Omelia di S.E. Mons. Antonio M. Javierre nella Concelebrazione:

PER L'APOSTOLICITA' DELLA CHIESA, PREGHIAMO CON CRISTO!

 

Introduzione

1. Benché resti ancora controversa la qualifica da riservare alla preghiera di Cristo (è una preghiera sacerdotale? un congedo? una supplica per l'unità?), non si può mettere in dubbio la eccezionale qualità della medesima.

2. Presenta in se stessa una ricchezza incomparabile. Forse colpisce ancora di più per un suo pregio soggettivo: Diventa quanto mai commovente il pensiero che "io ero nell'orizzonte di questa preghiera"; che "Cristo ha pregato anche per me!" (Gv. 17,20).

3. Lungo il discorso di Cristo, la missione appare come un tema davvero fondamentale. L'apostolicità della Chiesa compromette i cristiani a doppio titolo complementare: perché di questo sforzo missionario sanno di essere i beneficiari, in quanto destinatari, e perché sono chiamati altresì a portare il proprio contributo in qualità di agenti e di collaboratori.

I. La missione del Padre nella preghiera del Figlio

1. Sono tre le intenzioni dominanti nella preghiera che innalza Cristo al suo Padre:

- prega, innanzitutto, per se stesso (17,1-8);

- prega, poi, per i suoi discepoli (17,9-19) e

- prega, infine, per le varie necessità della sua Chiesa (17, 20-26)

Il pensiero della missione ritorna insistentemente al centro di questi tre momenti qualificanti della preghiera di Cristo.

2. Tutta la supplica presenta un'impronta squisitamente filiale. L'appello al Padre viene perfettamente modulato rispondendo alle esigenze delle singole richieste.

- Tutti i qualificativi diventano superflui allorché l'Unigenito rivolge a Dio formale preghiera per se stesso. La formula esatta per il Figlio è quel vocativo registrato da Giovanni, tanto più intenso quanto più scarno: "Padre"! (17,1).

- Intercedendo invece, per i suoi discepoli, il pensiero di Cristo vola ai pericoli che dovranno affrontare nell'esercizio della loro missione. Gli apostoli avranno assoluto bisogno di una vera santità che li tenga uniti a Cristo e separati dal profondo. Ed è perciò che la preghiera filiale di Cristo punta verso la fibra esatta del cuore paterno di Dio "Padre Santo"! (17,11)

- Anche la Chiesa è oggetto di preghiera, affinché si conservi fedele a se stessa; il che non è facile, avuto conto della sua vocazione ad essere nel mondo senza essere del mondo; a portare la luce dove la luce non c'è. Ed è pensando ai pericoli di confusione e di accuse ingiuste che Cristo si appella alla giustizia divina in registro filiale: "Padre Giusto"! (17,24).

Bisogna riconoscere l'esattezza dei titoli con cui il Padre viene invitato a dare ascolto alle richieste accordate del suo Unigenito.

3. E' anche interessante notare che l'oggetto implorato risponde a puntino alla finalità missionaria della supplica. Infatti:

- Cristo chiede per se la glorificazione (17, 1.5) che gli spetta, adempiuta la missione a lui affidata. Non è vero, come è stato suggerito, che il panorama mondano rimanga al punto di prima; che la "escatologia" si ricongiunge alla "protologia". Cristo "ritorna"; è vero. Ma lo fa come trionfatore, con in mano i frutti della sua vittoriosa missione nel mondo.

Per i suoi discepoli Cristo chiede il dono della santità (17, 17.19). Essi sono chiamati alla figliolanza divina, all'unione intima con Dio loro Padre. Orbene, niente di impuro può accedere al cospetto di Dio tre volte santo. La santità appartiene alla sua essenza; ed è perciò che non soffre ombra neppure negli angeli. I suoi figli devono essere santi, come santo è il loro Padre.

- In favore della Chiesa, infine, Cristo impetra l'unità (17, 21.22.23). L'unità affiora insistentemente sulle labbra di Cristo. Chiede l'unità degli uomini con Dio, per esigenza della figliolanza; e l'unità, poi, degli uomini tra di loro, perché sono fratelli, figli dello stesso Padre. Da notare, che Cristo non si accontenta di una unità metaforica, superficiale, ridotta a puro sentimento di tenerezza umana. La vuole robusta, specifica, qualificata. Il paradigma della unità della Chiesa è niente meno che l'unità che vige nel seno della Trinità augusta. Il modello della "koinonia" ecclesiale è l'unione che risulta dall'amore tra il Padre e il Figlio, sigillata coi vincoli di amore comune dello Spirito Santo.

Le intenzioni della preghiera di Cristo sono imposte dalla dialettica dell'apostolato. Cristo è stato "consacrato" per essere "inviato"; la sua missione di Mediatore è stata perfettamente riuscita; riconciliati i cieli con la terra e gli uomini tra di loro, può aspirare alla "gloria" che spetta al trionfatore. Gli apostoli, partecipi della sua missione, dovranno anche essi essere "santificati" e diventare "costruttori di unità e di pace", come ministri che sono di riconciliazione. Anche essi attendono la "gloria" dell'Apostolato nella misura della loro fedeltà alla vocazione apostolica.

II. Il logion di Cristo sulla sua missione

1. Al cuore dell'evocazione missionaria, non poteva mancare il riferimento al celebre logion di Cristo: "Come tu mi hai mandato nel mondo, così li ho mandati nel mondo" (17,18; cf. 20,21). Su quel mandato gravita tutta l'apostolicità della Chiesa di Cristo.

Purtroppo la relativa professione di fede: "credo ecclesiam apostolicam", trova non di rado un'interpretazione inesatta. Vi si fa una discriminazione inaccettabile: c'è chi pensa, infatti, ingiustamente che la Chiesa è una, santa e cattolica, perché Cristo è unico mediatore con missione santa e universale; ma dimentica, purtroppo, di collegare al Cristo l'apostolicità della stessa Chiesa, per limitarsi a riferirla ai Dodici Apostoli.

La stonatura è palese: le quattro colonne dovrebbero essere uguali, e invece appaiono diverse. La costruzione, perciò, manca di omogeneità e di armonia. Eppure ripugna pensare che l'Architetto, che è Cristo, Sapienza del Padre, abbia messo a fondamento della sua Chiesa, accanto alle tre colonne di marmo una quarta di terra cotta. No. La Chiesa è una santa, cattolica e apostolica, perché Cristo è uno santo, universale e..."apostolo del Padre". Anche la quarta colonna dev'essere cristiana come le precedenti.

2. Questo titolo di apostolo del Padre è perfettamente giusto, e registrato in maniera espressa nel Nuovo Testamento (Ebr. 3,1) Lo si trova spesso, in maniera implicita ed equivalente nel Vangelo di Giovanni, soprattutto nel centro di questa pagina che siamo evocando. Dice, infatti, ai suoi: "vi mando come sono stato mandato". Il che equivale a dire: "vi faccio apostoli, così come io stesso sono stato reso apostolo dal mandato del mio Padre". Cristo, perciò, è il primo Apostolo: l'Apostolo per antonomasia.

Dal logion giovanneo risulta che Cristo è allo stesso tempo mandato e mandante.

Come Verbo è il grado di comunicare la Verità; come Figlio è venuto a trasmettere la Vita. Perciò chi lo riceve è un "fedele", cioè un depositario della parola misteriosa del Padre; e appunto perché fedele, diventa "figlio" nel Figlio, e membro della famiglia di Dio Padre.

3. Gli apostoli di Cristo rispondono ad un'esigenza stretta della sua missione. il Verbo si era incarnato per portare a ciascuno degli uomini, nel loro linguaggio, con gesto personale e valido. Il lieto messaggio della chiamata alla figliolanza divina. A causa delle limitazioni della natura umana, Cristo venne a trovarsi nell'impossibilità di adempiere dappertutto e sempre la sua missione. Un uomo non ha l'ubiquità, né può durare lungo i secoli. Dovette, perciò, ricorrere all'espediente umano degli ambasciatori, per arrivare a tutti nello spazio; e servirsi dei loro successori, per perpetuare la sua azione salvifica nel tempo.

Gli apostoli e i loro successori, inviati dal Cristo, altro non fanno che attualizzare fino alla fine dei tempi la missione che il Figlio di Dio aveva ricevuto "a Patre". Essi, attuano la missione filiale di Cristo, si sforzano di estendere la paternità di Dio, aggiungendo nuovi invitati alla sua mensa paterna, portando nuovi figli "ad Patrem".

Non è da concepire la loro missione come nuova, aggiunta, parallela a quella del Verbo incarnato. E' la stessa e identica missione di Cristo. E' stata affidata al Figlio; ed è ancora filiale, perché ha come finalità precisa quella di partecipare la sua figliolanza. A ciò tende la promulgazione della parola del Padre. Questa è parola di convocazione. E' un seme, che, dove trova terra buona, idonea, accogliente, getta le radici, e cresce, germoglia, fiorisce e...fruttifica...portando a maturità spighe granate di figli di Dio; perché Figlio era il seme seminato dal Seminatore.

La missione affidata dal Padre è la stessa che lui partecipa ai suoi apostoli. Nel farlo, non soltanto indica il loro compito; ma assegna altresì lo stile con cui dovranno adempiere il loro mandato missionario. E anche esso dovrà essere in sintonia perfetta con quello del Maestro.

III. Il "sicut" nel logion di Cristo

1. Il vocabolo "sicut" comporta abitualmente una certa analogia; a volte proporzionalità, non di rado perfino causalità. Nel nostro caso conviene approfondire il senso del legame che sbocca nel parallelismo stilistico dell'apostolato di Cristo e dei cristiani.

Non basta ridursi a considerare una somiglianza esterna, ad un'imitazione di gesti anche ben riuscita. Bisogna scoprire l'ontologia sacramentale sottostante che significa e impone una vita in conseguenza. La formula "come il Padre ha mandato me, così mando anche voi" ripetuta molte volte in tono solenne, invita ad una valutazione accurata del suo contenuto densissimo.

2. Gli apostoli cristiani devono essere persuasi che la loro missione avviene nello stesso registro di quella di Cristo. E ciò per doppio motivo: perché è la stessa e perché si snoda in forma somigliante.

L'apostolato cristiano, dunque, si ricollega:

- al Padre, che è il Mandante di Cristo, e mandante, perciò mediato del suoi apostoli;

- e allo Spirito Santo, sotto le cui ali, è stato concepito l'Apostolato del Padre e dove dovranno essere generati quanti aspirino ad essere i suoi collaboratori.

L'Apostolo del Padre manifesta nel tempo la usa realtà di Figlio Di Dio. L'incarnazione del Figlio avviene attraverso la figliolanza mariana. Nella generazione umana del Verbo è riservata allo Spirito un'opera intensissima, appunto perché è lo Spirito di figliolanza. Segue, perciò, che non è immaginabile un vero apostolato cristiano avulso dell'impulso generatore del Padre, privo del soffio vivificante dello Spirito e fiorito al di fuori del seno verginale di Maria, Madre dell'Apostolo e di tutti i figli nel Figlio. Gli apostoli continueranno a diventare per l'apostolato grazie al dono dello Spirito impetrato nel Cenacolo accanto alla Madre di Gesù.

3. Gli apostoli cristiani, sono chiamati ad imitare il Cristo Apostolo, non già soltanto nel divenire, ma anche nell'esercizio attivo del loro apostolato.

L'apostolo modello che è Cristo, non si limita a rendere presente il Mandante in maniera soltanto morale. Va molto oltre.: "Chi vede me, dice il Cristo, vede anche il padre che mi ha mandato". La presenza del Padre non è metaforica. E' misteriosa, ma reale. Questa presenza sacramentale diventa così il paradigma dell'autentico apostolato cristiano.

L'Apostolato per antonomasia che è Cristo, non modula in termini approssimativi il messaggio del Padre. Esprime con esattezza il messaggio paterno, perché lui è personalmente la parola del Padre. Il Padre che gli ha affidato il suo messaggio, parla attraverso il suo Cristo, i suoi gesti, i suoi atti, la sua stessa presenza. Perfino i silenzi di Cristo sono parola eloquente del Padre. Una parola di fedeltà assoluta; perché è la vera e unica parola del Padre. Ed è perciò che Cristo può dire: "La mia parola non è mia, ma quella del Padre che mi ha inviato".

Non è il caso di insistere oltre. Bisogna adempiere l'apostolato imitando il Cristo che è Maestro incomparabile di apostoli. Alla sua scuola si impara che l'apostolato cristiano è squisitamente filiale, per nostra natura, efficienza e finalità.

CONCLUSIONE

1. Riempie di gioia il pensare che Cristo ha pregato per noi; che la sua preghiera è efficace; che la sua preghiera è pegno di fecondità dell'apostolato cristiano.

Data la assoluta fedeltà di Dio alle sue promesse, non c'è che un solo neo: la nostra eventuale incorrispondenza.

Mi si consenta, perciò, un breve accenno finale alla struttura della preghiera di Cristo, per renderci conto della nostra responsabilità e orientare convenientemente il nostro sforzo personale.

2. Alla sorgente dell'ecumenismo troviamo un approfondimento provvidenziale della preghiera di Cristo. Alcuni missionari evangelici radunati in assemblea mondiale, all'inizio del secolo, si resero conto che l'"ut mundus credat" è preceduto dal "sint unum". Cioè; che la fecondità apostolica in avanguardia è condizionata dell'unità dei cristiani in retroguardia. Logicamente tirarono la conclusione che, per potenziare la loro opera missionaria bisognava assicurare previamente l'unità ecclesiale. E fu così come venne alla luce quel particolare slancio di ricerca dell'unità che si chiama appunto "ecumenismo".

Occorre tuttavia completare l'esegesi. E' vero che il "sint unum ut mundus credat" mostra che l'unità condiziona la conversione (17,21). Ma due versetti prima appare un richiamo fontale alla santificazione: "sanctifico me ipsum ut sint et ipsi sanctificati" (17,19). Questo vuole dire che la stessa unità ecclesiale è condizionata dalla santità. Ed è perciò che Cristo si "santifica" perché i suoi "siano santi" affinché siano "una sola cosa" e così il mondo sia spinto all "conversione".

3. La meditazione sulla preghiera di Cristo ha messo in evidenza la dimensione cristiana dell'apostolicità in sintonia con le altre note della Chiesa. Resta chiaro che il processo apostolico prende le mosse dalla consacrazione di Cristo e della nostra santità.

Uniamoci, dunque, alla sua preghiera con affetto filiale; e ciò perché è rivolta al Padre. Dobbiamo elevarla con la certezza piena di essere esauditi; non soltanto perché la presenta il Pontefice Sommo, Cristo, ma anche perché Dio guarda noi come Padre e ci ama con infinita tenerezza nel suo Unigenito.

Il quale in missione salvifica si è fatto nostro Fratello...per la salvezza di tutti!

AMEN!