Domenico Cancian

PRESENTAZIONE DEL CONVEGNO

 

Con il 3° Convegno Internazionale aggiungiamo un altro anello alla catena che ci riporta fino all'Enciclica "Dives in Misericordia" di Giovanni Paolo II. E' utile, per orientarci, ripercorrere brevemente la storia che conduce a questi nostri tre giorni di riflessione.

1. 30.XI.1980. Giovanni Paolo II coglie di sorpresa il mondo cattolico e non, con un'Enciclica dal titolo "Dives in Misericordia", giudicata subito di taglio spiritualistico, quasi una lunga predica, un'esortazione moraleggiante. Tanto che la stampa laica l'ha quasi ignorata.

R. Manzini scriveva: "Misericordia. Una parola oggi inedita, remota, inusitata: quando mai la incontriamo nei giornali, nel commento politico, nel giudizio su chi sbaglia, nei progetti di società che si vorrebbero e si sognano precise come orologi, e dove invece l'uomo è sacrificato allo schema che diventa il suo carcere?" (Avvenire, 4 Dic 1980,p.9; si legga anche S. MAGGIOLINI, Avvenire, 13 Feb 1981).

La cultura del nostro tempo rifiuta la misericordia, vuole un uomo autosufficiente e spietatamente giusto, non chiede pietà e non ne concede.

Il Papa pone lì, tentando una rapida sintesi, tre grandi affermazioni:

1.1 Il cuore della Rivelazione cristiana, la molla e l'anima della storia della salvezza, è l'Amore gratuito, assoluto e incondizionato del Dio ricco di misericordia. Gesù nell'amare preferibilmente il povero, il bambino, la vedova, il peccatore, il comune pescatore invece del dottore, ossia la gente meno interessante, ci offre la legge del suo comportamento preferenziale: egli ama per primo coloro che sono i poveri e gli emarginati di sempre. Questa è l'essenziale novità evangelica siglata sulla croce, risultante vincente nella Risurrezione, data ai discepoli come suo testamento. Gesù riceve come primi visitatori dei poveri pastori, accetta la compagnia dei peccatori e li frequenta, se ne ritorna al Padre insieme ad un ladrone. Chi vuol essere suo discepolo è invitato a superare le calcolate domande "quanto e come devo amare?" per accettare invece con estrema semplicità il "fino alla fine" o il "settanta volte sette".

1.2 La chiesa e il cristiano sono segno di realtà nuove, sono terra nuova, nella misura in cui instaurano rapporti di amore e di misericordia. Questa è la forza che rivoluziona e converte l'uomo dal di dentro e fa nascere la società nuova. E' la forza travolgente del comandamento dell'amore cristiano.

1.3 Il Cristo dunque, e coloro che fanno come Lui, rompono il circolo vizioso della storia umana fondata nel principio - quando va bene - della giustizia distributiva, che dà in modo calcolato a ciascuno il suo, dimenticando che si può morire di noia e non senso, anche in mezzo a tutte quante le proprie cose.

Il bisogno di essere amati è ampiamente dimostrato; e di essere amati non per "giustizia" solamente, ma per attenzione all'uomo così come si presenta dinanzi a me prima di ogni determinazione: così, nella nudità del suo sguardo senza difese, luce riflessa di Colui che tutti ama.

Gli stessi animali preferiscono patire la fame ed avvicinarsi ad un oggetto che ha le sembianze di una possibile loro mamma senza ricevere alcun nutrimento, piuttosto che andare a bere il latte messo in un recipiente (Cf. J.BOWLBY, L'attaccamento alla madre, Boringhieri, 1972, pp 257-284). Assieme al bisogno del cibo e più ancora, vi è quello dell'accettazione, della sicurezza e del calore umano. In queste condizioni l'uomo impara a sorridere, parlare, camminare.

Il Papa ripete: la giustizia da sola non basta... se non è sostenuta e animata dall'amore. E qui ne è prova l'affermazione degli scienziati a proposito della pace nel mondo. "La scelta tra tecnologia di pace e tecnologia di guerra non è di natura scientifica, ma culturale. La cultura dell'amore produce utensili di pace. La cultura dell'odio produce strumenti di guerra" (Cf. "Il Manifesto di Erice sulla scienza, la tecnica e la pace", Il Tempo, 15 gen 1983, p. 19).

2. La famiglia dell'Amore Misericordioso esulta per questo autorevolissimo Documento del Papa perché vi legge lo svolgimento del proprio carisma. Perciò si è fatta subito carico di istituire una serie di Convegni Internazionali per approfondire la tematica.

2.1 Il 1° dal titolo "Prima Lettura della Dives in Misericordia" ebbe luogo dal 26 al 29 Novembre 1981, esattamente a un anno di distanza dalla pubblicazione dell'Enciclica. E qui una grossa sorpresa: lo stesso Giovanni Paolo II visitò Collevalenza il 22 Novembre.

I suoi interventi dovevano ritenersi come l'introduzione d'eccezione al Convegno, un fuori programma del tutto unico. Ebbe a dire: "Fin dall'inizio del mio Ministero nella Sede di S.Pietro a Roma, ritenevo questo messaggio come mio particolare compito" (Cf. Atti del Convegno, vol I, p. 20).

Al Convegno intervennero una ventina di ben noti relatori e collaboratori: fecero una lettura panoramica, una ricognizione dei temi principali svolti dall'Enciclica. Meritava davvero raccogliere tutto questo materiale in un volume, uscito nel Marzo 1982 e ancora disponibile per chi voglia avere un commento qualificato della "Dives in Misericordia".

2.2 24-27 Agosto 1982: 2° Convegno Internazionale dal titolo: "Il Mistero del Padre". "Al centro vi è l'affermazione, come riscoperta e ripulita da non poche ambiguità, che, secondo la rivelazione cristiana, Dio è anzitutto ed essenzialmente Padre, tutto Padre e Padre di tutti" (Cf. Il Mistero del Padre, Collevalenza 1983, p. 5).

Non poteva non rimbalzare l'altra faccia della stessa medaglia: la nostra condizione filiale. Questa costituisce l'esperienza fondamentale (creaturale) della dignità umana matura, libera e responsabile di un destino, capace d'interpretare bene i valori e i limiti dell'uomo.

Anche qui più di una ventina tra relatori e collaboratori di ben chiara fama hanno scandagliato questo tema sotto il profilo biblico (il Padre materno), psicologico, filosofico, sociologico (una società senza padre), teologico. Gli Atti che raccolgono tutti questi contributi sono pubblicati nel volume: "Il Mistero del Padre", stampato nell'Aprile 1983.

2.3 Ed ora il 3° Convegno Internazionale dal titolo: "Prossimità ed estraneità". Le ragioni che motivano questa riflessione sono in stretto parallelo con quelle del Convegno precedente.

Ritrovato il volto Personale e Trascendente del Padre, l'uomo ritrova se stesso come figlio. La Parabola del Figliol Prodigo stringe il Padre e il figlio in un abbraccio nel quale questi, incamminandosi verso la casa di suo padre, riscopre pienamente la sua dignità di figlio. E, allo stesso tempo, ritrova anche il fratello. In effetti il padre si rivolge al figlio maggiore con queste parole: "Bisognava far festa e rallegrarsi perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato" (Lc 15,32). Con questo siamo stimolati a leggere l'altra parabola: quella del buon samaritano (Lc 10,29-37). Qual'è il rapporto che intercorre tra i figli di questo Padre misericordioso? Siamo avvicinati (prossimi = i più vicini) o allontanati (estranei = gente che non si riconosce)?

3. E innegabile la solitudine dell'uomo contemporaneo. Ci si chiede: non sarà forse la conseguenza dell'aver tagliato i ponti con il Padre e con l'uomo suo figlio, nostro prossimo/fratello?

Ne è venuta fuori una sofisticata problematicizzazione della paternità-maternità, dell'uomo-donna, della classe-partito: comunque senza più amici e fratelli con cui dialogare serenamente, senza paure e senza sfiducia. E l'uomo che sta lì in mezzo alla strada (leggi drogato, vecchio, malato, alcolizzato, disoccupato, handicappato...): chi si ferma a soccorrerlo? Per non parlare del povero che muore di fame, degli oppressi dalle ingiustizie organizzate, di chi è eliminato prima di venire alla luce, di chi non ha speranza ecc.

L'uomo sembra essersi barricato nella sua propria casa (quelli che ce l'hanno), lì triste, sempre pronto a reclamare con rabbia i propri diritti per migliorare il proprio benessere, senza chiedersi con altrettanta forza" e il mio prossimo?". Se mi rendo estraneo e indifferente, se l'altro lo evito girando al largo (ho già troppi problemi per me!), allora nasce la paura che si ripercuote inevitabilmente su di me: ma allora che senso ha la mia stessa vita in mezzo al dilagare dell'estraneità fino all'emarginazione, dell'odio fino al terrorismo, della vendetta organizzata, dello sfruttamento e della sopraffazione? Non posso evitare l'angoscia che come una cappa di piombo minaccia la mia esistenza. Siamo così ricondotti all'inizio: la vita nasce dall'amore e vive nell'amore; laddove non c'è amore non c'è possibilità di vita, si ricade nella paura e nella morte.

4. Il Convegno intende raccogliere queste domande che salgono dalla nostra situazione culturale e dalla semplice lettura del Vangelo di Gesù. Nella distinzione degli approcci disciplinari (teologico, biblico, filosofico, psicologico, morale, sociologico) vuole tentare di offrire una risposta articolata, competente e unitaria.

Come nei precedenti, anche in questa adottiamo una modalità di svolgimento che prevede, accanto al rigore della ricerca con le sue autorevoli riflessioni, il calore della testimonianza e dell'impegno fattivo di chi paga di tasca propria la coraggiosa prossimità.

L'invito rivolto dalla famiglia dell'Amore Misericordioso ai lettori degli Atti, e ' di riscoprire e di rigustare la stupenda ricchezza del Mistero della Prossimità Evangelica nell'inscindibile trinomio che lega insieme Padre, figlio e fratello.

Si stabilisce qui un'autentica reciprocità di relazione nei quali il Padre ama per primo con la forza dirompente del suo Amore fontale e chi lo riceve viene generato a figlio, alla condizione che riceva continuamente tale Amore ("rimanete nel mio amore", Gv 15,9), ridonandolo a propria volta al suo prossimo. Ed ancora: il prossimo che riceve l'amore del Padre e del fratello è spinto ad approfondire la sua relazione con l'uno e con l'altro. Le relazioni si intrecciano sul piano umano e su quello divino: nasce la civiltà dell'amore che supera finalmente la chiusura egoistica o la sterile compassione.

La nostra vita viene interpretata nelle sue radici più profonde

Per questo, oltre alla riflessione critica e all'ascolto delle concrete testimonianze, invitiamo alla preghiera come esperienza squisitamente religiosa che, particolarmente in questo santuario, può farci percepire le dimensioni dell'amore divino (cf Ef 3, 18s).

5. Mi sia infine consentito terminare con un doveroso omaggio alla carissima Madre Speranza, Fondatrice di un'Opera che ha molto a che fare con tutto questo. L'anno scorso era qui: ora è presente nell'amore eterno per il quale ha speso tutta la sua vita. Scrisse così:

"Teniamo a mente che quelli che soffrono attendono il nostro conforto, attendono anzi che ci facciamo partecipi delle loro sofferenze.

Lo stesso ci chiede l'amore verso il Signore Gesù. Quando incontrerete un uomo sotto il dolore fisico o morale, non dategli un aiuto o un consiglio senza avergli prima dato uno sguardo di vera compassione ("una mirada compasiva"). Il mondo si allontana da quelli che piangono e costoro cercano l'isolamento pur sentendo la necessità di sfogarsi. Noi dobbiamo far si che la nostra amicizia sia per essi tavola di Salvezza. Per questo è necessario comprenderli, sentire con loro ("sentir con ellos") e simpatizzare con loro. Se hanno la giusta sensazione della nostra vera compassione, già li vedremo consolati e il nostro atteggiamento sarà un balsamo per le loro ferite" (Cf Madre Speranza di Gesù, La Perfección de la vida religiosa, Collevalenza 1967, p. 7).