COME UNA MADRE

Lucia Baquedano eam

 

Adesso passiamo all'ultimo intervento, quello di Madre Lucía Baquedano eam, impegnata in Germania, che porterà un'ulteriore testimonianza.

 

 

In questa circostanza del Convegno, mi è stato chiesto di raccontare qualche cosa della mia esperienza di vita con la Madre.

Ho avuto la fortuna di stare vicino alla Madre Speranza abbastanza a lungo e anche in circostanze particolari; di questo ne ringrazio con vera riconoscenza il Signore. Mi accingo a parlare con una certa trepidazione, anche per la preoccupazione di non riuscire a dire di lei in modo adeguato. Pur sapendo che tanto si è detto e scritto sulla Madre, sono convinta che, una vita ricca come la sua, ripropone sempre nuove e più profonde conoscenze: la Madre è come una sorgente a cui tutti possiamo continuamente attingere, con abbondanza, nuova acqua, che vivifica la nostra vita di figli.

Il mio primo contatto con la Congregazione risale al 1935, quando, ragazzetta di 13 anni, guidata dalla Provvidenza, sono andata in uno dei primi collegi, che la Madre aveva aperto, quello di Sestao. Il ricordo che conservo, di questo primo impatto, è chiarissimo nella mia mente. La cordialità e l'accoglienza che esperimentai, in quella occasione, costituirono il clima che giovò a farmi superare la nostalgia che avevo per i miei e il mio paese. E' lí che ho visto la Madre per la prima volta, la ricordo come una persona che si occupava di tutto, nella casa si notava una grande allegria quando lei arrivava. Facevamo tante preghiere e partecipavamo alla messa insieme alle suore; facevamo anche gli esercizi spirituali e, ricordo, che in quei giorni, Madre Speranza ci parlava in chiesa e poi veniva il sacerdote per confessarci. Rimanevamo incantate ad ascoltare Madre Speranza che ci parlava con tanto slancio, con tanta convinzione e ardore. Nel 1936, inizio della guerra di Spagna, io ero ad Alfaro e qui la Madre sostava, quando andava e veniva dall'Italia. A quel tempo non mi rendevo molto conto di ciò che stava succedendo, ricordo però che la Madre e la Signorina Pilar sbirciavano il giornale di buon mattino, evidentemente per seguire l'andamento della guerra. Si sa che la guerra porta con sé tanti disagi e difficoltà, ma noi ragazze non abbiamo sofferto, la Madre aveva fatto provviste di tutto, anche aiutata da gente buona del paese e, soprattutto, fiduciosa nella Provvidenza. Le nostre case accoglievano i bambini più poveri, quelli che nessuno voleva, la Madre li prendeva sotto le sue cure, li imboccava proprio come una madre fa normalmente, si viveva come in una famiglia e la Madre era sempre l'anima di tutto.

Ricordo che alla sera, mentre giocavamo spensierate, mi richiamava l'attenzione il fatto che una suora, sempre alla stessa ora, chiudeva le persiane, cantando un canto alla Madonna. Quel canto era davvero espressione della pace e della serenità nella quale si viveva. Naturalmente, a noi piaceva stare accanto alla Madre e tutti i pretesti erano buoni, per raggiungere questo scopo. In questo ambiente caldo, famigliare e di entusiasmo il Signore fece nascere in me il seme della vocazione religiosa. Fu così che, un giorno, chiesi direttamente alla Madre di poter essere ammessa tra le sue figlie. Ella si sedette accanto a me, mi parlò, mi fece alcune domande e mi accettò.

Sono così entrata in Congregazione a 15 anni, esattamente il 15 di agosto del 1937. Di lei posso dire che aveva un fascino particolare tanto che, dove passava, attraeva a sè e le giovani la seguivano. Ricordo il godimento della Madre nel vedere noi giovani novizie rappresentare scenette, come quella volta che raffigurammo, nella barca, la Congregazione: la Madre avanti, le suore ai remi, i bambini rappresentavano i pesci, nelle vele la scritta: «tutto per amore». Questo quadro era accompagnato da un canto, famigliare a tutte noi in Congregazione. E pensare che, come ho saputo dopo, proprio in quel periodo la Madre stava soffrendo molto. Costretta a letto per motivi di salute seguiva attraverso la finestra la nostra recita. Nel pomeriggio, ci volle accanto a sé e noi, in circolo, mangiando pane e formaggio fresco che lei stessa aveva fatto preparare, godevamo della sua presenza e conversavamo con lei. Anche a distanza di tempo non dimentico certi particolari della Madre, capace di creare un clima semplice e di rapporto filiale fra noi e lei: un clima nel quale uno si sentiva fiducioso e pieno di entusiasmo.

Ci insegnava a vivere, ci insegnava a lavorare, tagliare e cucire e noi ci sforzavamo di eseguire il lavoro senza perdere tempo, per ricavare qualche piccolo spazio per rimanere con lei, accanto a lei. Qualche volta, durante la colazione, intrecciava una conversazione spirituale. Una volta, ad esempio, domandò a una novizia quale fosse stato il Vangelo del giorno. La novizia si vergognava di rispondere; la Madre, allora, le disse che se avesse risposto, le avrebbe detto un'altra cosa. Nel riferire la novizia che era stato letto il Vangelo del Buon Samaritano, la Madre applicò la parabola ai Figli dell'Amore Misericordioso, d'immminente fondazione, i quali dovevano essere per i peccatori, altrettanti buoni samaritani. La Madre approfittava di qualunque occasione per fare le sue istruzioni alle suore e alle novizie. In particolare nei giorni di ritiro, non mancava mai la sua conferenza, non accadeva mai che qualcuna si stancasse di ascoltarla. Per nessun motivo trascurava le istruzioni. Una volta, era stata maltrattata dal demonio durante la notte e, al mattino, apparve con la faccia ustionata. Ciononostante, quando le novizie si recarono a lavorare nell'orto, volle essere ugualmente tra di loro e rivolgere ad esse la sua materna parola.

Ogni suo atteggiamento si traduceva in un gesto educativo e in un insegnamento per noi, un po' come Gesù. Esigeva che le formatrici avessero la necessaria competenza. Per tre anni, quando ero maestra delle novizie, la Madre mi ha mandato a un corso di formazione per maestre. Mi diceva: «Tu sentirai tante cose in questo corso, però prendi il tuo crocefisso, giralo dalla parte del cuore e digli: "Parla Tu, Signore"». Anche con il Signore ci educava ad assumere un atteggiamento semplice, confidenziale e di fiducia. Era sempre al centro della nostra vita: nella preghiera, nella formazione, nella ricreazione. P. Alfredo ci portava qualche volta al lago di Castel Gandolfo, montavamo in barca e la Madre saliva con noi. Immaginate un gruppo di Ancelle con la Madre in barca lungo il lago. Viene in mente di pensare a Gesù con gli apostoli. Nelle sue istruzioni prendeva lo spunto da fatti concreti, da ciò che capitava lungo i suoi viaggi. Ad esempio, una volta che aveva incontrato una corsa ciclistica, ci diceva che noi non dovevamo fare come i corridori, che si fermano troppo a lungo durante il percorso a cercare refrigerio, perché questi non vincono sicuramente la corsa. Voglio dire che, qualunque occasione, per la Madre, era buona per trarne conclusioni spirituali e per formarci a un cammino di fede e di sacrificio nella gioia.

Una volta, lavorando nell'orto e vedendo una patata marcita, che aveva dato vita ad altre patate novelle, ci disse che voleva essere come quella patata, cioè, marcire per dare la vita a tante figlie della sua Congregazione.

A me, come maestra delle novizie, la Madre dava tanti consigli, perché avessi potuto adempiere meglio il mio ufficio.

Mi diceva che Gesù poche volte aveva usato durezza e severità, ma, al contrario, aveva usato dolcezza e amore. Mi sollecitava ad essere madre, non nel senso di adottare eccessiva indulgenza, ma nel senso di creare in me attitudini ad una saggia maternità e mi faceva degli esempi, per farmi capire. Quando dovevo comandare una cosa difficile, dovevo dire alle novizie che non volevo che l'avessero fatta per forza, ma per amore e raccomandare che offrissero al Signore quel sacrificio. Una delle cose che piú mi colpivano della Madre era il fatto che pensava tanto poco a se stessa e tanto disponibile al sacrificio. Trasferita a Roma notavo che il clima caldo di questa città non mi si confaceva molto e dicevo, tra me e me: «Sarà perché sono nata in montagna...», ma, guardando la Madre, mi accorgevo che si adattava a tutto: Spagna, Roma, Collevalenza... e allora mi dicevo ancora: «ma come sarà il clima del suo paese...». Dopo, ho capito bene che non era questione di clima, ma di generosità.

La Madre seguiva tutte e ciascuna, rispondeva alle nostre lettere. Ricordo che in una lettera nella quale, fra l'altro, la informavo di un corso di esercizi, tenuto da uno dei nostri fratelli, Figli dell'Amore Misericordioso, esprimevo la mia soddisfazione, per l'esito, dicendo: «Abbiamo ricevuto il pane di casa». La Madre, attenta com'era, mi scrisse una bella e lunga lettera, nella quale mi rispondeva: «... mi dici che questo padre vi ha saputo dare, a piene mani, tutto sulla nostra amata Congregazione. Impara tu, figlia mia, a dare a queste giovani (io a quell'epoca stavo con le novizie) il pane della nostra casa, nonostante ti sembri duro. Insegna bene lo spirito delle nostre amate Costituzioni, insegna alle giovani a santificarsi, a seguire, con entusiasmo e senza timore, la vocazione di Ancelle». Una volta mi mandò a Todi con un'altra suora, destinata a quella casa. Dopo un certo tempo, quella suora morì d'infarto. Io rimasi cosí impressionata che scoppiai in un pianto dirotto e non ero capace di altro. La Madre mi chiamò per telefono e... «Figlia che fai?». Mi disse poche altre parole, ma così cariche di maternità che mi ritrovai, subito, rasserenata. Da notare che, a quel tempo, non si faceva uso del telefono come oggi!

Un altro aspetto che mi piace ricordare è la cura che aveva per la salute delle figlie e la preoccupazione che non mancasse loro il necessario nutrimento. Un episodio occorso a me. Una volta, per farmi rimettere in salute, la Madre mi fece passare alcuni mesi a Campobasso, facendomi sostituire da un'altra suora, nel mio ufficio. A Campobasso, durante la stagione estiva, venivano gli apostolini, i nostri seminaristi di Collevalenza, per trascorrervi un periodo di vacanza. Io stando lí, mi ero accorta che essi avrebbero voluto mangiare di piú, data la loro età e l'aria di montagna. Venne la Madre e, entrata al refettorio, si rese subito conto che il cibo avrebbe dovuto essere più abbondante, infatti alla presenza di tutti, mi disse di dare ai ragazzi la quantità di alimenti che volevano, così come diede ordine alla cuoca di distribuire un nutrimento più abbondante. Mi pare di vedere ancora i ragazzi... al sentire la Madre fecero un grande applauso.

Madre Speranza si sentiva in primo luogo madre e, come tale, passava gran parte del suo tempo in cucina, provvedendo a preparare cibi sostanziosi, tenendo conto delle esigenze e dei gusti di tutti. Sapeva dare ad ognuno ciò che riteneva necessario o utile o di suo gradimento. Con i benefattori mostrava educazione e gratitudine, pur senza essere mai insistente o servile.

Ancora un ricordo: capitava, nelle estasi, sentirla dialogare con il Signore, come in questa occasione: «Che stai a fare lí? Oggi è giovedì santo, oggi è il giorno del perdono: anche i potenti in questo giorno concedono l'indulto a un prigioniero, Tu che sei padre di amore e di misericordia mi devi concedere la conversione di tanti peccatori».

Era precisa e puntuale nel pagare gli operai. Ricordo che, una volta, venne in camera mia alle quattro del mattino, per vedere se avevo fatto i conti del latte, da passare a padre Gino. Non avendoli ancora fatti, mi alzai, Lei seduta accanto a me attese che glieli consegnassi. Ho collaborato strettamente con la Madre in certi momenti, piuttosto difficili, per circostanze che viveva la Congregazione e posso dire che, di fronte alle prove e difficoltà, si mostrava sempre serena e fiduciosa.

Era capace di scusare le suore che avevano sbagliato, le perdonava, le amava, non voleva che si parlasse male di loro e leggeva sempre ogni evento alla luce della fede, convinta che la storia la fanno sì gli uomini, ma è Dio che la dirige.

Un ricordo degli ultimi anni della sua vita. Era il 21 febbraio del 1970. La Madre aveva 77 anni. Lavorava il cordone per il Crocefisso dei figli e per fare i cingoli. Era tardi, quasi le nove di sera. L'indice destro col quale lavorava si vedeva gonfio e indolenzito. Io mi avvicinai, la invitai a smettere il lavoro, facendole notare il dito, e lei: «Figlia, è il dito di una povera, che deve lavorare».

Per concludere, voglio far mie le parole che ebbe a dire, in un'occasione, il padre Mondrone: «Umile, modesta, non lasciava trasparire di avere in sé un'anima gigante e, se non esageriamo, il genio dei realizzatori. Nel nascondimento e nel silenzio ella si è realizzata nella totalità della sua vita».

 

 

Ringraziamo Madre Lucia; con il suo intervento ha arricchito il quadro delle riflessioni e testimonianze di oggi.

Questa prima giornata è stata essenzialmente dedicata alla figura della Madre, al suo messaggio profetico: padre Taddei ci ha presentato un messaggio profetico che è nato da un cammino ascetico e da un vertice mistico molto profondo, come ci ha ricordato padre Gialletti. Di questo cammino verso la perfezione della santità nel pomeriggio abbiamo potuto cogliere alcuni aspetti che hanno caratterizzato il rapporto della Madre con Dio come ci ha ricordato padre Gino; il rapporto con le sue figlie come ci ha ricordato Madre Maria Luisa; il rapporto con i pellegrini, che suor Mediatrice ci ha richiamato; il rapporto della Madre con la vita ordinaria della Congregazione, come madre Lucia ha sottolineato.

Soprattutto questa sera si sono intrecciate e come sovrapposte una serie di storie personali, anche se, come accade sempre quando si tenta di raccontarle davanti ad un microfono, ognuno avverte che queste storie si depotenziano e appaiono forse anche in forma un po' sbiadita, rispetto alla forza e alla freschezza con cui sono state vissute. Abbiamo anche percepito quasi una specie di pudore, di resistenza nella narrazione. Non era, credo, soltanto la resistenza psicologica che si prova nel parlare in pubblico; era, praticamente, la resistenza che si prova nel lacerare il velo che nasconde una comunione profonda tra le persone e che si ha quasi il timore di tradire.

Le letture che ci sono state offerte si sono integrate e completate reciprocamente, eppure non si sono mai ripetute. Esse ci hanno consentito di affacciarci sull'abisso, per usare l'ultima espressione di padre Mondrone, di un'anima gigante che nascondeva il genio dei realizzatori; di una donna che la crescita ascetica e mistica ha esaltato nella sua umanità; di una donna provata, confidente, dolce, ma anche forte, tenace e lungimirante.

Di questo abisso di profondità, sul quale noi per un momento oggi ci siamo affacciati, domani cercheremo di cogliere i frutti nella nuova interpretazione della vita religiosa che Madre Speranza ha cercato di dare con la fondazione della Famiglia Religiosa nelle due Congregazioni.