LA MADRE COME L'HO CONOSCIUTA IO

Gino Capponi fam

 

La prima testimonianza verrà presentata da padre Gino Capponi fam e le altre da tre suore che cercheranno di rileggere la figura della Madre da tre collocazioni geografiche diverse (e non soltanto geografiche, ma anche di sensibilità): dalla Spagna, dall'Italia e dalla Germania.

Iniziamo dando la parola a padre Gino Capponi, che non ha, ovviamente, bisogno di presentazione; egli ci porterà una testimonianza della Madre vissuta in prima persona: «La Madre come l'ho conosciuta io».

 

 

Sono veramente soddisfatto di potervi dire qualcosa dei miei trentadue anni passati per divina permissione accanto alla Madre.

E' stata un'esperienza unica che avrei dovuto sfruttare meglio, ma i miei limiti mi hanno impedito di ricavarne tutto quel profitto che il Signore aspettava da me.

Che ho visto nella Madre? Una persona estremamente protesa a Dio Amore Misericordioso e desiderosa di fare la Sua Volontà per darGli gloria e soddisfazione.

Da giovane seminarista e da sacerdote ho molto sentito parlare della Madre Speranza dalle sue stesse suore che dal 1942 erano nel seminario di Todi.

Ne parlavano talmente con entusiasmo che molti di noi (anch'io) facevamo lo sconto su quanto ci sentivamo dire. Non desideravo molto incontrarla perché mi era venuto un certo timore in quanto ci si diceva era talmente dotata che leggeva nell'interno delle persone. A scanso di equivoci vedevo più prudente evitarla.

Nei primi mesi del 1950 comunque dovetti incontrarla per incarico della superiora del nostro seminario che chiedeva alla sua Madre Fondatrice e Generale il permesso di partecipare al pellegrinaggio diocesano di Todi in occasione del grande anno santo indetto dal Papa Pio XII.

Mi recai in via Casilina alla casa generalizia delle Ancelle dell'Amore Misericordioso in Roma e, mentre inizialmente mi si disse che difficilmente l'avrei potuta incontrare, con mia soddisfazione, poi venne, mi ascoltò ed acconsentì con entusiasmo alla richiesta delle sue figlie di Todi aggiungendo che anche se non ci fosse stato posto per ospitarle, tuttavia avrebbe fatto del tutto, eventualmente.

Mi piacque talmente che mi sgretolò tutta la riserva che avevo fatto su di lei.

Il mio secondo incontro con la Madre fu in seminario a Todi la mattina del 18 agosto 1951. Era venuta per accompagnare i suoi primi tre Figli della Congregazione maschile che aveva fondato in quei giorni. Veramente erano diretti a Collevalenza dove, d'accordo con il Vescovo Mons. De Sanctis, si sarebbero fermati per assumere la parrocchia e così iniziare la loro vita di consacrati all'Amore Misericordioso. In attesa di raggiungere Collevalenza, si erano fermati con la Madre Fondatrice in seminario e noi superiori avevamo colto l'occasione per ossequiarla. Mi fece buona impressione anche in quella circostanza. Ma il grosso venne nel pomeriggio a Collevalenza, dove avevo accompagnato il Vescovo che mi aveva chiesto di seguirlo.

Dopo l'insediamento del parroco e della comunità nella parrocchia davanti a tutta la popolazione, da parte del Vescovo stesso, la Madre mi prese da una parte e mi disse che il Signore voleva che io dovessi entrare nella nuova Congregazione dei Figli dell'Amore Misericordioso da lei fondati. Due cose mi sorpresero: c'era il Signore di mezzo e poi mi offriva la possibilità di realizzare la mia aspirazione di consacrarmi nella vita religiosa secondo quanto avevo sognato dagli anni di formazione in seminario.

Quando poi negli anni successivi, ormai Figlio dell'Amore Misericordioso, avevo l'opportunità di parlare confidenzialmente con la Madre, le dicevo che quello per me era il giorno in cui lei mi aveva tirato una «sassata».

Evidentemente quei pochi minuti di colloquio con lei mi avevano stordito tanto che quella notte non riuscii a chiudere occhio. Da quel momento comunque sentii il bisogno di tornare a parlare con la Madre. Il giorno dopo io la cercai per telefono per avere un appuntamento e lei mi stava cercando attorno a quel seminario dove ero chiuso per telefonarle.

Non ci incontrammo. Mi decisi allora di recarmi a Roma in via Casilina dove ebbi modo d'intrattenermi a lungo con la Madre e di capire il progetto che mi aveva proposto a Collevalenza pochi giorni prima. Mi detti da fare da quel momento per convincere il mio Vescovo a lasciarmi andare. Egli mi permise, con qualche riserva, di andare a Collevalenza. Cosa che feci il 14 settembre di buon mattino.

Arrivai mentre la Madre e le suore, traversando il paese, si recavano alla chiesa parrocchiale per le preghiere, la meditazione e la Santa Messa. Dopo un saluto fugace entrai in Chiesa anch'io e la meraviglia fu che il padre Alfredo, insuperabile sempre nella delicatezza e nell'umiltà, venne verso di me che ero in fondo alla chiesa e mi invitò a farmi avanti fino a dove la Madre era in preghiera: «Don Gino, venga avanti perché la Madre sta in estasi e sta parlando di lei». Non vi dico i brividi che provai in quanto mi stavo rendendo conto che parlava di me, ultimo arrivato, e ne stava parlando con il Signore.

La mia formazione alla vita religiosa avvenne a contatto con la comunità e soprattutto con la Madre che in quei giorni non restava sempre a Collevalenza, ma si recava frequentemente a Roma e soprattutto si interessava personalmente dell'organizzazione delle sue suore che avevano aperto una comunità a Matrice (Campobasso).

D'accordo con il Vescovo ella stessa decise, su mia proposta, di farmi emettere i primi voti religiosi il 30 settembre, compleanno della stessa Madre. Fui consigliato di intrattenermi qualche giorno a Roma in via Condotti presso i padri Domenicani perché il padre Spiazzi mi preparasse alla professione. Avendo questi molti impegni, dopo i primi giorni, ottenni dalla Madre di trasferirmi in via Casilina dove fui preparato da lei stessa.

Indimenticabile la giornata del 30 settembre, quando in quella stessa casa davanti al Vescovo potetti consacrarmi all'Amore Misericordioso. Mi fu riferito che durante la cerimonia la Madre era quasi continuamente in estasi, pregando per me.

Evidentemente settimane e mesi furono trascorsi a Collevalenza in un clima di comunione fraterna fra noi Figli e le Suore, sotto la guida della Madre. Si prese la decisione d'iniziare un'attività vocazionale e fu affidato a me l'incarico.

Cominciammo a prendere come aspiranti diversi ragazzi non solo della zona, ma addirittura della Sicilia e della Spagna. La Madre non mancava di sostenerci spiritualmente e organizzativamente. Spesso quanto ci suggeriva per i nostri allievi, che chiamavamo apostolini, serviva anche per noi.

Non tutto era facile, ma era bello. Una delle più grosse difficoltà l'incontrammo il primo gennaio 1952 quando avemmo l'impressione che il Signore ci sottraesse la Madre a causa di una peritonite perforata. Quando stavamo disperando per la gravità del caso ogni cosa fu risolta dopo una calorosa preghiera della Madre stessa in un'estasi che ancora ho negli occhi. Diceva al Signore: «Non è possibile che mi porti via perché abbiamo fondato la Congregazione di questi figli da poco tempo. Loro non ti conoscono, ma non credo proprio che Tu mi faccia morire». Impressionante questa confidenza e fiducia nel Buon Gesù. Gli chiese inoltre di liberarla da questo grave male, ma non dai vari acciacchi di cui soffriva. Il tutto era stato provocato da un deciso intervento di padre Alfredo che apppoggiava la proposta del dottor Pierozzi, secondo il quale la Madre doveva essere ricoverata urgentemente in ospedale. Ogni cosa fu scongiurata da quella preghiera pressante della Madre inferma dopo la quale avvenne un'istantanea guarigione. Questa fu verificata dallo stesso medico qualche ora dopo. Egli uscì con questa frase da non dimenticare: «Ho studiato medicina e chirurgia, ma non conoscevo la taumaturgia. La Madre è guarita completamente da quella peritonite perforata che avevo diagnosticato stamane».

Più passava il tempo e più scoprivo il segreto che portava la Madre ad essere se stessa: una grande fede e un'enorme confidenza verso il Buon Gesù.

La nostra vita si svolgeva tra la parrocchia, la casa parrocchiale, le varie camere prese in prestito da più di una famiglia del luogo e usate dai nostri apostolini. Ma il punto di riferimento era la casa Valentini dove la Madre e le suore erano ospiti. Non essendo possibile restare così dislocati, la Madre ci cominciò a parlare di voler creare un punto di appoggio tutto nostro o a Collevalenza o altrove.

Dopo molte preghiere e molti colloqui tra noi e con il Vescovo Mons. De Sanctis la Madre prese la decisione di rimanere a Collevalenza. Da quel momento in poi lei trattò con l'ingegnere, con l'impresario e con qualunque altro fornitore.

Il 4 marzo 1953 nel terreno del roccolo (luogo adibito alla caccia degli uccelli) si inziavano i lavori per la costruzione dell'Istituto Amore Misericordioso che oggi chiamiamo Casa dei Padri. Quanta esperienza, quanto talento organizzativo e quanta ricerca di mezzi attraverso la Divina Provvidenza!

Quando prendeva tempo prima di decidere qualcosa ci diceva che doveva consultare il cuscino. Credo che ci stiamo tutti rendendo conto che ella dedicava tanto del suo tempo alla preghiera; una preghiera prevalentemente fatta di confidenza e di dialogo con Lui. Non era lei il centro della sua vita, ma il suo Buon Gesù al quale tutto riferiva e dal quale prendeva ispirazione. Lo vedeva e ce lo comunicava aperto, disponibile, affettuoso, misericordioso, comprensivo, perdonante. Lei era affascinata dal suo Buon Gesù, quindi: «Avanti, sempre avanti, costi quel che costi». Camminava con lui coinvolgendo gli altri, particolarmente noi delle due Congregazioni.

Per quanto riguarda la Provvidenza, di cui or ora ho parlato, non è che la considerava solo intervento divino diretto, ma contava anche sui sacrifici delle sue figlie e sull'impegno dei benefattori. Non era infrequente sentirla parlare durante la preghiera: «Signore, Tu mi hai detto ciò che dovevo fare ed io lo sto facendo, ma Ti prego di provvedere i fondi, perché siamo rimasti a corto ed io ho delle scadenze. Io, povera suora, posso fare anche delle brutte figure, ma non voglio che le faccia Tu». Questo è un discorso bellissimo che fa capire la semplicità, la serenità, la confidenza, la fiducia, la certezza che riponeva nel suo Buon Gesù.

Egli non le sottraeva le confidenze, ma la sosteneva con la sua grazia e sempre più le si rivelava come Padre Buono. Nella foga del colloquio con lui, ella talvolta lo chiamava anche «Figlio mio»: confidenza che rispettosamente arriva ai limiti massimi.

Venendo al centenario della nascita della Madre in questo anno 1993 vedo la genialità del grafico (logo) che ricorre in tutte le nostre stampe. L'immagine dell'Amore Misericordioso proposta dalla Madre presenta un Cristo in croce con alle spalle una grande ostia, l'Eucaristia. Mi pare di vedere in questo logo la grande ostia davanti e l'estremità della croce dietro. Non credo che si voglia mettere in secondo piano il sacrificio del calvario, ma piuttosto rendere evidente la passione della Madre per l'Eucaristia. In essa la Madre ha sempre visto il Signore che offre le sue piaghe all'Eterno Padre in sacrificio perenne. A questa offerta del Buon Gesù lei si è costantemente unita.

La Santa Messa, lei la viveva non solo come quelli che assistettero alla passione di Gesù sul calvario, ma spesso aggregandosi e condividendo l'immolazione di lui. Ricavava l'energia necessaria dalla Messa, dalla Comunione, dalla permanenza con Gesù nel tabernacolo. Non a caso si rimane sorpresi dall'ostia dietro il Crocefisso e dalla stessa ostia nel giglio di Maria Mediatrice. Immolazione nel sacrificio eucaristico, rapporto intenso nella comunione sacramentale e intrattenimenti confidenziali con Gesù nei vari tabernacoli, di cui andava in cerca. Queste lezioni le ho avvertite e le rievoco adesso per mia e vostra edificazione.

Non ritrovate il suo interessamento per i sacerdoti come derivazione del suo amore per i Ministri dell'Eucaristia? E non notate in lei l'accorato desiderio che ha dopo la comunione eucaristica affinché Lui rimanga? Non ci edifica forse quella piccola grande frase della novena da lei scritta: «Entra, Signore, nella mia povera stanza e riposa con me?». La Madre era convinta che dietro richiesta Gesù rimanesse in lei, in noi, anche sacramentato. Certo a Gesù niente è impossibile, neppure di creare tanti tabernacoli viventi! Ci vedo dentro tanta concretezza di amore, perché ricerca efficace della persona amata e condivisione delle sue gioie e delle sue preoccupazioni.

Vi ricordo appena come conseguì fin da bambina la sua prima comunione anzitempo, mentre ripenso alla gioia che provava quando nelle varie case ed anche a Collevalenza si realizzavano altri tabernacoli come punti d'incontro con il Buon Gesù dove Egli si annidava in continua disponibilità per chi lo cercava.

Quante volte di giorno e di notte si recava dal suo Grande Interlocutore, con il quale si apriva confidenzialmente e dal quale tanto otteneva!

Vi offro due ricordi. Quando il nostro giovane confratello padre Nello fu colto di notte da un gravissimo malore, che poi lo portò alla tomba in una settimana, consultammo di urgenza un valido specialista e con lui ci recammo, costernati, nella cappella del crocefisso. Ci trovammo la Madre che già era in preghiera da tempo, che era consapevole della gravità del caso e della sua irrimediabilità. Tuttavia seguitò a pregare e sperare. Anche quella volta il tabernacolo fu il suo riferimento principale come lo era stato in quel venerdì santo dei primi tempi quando ancora eravamo nella casa parrocchiale. Aveva trovato la piccola stanza dove avevamo riposto il Signore e tanto fece e tanto disse che il tabernacolo si aprì da sè: il Buon Gesù le si mostrò vittima di amore, che mostra i segni della sua passione, al Padre.

Avete mai sentito dire che il Signore, trovandola spesso insistente, la chiamava «zingara»? La sua tenace insistenza nel chiedere a Gesù quanto occorreva ai suoi protetti era proverbiale. Ad esempio ha ottenuto la guarigione di un ragazzo su insistenza di suo padre nonostante che il Signore fosse restio. In altra circostanza supplicò talmente il Signore a favore di una donna che per ottenere il suo benevolo intervento gli disse che le dispiaceva che a lui, dopo tanto suo insistere, ancora non facesse male la testa come a lei. Come non ricordare quella santa messa, celebrata a Matrice, per la quale lei chiedeva al Signore di liberare cinquanta caduti polacchi ed altre anime dal Purgatorio? A questo proposito è bene che vi riferisca quanto la Madre rispose ad una mia domanda con cui chiedevo come mai il Signore a lei dava più ascolto che ad altri: «Figlio mio, forse il Signore spesso fa quello che gli chiedo io, perché quando Lui mi chiede qualcosa io gliela faccio». Tutto quindi è in base a una maggiore corrispondenza, rafforzata da una disponibilità alla sofferenza in unione alle sofferenze di Cristo. Qui si potrebbe aprire il capitolo dell'amore-dolore. Gesù Crocefisso è stato per lei il maestro e il modello di questo atteggiamento. Non creava solo meraviglia, ma stupore il suo desiderio e la sua ricerca di sofferenza per pagare assieme a lui. Non è che non le costasse soffrire, ma proprio per questo ha sempre voluto vivere non gratuitamente. Quante volte l'abbiamo sentita dire: «Gesù mio forse ti sei dimenticato di me, dato che non soffro né nel corpo né nello spirito?». A questo proposito è bene ricordare che il Signore le faceva «dono» della sofferenza, concedendole di rivivere, soprattutto nei periodi liturgici di passione, le sue sofferenze. Più volte l'ho vista infatti in atteggiamento estatico immersa nel mistero della passione di Cristo e della sua crocifissione. Mi ha sempre meravigliato in quei casi l'implorazione che rivolgeva al Buon Gesù: «Ancora più, Signore, ancora più». Questa è vivenza non solo dell'immagine, ma anche della realtà del Crocifisso e dell'Ostia!

Che dire del silenzio dignitoso in cui avvolgeva pene e incomprensioni incontrate inizialmente fra le Figlie del Calvario, poi fra le Clarettiane e infine certamente anche in mezzo a noi? Il Buon Gesù la rendeva così immmagine della sua realtà paterna, del suo volto amorevole e misericordioso; lei infatti non ha avuto altra ambizione che presentare l'Amore Misericordioso come disponibile, amabile e perdonante. Ecco perché negli ultimi decenni della sua vita dedica tutta se stessa al Santuario di Collevalenza. Non parlo di tutte le altre realizzazioni che aveva fatto altrove, perché non mi compete anche perché non sempre ne sono stato testimone. Il Santuario è venuto fuori come un'esigenza a una richiesta del Signore tenacemente voluta da lei. A questo proposito basterebbe rileggere la preghiera da lei composta per il Santuario, al fine di dar possibilità a tanta gente bisognosa e sofferente di venire, pregare e rifornirsi di grazie, di fede, di fiducia, facilitando a tutti e a ognuno di accostarsi fruttuosamente ai sacramenti della penitenza e dell'Eucaristia.

Ogni sua mossa l'ha fatta nella chiesa e per la chiesa. Una delle frasi più belle che sono state dette nei suoi riguardi è stata quella di un cardinale che diceva a un suo confratello che la Madre Speranza è stata sempre fedele figlia della Chiesa.

Oso ripetere quanto ho spesso affermato in Santuario e fuori soprattutto dopo la sua dipartita che la Madre prima di appartenere alla Congregazione apparteneva alla Chiesa. Per essa la Madre ha lavorato, ha sofferto, ha pregato e nella Chiesa ha visto gente da sostenere in ogni modo. Ha avuto particolarmente di mira i bisognosi (fra questi i sacerdoti), li ha avvicinati, affrontati, sostenuti e rimessi in sesto per quanto ha potuto. Il suo cuore materno si è aperto soprattutto ai sacerdoti perché li vedeva i primi destinatari dell'Amore Misericordioso e i più validi testimoni di esso. La Congregazione dei fuoi figli l'ha fondata per loro. Ha sempre voluto che i suoi religiosi e i sacerdoti camminassero insieme per raggiungere la propria santificazione e per donarsi senza riserve al lavoro pastorale loro affidato. «Figli miei siate per loro veri fratelli e serviteli. Spalancate le vostre case e raggiungeteli sul loro posto di lavoro.»

Questo interessamento materno per i ministri del Signore l'ha portata fin da ragazza a offrirsi vittima per riparare le loro colpe e perché si santificassero: tutto ha giocato per loro con l'intenzione di devolvere a loro favore ogni suo merito. E' un grado abbastanza eroico di donazione perché i sacerdoti fossero elementi di fuoco nella chiesa.

Mi piace sottolineare il suo attaccamento al Papa e ai Vescovi in una disponibilità spesso sofferta. Mi lasciate pensare alle primissime ore del mattino del 13 maggio 1981, quando versò bacinelle di sangue poche ore prima che il Papa Giovanni Paolo II versasse il suo sangue per l'attentato subito in piazza S. Pietro? Ben meritata quindi la venuta del Santo Padre in persona nella sua prima uscita dopo l'attentato il 22 novembre dello stesso anno!

Significativo l'abbraccio del Papa alla Madre Speranza prima nell'ascensore e poi nella sala convegni, che da quel giorno venne intitolata a lui.

Molti santi hanno avuto tre grandi amori: l'Eucaristia, la Madonna e il Papa. Del primo e dell'ultimo abbiamo già parlato. Lasciatemi concludere questa testimonianza sulla Madre, mettendo in luce il suo attaccamento filiale alla Vergine Santa, riferendo una delle tante frasi riguardanti Maria. «Guardando Te, Vergine Santa, è più facile scoprire che Dio è amore, tenerezza, pace, pazienza, perdono.» Notiamo così che la Madre scopre in Maria Mediatrice l'immagine più espressiva dell'Amore Misericordioso sottolineando il suo amore, la sua tenerezza e il suo perdono. Le linee essenziali della sua devozione mariana sono racchiuse nell'immagine di Maria Mediatrice da lei voluta e nella preghiera da lei composta. «Madre mia, tu che stai continuamente con le braccia aperte...». Vuole ottenere da lei il santo amore, il santo timore e la santa grazia per immergersi, da lei sostenuta, nel suo Gesù.

Da quanto riferito non avete l'impressione che il Signore si è servito di lei, per farne, in chiave profetica, un'autentica testimone del suo Amore Misericordioso?

Questo è quanto volevo comunicarvi e spero, in parte, di esserci riuscito.

 

 

Non è facile riprendere la parola dopo la testimonianza di padre Gino; credo che tutti dobbiamo essergli profondamente grati perché ci ha aiutato a considerare la figura della Madre con uno sguardo carico di stupore, quasi con la freschezza della prima volta. Padre Gino ci ha fatto cogliere alcuni tratti spirituali, e per certi aspetti anche teologici, mascherandoli dietro l'apparente susseguirsi degli aneddoti: la passione misericordiosa, sacerdotale, eucaristica, mariana ed ecclesiale della Madre; nello stesso tempo ha sottolineato la sua profonda umanità, un'umanità che univa i tratti materni e tipicamente femminili della confidenza, della intimità con altri più forti della fermezza, della tenacia, dell'insistenza. Quando ha ricordato l'esperienza della grave malattia che la Madre visse, nel 1951, pochi mesi dopo la fondazione della Congregazione ci ha lasciato anche nel cuore una frase che pesa su tutti noi: «Questi non ti conoscono».