica del "discorso delle beatitudini" e ciò che il giudeo Matteo chiama "perfezione" (Mt 5, 8), il greco Luca chiama "misericordia" (Lc 6, 36).

    Lo "scriba mansuetudinis" ci svela il volto del Padre (cf. Lc 15: le parabole della misericordia!), ma, contestualmente, ci chiama ad una coerente risposta di figli: se Lui, il Padre, è misericordioso, tocca a noi, fatti a sua immagine, ripeterne i lienamenti.

    Del resto Gesù ha sempre ricordato questa strettissima connessione e interdipendenza tra l'agire di Dio e l'agire dei figli di Dio: lo stile di Dio deve diventare lo stile di quanti sono di Dio (cf. Mt 5, 48; 6, 12; 18, 35).

    In tale orizzonte e a partire da "questo sconvolgente modello" (DiM 14) può e deve, allora, essere ricompresso il modo di porsi della Chiesa e l'intera via dell'uomo, particolarmente del cristiano.

    3. Uno stile per la Chiesa

    L'"assemblea di Dio", come è chiamata la Chiesa nel Nuovo Testamento, ha qui la sua identificazione: essere luogo della misericordia e casa del perdono.

    La Chiesa, infatti, nasce dall'amore gratuito e vive di vita autentica quando proclama la misericordia (DiM 13). Per questo il canto che le è proprio è quello stesso di Maria: il Magnificat (DiM 9). Non solo.

    La Chiesa è chiamata a testimoniare e a ripetere per ogni uomo, di generazione in generazione (cf. Lc 1, 50), questa "accondiscendenza" di Dio e fare così della misericordia "tutto uno stile di vita, una caratteristica essenziale e continua" della sua missione (DiM 14).

    Riemerge qui in tutta vivezza l'immagine della "Chiesa povera" di Govanni XXIII; della "Chiesa che ama e che serve" di Paolo VI. E a Giovanni Paolo II ne precisa ulteriormente i tratti.

    Donare il perdono. "Il mondo degli uomini, può diventare sempre più umano, solo se introdurremo nel multiforme ambito dei rapporti interumani e sociali, insieme alla giustizia, quell'amore misericordioso che costituisce il messaggio messianico del Vangelo" (DiM 14).

    Testimoniare la gratuità. "Questo 'attingere alle fonti del Salvatore' non può essere realizzato in altro modo, se non nello spirito di quella povertà, a cui ci ha chiamato il Signore con le parole e con l'esempio. "gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date". Così, in tutte le vie della vita e del ministero della Chiesa – attraverso la povertà evangelica dei ministrie e dispensatori e dell'intero popolo che rende testimonianza alle grandi opere del Signore- si è manifestato ancor meglio il Dio ' ricco di misericordia' ". (DiM 14).

    Promuovere la solidarietà. "La coscienza di essere debitori gli uni degli altri va di pari passo con la chiamata alla solidarietà fraterna, che san paolo ha espresso nel conciso invito a sopportarsi 'a vicenda con amore'…Se disattendessimo questa lezione che cosa rimarrebbe di qualsiasi programma 'umanistico' della vita e dell'educazione?" (DiM 14).

    Messa dinanzi al volto di Dio la Chiesa sente di dover rinnovare la sua immagine: la realtà della conversione la interpella e la investe nelle sue forme, costumi e persone (cfr DiM 6). Annunciare la misericordia di Dio e fare misericordia in nome di Dio e come Dio.

    Forse, nell'oggi della storia, è proprio su questa via che la Chiesa è chiamata a realizzare il suo compito tipico e qualificante di servizio e di promozione dell'uomo.

    " La Chiesa ritiene giustamente come proprio dovere, come scopo della propria missione, quello di custodire l'autenticità del perdono, tanto nella vita e nel comportamento, quanto nell'educazione e nella pastorale. Essa la protegge non altrimenti che custodendo la sua fonte, cioè il mistero della misericordia di Dio stesso, rivelato in Gesù Cristo" (DiM 14).

    4. Un criterio per l'uomo

    La Dives in Misericordia dischiude anche un grande orizzonte antropologico.

    All'uomo dal tratto rigido e indurito, egoistico e impietoso (homo homini lupus) si sostituisce l'uomo aperto e disponibile, dialogico e fraterno (homo homini Iesus).

    La situazione attuale del mondo appare certamente drammatica: ma "la crisi non è irreversibile".

    Sono necessarie, però, il coraggio, la fiducia, la speranza. Occorre guardare in avanti, bisogna puntare con tutte le forze verso "un mondo più umano" (GS 40), verso la "civiltà dell'amore" (Paolo VI).

    " Il mondo degli uomini potrà diventare 'sempre più umano', solo quando in tutti i rapporti reciproci, che plasmano il suo volto morale, introdurremo il momento del perdono, così essenziale per il Vangelo. Il perdono attesta che nel mondo è presente l'amore più potente del peccato. Il perdono è, inoltre, la fondamentale condizione della riconciliazione, non soltanto nel rapporto di Dio con l'uomo, ma anche nelle reciproche relazioni tra gli uomini. Un mondo, da cui si eliminasse il perdono, sarebbe soltanto un mondo di giustizia fredda e irrispettosa, nel nome della quale ognuna rivendicherebbe i propri diritti nei confronti dell'altro; così gli egoismi di vario genere, sonnecchianti nell'uomo, potrebbero trasformare la convivenza umana in un sistema di oppressione dei più deboli da parte dei più forti, oppure in un'arena di permanente lotta degli uni contro gli altri" (DiM 14).

    Nella presente stagione tutto ciò può apparire utopia; ma il credente sa che l'impossibile è possibile a Dio e a quanti consentono al suo disegno di amore senza misura.

    Come non ricordare Francesco d'Assisi che proprio nell'usare misericordia con i lebbrosi vede l'inizio della sua avventura spirituale e sperimenta come l'amaro si cambi in dolcezza di anima e di corpo (FF, 110)?

    Così Giovanni Paolo II invita tutti i credenti ad innalzare questo "grido" potente che proclami nell'oggi la densità della misericordia di Dio (cfr DiM 15).

    E subito aggiunge, allargando l'orizzonte e partecipando l'invito:

    "Se taluno dei contemporanei non condivide la fede e la speranza che mi inducono, quale servo di Cristo e ministri dei misteri di Dio, a implorare in quest'ora della storia la misericordia di Dio per l'umanità, egli cerchi almeno di comprendere il motivo di questa premura. Essa è dettata dall'amore verso l'uomo, verso tutto ciò che è umano e che, secondo l'intuizione di gran parte dei contemporanei, è minacciato da un pericolo immenso" (DiM).

    5. Camminare cantando

    Nella liturgia ebraica c'è una serie di salmi, gli Hallel (113-118), che venivano recitati in occasione delle grandi feste, e specialmente, nel banchetto pasquale.

    L'ultimo di essi proprio quello commentato nella catechesi del 9 novembre da Benedetto XVI canta: "Celebrate il Signore, perché è buono; perché eterna è la sua misericordia".

    Un inno solenne, nel quale le risposte cantate dai gruppi, soprattutto quando la processione entrava nel tempio, venivano sottolineate dal martellante ritornello: "eterna è la sua misericordia".

    Anche Gesù, al termine della cena pasquale, ha recitato quest'inno con i discepoli (cfr Mt 26,20): dopo poco, egli, su una croce, avrebbe offerto la "rivelazione radicale della misericordia".

    "La croce è come un tocco dell'eterno amore sulle ferite più dolorose dell'esistenza dell'uomo, è il compimento sino alla fine del programma messianico, che Cristo formulò una volta nella sinagoga di Nazaret e ripetè poi dinanzi agli inviati di Giovanni Battista.

    Secondo le parole scritte già nella profezia di Isaia, tale programma consisteva nella rivelazione dell'amore misericordioso verso i poveri, i sofferenti e i prigionieri, verso i non vedenti, gli oppressi e i peccatori. Nel mistero pasquale viene oltrepassato il limite del molteplice male, di cui l'uomo diventa partecipe nell'esistenza terrena: la croce di Cristo, infatti, ci fa comprendere le più profonde radici del male, che affondano nel peccato e nella morte, e così diventa un segno escatologico" (DiM 8).

    La Dives in Misericordia ci propone di riprendere questo canto, canto di pasqua, canto di passaggio da morte a vita, per dire ancora all'uomo di oggi la fedeltà dell'amore di Dio.

    E' un itinerario obbligato, ma è una strada difficile: la Chiesa e il cristiano non possono rifiutarla: lo esige la fedeltà al Dio fedele.

    "Quando l'amore vi chiama, seguitelo,

    anche se ha vie ripide e dure…

    E quando vi parla, credete il lui,

    anche se la sua voce può disperdervi i sogni

    come il vento del nord devasta il giardino" (Gibran Kahil Gibran)

    La Chiesa, che di questo amore è il "sacramento" (LG 1), e ogni cristiano, che questo amore porta nel cuore, ne avranno, oggi soprattutto, il coraggio?

    È una sfida.

    È l'appello che ci consegna, come testamento, il Santo Padre Giovanni Paolo II.

X Lorenzo Chiarinelli
Vescovo di Viterbo


[1] U.U. von Balthasar, Solo l'amore è credibile, Borla, ried. 1977, p. 150.

[2] L. Boros, Sperimentare Dio nella vita, Queriniana, Brescia, p. 65.

[3] L. Boros, Dio presente, Queriniana, Brescia 1968, p. 99.