S. E. Mons. J. Maria Uriarte

"LA CHIESA VIVE UNA VITA AUTENTICA QUANTO PROFESSA E PROCLAMA LA MISERICORDIA" (D.M. n. 13)

La misericordia non gode buona reputazione nella nostra società attuale. I tre grandi maestri del nostro mondo contemporaneo l'hanno criticata come un atteggiamento avvilente, sospetto, ipocrita. NIETZSCHE si domanda ne "La Gaia scienza": "Dove risiede il tuo massimo pericolo?. E risponde senza esitare: "Nella compassione" (1). MARX, nella sua "Critica alla filosofia del diritto di Hegel" si propone come "imperativo categorico di far crollare tutte le situazioni nelle quali l'uomo è un essere umiliato, asservito, indifeso e abbandonato" (2). Ciò equivale a cancellare la misericordia. FREUD, in "Il malessere della Cultura" sostiene: "Il mio amore è qualcosa di prezioso per me. Non ho il diritto di prodigarlo insensatamente. Se amo qualcuno bisogna che costui ne sia meritevole a qualche titolo" (3). È chiaro che per lui, la pura indigenza non è un titolo sufficiente per meritare il suo amore.

Il pensiero di questi "maestri del sospetto" (4) ha condizionato profondamente le generazioni attuali. I sospetti formulati nei confronti della misericordia hanno in loro la fonte ispiratrice.

In questo contesto culturale risuona la coraggiosa testimonianza di Giovanni Paolo II: "L'uomo e il mondo contemporaneo hanno una grande necessità della misericordia, anche se con frequenza lo ignorano" (5). "È necessario che il volto genuino della misericordia sia svelato di nuovo. Nonostante i molteplici pregiudizi, essa si presenta particolarmente necessaria ai nostri tempo" (6). "Se l'uomo forse non ha il coraggio di pronunciare la parola "misericordia" o, nella sua coscienza svuotata di ogni contenuto religioso, non trova il suo equivalente, tanto più si avverte la necessità che la Chiesa pronunci questa parola non soltanto a nome proprio, ma anche a nome di tutti gli uomini contemporanei" (7).

La testimonianza di Giovanni Paolo II è un invito "provocatore" lanciato alla chiesa intera, a proclamare (D.M. n. 13), a realizzare (D.M. n. 14), a implorare (D.M. n. 15) la misericordia di Dio.

Il mio intervento si propone di spiegare alcune dimensioni della missione ecclesiale nel proclamare la misericordia. Sceglie tre aspetti di tale compito, che sembrano particolarmente importanti. È cosciente di non trattare molti altri aspetti ugualmente necessari.

I - LA CHIESA DEVE RIVENDICARE IL VALORE ANTROPOLOGICO DELLA MISERICORDIA INTERUMANA

1. La misericordia sul banco degli imputati

È impossibile pronunciare il messaggio della misericordia di Dio in modo intellegibile alla sensibilità del nostro tempo, se non vengono prima dissipate le prevenzioni nei confronti della misericordia stessa (8). È necessario perciò formularle con chiarezza.

La 1^ formulazione raccoglie in qualche modo l'accento di NIETZSCHE. La misericordia è la virtù dei deboli. Effettivamente, la vita umana è lotta per la realizzazione propria e altrui. Richiede perciò dosi elevate di coraggio, di aggressività e di forza. Non tutti sono preparati a sostenere questa lotta. Molti preferiscono rinunciare a questa ardua responsabilità. Ma devono legittimare la loro fuga. La dottrina e la prassi del perdono e della misericordia offrono loro la copertura ideologica legittimante: "perdonare è più nobile che rivendicare; lasciare la tunica è più generoso che reclamare il mantello".

La 2^ formulazione rivela una certa parentela con FREUD. La misericordia nasconde un atteggiamento di "méconnaissance", un'ignoranza interessata dei propri limiti e delle capacità dell'essere umano.

Tale atteggiamento sarebbe proprio di chi pratica la misericordia. Effettivamente, ogni essere umano possiede almeno una oscura coscienza dei suoi limiti di ordine fisico, psichico, sociale e morale. Questa coscienza è dolorosa perché lo ferisce nel più profondo narcisismo. Questa coscienza è dolorosa perché lo ferisce nel più profondo narcisismo. Per questo, il soggetto tende ad ignorarla e perfino a negarla. L'esercizio della misericordia gli offre una onorevole uscita: nel praticarla si identifica immaginariamente con un "personaggio" buono e potente e fa tacere in questo modo la sua esperienza di indigenza.

Ma l'ignoranza interessata raggiunge ugualmente chi riceve la misericordia. Per questi è più comodo ricevere passivamente che cercare attivamente. Racchiuso nel "Santuario" della sua propria immagine indigente, finisce per identificarsi con essa: tutto gli è dovuto; lui è assolutamente incapace. Nascono dipendenze magiche da persone e istituzioni; la dignità della persona viene lesa.

La 3^ formulazione conserva il taglio di MARX. La misericordia è frutto della "cattiva coscienza" prodotta dallo sfruttamento degli altri. Molto spesso si tratta di una cattiva coscienza incosciente. Non riconosce se stessa come tale, ma si fa presente sotto forma di diffuso sentimento di colpevolezza. Le opere di misericordia sono un modo di scaricare questo sentimento di colpevolezza e un meccanismo di difesa che ci dispensa dall'affrontare i nostri atteggiamenti ingiusti individuali o collettivi.

2. Esame globale di queste prevenzioni

Non saremmo onesti se non ascoltassimo questa triplice contestazione come una vera interpellazione. Perderemmo inoltre un'occasione propizia per purificare la nostra concezione e la nostra pratica della misericordia.

Le contestazioni sopra indicate mettono in risalto rischi veri nei quali possiamo incorrere nel concepire ed esercitare questo atteggiamento. Denunciamo forme concrete che hanno investito e investono tuttora nel mondo cristiano la teoria e la pratica della misericordia. Il perdono largito troppo facilmente può nascondere pusillaminità e passività. Le opere di misericordia possono ingannare e di solito ingannano il soggetto, ingrandendolo o giustificandolo illusoriamente. La misericordia ricevuta può avvilire il beneficato rendendolo ogni giorno più incapace di prendere in mano il proprio destino.

Ogni realtà delicata che è un capolavoro dello spirito umano, per il solo fatto di esserlo, è esposta in modo particolare alla deformazione. Il volto nobile della misericordia può facilmente convertirsi nella sua caricatura. Possiamo perfino affermare che una certa deformazione è inevitabile, data la congenita ambiguità delle motivazioni umane, in parte sempre inconsce, interessate, ancorate nell'oscuro mondo dei complessi meccanismi di difesa, identificazioni e frustrazioni. La misericordia pienamente disinteressata, esente da motivazioni spurie, non esiste nell'uomo. Riconoscere questa realtà è il primo passo per migliorare la qualità della nostra attitudine misericordiosa.

Un ascolto più attento raccoglie qualcosa che è comune alle tre prevenzioni formulate: la viva coscienza di autosufficienza presente nell'uomo contemporaneo. L'autoaffermazione del soggetto e il suo deciso proposito di essere protagonista della propria storia sono una componente della coscienza contemporanea. Tale esperienza rende l'uomo allergico ad ogni tipo di relazione dipendente e suscita in lui la pretesa di affermarsi come un assoluto. "L'uomo è l'essere supremo per l'uomo" dirà MARX. "Il superuomo è il senso della terra" sosterrà NIETZSCHE. "La dove esisteva l'Es deve sopraggiungere l'Io" affermerà più modestamente FREUD.

È un fatto curioso che, nel trovare la radice del rifiuto della misericordia, incontriamo la stessa esperienza umana che costituisce la matrice viva dell'ateismo contemporaneo. In realtà questa sensibilità comporta una determinata concezione dell'essere umano come colui che tende al raggiungimento di una pienezza che dipende unicamente dallo sforzo dell'uomo e che annienterà alla radice le sue attuali indigenze. La congenita indigenza dell'essere umano e la sua pienezza come dono Altrui non sono nemmeno intraviste nello spessore di questa esperienza. Nel fondo c'è una "antropologia orgogliosa" più sfumata e critica in Freud, più crudamente formulata in Marx e Nietzsche. Alla luce di questa antropologia portata alle sue ultime conseguenze l'uomo sarebbe incapace di dare senza affermarsi orgogliosamente e incapace di ricevere senza perdere la sua dignità. In una parola: incapace di offrire e di ricevere misericordia.

3. Alcune componenti dell'atteggiamento di misericordia interumana

Il modo positivo di rivendicare la misericordia consiste nel raccogliere alcuni dei tratti che compongono questo atteggiamento complesso e delicato e che comportano un innegabile valore antropologico.

3.1. L'esperienza del sentirsi indifesi

L'atteggiamento di misericordia ha un nucleo esperienziale. Uno degli elementi di questo nucleo è l'esperienza di sentirsi senza protezione che è veramente fondamentale. Una persona che non ha vissuto la salutare esperienza dei suoi limiti, la necessità di essere aiutato e accolto, la frustrazione del fallimento, l'impotenza di costruire magicamente la realtà secondo i suoi desideri, il morso della colpevolezza, l'ansia di essere perdonato, l'insoddisfazione dell'affetto non corrisposto, la angoscia dell'appuntamento con la morte... è immunizzato contro la misericordia. Se, come diremo più avanti, l'atteggiamento di misericordia dipende dalla capacità di sintonia con il mondo interiore dell'indifeso, colui che non ha esperimentato l'abbandono non può sintonizzarsi con l'indigente. Di fatto, la capacità di sintonia dell'uomo è limitata. Soltanto comunichiamo vitalmente con quelle persone e situazioni che ci rimandano alla nostra persona e alla nostra situazione. Al limite, soltanto sentiamo compassione per quelli nei quali ci riconosciamo. La vera misericordia include coscienza di essere solidali nella debolezza.

Ma non qualsiasi esperienza di abbandono genera misericordia. Alcune esperienze di questo tipo provocano autodisprezzo, chiusura in se stessi, aggressività. Odiare se stessi è meno difficile di quel che pare.

L'esperienza che genera misericordia è l'abbandono accettato, digerito, come una struttura (non come un fatto transitorio) della condizione umana, della mia condizione umana. Questa digestione non è affatto priva di dolore. È penosa e sempre incompleta. E paradossalmente non colloca il soggetto in una passività fatalista, ma libera, nella persona, energie e speranze per lottare contro tutte le forme concrete di indigenza, ampliando in questo modo lo spazio di libertà, sicurezza e felicità, della persona. Non si può annullare l'indigenza, come non si può annullare la morte. Ma la si può far retrocedere.

Le persone di questa tempra sono sufficientemente libere da se stesse per sentire e praticare la misericordia. Sanno accendere nella miseria rassegnata o disperata la fiamma della speranza. Niente conforta il debole quanto l'osare di essere deboli con lui e incoraggiarlo a ridurre i limiti della sua debolezza.

3.2. L'esperienza di aver ricevuto misericordia

La psicologia evolutiva conferma che la ricchezza affettiva del soggetto dipende dalla qualità e intensità dell'amore che ha ricevuto nei primi ani di vita. Siamo per lo più capaci di amare nella misura in cui siamo stati amati. Questo sedimento di amore ricevuto si trasforma, mentre si forma l'Io, in fonte di amore attivo, in capacità di amare.

Quello che avviene per l'amore avviene ugualmente per tutte le modalità fondamentali dell'amore, tra le quali figura la misericordia. L'esperienza di essere stato accolto, protetto, perdonato innumerevoli volte è l'esperienza creatrice dell'atteggiamento di misericordia.

È importante sottolineare che questa capacità di misericordia dipende non soltanto dal fatto che siamo stati amati molto, ma soprattutto dal fatto che siamo stati amati bene. Ci sono forme di protezione così avvolgenti che non permettono assolutamente l'emergere del soggetto, generando così soggetti passivi nei quali l'amore ricevuto non si trasforma in amore offerto. Altre forme sono così asfissianti che sono vissute dal beneficato come una minaccia alla sua personalità e fanno di lui un essere allergico alla misericordia. Altre, senza essere tanto nocive, traspirano paternalismo e preparano in questo modo un soggetto che tenderà a una misericordia paternalista, ricalcata sulla sua esperienza precoce di relazione.

L'amore buono è quello che favorisce la autonomia progressiva della persona, quello che fa sì che questa Ex-sista, vale a dire si affermi (sistere) fuori dagli altri (ex). L'ansia di aiutare è nociva quando non è capace di suscitare un atteggiamento personale nell'aiutato.

3.3. L'empatia

Sulla base di questa duplice esperienza del sentirsi indifesi e del sentirsi accolti può nascere una terza componente della struttura antropologica della misericordia: l'empatia (Einfühlung). È la capacità di rivivere le esperienze vitali di altre persone, specialmente il loro stato emozionale. È la capacità di mettersi al loro posto, di condividere i loro sentimenti (9). Non è pertanto una perspicacia per captare ma una sintonia per condividere gli stati di animo dell'altro e coinvolgersi nel suo dramma personale. È la capacità di "saltare il muro" del proprio Io ed "entrare nella pelle" altrui.

La personalità empatica è attenta ai segnali che l'altro emette. Questi segni esterni dei suoi stati d'animo che l'altro offre, sono registrati dal soggetto e provocano sentimenti simili e una esperienza di comunione.

Tutti conosciamo persone intelligenti e perspicaci che ci sorprendono per la loro cecità di fronte ai segni emessi dall'altro.

Immersi nel proprio mondo sono come delle "monadi che non hanno finestre" per questo tipo di messaggio che, l'altro emette. L'azione misericordiosa è per costoro più un penoso dovere che un impulso che nasce dall'esperienza ed è umanizzato dall'educazione. Nessuno può mantenere atteggiamenti stabili e impegnati come quello della misericordia sul freddo fondamento di un imperativo categorico. In questo caso è molto facile ricorrere a legittimazioni ideologiche per dispensarsi dall'attuare la misericordia.

L'empatia non è una pura esperienza. Si elabora durante la crescita del soggetto per opera dell'educazione. Così come abbiamo bisogno delle due esperienze sopradette perché nasca, così è necessaria l'educazione perché cresca. I criteri che l'educazione offre, l'apprendimento che essa favorisce e la riflessione sull'esperienza che essa permette, modellano l'atteggiamento empatico e lo convertono in misericordia.

L'atteggiamento misericordioso genuino nasce, perciò, da un'esperienza complessa, che in dialogo con l'educazione, matura nella persona umana. Non crea né rivela disuguaglianza, ma rende manifesta la più fondamentale uguaglianza di tutti gli esseri umani. Non travolge nessuna dignità umana, accende anzi nella persona aiutata la coscienza della propria dignità. Rimanda, tanto chi offre come chi riceve la misericordia, alla verità del proprio essere, con le sue capacità e limitazioni. Non dispensa colui che fa misericordia né l'indigente da nessuna delle loro responsabilità. Insomma è una struttura di comportamento che nobilita l'essere umano. La sua dignità antropologica deve essere riconosciuta.

II. LA VOCAZIONE DELLA CHIESA A PROCLAMARE LA MISERICORDIA: IL SUO FONDAMENTO TEOLOGICO

Le prevenzioni difronte alla misericordia non si annidano solo in ambienti di persone non credenti. Si insinuano anche tra i credenti. Pertanto non è sufficiente confrontarle con l'altropologia; bisogna anche sottoporle al discernimento della teologia. La Chiesa deve proclamare la misericordia ai propri membri offrendo loro i fondamenti teologici di questa realtà di salvezza. A questo punto la nostra relazione vuole offrire i pilastri principali di tale fondamento.

1. L'Amore di Dio è misericordia trascendente

La teologia biblica sottolinea l'amore irrevocabile di Dio per l'umanità. "Dio ha preso l'iniziativa di un dialogo di amore con gli uomini" (10). Al tempo stesso però la Bibbia sottolinea la congenita debolezza del cuore umano. "L'uomo ha più bisogno di essere amato che di amare; di essere perdonato che di perdonare". Per questo l'amore reale e concreto di Dio per gli uomini è un amore che ha la forma della misericordia. Quando l'amore di Dio incontra la debolezza umana fatta abbandono, sofferenza o peccato, si riveste di misericordia (11).

Questa misericordia di Dio è contenuta simultaneamente nel "rahamim" e nel "hesed", nella tenerezza spontanea e nella fedeltà. Dio sente tenerezza per l'umanità ed è fedele a quelli che ama. Tenerezza e fedeltà si abbracciano nella misericordia di Dio. "In questo modo la misericordia si colloca su una solida base. Non è semplicemente l'eco di un istinto di bontà che può ingannarsi rispetto al suo oggetto o alla sua vera natura. È una bontà cosciente, voluta. È perfino fedeltà a se stesso" (12).

Ma il Dio cristiano è un Dio trascendente. È il Santo per eccellenza, il totalmente Altro. La misericordia trascendente di Dio non può comunicarsi al mondo se non si fa immanente, cioè a dire se non si manifesta simbolicamente e se non si fa effettiva nelle realtà del nostro mondo e della nostra storia.

Il gesto di perdono di due sposi, la tenerezza protettrice dei genitori verso il figlio, la generosa e gioiosa dedizione vicino al letto di un infermo, il servizio ai poveri, sono segni e realizzazioni della misericordia di Dio.

2. Gesù Cristo, Sacramento della misericordia di Dio

La misericordia di Dio per gli uomini si è resa pienamente, personalmente e immediatamente presenta, manifesta e operante, nell'esistenza umana di Gesù. "Cristo è Dio in modo umano; è uomo in modo divino" (13). Di conseguenza l'amore umano di Cristo per gli uomini è la manifestazione e la comunicazione piena, personale e immediata, dell'amore di Dio agli uomini. E l'amore di Dio che ci raggiunge nella tenerezza di un cuore umano che è al tempo stesso cuore di Dio. "Poiché questo uomo che io posso indicare con un dito, esiste; posso dire che Dio mi ama e ama gli uomini" (14). Gesù Cristo manifesta e comunica in modo unico l'amore salvatore di Dio. In altre parole è il sacramento per eccellenza dell'amore di Dio. E, siccome questo amore è anzitutto misericordia, possiamo affermare con rigore che Gesù Cristo è il Sacramento della misericordia di Dio.

L'affermazione suddetta non è una pura e fredda affermazione teologica. La condotta del Gesù terreno, testimonia dagli evangelisti, nei confronti di ogni tipo di indifesi, emarginati, peccatori della società del suo tempo è impregnata di questa intenzione esplicita: riflettere e attualizzare l'amore misericordioso del Padre, offrirgli la sua umanità perché in essa Dio si avvicini ai deboli della terra.

Le parabole della misericordia pronunciate da Gesù hanno inoltre la pretesa di fare un ritratto vivo del volto misericordioso del Padre. Con la stessa forza, però, cercano di difendere e di giustificare il comportamento di Gesù davanti a coloro che si ribellano per la "scandalosa" accoglienza fatta dal Signore ai pubblicani, lebbrosi e prostitute. Quelli non cessano di chiedergli: "Perché tratti con questa gente della quale nessuna persona perbene vuole saperne?" La risposta di Gesù è rivelatrice: "Perché Dio è così: buono con i poveri, pieno di gioia nell'andare incontro a ciò che è perduto, guidato dall'amore paterno nei riguardi del figlio che aveva perso la sua dignità, clemente con quelli che non hanno speranza, con gli abbandonati e i bisognosi. Se Dio è così, vuole operare così attraverso di me che lo faccio presente" (15).

L'affermazione sulla sacramentalità di Gesù è una trasposizione teologica della Parola della Scrittura: "Gesù è la epifania della filantropia di Dio (16)".

3. La Chiesa, Sacramento della misericordia di Cristo

"La Chiesa è il sacramento di Gesù Cristo come Gesù Cristo nella sua umanità è il sacramento di Dio" (De Lubac).

Il Vaticano II ha affermato molte volte al sacramentalità della Chiesa (17). Nello stesso Prologo della L.G. ci dice: "La Chiesa e, in Cristo, come un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano".

La comunità di coloro che credono in Gesù non è semplicemente una società che vive del suo ricordo e della sua dottrina. È il Corpo di Cristo vivo. Come Corpo è una realtà che si può percepire. Come Corpo di Cristo offre al Signore Gesù, ritornato al Padre, la sua corporeità e visibilità. Attraverso questo Corpo, Cristo offre agli uomini il suo amore misericordioso e salvatore. In questo Corpo incontrano i credenti la consolazione della Scrittura, il Pane che fortifica i deboli, il perdono che guarisce i peccatori. La Chiesa è, dunque, in quanto Corpo di Cristo, vero Sacramento primordiale: segno e strumento dello stesso amore misericordioso del Signore Gesù (18) e, mediante lui, epifania e comunicazione della misericordia di Dio.

Questa Chiesa che annuncia e incarna la misericordia di Dio, non può pretendere di rinchiuderla esclusivamente dentro i propri confini. La nuova umanità non esiste solamente in "quelli che credono in Cristo, ma anche in tutti gli uomini di buona volontà nel cui cuore opera invisibilmente la grazia" (19). La misericordia di Dio come dimensione salvifica si realizza anche in qualche misura fuori dei confini della Chiesa. Ma è la Chiesa quella porzione di umanità nella quale per l'azione dello Spirito si dà la coscienza chiara, l'annuncio verbale esplicito, la devota attualizzazione sacramentale, la coraggiosa realizzazione personale e istituzionale e la umile petizione della misericordia di Dio. Alla Chiesa compete di rendere esplicito l'implicito, formulare quello che non è formulato, tematizzare quello che si è percepito confusamente, intensificare quello che si vive in modo debole. Nel fare questo è per il mondo sacramento della misericordia.

Questa condizione di essere segno e strumento della misericordia è per la Chiesa sorgente perenne di impegni. Secondo il detto "cerca di essere quello che sei", la Chiesa deve arrivare ad essere ogni volta sempre di più quello che già è per vocazione, per la sua natura ed anche per i suoi frutti. E questo nonostante che per la sua fragile condizione realizzi questa dinamica "non senza ombre", "nella forza e nella debolezza" (20).

L'annuncio della Parola, la Celebrazione comunitaria della fede e il servizio della carità, i tre grandi vettori della Chiesa in azione, devono impregnarsi dello Spirito di misericordia del suo unico Signore e Maestro. Al seguito di Gesù che "si è fatto povero per noi" deve amare i bisognosi con lo stile proprio di Gesù: con un amore gratuito, "non provocato", disinteressato. Come Lui la Chiesa dovrà scoprire gli individui e i gruppi emarginati di ogni luogo, di ogni tempo: "gli inutili", i "senza-futuro". Come Lui deve avvicinarsi, fino al punto di provocare lo scandalo di molti, a questa gente senza speranza a farsi compagna delle persone e dei popoli senza futuro che stanno lentamente morendo. Come Lui dovrà "fare della opzione per gli emarginati il distintivo della sua azione" (21). Questo servizio appartiene alla Chiesa e nessuno ce lo può togliere.

ALCUNI ACCENTI DELL'ANNUNCIO ECCLESIALE DELLA MISERICORDIA AI NOSTRI TEMPI

L'intenzione di questa terza parte è molto modesta. Vuole formulare alcuni contenuti del messaggio della misericordia che si deve annunciare. Cerca allo stesso tempo di esporre alcuni tratti dello stile dell'annuncio di questo messaggio. Si limita rigorosamente all'annuncio, non alla pratica della misericordia.

1. Il contenuto dell'annuncio

1.1. La misericordia come realtà di salvezza

La misericordia è un atteggiamento etico. Ma è anzitutto una realtà nella quale si manifesta e si comunica la salvezza di Dio. Nel messaggio e, soprattutto nella pratica, della misericordia ci si rivela il volto di Dio e quello del suo Cristo. Impariamo a comprendere com'è Dio, ascoltando, annunciando e, soprattutto, praticando la misericordia. Capiamo il perdono di Dio ricevendolo, annunciandolo e soprattutto praticandolo.

Siamo salvati dalla misericordia di Dio quando annunciamo e pratichiamo la misericordia.

Il nostro primo compito è, di conseguenza, annunciare la pratica della misericordia come luogo teologico nel quale ci si rivela il volto misericordioso di Dio. Invitare alla pratica della misericordia come luogo salvifico nel quale si comunica il suo amore misericordioso.

1.2. La misericordia come comportamento teologale

Il termine ultimo della nostra azione misericordiosa è Gesù Cristo. Egli ce l'ha detto perentoriamente: "Quanto avete fatto ad uno di questi miei fratelli, lo avete fatto a me" (22).

Gli indigenti sono essere bisognosi della nostra misericordia. Ma prima "sono presenza manifesta, nel mondo, del Signore crocefisso" (23). La misericordia cristiana è un atto di amore ma allo stesso tempo un atto di fede. Nei bisognosi ci aspetta Gesù. Esercitare la misericordia nel senso cristiano vuol dire scoprire nei bisognosi la presenza di Cristo. È un vero incontro con il Signore. Per questo in ogni esperienza cristiana matura di offerta ai poveri c'è una "meta contemplativa che scopre la presenza dei tratti di Cristo nei tratti dei poveri" (24).

È importante comprendere bene questa affermazione. Non si tratta di sostituire il povero con Cristo. Non si tratta di fare di lui un semplice luogo nel quale ci incontriamo con Cristo. Il bisognoso non è "un mezzo" per qualcosa, nemmeno perché noi abbiamo ad incontrarci con Cristo. La misericordia cristiana ama il bisognoso in se stesso, con un amore retto e denso, fatto di fedeltà e di tenerezza. Non lo ama come uno sposo ama il luogo dove si incontra con la sposa. Semplicemente nell'amarlo, con la fede scopre in lui la presenza del Signore (25).

1.3. La misericordia come segno della identità della Chiesa

Il vangelo di Matteo contiene due frasi di Gesù che mostrano una sorprendente struttura parallela. "Chi ascolta voi ascolta me". "Chi li visita, visita me". La presenza di Gesù nella comunità unita ai propri pastori e nei bisognosi si afferma con la stessa energia.

La Chiesa vive la propria autenticità, quando è dove è Cristo. Se è vero che "ubi Ecclesia, ibi Christus", è anche vero che "ubi Christus, ibi Ecclesia". Gesù ci ha lasciato due segni inequivocabili della sua presenza e pertanto della nostra identità ecclesiale. Sono Chiesa quelli che lo riconoscono nella comunità e nei suoi pastori. Sono Chiesa quelli che lo riconoscono nella comunità e nei suoi pastori. Sono Chiesa quelli che lo riconoscono nei deboli. La Chiesa è tanto maggiormente Chiesa di Cristo quanto più si dedica ai bisognosi. La carta d'identità di una vera comunità di Gesù è qui.

Alla luce di questa dottrina risponde in modo adeguato la bella e felice espressione di Giovanni Paolo II, che serve da frontespizio a questa Conferenza: "la Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia".

1.4. Il perdono come componente irrinunciabile della misericordia

Se la misericordia non è compresa dalla sensibilità del nostro tempo, ancora meno è compreso uno dei suoi elementi essenziali: il perdono. L'anonimato e il carattere funzionale delle relazioni umane predominanti, hanno allontanato le persone tra di loro fino al punto di rendere difficile l'emergenza di quella tenerezza cordiale che, nella sua fragilità, s'impone al di sopra della spada e trova magnanimità di offrire il perdono. Il sentimento esacerbato della giustizia ci fa vedere il perdono come un rivale o una debolezza.

Forse rifiutiamo il perdono perché ne abbiamo estremamente bisogno. Ecco costituisce una delle dimensioni più salutari per quest'uomo moderno travagliato da un oscuro sentimento di colpa che non emerge a livello di coscienza e, pertanto, agisce impunemente nella clandestinità. L'esperienza di un pentimento espresso e di un perdono ricevuto è una condizione di igiene mentale.

Il perdono cristiano è una vera "amnistia", nel senso etimologico (non giuridico) dell'espressione: dimenticanza vitale e pratica dell'offesa ricevuta. Questo perdono ha oggi, nonostante le apparenze un enorme valore antropologico, sociale e perfino politico. In effetti, la capacità di dimenticare è altrettanto necessaria per i singoli e per le collettività quanto la capacità di ricordare. L'impossibilità di dimenticare costituisce una vera patologia per le persone e i gruppi che ne soffrono. Il geloso e il risentito hanno la disgrazia di non poter dimenticare. Quando in una società esiste la smania di tirar fuori tutte le vergogne e le miserie passate "perché risplenda la verità", dietro tale zelo per la giustizia si nasconde una vena patologica. Tutti conosciamo persone e gruppi che legittimano la loro aggressività dicendo. "io (noi) sono (siamo) difensore/i della verità e della giustizia".

Oso affermare ancora di più: la giustizia senza la misericordia soccombe inevitabilmente alla tentazione di trasformarsi in una rivendicazione paranoica. Qui risiede a mio giudizio, la più radicale insufficienza della giustizia. È doveroso sostenere questa ferma convinzione: la violenza può ergersi a giudice della violenza; la giustizia può in parte, addomesticarla. Solo il perdono può vincerla, convertirla, liberarla, farvi emergere le potenzialità positive; in una parola, salvarla.

Noi cristiani sappiamo che il Crocefisso con il perdono ha vinto definitivamente l'odio, l'invidia e l'aggressività che lo hanno portato alla morte. Da allora, il perdono è, nella sua fragilità più forte di tutti gli incendi di violenza nel mondo. Crediamo veramente nella forza salvifica del perdono?

La Chiesa deve rivendicare questa forza antropologica, sociale e politica del perdono di cui essa è sacramento. Forse si prevedono giorni in cui potrà farlo senza destare sospetti. Il mondo incomincia a vivere l'esperienza di un processo irreversibile, contemporaneamente benefico e minaccioso. Comincia a presentire che questa minaccia non può essere allontanata senza introdurre alcune dimensioni che sono state abbandonate cammin facendo. Comincia a intuire che la pace è minacciata qualora venga salvaguardata solo dalle armi, dalle leggi e dai trattati. Comincia a sospettare che pace e perdono sono intimamente uniti.

2. Lo stile dell'annuncio

Lo stile non è una realtà esterna al contenuto. Vi sono modi di annunciare che accreditano un contenuto: vi sono altri che gli tolgono forza. L'annuncio della misericordia richiede uno stile coerente con il suo contenuto.

2.1. L'annuncio deve essere realizzato nel contesto inequivoco di una condotta ecclesiale impregnata di misericordia

La Chiesa è sacramento che annuncia e realizza la misericordia di Dio nel mondo. Annuncio e realizzazione sono, rispettivamente, la parola e il gesto dell'essere sacramentale della Chiesa. In ogni sacramento la parola e il gesto sono inseparabili. La parola senza il gesto è vuota; il gesto senza parole è ambiguo. L'annuncio perde efficacia quando è smentito dalle attitudini e dai comportamenti.

La Chiesa non è immune dalla tentazione di svuotare il suo annuncio della misericordia a causa di alcuni atteggiamenti che la contraddicono o, perlomeno, la oscurano. È vero che non si può adulterare la verità e la giustizia, sacrificandole alla misericordia. Tuttavia la pratica della misericordia può consigliare la rinuncia, in determinate occasioni, alla piena manifestazione della verità e della giustizia. La pratica della misericordia presuppone in noi la disposizione a comprendere la verità contenuta negli errori, la bontà racchiusa nel cuore dei peccatori e il dramma umano che sta all'origine di molti comportamenti di per sé censurabili. La pratica della misericordia esige che in ogni caso le persone vengano accolte con piena e rispettosa umanità. La pastorale dei divorziati, l'atteggiamento di fronte ai sacerdoti secolarizzati, la posizione nei confronti di coloro che nella loro lotta per la giustizia dimenticano altri aspetti importanti del messaggio cristiano, sono autentici luoghi di verifica per constatare la coerenza tra il contenuto dell'annuncio e le attitudini più vitali della nostra Chiesa.

Le attitudini tendono a materializzarsi in comportamenti. Non solo i membri della chiesa, ma anche la stessa istituzione ecclesiale è chiamata alla pratica della misericordia. Anche l'istituzione ecclesiale è sacramento della misericordia di Dio, non solo i suoi membri. Occorre un serio impegno istituzionale a tutti i livelli dell'organismo ecclesiale. Alcune istituzioni ecclesiali (come questa dell'"Amore Misericordioso" che ci ha convocati fraternamente per questo incontro) sono come gli organi specializzati del Corpo ecclesiale. Essi vivono in modo intensivo e preferenziale la loro dedizione alle opere di misericordia. Ma nello stesso modo in cui tutte le unità vitali di un organismo realizzano un minimo di funzioni assolutamente vitali come il respirare e l'alimentarsi, così tutte le istituzioni ecclesiali debbono assumere quello stile misericordioso che è un po' il nostro "distintivo di famiglia".

2.2. Un modo umile di annunciare la misericordia

C'è un modo orgoglioso di offrire l'aiuto, che non è cristiano. Il cristiano fa continuamente l'esperienza di essere lui stesso, oggetto di una misericordia senza fondo e senza limiti. Per questo offre con umiltà. Può dare in questo modo, solo chi e cosciente di aver ricevuto per trasmettere ad altri, non per trattenere per sé. Manifesta così, nell'atto stesso della misericordia, la sua povertà, e non la sua sicurezza e ricchezza. In compenso, il misericordioso sa scoprire, in colui che soccorre, la propria povertà e indigenza. In questo modo "riceve da suo fratello più di quanto gli dia: la visione in trasparenza del proprio vuoto, unico luogo in cui non può perdere la ricchezza che ha ricevuto" (26). Contemporaneamente, chi da in questo modo fa sì che il bisognoso riceva senza vedere ferita la propria dignità e senza sentirsi umiliato, nell'avidità della propria domanda.

2.3. Bisogna amare più l'indigente che la misericordia.

Chi non ama una misericordia concepita e vissuta in questo modo? È cosa buona amare la misericordia. Ma occorre evitare il pericolo greco di amare gli ideali astratti più che le persone concrete. Dobbiamo essere misericordiosi non perché la misericordia è bella, ma perché ci sono indigenti che ne hanno bisogno.

Il pericolo non è irreale. La psicanalisi ha messo in evidenza che, dietro all'amore per gli ideali, si nasconde spesso uno smisurato amore dell'"io" sotto forma di amore verso l'"ideale dell'io". Possiamo amare le virtù nello stesso modo in cui una donna ama i vestiti che la fanno bella.

Questo pericolo prende corpo nelle ideologie. L'ideologia, anche la più altruista tende a divenire un assoluto che, anziché servire la persona, si serve di essa. L'uomo concreto può morire indifeso tra i freddi ingranaggi del sistema ideologico. L'ideologia è propensa a generare fanatici, che, paradossalmente, sono i suoi più devoti e pericolosi servitori. Il fanatico si caratterizza perché ama più le idee che le persone.

Di fronte alla tentazione delle ideologie, chi difende l'uomo? Non semplicemente colui che afferma il valore intangibile dell'uomo. Questa può essere un'affermazione ideologica. Chi lo salva è colui che fa dell'essere umano un valore intangibile e lo rispetta e lo promuove come tale. Il buon samaritano di Luca non ha avuto bisogno di ideologie per amare. Le ideologie lo avrebbero dissuaso dalla sua attitudine misericordiosa: "è un giudeo; è un nemico; è un malfattore; non merita il mio aiuto; lo aiuti la sua gente". Il sacerdote e il levita repressero il primo impulso verso la misericordia proprio in virtù della loro ideologia: "non toccherai sangue umano; non macchierai la tua purezza rituale per poter servire al Tempio". Le ideologie altruiste sono buone. Ma occorre vigilarle perché non spengano, anziché accenderlo, l'amore concreto verso l'uomo concreto.

2.4. L'esercizio della misericordia non deve frenare, ma stimolare lo sforzo per la giustizia.

Tutta la giustizia del mondo è incapace di generare un solo granello di misericordia. Tuttavia una pratica poco lucida della misericordia può indebolire la lotta per la giustizia.

Giovanni Paolo II, in una esegesi penetrante della parabola del figlio prodigo, sostiene con vigore che la misericordia ridona la dignità perduta all'uomo degradato dalla sua miseria (27). Di conseguenza, uno dei più grandi atti di misericordia consisterà nel suscitare, nel soggetto che soffre ingiustizia, la coscienza e il sentimento della sua dignità. Aiutare l'indifeso a prendere coscienza della propria identità, delle proprie capacità e diritti; risvegliare in lui un sano amore a se stesso, alla sua liberalità e a quella dei suoi simili; rinforzare e restaurare l'immagine di sé troppo spesso incrinata da mille complessi e fallimenti... è un atto di misericordia di primaria importanza. Un comportamento misericordioso di questo tipo è la risposta migliore ai detrattori della misericordia.

Alla luce di questo criterio, noi persone e istituzioni della Chiesa dobbiamo chiederci se le nostre attività e opere di misericordia servono contemporaneamente la causa della giustizia. Se, ogni volta che ciò è possibile, aiutano le persone e i gruppi a mettersi in piedi, ad uscire dalla loro situazione cronica di mendicanti, ad affermarsi davanti - e, se occorre di fronte - agli oppressori. Se l'orientamento educativo che imprimiamo alle nostre istituzioni è ispirato dalla fama e sete di giustizia. Se i legami che molte volte hanno le nostre opere con i poteri del mondo ci inclinano verso una pratica misericordiosa che addormenta la protesta contro l'ingiustizia.

Non possiamo muoverci con la pretesa utopica della limpidezza assoluta, che finisce per essere un comodo alibi al disimpegno "perché tutto è sporco". Il realismo cristiano ci spinge a tollerare "un coefficiente di complicità involontaria" per un più grande servizio ai "nostri signori e poveri" (espressione dei S. Vincenzo dè Paoli). Il timore di sporcarci non ci dispensa dal servirli. Ma occorre saper discernere dove si radica e dove zoppica l'autentico servizio. Questo non si esaurisce nella giustizia. Tuttavia passa inevitabilmente per essa.

In questa prospettiva posso pronunciare senza equivoci il pensiero con cui desidero concludere questa conferenza: "Dobbiamo essere, anzitutto messaggeri della misericordia, perché della giustizia ce ne sono molti altri".

NOTE:

1) NIETZSCHE, F.: Werke II, Monaco 1954-1965; p. 127 ss. (Citato da HANS KUNG in "Existe Dios?". Madrid. Herder. 1979.

2) MARX, K.: Werke-Schriften-Briefe. Darmstadt 1962. Vol. I, p. 497 (Citato da HANS KUNG ibid. p. 323).

3) FREUD, S.: "El malestar en la cultura". Obras completas III. Madrid. 1973. Biblioteca Nueva, p. 3044.

4) L'espressione è di P. RICOEUR

5) GIOVANNI PAOLO II. Enciclica "Dives in Misericordia" (D.M.) n. 2.

6) D.M. n. 6.

7) D.M. n. 7.

8) Qualcuna di queste prevenzioni è antichissima. Gli stoici includevano la misericordia nel catalogo dei vizi.

9) DORSCH, F.: "Diccionario de psicologia". Barcelona. Herder. 1976. Col. 36.

10) LEON-DUFOUR, X.: "Vocabulaire de théologie biblique". Paris. Cerf 1962. Col. 36.

11) D.M. 3; 4; 6; 7; 8.

12) LEON DUFOUR, X.: Ibid. Col. 627.

13) SCHILLEBEECKX, E.: "Le Christ, sacrament de la recontre de Dieu", Paris. Cerf. 1960. p. 38.

14) RAHNER, K.: "La Iglesia y los sacramentos". Barcellona. 1967 p. 20.

15) JEREMIAS, J.: "Las parabolas de Jesùs". Estella. Verbo Divino 1970. p. 177 e 179.

16) T. 3,4.

17) LG. 1; LG. 9: LG. 48: GSp. 45; SC. 5.

18) Cfr. SEMMELROTH: "La Iglesia como sacramento original". San Sebastiàn 1963. Dinor, p. 35-36.

19) G. Sp. 22.

20) Documenti del Vaticano II: "Relationes de singulis numeris", al n. 8 della L. G.

21) GONZALES FAUS: "La humanidad nueva". Madrid Sal Terrae. 1974. Vol. I, p. 94. È molto utile la lettura delle pagine 87-122.

22) Mt. 25, 40.

23) MOLTMANN: "La Iglesia, fuerza del Espiritu". Salamanca. 1978. Sigueme; p. 158. Sono molto stimolanti le pagine 157-161.

24) TILLARD J. M. R.: "Opter pour l'Evangile" in "Vie Consacrée". 1978. n. 2. p. 84.

25) Cfr. THILS, G.: "Santidad cristiana". Salamanca. 1962. Sigueme. p. 401 ss.

26) RAHNER: "Escritos teologicos". Taurus. 1969. Madrid. Vol. VII, p. 285. Molto interessante tutto il saggio: "Elogio de la misericordia", p. 283-288.

27) D.M. 5 e 6.