Calisto Vendrame

IL PROSSIMO MALATO
(Una lettura camilliana della parabola del buon samaritano)

1. Introduzione

Ho accettato con piacere di portare a questo Convegno, che si svolge nel Santuario dell'Amore Misericordioso e sullo sfondo della parabola del buon samaritano, la testimonianza di S. Camillo e dell'Ordine da lui istituito per il servizio al "prossimo malato". Il breve scambio col Superiore Generale della Congregazione dei Figli dell'Amore Misericordioso e con il P. Cancian, Consigliere generale della stessa Congregazione, ci ha fatto sentire immediatamente in sintonia, sulla stessa lunghezza d'onda che ha come fonte il cuore di Cristo e come espressione insuperabile la parabola del buon samaritano.

Camillo infatti ha avuto un insigne dono di amore di misericordia verso il malato, e la sua prima biografia(stesa da un suo Confratello suo contemporaneo, la celebre "Vita manoscritta" del P. Sanzio Cicatelli, e stampata per la prima volta tre anni fa) ci offre come introduzione il sunto e una gustosa applicazione a Camillo della parabola del buon samaritano:

"Questo così notabile e meraviglioso esempio di charità

(se pur lecito mi sia di tal comparatione servirmi senza

alcuna minima nota degl'altri huomini santi) par che si

possa propriamente al nostro P. Camillo applicare. Poi

che per l'huomo in mano de' ladroni capitato, e nella

strada semivivo relitto per chi meglio intender si potrà

che per li poveri Infermi così ne gl'Hospidali, come

nelle proprie case abbandonati? Di modo che essendo fin

dal principio della Chiesa per la strada di questa

presente vita non solo uno, ma molti Sacerdoti, e Leviti

passati, cioè molti huomini Santi, e gran servi d'Iddio

fondatori d'altre Religioni c'havendo tutti in altr'opere

sante le loro Regole et instituti indrizzati, mai alcuno

non pigliò sopra di se per instituto principale, et per

voto l'aiuto di detti poveri infermi, agonizanti, et dalla

pestilenza feriti. Alfine passando di qua giù per

misericordia d'Iddio il pietoso samaritano (che senza

dubbio possiamo dire essere stato Camillo) huomo prima

del mondo, convertito poi al Signore, vedendo detti

poveri languenti mosso à compassione di loro se gl'accostò,

e medicò pigliando sopra di se il peso d'agiutarli et di

servirgli".

Alla fine, nel suo ritorno, il Samaritano è identificato con Cristo che nel giorno del giudizio viene a premiare "coloro che sono stati misericordiosi. Dicendo: Io era infermo e voi m'havete visitato, venete benedetti del Padre mio..." (Vita manoscritta, edizione 1980, pag. 33,34).

2. Due poli

Abbiamo in questa introduzione del Cicatelli due modi per i quali il malato diventa nostro prossimo: quando è accostato con amore alla maniera del samaritano (cioè alla maniera di Cristo), e quando è avvicinato come ci si avvicina a Cristo.

Ecco i due poli di tutta la spiritualità di S. Camillo e dei suoi religiosi: identificarsi con Cristo nel suo atteggiamento di buon samaritano che si lascia guidare dall'amore misericordioso verso l'infermo, e servire l'infermo come si serve a Cristo che ha voluto identificarsi con lui.

In sintonia con questa visione evangelica, la nostra Costituzione afferma - da una parte - che l'Ordine dei Ministri degli Infermi ha ricevuto da Dio il dono di "testimoniare nel mondo la presenza perenne della carità di Cristo verso gli infermi" (Cost. 1), per continuare nel tempo e nello spazio la missione di Gesù che andava attorno per tutte le città e villaggi... predicando la buona novella del regno e sanando ogni malattia e ogni infermità (cf. Cost. 4; Mt. 9,35), adempiendo così il suo mandato di unire alla predicazione del Regno la cura dei malati: "Curate i malati e dite loro: sta per venire a voi il Regno di Dio (Lc. 10, 9).

D'altra parte, la Costituzione dell'Ordine afferma che servendo il malato noi serviamo Cristo stesso che ha detto: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt. 25, 40). In questa presenza di Cristo negli infermi e in noi che nel suo nome ci mettiamo al loro servizio, troviamo la sorgente della nostra spiritualità (cf. Cost. 13).

3. Il malato è un lontano che diventa nostro prossimo quando noi ci avviciniamo a lui con amore

A nessun lettore attento passa inosservato il capovolgimento dei termini della questione nella reimposta che Gesù dà al dottore della legge. Alla domanda: "Chi è il mio prossimo?", Gesù replica con un'altra domanda cui risposta emerge chiara dalla parabola: "Chi dei tre si è fatto prossimo dell'uomo caduto nelle mani dei briganti?".

Molti sono gli studi e le ricerche che intendono stabilire in che misura l'evangelista si sia accorto del rovesciamento della questione o se l'abbia intenzionalmente voluto. Comunque sia, il fatto certo è che Cristo non si lascia coinvolgere in discussioni accademiche che non hanno senso per chi ha amore. La sua reimposta - interpellanza va oltre le preoccupazioni giuridiche e i calcoli interessanti.

Il malato è un lontano...

L'uomo che si ammala soffre uno strappo nel suo essere profondo che lo porta lontano da tutti e persino da se stesso. Egli sente più fortemente questa lontananza psicologica che la distanza fisica.

La prima costatazione che il malato fa è quella della rottura della sua unità soggettiva. Quando era sano non sentiva il peso della corporeità; tutto il suo essere obbediva all'impulso della sua volontà. Ora sente che qualcosa lo ferma, le membra già non gli obbediscono, sente il corpo come qualcosa di distinto dal suo io, si sente diviso.

Questa rottura soggettiva è aggravata dalla crisi di comunicazione con gli altri. Immobilizzato, lontano dal suo ambiente, in posizione di inferiorità, il malato sente che il mondo si allontana e lo lascia solo. Anche coloro che vengono a visitarlo non lo capiscono, non riescono ed entrare nel suo mondo di interessi piccoli ma che per lui sono diventati importanti, quasi gli unici. Con l'avanzare della malattia si sente in tutto e per tutto dipendente dagli altri, consegnato a mani di persone sconosciute senza le quali non può provvedere nemmeno ai suoi bisogni più intimi.

Il suo rapporto con gli altri è profondamente alterato. La dipendenza assoluta, la penosa sensazione di essere di peso, lo portano facilmente a ripiegarsi su se stesso in atteggiamenti di chiusura e ostilità che impediscono al comunicazione e possono rendere più difficile il dialogo con Dio.

Ecco l'uomo ferito, per il quale il Signore ha avuto una cura tutta speciale. Le pagine del Vangelo ci presentano Gesù sempre circondato da malati d'ogni genere. Quando si tratta di malati immobilizzati, lui stesso va a trovarli. Anzi la visita ai malati costituisce parte essenziale della missione della Chiesa, forse anche perché chi è malato è il più bisognoso di aiuto e il più incapace di farsi prossimo di chi lo può aiutare. E' come un prigioniero che deve essere visitato, e con il quale pure si identifica il Signore (cf. Mt. 25, 36. 43).

... che diventa prossimo

La parabola del buon samaritano costituisce uno stupendo insegnamento di come il malato diventa nostro prossimo, o come noi diventiamo prossimi del malato. In fondo è l'amore di misericordia che crea la prossimità. Soltanto chi ha amore può fare quanto fece il samaritano: i suoi atti sgorgano da un cuore che si è aperto all'amore.

E' a partire da questa disponibilità preliminare che gli atti posti dal samaritano, anche se all'inizio apparentemente simili a quelli degli uomini del tempio, hanno preso una direzione opposta. Anche lui si era messo in viaggio come il sacerdote e il levita ma, mentre questi partivano come funzionari del culto, forse verso le loro case o proprietà presso Gerico, con programmi chiusi, senza spazio per l'imprevisto imprevedibile di Dio, il samaritano è aperto ai segni di Dio che parla anche fuori dal tempio, nel cuore della vita, nelle persone in cui ci imbattiamo sulla nostra strada.

Perciò, anche se vedono la stessa cosa, il vedere del samaritano è diverso. In quella realtà lui capta un segno che trova riscontro nella sua realtà interiore, e si commuove (splanchnizomai = visceribus moveor), sente compassione, cosa impossibile a chi si è protetto e ha soffocato la voce interiore con la siepe delle prescrizioni legali e ritualistiche. Nel vedere del samaritano c'è un ascolto empatico di quell'uomo semi-morto, e questo ascolto fa scattare dentro di sé un'altra legge, la legge della nuova alleanza che ha una logica tutta sua, creativa, sorprendente perché viene dallo Spirito.

Gli uomini del tempio perseguivano una santità misurata sulla dottrina e la disciplina, sul lecito e l'illecito, su quanto era prescritto per ogni caso e sulle relative interpretazioni dei dottori della legge. Le preoccupazioni giuridiche ritualistiche li avevano resi insensibili ai problemi umani, dinanzi a un uomo bisognoso di aiuto, il loro primo pensiero era cosa fosse lecito o prescritto in quel caso.

Il samaritano si mette in ascolto, perché il suo primo pensiero è: di che cosa ha bisogno quest'uomo, cosa vuole che io faccia per lui? Così, mentre gli uomini della legge facendo ciò che era prescritto facevano ciò che volevano, il buon samaritano facendo ciò che voleva, guidato dall'amore ha fatto ciò che doveva.

4. Dalla compassione all'azione

La compassione per essere vera deve tradursi in atti.

Il primo movimento dell'amore è avvicinare le persone. Mentre gli uomini del tempio si scostano, il samaritano si avvicina e agisce: versa olio e vino sulle ferite, gliele fascia, lo carica sul suo asino (che diventa ambulanza), lo porta al miglior posto per essere ulteriormente curato (non nella sua clinica privata), fa tutto il possibile per aiutarlo, paga per lui e promette di tornare. Quel malato è diventato già suo prossimo, uno della sua famiglia, un suo fratello.

Nella metodologia di questa trasformazione, c'è l'insistenza sul "fare". Già nella prima domanda il dottore della legge aveva chiesto: "Cosa devo fare per avere la vita eterna?". E Gesù risponde: "Fai questo e vivrai".

Il dottore vuole conoscere - e insegnare - e Gesù gli mostra la via: fai. Quando non si è pronti a fare, si trovano sempre difficoltà di applicazione. Il grande dilemma per quel dottore era di sapere esattamente chi era il prossimo avente diritto all'amore; e non si accorgeva che il vero problema era la mancanza di amore. Chi ha amore, sa cosa fare e come farlo, e non ha difficoltà a scoprire a chi lo deve fare. E' proprio il caso di dire che "chi sa fa e chi non sa insegna".

Dove finisce l'amore comincia la legge, e quando la legge non è osservata per mancanza d'amore, si moltiplicano le prescrizioni e le spiegazioni. Così gli uomini della legge possono continuare santamente con fedeltà alla dottrina e alla disciplina il loro servizio a Dio nel tempio, mentre l'uomo muore sulla strada.

5. Il commento di Camillo

Possiamo dire che tutta la vita di S.Camillo è un commento vivo della parabola del buon samaritano. C'è stato però bisogno della conversione.

Molte volte e per molto tempo Camillo aveva incontrato persone ferite e malate, aveva vissuto con loro nell'ospedale S.Giacomo di Roma, fu persino incaricato di assisterle. Eppure non le aveva mai viste con amore, non le aveva ascoltate, non le aveva sentite prossime. Fu soltanto quando scoprì Dio, che Camillo si accorse dell'uomo.

Sulla strada di Manfredonia, mentre rifletteva sulle parole suggeritegli da un sacerdote (del nuovo Testamento!), Camillo si sentì avvolto dalla tenerezza di Dio e si fece luce nel suo spirito. In un momento comprese quello che molti grandi e saggi di questo mondo non capiranno mai. Da quel momento diventò "l'uomo eletto da Dio per servire i malati e per insegnare come servirli".

L'irruzione di Camillo nel campo della salute fu veramente rivoluzionaria, in un'epoca in cui la cristianità sembrava aver dimenticato che il secondo comandamento è simile al primo. Chi entrava in un ospedale di Roma difficilmente si accorgeva che era amministrato da coloro che avevano ricevuto la missione di continuare l'opera del buon samaritano.

E i risultati stavano alla vista di tutti. Tra i 10mila ammalati ricoverati all'ospedale S.Spirito di Roma negli anni 1549-50, avvennero 9.028 decessi. Vuol dire che soltanto 972 su 10mila (lo 0,72%) uscirono vivi e, forse, anche guariti. Le cause di tale mortalità incredibilmente elevata vengono così indicate dalla commissione d'inchiesta ordinata dalle autorità:

- eccessivo ritardo nel ricovero,

- deficienza della scienza medica,

- malnutrizione,

- inettitudine scandalosa degli assistenti.

Forse la quarta causa era all'origine di tutte le altre.

Convertitosi alla vera conoscenza di Dio e messosi al servizio dell'uomo, alla scuola del buon samaritano, Camillo si sentì sfidato da tale situazione e si buttò corpo e anima a servire gli ammalati riconoscendo in essi le persone più bisognose e abbandonate, più lontane e sole nella loro sventura.

All'inizio Camillo lottò da solo, come un leone, per migliorare la "scandalosa inettitudine degli assistenti". Nominato maestro di casa all'ospedale S.Giacomo, si sentiva in dovere di ricorrere alla legge per obbligare gli operatori sanitari a compiere il loro dovere verso gli infermi, avvalendosi persino di precettazioni, costrizioni, punizioni e stratagemmi, con i risultati che tutti sappiamo.

Ma in una notte di luce, mentre accudiva da solo al gemito dei più gravi, capì che sarebbe stato impossibile ottenere dagli altri che facessero come lui, se non avevano la visione che lui aveva. Di qui scattò la soluzione, sorta come un'ispirazione dallo Spirito: riunire coloro che avevano la sua stessa visione della realtà, una visione illuminata dalla fede e animata dall'amore. Ne trovò subito cinque, "uomini pii e da bene", che la pensavano come lui e che lavoravano nello stesso ospedale, ma isolati, schiacciati dall'indifferenza e dall'individualismo generali.

Riuniti intorno a Cristo crocifisso e alla sua Parola, hanno scoperto la loro forza e subito si sono messi al lavoro con entusiasmo e speranza.

Prima di quanto si aspettassero, decine e centinaia di giovani generosi si sono uniti a loro ingaggiandosi con tanto entusiasmo e gioia al servizio di ogni sorta di malati, così da abbandonare ogni altra cosa, rinunciando persino a formarsi una propria famiglia e a costruirsi un proprio futuro. Da quel momento la loro vita, il loro futuro diventava servire i malati per amore di Dio e con tenerezza di madre. Erano anzi convinti di servire il proprio Cristo nella persona degli infermi. Il letto dei malati diventava per essi una specie di altare intorno al quale si svolgeva la liturgia del servizio più attento e gioioso.

Il programma di questi primi volontari per la salute dei malati veniva fissato in pochi minuti da Camillo, nelle prime "Regole della Compagnia dei Servi degli Infermi":

- servire i malati per amore di Dio,

- gratuitamente,

- con la tenerezza che sogliono avere le madri verso il loro unico figlio infermo,

- ravvisando nel povero e nel malato la persona del Signore,

- lasciandosi guidare dalla suggestione dello Spirito Santo e

- con il massimo rispetto della libertà del paziente.

In pochi anni il gruppo di Camillo era presente presso l'ospedale di S.Spirito in Roma, al Pammatone di Genova, alla Ca'Granda di Milano, a Napoli, Palermo: in tutta Italia, ovunque ci fossero malati da servire, feriti da curare, dove infieriva la peste, dove imperversava la guerra. Là dove altri fuggivano, essi andavano, si facevano prossimi, si mettevano a servire.

Gli annali ci riferiscono che, appena si ebbe sentore di peste a Milano, Camillo si mise in cammino con un gruppo di Confratelli. Per strada alcuni si sentivano in dovere di mettere in guardia questi incauti: Tornate indietro, perché a Milano c'è la peste". E Camillo rispondeva per tutti: "E' per questo che ci andiamo!".

Con l'intelligenza dell'amore, Camillo comprese profondamente l'uomo nella sua grandezza e nella sua fragilità, e mise sé e i suoi religiosi a servizio della persona inferma nella globalità del suo essere. Il malato, cioè la persona umana nel momento in cui più necessita di aiuto, diventa il centro attorno al quale si muove la comunità sanitaria e in funzione del quale tutto il resto funziona e si articola, a cominciare dalla stessa struttura ospedaliera. Camillo chiama con naturalezza i malati "nostri signori e padroni", perché ci dicono in nome di Dio come noi dobbiamo essere e cosa dobbiamo fare.

Con la sua capacità di capire l'uomo, Camillo ha avuto il merito di realizzare una riforma sanitaria puntando sulle persone più che sulle strutture. Poco serve infatti riformare leggi e strutture, se poi gli operatori sanitari vedono nell'ospedale un posto di lavoro per i sani, piuttosto che un luogo di cura per i malati.

6. Azione e contemplazione

Di cosa sia capace un uomo quando scopre la "preziosa margherita della carità", lo ha detto Camillo, non con le parole ma con i fatti. Camillo si avvicinava ai malati come ci si avvicina a Dio. Per lui non c'era differenza fra sacro e profano, fra tempio e strada, fra chiesa e ospedale, fra culto e Dio e servizio all'uomo. Dove c'è malato lì c'è Dio e quello diventa luogo di celebrazione. Tanta era questa fede che a volte, piuttosto che ascoltare la confessione del paziente, era lui a chiedergli perdono dei suoi peccati. Altre volte fu visto in estasi dinnanzi al Cristo presente nell'infermo.

Non si tratta di una convinzione soltanto a livello intellettuale. E' una visione interiore, un'esperienza vitale che coinvolge tutto il suo essere, il suo cuore, la sua sensibilità. In questa luce, possiamo capire il suo atteggiamento verso ogni malato, come ce lo descrive uno fra i tanti testimoni oculari, il P. Pelliccioni:

"...non posso restar d'ammirarmi di questo, che non mi si può

levar da la mente, che quando si metteva intorno ad un'ammalato,

sembrava veramente una gallina sopra i suoi pulcini, ò vero una

madre intorno al letto del suo proprio figlio infermo. Poiché

come se non havessero sodisfatto all'affetto suo le braccia, e

le mani, per lo più si vedeva incurvato, e piegato sopra

l'infermo, quasi che volesse co'l cuore, e co'l fiato, e con

lo spirito porgergli quell'aiuto che bisognava. E prima che

partisse da quel letto, cento volte andava tastando il capezzale

e le coperte da capo, dà piedi, e dà fianchi : e come s e fosse

trattenuto, ò tirato da una invisibile calamita, pareva che non

trovasse la via di distaccarsene, molte volte andando, e tornando

dall'una all'altra parte del letto, dubitando et interrogandolo

se stava bene, se bisognava altro, ricordandogli qualche cosa

appartenente alla salute.

Non sò come meglio si poteva rappresentare la servitù e l'affetto

d'una madre molto pietosa intorno all'unico figlio, che si

trovasse gravemente ammalato. E chi non havesse alhora conosciuto

il Padre, non haverebbe giudicato, ch'egli fosse andato

all'Hospidale per servire indifferentemente à tutti gli ammalati;

ma per quel solo, come se fosse molto cara, e di grande

interesse, la vita di quel poverino, e come se non havesse havuto

al Mondo altro pensiero" (Vita manoscritta, edizione 1980, p.436).

E potremo capire anche le sue reazioni insolite, come la risposta

data al Monsignore direttore dell'ospedale S. Spirito, che aveva

mandato a chiamarlo mentre Camillo era intento a servire un

malato: "Dite a Monsignore ch'io sto occupato con Gesù Cristo: ma

come avrò finita la carità, sarò da sua signoria illustrissima".

7. Il malato oggi

Non è detto che dopo quattro secoli di storia, da quando S. Camillo creò una "nuova scuola di carità" (come ebbe a dire Benedetto XIV), la situazione del malato sia sostanzialmente cambiata.

Nel mondo industriale sono cambiate le strutture, la scienza medica ha fatto salti di qualità, si sono prodotte buone legislazioni, i ricoveri diventano a volte anche troppo frettolosi e l'alimentazione fin troppo abbondante... eppure si muore ancora di mancanza di amore. Sono più che mai attuali le parole di Camillo: "Un bravo infermiere ne può valere mille e mille non valerne uno", perché ci vuole "più cuore nelle mani".

Per uno strano convincimento generale della società, il malato è sempre l'altro, uno, che non ci riguarda, che non deve disturbarci, dal quale è bene mantenersi lontani. Purtroppo anche nella Chiesa non si è ancora del tutto consapevoli che il malato, chiunque esso sia, va decisamente avvicinato, con amore e competenza. Una volta reso prossimo, il paziente diventa un ponte di collegamento con tutto un mondo di persone lontane che cercano luce.

L'ospedale, con tutti i suoi limiti, è pur sempre crocevia dell'umanità. Qui si scontrano scienza e fede, ideologie e realtà, Chiesa e mondo. Rendendo il malato suo prossimo, la Chiesa si assicura la presenza e la testimonianza in mezzo a questa società minata alla base dell'economicismo strisciante, dove solo l'amore autentico e gratuito può rendersi credibile.

Ma se nella città industriale, nonostante il progresso scientifico, il malato soffre e muore di disumanizzazione, il malato del terzo mondo (malgrado la buona volontà di molti) continua a soffrire e morire per mancanza di tecniche e strutture che sarebbero disponibili anche per lui, se ci fosse più volontà politica di sviluppare e condividere messi di vita e di salute, piuttosto che produrre ed esportare mezzi di distruzione e di morte. Ogni giorno migliaia di fratelli e di sorelle muoiono ancora di fame e di malattie banali da molto vinte dalla scienza medica.

Questa triste realtà potrà cessare quando sorgeranno molti samaritani capaci di farsi prossimi dei malati anche oltre i confini della Samaria.