L'AMORE MISERICORDIOSO NELLA SPIRITUALITA' DELLA COPPIA

Luigi Alici

Il messaggio dell'Amore Misericordioso, riproposto da Madre Speranza raggiunge l'uomo nella totalità delle sue dimensioni e delle sue condizioni di vita, come è stato sottolineato più volte in questo convegno. Nella comunicazione che sto per presentare cercherò di mettere in luce la forza profetica di tale messaggio nella prospettiva di una spiritualità coniugale, che aiuti gli sposi a vivere autenticamente la grazia sacramentale del matrimonio.

 

 

«Dio stesso - ci ricorda il Concilio - è l'autore del matrimonio, dotato di molteplici valori e fini». Per questo «l'autentico amore coniugale - prosegue la Gaudium et Spes - è assunto nell'amore divino ed è sostenuto e arricchito dalla forza redentiva del Cristo e dalla azione salvifica della Chiesa» (GS 48). Questo messaggio è ripreso e approfondito, fra l'altro, nella Esortazione apostolica Familiaris consortio: nel sacrificio che Cristo compie sulla Croce per la sua Sposa, la Chiesa, vi si legge, si svela la «verità originaria del matrimonio», che è «il simbolo reale della nuova ed eterna Alleanza, sancita nel sangue di Cristo. Lo Spirito, che il Signore effonde - continua il Papa - dona il cuore nuovo e rende l'uomo e la donna capaci di amarsi, come Cristo ci ha amati. L'amore coniugale - quindi - raggiunge quella pienezza a cui è interiormente ordinato, la carità coniugale, che è il modo proprio e specifico con cui gli sposi partecipano e sono chiamati a vivere la carità stessa di Cristo che si dona sulla croce». In tal senso si può affermare che «gli sposi sono (...) il richiamo permanente per la Chiesa di ciò che è accaduto sulla Croce: sono l'uno per l'altra, e per i figli, testimoni della salvezza, di cui il sacramento li rende partecipi. Di questo evento di salvezza il matrimonio, come ogni sacramento, è memoriale, attualizzazione e profezia» (FC 13).

I testi appena richiamati potrebbero essere il punto di partenza di una riflessione, suscettibile di interessanti sviluppi sul piano dell'approfondimento teologico - pastorale. Tuttavia, anche per le circostanze particolari in cui sono chiamato a parlare, il contributo che cercherò di portare assume prevalentemente il carattere di una testimonianza personale, che forse non risponde ai requisiti formali di una comunicazione vera e propria. Come ognuno di noi ben sa, per esperienza viva e diretta, esistono delle verità che hanno uno statuto particolare e privilegiato, alle quali si è legata stabilmente, radicalmente la nostra vita e che, proprio per questo, non possono essere messe sullo stesso piano di altre. Tentare di dichiararle, di renderle esplicite equivale, ogni volta, a verificare di nuovo il nostro rapporto ad esse, a rimettersi in discussione, a rifare un esame di coscienza quasi mai scontato e indolore.

La verità che ha un senso per me è una verità positiva e liberante quando dinanzi ad essa io non resto passivo, poiché è una verità che mi coinvolge, mi interpella, mi chiama a fare una scelta di campo. La verità che io posso scegliere, rispetto alla quale debbo assumermi le mie responsabilità è la verità che mi fa essere persona. E' evidente che quando la scelta viene esercitata dinanzi ad un'altra persona, anziché dinanzi ad un oggetto, essa assume un significato diverso e più alto, tanto più alto se la scelta è reciproca, se essa crea una relazione significativa, orientata da una volontà di mutua promozione. L'esperienza dell'amore appartiene a questo genere di relazioni: essa ha la capacità di farci incontrare l'altro nella sua verità di persona, e non nelle sue funzioni, e soprattutto di disporci nei suoi confronti in un atteggiamento di benevolenza, che ricerca cioè il suo bene e s'impegna concretamente a favorirne la realizzazione.

In un certo senso, si potrebbe pensare che due sono le modalità fondamentali per vivere questa relazione: anzitutto l'amore soprannaturale di Dio che ci è stato rivelato, la capacità del Creatore di entrare in un rapporto misterioso e gratuito con la creatura; un rapporto aperto alla piena reciprocità, che investe l'interezza del nostro essere e del nostro agire, e destinato a durare in modo illimitato, superando la occasionalità di momenti speciali e transitori, fino a sconfiggere il tempo e a sfidare la morte. In secondo luogo l'amore naturale di due coniugi, in cui pure si consegue una reciprocità che si desidera piena e indissolubile, che impone una trasformazione profonda del proprio modo di vivere e s'impegna a sfidare tutti gli ostacoli che si possono incontrare sulla propria strada.

La rivelazione cristiana ci pone dinanzi al mistero dell'uomo che può scegliere di dire di sì a Dio solo in quanto è anzitutto Dio stesso che ha scelto autonomamente e gratuitamente di dire di sì all'uomo; quando i due sì s'incontrano, allora nasce qualcosa di nuovo, la comunità umana ed ecclesiale s'arricchisce di una nuova presenza. E' il miracolo dell'amore, in cui l'unità non cancella la diversità, ma la valorizza, la promuove, la perfeziona. Ma anche l'amore coniugale, arricchito e qualificato dal sacramento del matrimonio, è un mistero di comunione e di vita: due che s'incontrano, che si fondono insieme e che possono, proprio per questo, dar vita ad una nuova presenza personale, che deve essere accompagnata fino al raggiungimento di una sua relativa autonomia e capacità di scelta.

Il primo passo che una coppia cristiana deve compiere nel cammino di riscoperta della propria vocazione e ministerialità coniugale consiste nel riconoscere che queste non sono però due dimensioni parallele, che si collocano su piani diversi, soprannaturale l'uno, esclusivamente naturale l'altro, ma due forme di un'unica e indissociabile verità. L'amore vivo e reale che impegna due persone a vivere la massima comunione possibile tra loro, al livello umanamente più completo e più duraturo, non è altra cosa rispetto al rapporto spirituale che, in virtù della grazia e nel dono della fede, rende possibile un contatto misterioso e salvifico con l'Altissimo, l'Onnipotente, la pienezza dell'amore fatto persona, nell'abisso insondabile della comunione trinitaria.

E' il medesimo progetto che circola in tutto il creato, è il medesimo disegno, vi si legge l'impronta inequivocabile dello stesso artista. In uno splendido libro in cui vengono intervistate alcune monache di clausura, quando si chiede la differenza fra vocazione al matrimonio e vocazione religiosa, si legge la seguente risposta: «Dal punto di vista dell'amore, nessuna. Amare è aderire a Dio e al Suo volere. Se non si ama un marito perché non si scopre in lui il volto del Signore e l'adempimento del Suo volere, è difficile dare al rapporto coniugale l'ampiezza, la fedeltà e la profondità che lo dilata a una dimensione eterna e ne fa immagine di Chiesa. Colui che suscita e benedice l'incontro è il Signore. Così per noi: se il Signore non ci accompagna per mano, il primo fervore, più o meno mistico, si esaurisce presto... La differenza - proseguono le monache - consiste nella modalità delle mediazioni. La vocazione monastica aderisce, per così dire, al Signore, senza le mediazioni dell'amore umano o di ambiti di espressione professionale». In ogni caso, esse concludono, «permane l'amore che aderisce al volere del Signore, permane l'inesauribile scoperta della misericordia del Signore che dal fondo del nostro stesso cuore costruisce come figli del Padre» (g. beltotto, Ho intervistato il silenzio, Reggio Emilia 1979,pag.32).

Quando dunque la Chiesa invita ogni coppia a riscoprire la sacramentalità del matrimonio e la centralità dell'amore di Cristo come sorgente, norma e modello di amore, tale invito non va accolto come espressione di un'attenzione strumentale e strategica, né come il tentativo di incapsulare un fenomeno puramente naturale e privato come l'amore che genera una nuova famiglia, sovrapponendo ad esso una devozionalità estrinseca o, peggio, una sovrastruttura moralistica.

L'amore autentico non crea una dipendenza, non mortifica, non cattura, non fa pesare il proprio dono; non assume il tono paternalistico di chi riversa, da un livello superiore, i suoi favori su chi si trova ad un livello inferiore: il paternalismo è la controfigura della paternità. Ci sono in fondo due modi possibili attraverso i quali, come osservava già Kierkegaard nel secolo scorso, l'amore può colmare la distanza infinita tra l'uomo e Dio: quello dell'elevamento del discepolo, come avviene nel re che sposa una fanciulla di umili condizioni, illudendosi di comprare il suo amore con lo splendore della sua magnificenza regale (cfr. s. kierkegaard, Aut aut, in Opere, Firenze 1972, pag. 15), e quello dell'abbassamento del maestro, del re che rinuncia al suo rango, che non considera, come dice S. Paolo, un tesoro geloso la sua natura divina, ma è disposto a sprofondarla nell'abisso della miseria e della sofferenza, per farsi uomo con gli uomini, povero con i poveri, mortale con i mortali.

La distanza colmata da Cristo non è però solo una distanza di principio, che riguarda unicamente la natura, l'essere dell'uomo: è anche un solco radicalizzato, e in un certo senso reso irreparabile da parte dell'uomo attraverso il peccato. Il male che infetta la storia in virtù di un atto libero dell'uomo crea una situazione di povertà umanamente non rimediabile: dinanzi a questa ferita, il malato non può essere medico di se stesso. C'è qualcosa di tragicamente serio nel modo sbagliato con cui l'uomo spende il suo amore: così come l'amore, positivamente inteso, manifesta una capacità inaudita di promozione, così la perversione dell'amore manifesta una capacità inaudita di annientamento, di immiserimento.

L'Amore Misericordioso è la risposta divina a questa condizione umana decaduta: indica l'illimitata generosità e inventività del Padre, che corre dietro ai suoi figli, che non si arrende alla miseria, che non si dà per vinto, che è capace di reinaugurare la vita e la speranza anche là dove si respirava solo la morte e la disperazione. Tale amore non percorre però le vie trionfalistiche della minimizzazione del male, non strappa la creatura alle sue responsabilità, magnifiche e terribili, di persona libera: sceglie appunto la via dell'abbassamento, dell'umiliazione, dello svuotamento, della miseria, della morte, della morte infinitamente ingiusta e perciò infinitamente «cattiva». La misericordia è la ricchezza dell'amore divino dinanzi alla povertà della miseria umana.

Il re, in tal modo, non rinuncia alla sua regalità, ma ne ottiene una nuova, straordinaria, che ha come prezzo il sacrificio cruento e ingiusto: la regalità della croce. La croce consacra un nuovo regno, il regno dell'amore misericordioso, cioè dell'amore che supera se stesso, quasi si lasciasse travolgere da una logica di oblazione, spingendosi fino al desiderio assoluto di perdono, a qualsiasi prezzo, senza condizioni, rispettando, come unico limite invalicabile, la libertà dell'uomo. Il ruolo profetico di Madre Speranza, e quindi l'essenza del Carisma che è alla base della Famiglia Religiosa da lei fondata, mi pare stia proprio in questa capacità di cogliere l'abissale, inaudito disegno salvifico che si esprime nel messaggio di Dio Amore Misericordioso: un messaggio che non si limita ad una valorizzazione in chiave esclusivamente "edificante" di un attributo di Dio, ma che al contrario s'impegna ad esplicitarne tutto lo spessore teologico più profondo.

L'intera economia salvifica ha una sua propria logica, paradossale, ma perfettamente coerente: la logica dell'Amore Misericordioso. Non a caso l'annuncio di un «Padre pieno di bontà che ricerca con tutti i mezzi di confortare, aiutare e far felici i suoi figli, che li segue e li cerca con amore instancabile come se Lui non potesse essere felice senza di loro» (madre speranza, Diario, 5.XI.1927) si completa con il riconoscimento che nell'incarnazione di Gesù Cristo avviene l'incontro definitivo della Misericordia divina con la miseria umana, da Lui assunta fino in fondo (cfr. Cost. Ancelle Amore Misericordioso). Nasce da qui la celebrazione della incredibile regalità di Cristo: «il sacrificio del Cristo sulla croce ci dà la dimensione dell'infinita misericordia del Padre per l'uomo, e della grande miseria umana, conseguenza del peccato.» (Ib.)

Ad un'umanità che rischia di perdersi in una logica contabile e puramente utilitaristica del dare e dell'avere, che sa concepire l'amore solo come sorgente di gratificazione personale, Madre Speranza ricorda che Cristo entra per così dire dal basso nel mondo delle miserie umane, in ogni luogo possibile in cui esse si consumano e dunque anche nelle radici più autentiche e insieme più fragili dell'amore coniugale, facendo di questo amore un segno forte, qualificante, unico, insostituibile, del suo amore per la Chiesa. Questo è il messaggio originale dell'Amore Misericordioso che viene annunciato agli sposi: Cristo non entra mai in concorrenza con l'uomo, il suo amore non ridimensiona l'amore intimo, profondamente umano con il quale l'uomo e la donna lasciano la loro terra e iniziano il cammino coniugale.

In primo luogo, tale messaggio ricorda agli sposi il primato della spritualità, ricorda cioè il primato di una vita secondo lo spirito, aperta al mistero della trascendenza, che sappia sporgersi continuamente oltre la miriade dei problemi quotidiani che rischiano poco alla volta di inghiottirci. Solo una famiglia in cui si respira la trascendenza, in cui si cerca di vincere la miopia individuale e di coppia, guardando insieme oltre se stessi, per leggere avvenimenti e situazioni in una prospettiva infinita, può essere per i figli "prima esperienza di Chiesa" (ChL.40).

In secondo luogo il messaggio dell'Amore Misericordioso insegna agli sposi a riconoscere e rispettare il mistero della persona, l'abisso insondabile e non profanabile della sua coscienza, della sua interiorità, della sua libertà. Ogni persona, a cominciare dal coniuge, deve essere accolta, amata e valorizzata a partire da un atto di fede profondo, e continuamente rinnovato, nelle sue risorse spirituali, nelle sue potenzialità inesauribili di crescere, di maturare, di donare, di amare, di ricominciare.

In terzo luogo, il confronto con un Dio "ricco di misericordia" (Ef 2,4) insegna alla coppia il mistero dell'amore autentico, un amore fondato sull'oblazione, più che sulla gratificazione; un amore che compie sempre il primo passo e non lo fa mai per strabiliare, per dare prova di superiorità. Il suo criterio è la promozione del bene, anziché la ricerca di un tornaconto personale; non solo di un tornaconto di carattere materiale, immediatamente riconoscibile nel suo volto più odioso ed ipocrita, ma anche di carattere psicologico. Sono queste le gratificazioni più subdole e difficili da estirpare, motivate dal narcisismo, dall'aggressività, dall'egocentrismo, dall'infantilismo, dall'immaturità.

In quarto luogo l'Amore Misericordioso ci richiama al senso del limite e del peccato, come presupposti indispensabili di conversione, e quindi al valore della misericordia e del perdono, come presupposti indispensabili della salvezza. Per questo «gli sposi sono (...) il richiamo permanente per la Chiesa - come abbiamo letto - di ciò che è accaduto sulla Croce». La croce non è una disgrazia esterna che stravolge all'improvviso la tranquilla routine quotidiana: è prima di tutto la cifra religiosa dell'amore coniugale, un amore in se stesso ferito dal peccato, indebolito dall'incomprensione, dall'infedeltà, dalla mediocrità, dall'egoismo. La croce di Cristo ha la capacità di assumere questa debolezza, inscriverla nella profondità del mistero pasquale, facendoci passare dalla morte alla vita; il perdono, da questo punto di vista, è il vertice del dono di amore a cui viene offerta la possibilità di oltrepassare il peccato e rigenerarsi a vita nuova.

Infine l'Amore Misericordioso è un amore che apre la coppia al dovere della testimonianza, all'urgenza della missionarietà. I contenuti di tale annuncio sono i contenuti stessi della evangelizzazione alla quale tutta la Chiesa è chiamata: una evangelizzazione nuova nell'ardore, nei metodi, nello slancio, che sappia passare attraverso la catechesi, la liturgia, la testimonianza della carità. Il linguaggio è però originale: è il linguaggio immediato e comprensibile a tutti della gioia della condivisione, dell'entusiasmo di essere insieme, della fedeltà, dell'apertura alla vita. In tal senso ogni famiglia è chiamata ad essere nel mondo il segno vivo e insostituibile dell'amore che cambia l'esistenza, che sa essere progetto educativo, criterio di formazione e di discernimento vocazionale, fonte di una nuova moralità e di più autentiche relazioni sociali.

Naturalmente la vita matrimoniale, proprio in quanto unisce due persone in una comunione d'amore che ha uno spettro molto ampio di implicazioni (di natura psicologica, affettiva, sessuale, educativa, culturale, sociale e via dicendo), comporta una pluralità di piani e di valori che debbono essere rispettati e promossi nella loro specificità. In tal senso la coppia, se vuole crescere nell'intero volume delle sue dimensioni, non può rinunciare a costruire una relazione umanamente ricca, psicologicamente equilibrata, affettivamente positiva, socialmente integrata.

Cristo non chiede mai, in nessun caso di frenare, ridurre, mortificare l'amore di due sposi, quando esso corrisponde ad una sicura vocazione coniugale: al contrario ci insegna che la legge dell''amore è l'eccesso, che il peccato consiste sempre in un difetto di amore, cioè in un amore disordinato, malriposto, dunque immaturo, ancora intriso di scorie negative. Proprio per questo la coppia cristiana non deve misconoscere l'importanza di un cammino formativo attraverso il quale discerne e accoglie ogni aiuto che proviene dalla testimonianza degli altri, dai contributi delle scienze umane, dal positivo nascosto che germina attorno a noi nell'esperienza quotidiana e che i mass-media cercano disperatamente di occultare e di ridicolizzare. Ma chi ha ricevuto un dono infinito, non può accontentarsi di surrogati terreni: è chiamato prima di tutto a dare una risposta illimitata, una risposta libera, ma in un certo senso non facoltativa. L'urgenza missionaria di Madre Speranza nasceva da questo: quando tocchiamo con mano che qualcuno ci ha dato tutto, allora il tempo non ci basta più. Dunque l'Amore Misericordioso non ci allontana dalla vita, ma ci chiede di viverla in modo più intenso, più completo, più totale. Il sì all'amore infinito di Dio dona un respiro infinito da ogni altro sì, anche a quello che due sposi pronunciano dinanzi all'altare. C'è una libertà grande che rende grandi anche le libertà piccole. Gli sposi cristiani perciò non possono considerare questo messaggio come un brillante smalto religioso con cui riverniciare, di tanto in tanto, la facciata un po' spenta di un matrimonio borghese. Madre Speranza non ha voluto fondare a Collevalenza una soave oasi devozionale, una splendida nicchia ecologica in un mondo degradato e inquinato, in cui rifugiarsi per dimenticare, almeno per un momento, i ritmi stressanti della ferialità e gratificare così una fugace emotività religiosa. L'annuncio dell'Amore Misericordioso, che questo Santuario ricorda e riconsegna continuamente agli uomini e alle famiglie del nostro tempo, è un messaggio di spiritualità che deve accompagnarci nel nostro cammino quotidiano e determinarne l'assetto di fondo. La spiritualità non è un abbellimento o un lusso spirituale: è la capacità di dare un'anima alla vita. La spiritualità dell'Amore Misericordioso insegna alla coppia che la misericordia è l'anima dell'amore; essa dona un cuore eucaristico, più che moralistico, al nostro amore di sposi: non pone dei pesi ulteriori sulle nostre spalle, ma al contrario se li accolla tutti, anche se, così facendo, ci contagia con la sua logica e dà una scossa tremenda e salutare alle nostre scelte, anemiche e mediocri. La misericordia è la risposta giusta alla miseria del nostro amore.