Giovanni Cereti

L'ALTRO DAL PUNTO DI VISTA RELIGIOSO

 

I. Chi è prossimo sul piano religioso

1) Il Samaritano, "altro" dal punto di vista religioso, vero prossimo dal punto di vista di Gesù

La parabola del Buon Samaritano, sulla quale abbiamo tanto meditato in questi giorni, ci propone come esempio di uomo misericordioso e da imitare, per poter giungere alla vita eterna, non un membro attivo e praticante del popolo di Dio, come erano il sacerdote ed il levita, appartenenti alla stessa comunità religiosa di Gesù e dei suoi ascoltatori, ed anzi con posizioni di responsabilità in essa, ma proprio una persona proveniente da una comunità considerata eretica e deviante, e per la quale l'ebreo medio nutriva profonda avversione e diffidenza soprattutto per motivi religiosi, come era quella dei samaritani. Quasi come se Gesù, predicando oggi, ci dicesse che dei cattolici praticanti e forse persino dei religiosi non si sono fermati a prestare soccorso a chi era in necessità, ma che a farlo è stato un testimone di Geova o un musulmano.

Questo punto, già sottolineato ieri nell'intervento di mons. Teissier merita di essere approfondito. All'epoca di Gesú, secondo quanto rileviamo da alcuni scritti rabbinici, il termine "prossimo" nel mondo ebraico sembra dovesse essere riservato agli altri ebrei ed ai proseliti, mentre non poteva essere impiegato per indicare i pagani e soprattutto i samaritani, anche se come sappiamo l'unità del genere umano e il dovere di solidarietà verso tutti gli uomini erano chiaramente insegnati nelle scritture ebraiche.

Dicendoci che quel samaritano si era comportato da prossimo autentico per l'uomo incappato nei briganti, Gesù vuole probabilmente insegnarci che se c'è una estraneità sul piano religioso essa non riguarda coloro che appartengono ad altre fedi religiose, ma caso mai coloro che vivono la loro fede e la loro pratica religiosa in maniera superficiale e formalistica; o forse ancora meglio che non esiste una motivazione religiosa che possa portare ad escludere qualcuno dal novero del proprio prossimo e che la carità, dono di Dio, come ancora ricordava mons. Teissier può essere da Dio donata a chi vuole, a qualsiasi religione appartenga.

L'insegnamento di questa parabola, che ci presenta come "prossimo" a causa della sua azione misericordiosa, qualcuno che sarebbe stato da considerare "estraneo" dal punto di vista religioso, è molto importante per noi, che ci riconosciamo come membra dell'unico popolo di Dio, e che continuiamo ad interrogarci sulla salvezza dei non cristiani o sul ruolo delle altre religioni nella storia della salvezza dell'umanità. E questo insegnamento è particolarmente attuale, perché nella nostra società, anche italiana, il problema dei rapporti con i membri delle altre comunità religiose si pone con una nuova urgenza, a causa del venir meno di una omogeneità cristiana che in passato si presentava come monolitica, e della accresciuta presenza nel nostro paese, a causa di turismo, di studio, di lavoro, di un numero sempre maggiore di appartenenti ad altre religioni. Si può anzi dire che nel nostro mondo occidentale, superato il principio "cujus regio ejus et religio", che aveva contribuito a conservare l'unità religiosa, anche grazie al ricorso agli strumenti del potere politico, si moltiplica non solo la presenza di membri delle altre grandi religioni, ma soprattutto il proselitismo delle più diverse sette e movimenti religiosi, e tale proselitismo non manca di provocarci e di indisporci: anche se fortunatamente sono stati superati quegli atteggiamenti del passato, che tanto spesso portavano, non solo a una rigida separazione ed a tensioni fra le comunità religiose, ma a veri e propri conflitti.

2) Quando siamo prossimi agli altri, siamo prossimi a Dio

Il tema del nostro convegno è, 'prossimità ed estraneità'. Alla domanda su chi sia stato prossimo, la parabola ci ha risposto dunque che proprio una persona proveniente da un'altra comunità religiosa si è comportata come autentico prossimo. Ciò significa, in altre parole, che Gesù vuole invitarci a non guardare in primo luogo all'apparenza religiosa delle persone, quanto a quello che è il comportamento, innanzitutto sul piano dei rapporti con gli altri, che rivela se esiste o no un vero amore e comunione con Dio.

Questa conclusione, suggerita dalla nostra parabola, è conforme al messaggio di tutto il nuovo testamento. Gesù invita costantemente a non guardare a una professione di fede che può essere puramente verbale, ma a giudicare sempre l'albero dai suoi frutti.

"Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome? e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, operatori di iniquità" (Mt 721-23).

Il compiere la volontà di Dio crea la vera prossimità, la vera consanguineità spirituale, la vera familiarità con Gesù: "Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli: chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre" (Mt 12,49); "mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica" (Lc 8,21). La vera famiglia di Gesù è composta da coloro che vivono il comandamento dell'amore, e che sono capaci di mostrare la loro prossimità con lui, comportandosi come prossimo verso ogni altro uomo.

Nella presentazione del giudizio finale, Gesù infatti ci ammonisce che il giudizio verterà non tanto sull'ortodossia della fede o sull'appartenenza all'una o all'altra comunità religiosa, quanto sull'amore che sarà stato effettivamente vissuto: "venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito..." (Mt. 25,34-36). Tutti coloro che si sono lasciati raggiungere dall'amore misericordioso di Dio, che si estende a tutti gli uomini, ed hanno lasciato che questo amore impregnasse profondamente la loro vita e si traducesse quindi negli atti corrispondenti, fanno parte realmente del popolo di Dio: la loro capacità di essere 'prossimo' per gli altri, mostra che sono veramente e nello stesso tempo 'prossimi' a Dio.

3) Lo conversione religioso come conversione o uno vita nell'amore, del prossimo e di Dio

Le affermazioni dell'evangelo possono essere forse comprese ancora meglio, alla luce della riflessione contemporanea. Mi ispiro qui, anche se piuttosto liberamente, alle prospettive del gesuita americano Bernard Lonergan. Egli parla di quattro livelli nella struttura spirituale dell'essere umano: il livello dell'esperienza, e quelli della riflessione, del giudizio e della decisione. Quest'ultimo è il livello più alto, nel quale l'uomo sperimenta la propria libertà e diventa più pienamente persona, capace di agire nel mondo. Questi quattro livelli esistono evidentemente in ogni uomo, al di là di tutte le possibili differenze e di tutti i condizionamenti culturali, e dunque esistono nel credente come nell'ateo, e nell'uomo di ogni religione. In qualche modo, una tale descrizione della struttura della conoscenza umana corrisponde a quanto espone la Gaudium et Spes, al numero 15.

Il livello supremo di conoscenza e di esperienza spirituale per ogni uomo è il livello dell'esperienza religiosa: in esso si unifica tutta l'esperienza di una persona, l'io dello scienziato e l'io del credente si incontrano e si fondono assieme, ed è esso che è all'origine di tutto il nostro comportamento. Ad esso allude ancora la Gaudium et Spes, quando afferma che "la coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli si trova so Io con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria" (n. 16j.Ed è a questo li vello, il più alto possibile in una persona umana, che si realizza la definitiva decisione per Dio, e cioè la "conversione religiosa", quando questa è autentica. Conversione intellettuale (cambiamento nel modo di pensare, adesione ad una dottrina) e conversione morale (crescita delle singole virtù, anche in obbedienza alla 'religione'), costituiscono soltanto una preparazione alla piena conversione religiosa, che conduce l'uomo a vivere una vita nuova nello Spirito, completamente immerso nell'amore, abbandonato ed aperto al Trascendente.

Giungiamo a questo punto all'affermazione che più ci interessa per il discorso che stiamo facendo: questa nuova vita nell'amore, questo nuovo modo di essere che unifica tutta la nostra esistenza e guida tutti i nostri comportamenti, se ho inteso bene il pensiero del Lonergan, è la stessa per gli uomini 'religiosamente convertiti' di tutte le religioni. Nella nostra tradizione cristiana abbiamo in genere messo al primo posto la dottrina, e non vogliamo negare che essa abbia la sua importanza e che ogni fede religiosa, ed in particolare il cristianesimo, debba salvaguardare la propria identità. Gli orientali in genere hanno invece preferito mettere al primo posto l'esperienza religiosa, la spiritualità. Ora, a livello di esperienza religiosa (intendendo qui per 'esperienza' non più il primo livello di conoscenza, ma l'intero campo della nostra coscienza, con la piena presenza del soggetto a se stesso in ciascuna delle proprie operazioni), gli uomini vivono con piena coscienza personale il loro rapporto con l'Ultimo, sentono di essere attratti verso l'Infinito, di essere aperti ad una comunione illimitata con Colui che noi cristiani riconosciamo come il Tu divino. Questa esperienza religiosa può essere descritta, in termini generali, validi per ogni uomo, come "uno stato dinamico di vita nell'amore senza restrizioni". Un amore che pertanto è nello stesso tempo amore di Dio e dei fratelli, pienezza di comunione con D io e con tutto ciò che Egli ama. Il cristiano sa (e dunque confesserà) che questo stato è frutto della salvezza donataci da Dio, è vita in grazia. Ma egli sa anche che il dono che Dio fa del suo amore (Rm 5,5), raggiunge ogni uomo, al di là di tutte le barriere nazionali, culturali e religiose, anche se potrà essere definito in termini differenti, come per esempio 'abbandono a Dio' (e l'Islam vuole appunto essere 'abbandono in Dio'); oppure come un movimento verso il mistero trascendente, o al limite un orientamento verso il 'mistero sconosciuto'.

La mistica costituisce il vertice di tale esperienza. L'esperienza mistica si ritrova in tutte le religioni, e crediamo che conduca allo stesso unico Dio: anche se il mistico si esprimerà secondo le proprie categorie culturali e religiose, e parlerà di un rapporto Io-Tu con un Dio personale, qualora appartenga ad una delle grandi religioni monoteiste, mentre potrà forse lasciare non identificato e non formulato il suo oggetto, se proverrà da una comunità religiosa che non usa parlare di un Dio personale. In ogni caso, è comune ad ogni esperienza mistica sottolineare l'elemento di mistero, di sconosciuto, di inesprimibile, che caratterizza tale esperienza; quando infatti sopra si parlava di 'piena coscienza', non ci si riferiva ad una lucidità di comprensione intellettuale, che metta in grado di descrivere questa esperienza e di darle un nome, ma alla sua autenticità, come esperienza di fede, di amore, di apertura al Trascendente, di comunione universale.

"La decisione di abbandonarsi all'amore di Dio, di aprirsi al mistero trascendente, rappresenta il primo e il più fondamentale atto di fede. Esso rende possibile tutti gli altri atti di fede che sono, per esempio, l'adorazione, la preghiera, l'adesione alla parola di Dio trasmessa da una tradizione religiosa. Così quando un ebreo medita la Legge ed i Profeti, quando un cristiano accoglie la testimonianza dei vangeli, quando un musulmano ascolta le parole del Corano, il suo impegno nella propria tradizione pro lunga la sua precedente presa di posizione nei confronti del mistero trascendente: egli vuole cercare e conoscere maggiormente colui che Io affascina e lo attira" (1).

4) Verso un "ecumenismo veramente ecumenico"

Il discorso che abbiamo fatto evidentemente va al di là di quelli che sono i confini tradizionali dell'ecumenismo, che riguarda solo i cristiani battezzati e le chiese cristiane, per condurle alla piena comunione anche sul piano visibile. Esso si inscrive piuttosto nell'ambito di quello che è stato definito come un nuovo ecumenismo, un 'ecumenismo veramente ecumenico' (Panikkar), che ci consente di andare verso una nuova cattolicità'. Quell'unità nella diversità, quella 'diversità pienamente riconciliata', quella nuova comunità conciliare, verso la quale tende, sotto l'azione dello Spirito, il movimento ecumenico fra i cristiani, non guardando indietro ma avanti, ad un più profondo e nuovo punto di incontro, deve allargarsi ormai, al di là dei confini de! cristianesimo, agli uomini di tutte le religioni.

Per fare questo è però necessaria una nuova teologia delle religioni, una visione rinnovata dell'economia della salvezza, nella quale gli altri vedano riconosciuto un proprio posto: come quella cui accennava mons. Teissier, quando diceva che in Algeria non si tratta tanto di dare vita ad una chiesa algerina, quanto di contribuire a far crescere verso il Regno la comunità musulmana locale; o come quella che si delinea nel dialogo ebraico-cristiano, nel quale si riconosce che, abbandonato ogni indebito proselitismo reciproco, cristiani ed ebrei debbono camminare 'spalla a spalla' verso il Regno che viene, verso quel Messia che gli uni attendono nella sua prima venuta e gli altri nel suo ritorno glorioso.

Secondo la nostra fede cristiana, con Cristo sono iniziati i tempi messianici, i tempi ultimi, i tempi della riconciliazione universale; tutti i popoli sono salvati in Cristo, tutti sono chiamati a far parte della famiglia di Dio. Per questo è giustificata la prospettiva di questa nuova sinfonia di tutte le voci religiose, in un dialogo plurilaterale, ed in un nuovo impegno comune per realizzare insieme un'umanità più fraterna e pacifica.

II. Qualche conseguenza pratica

1) Si è realizzata in me un'autentica conversione religioso?

Perché io possa sentirmi più autenticamente prossimo a colui che è 'altro' dal punto di vista religioso, si esige innanzitutto che io stesso diventi autenticamente credente, che realizzi cioè quella 'conversione religiosa', quel vivere pienamente nell'amore, cui deve tendere ogni itinerario di fede. Se sono veramente convertito, aperto cioè nella preghiera e nella vita quotidiana a questa comunione amorosa con il Tu divino, sarò anche aperto a tutti gli altri uomini, ed assumerò nei confronti dei credenti di altre religioni un'attitudine di benevolenza, di amore, di pace, di rispetto; vivrò in una sincera ricerca di comprensione reciproca; avrò un atteggiamento di attenzione ai doni ed ai valori presenti nelle altre religioni, che debbono essere accolti e valorizzati, come segni della presenza del Verbo ('semina Verbi'), come frutto dell'azione dello Spirito, che opera in tutta l'umanità.

Che sia io il primo che si deve convertire me lo ricorda ancora la parabola del Buon Samaritano, dove i non convertiti (nel senso della "conversione religiosa" inteso sopra) erano proprio il sacerdote e il levita, pur appartenenti al popolo di Dio, mentre il convertito, vicino a Dio e quindi prossimo per ogni uomo, era l'eretico e l'infedele, l'odiato samaritano.

Questo richiamo alla necessità di una mia conversione mi metterà in guardia anche da ogni giudizio sugli altri, da ogni separazione fra 'buoni' e, 'cattivi' , fra , 'giusti' e , 'ingiusti'. Solo Dio conosce il cuore dell'uomo, conosce chi ha realizzato nella sua vita questa autentica conversione all'amore, e chi è in cammino verso di essa.

2) Il cristiano può imparare dai credenti delle altre religioni?

Il credente che nella propria esperienza spirituale si è pertanto aperto all'orizzonte religioso, ha potenzialmente accesso anche all'orizzonte religioso degli altri. Ha senso tuttavia per il cristiano un ascolto delle altre religioni, c'è qualche cosa che egli ha da imparare da esse, può camminare insieme a loro perla ricerca di una verità più profonda? Noi cristiani abbiamo infatti coscienza di avere ricevuto la Rivelazione divina, di avere avuto il dono della Parola di Dio, ed il compito di annunciarla e di testimoniarla di fronte a tutti.

Un dialogo sincero diventa possibile solo se ci rendiamo conto del fatto che la nostra comprensione della Parola di Dio resta sempre imperfetta e condizionata, e che quindi le altre religioni ci possono aiutare a crescere nella sua comprensione. In altre parole, nell'incontro con le altre religioni non siamo soltanto noi, i 'possessori della verità', che abbiamo qualcosa da dare agli altri, ma vi è un reciproco dare e ricevere. Tutti siamo poveri e peccatori, e Dio può parlarci attraverso gli altri, come ha parlato al sacerdote ed al levita attraverso il comportamento di quel samaritano. La nostra stessa fede cristiana può quindi uscire purificata ed in qualche modo fecondata ed arricchita dal confronto con le altre religioni, e può grazie a questo confronto essere compresa in maniera sempre più profonda e meno unilaterale (2), da parte nostra possiamo anche riconoscere che il cristianesimo ha profondamente influito sulle altre tradizioni religiose, non soltanto sul piano dottrinale ma anche sul piano morale, in particolare aiutando le altre religioni a scoprire ed a integrare maggiormente nel proprio insegnamento il suo messaggio d'amore (3). Questa reciprocità del dono e dell'arricchimento, nel dialogo fra le religioni, corrisponde a quanto afferma l'enciclica Dives in Misericordia, oggetto di studio nel nostro convegno, la quale ricorda che "l'amore misericordioso, nei rapporti reciproci fra gli uomini, non è mai un atto o un processo unilaterale" (n. 14), e che "solo allora essa (la misericordia) è realmente un atto di amore misericordioso: quando, attuandola, siamo profondamente convinti che, al tempo stesso, noi la sperimentiamo da parte di coloro che la accettano da noi" (ivi).

3) E' possibile la collaborazione con le altre religioni, al servizio dell'uomo?

Oltre che il dialogo con le altre religioni a livello dottrinale, e forse ancora più di esso, quello che è urgente è l'incontro con le altre religioni per creare insieme un mondo nuovo, una fraternità universale. Siamo qui sul piano di quella che è stata chiamata la 'ortoprassia', o che nel movimento ecumenico fra i cristiani veniva chiamato 'cristianesimo pratico' o 'vita e azione', o che infine i buddisti chiamano 'la saggezza nell'azione'. L'incontro con i credenti di altre religioni è cioè sin d'ora possibile sul piano di una vita, che un'autentica conversione religiosa rende impegnata al servizio degli altri, in una comune lotta contro il male presente oggi nel mondo. La religione ci libera dal male, dalla schiavitù delle nostre tendenze ed alienazioni, supera la nostra impotenza. Convertite ad una vita nuova nell'amore ed aperte al Trascendente, le persone veramente religiose sono nello stesso tempo aperte ad una comunione più profonda con se stessi, con gli altri, con l'intero cosmo, e quindi possono riconoscere la possibilità di formare e di trasformare le società in cui vivono e possono prendere su di se un tale compito. Guarito alle radici il loro male, possono rispondere al male degli altri con una bontà fondata sulla compassione e sull'amore.

Oggi siamo posti di fronte a delle sfide tremende perla nostra umanità. Saranno proprio le risorse delle religioni e degli uomini religiosi quelle che potranno avere un contributo decisivo per la salvezza comune di fronte ai pericoli che ci minacciano (4). E tutto questo sia detto senza dimenticare che esistono altri uomini consacrati a certi compiti (la pace, l'ecologia), che pur dichiarandosi non credenti, vivono questo loro impegno come profondamente religioso: che sia questo il loro modo di vivere un'esperienza di conversione religiosa all'amore? In ogni caso, i credenti sono invitati a collaborare anche con essi (5).

Anche su questo piano ci incontriamo con quanto ci insegna l'enciclica dives in Misericordia. Essa invita le diverse religioni a trarre dal proprio patrimonio spirituale le ricchezze e gli insegnamenti che inducano a costruire questa umanità nuova, aiutandoci a passare dall'odio all'amore, ed a superare ogni divisione e conflitto. Al numero 12 per esempio si ricorda che non basta operare per la giustizia, "se non si consente a quella forza più profonda che è l'amore, di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni". e subito dopo si ribadisce "la necessità di attingere alle forze dello spirito, ancor più profonde, che condizionano l'ordine stesso della giustizia". Queste forze dello spirito si possono trovare innanzitutto proprio nelle diverse religioni, come papa Giovanni Paolo II ha ribadito in diverse occasioni, per esempio nel messaggio all'Asia inviato da Manila, e come risulta implicito anche nell'affermazione dell'enciclica per cui "l'uomo e la società, per i quali niente è sacro, decadono moralmente, nonostante ogni apparenza" (numero 12, in fine).

Ed è esattamente in questa prospettiva, volta a trarre dal patrimonio spirituale e dagli insegnamenti di tutte le religioni tutto ciò che può contribuire all'edificazione di una convivenza umana più pacifica e più giusta, che si muove la Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace, che riunisce credenti di tutte le fedi religiose che sentono di doversi fare carico di questo compito comune della costruzione di una nuova umanità e di doversi impegnare in esso con la preghiera e con l'azione (6).

4) Che pensare delle sette e dei nuovi movimenti religiosi, che pullulano oggi anche in Italia?

A questo punto qualcuno si sarà potuto domandare se il discorso che è stato fatto finora valga anche per quelle sette e per quei nuovi movimenti religiosi, che oggi hanno cominciato a diffondersi ampiamente anche in Italia (Testimoni di Geova, Mormoni, Hare Krishna, Moon, Bambini di Dio, Meditazione Trascendentale, Scientologia, ecc.).

A differenza delle grandi religioni tradizionali, che presentano caratteri maggiormente universalistici e che hanno imparato a convivere pacificamente fra di loro, queste sette si caratterizzano per il loro esclusivismo, le loro unilateralità nel privilegiare solo alcuni aspetti della verità, e per il loro proselitismo spesso petulante e indiscreto. Di origine piuttosto recente, la loro stessa conoscenza resta molto difficile (questi nuovi movimenti religiosi sono migliaia e migliaia nel mondo, con milioni di seguaci, mentre in Italia ne sono presenti almeno trecento con centinaia di migliaia di adepti) (7).

Il nostro atteggiamento nei loro confronti sarà necessariamente critico, alla luce dell'evangelo: se dobbiamo riconoscere gli aspetti positivi presenti in essi (sincera ricerca di una esperienza religiosa, offerta di comunità fraterne ed accoglienti), dovremo anche smascherare francamente le ambiguità, o anche l'errore ed il peccato che essi presentano: non solo per quanto riguarda i loro insegnamenti dottrinali, ma ancora di più per quanto concerne la loro pratica: proposte di esperienze religiose spesso false e devianti; strumentalizzazione e soffocamento della persona, comunità autoritarie e spersonalizzanti, alienazione da ogni impegno politico e sociale, intolleranza, fanatismi, per non parlare poi delle distorsioni nella lettura della Bibbia, da parte delle comunità che ancora l'accettano.

Fatte queste doverose precisazioni, il nostro atteggiamento di fondo dovrà comunque restare, anche nei confronti di questi nuovi movimenti religiosi, quello che abbiamo descritto sopra, parlando delle religioni in generale. Qualora in essi e mediante essi alcune persone giungessero ad una autentica "conversione religiosa", ad una vita nell'amore, ad una conversione radicale al Tu divino, noi dovremmo considerare con rispetto e positivamente un tale itinerario spirituale, dovunque esso sia stato realizzato. Tutt'al più ci dovremmo domandare, costringendoci su questo punto a un severo esame di coscienza, perché un tale itinerario di conversione sia stato realizzato altrove e non nelle nostre chiese, considerato il fatto che almeno in Italia i seguaci di tali sette sono quasi sempre cresciuti nella nostra comunità cattolica Non sarà forse perché agli occhi di molti le nostre chiese sono considerate capaci di formare soltanto dei sacerdoti e dei leviti, del genere di quelli descritti dalla parabola, legati ad atteggiamenti ritualistici e formalistici, ma incapaci di una autentica esperienza del divino, di una autentica conversione religiosa? non sarà perché le nostre tradizioni spirituali non vengono sufficientemente proposte, e perché le nostre comunità non si presentano più come delle comunità fraterne ed accoglienti, per cui coloro che sono assetati di una esperienza religiosa più profonda e personale e di una comunione spirituale autentica vengono indotti a cercare altrove?

Conclusione

Di fronte ad una opinione corrente che presentava come prossimo sul piano religioso soprattutto, o soltanto, coloro che appartenevano alla comunità religiosa di Israele, Gesù nella parabola del Buon samaritano ci ha dato una risposta che resta provocatoria non soltanto per i suoi contemporanei, ma anche per noi oggi. Chi si è comportato come prossimo dell'uomo che si trovava in necessità, se non un estraneo che tutti avrebbero piuttosto giudicato un "lontano"? Meditare su questa parabola sarebbe vano, se essa non inducesse anche noi ad una vera conversione. Facciamoci un cuore grande come il cuore di Dio, capace di accogliere e di amare ogni uomo. Cerchiamo di sentire come nostro prossimo sul piano religioso non soltanto coloro che vivono nella chiesa cattolica, e con i quali ci sentiamo nella comunione più piena e profonda, ma anche tutti i cristiani delle altre chiese, assieme ai quali siamo in cammino verso una unità sempre più completa, anche sul piano visibile; ed ancora al di là dei confini visibili della chiesa di Cristo, sentiamoci veramente prossimo anche dei credenti di tutte le religioni, in cammino con noi verso una comunione di amore con il Mistero ultimo, per giungere infine, ma qui vado al di là del tema che mi è stato assegnato, a sentire come prossimo ogni uomo, quale che sia la sua convinzione filosofica, politica o religiosa. Lasciamo che il Signore trasformi fino in fondo i nostri cuori con la sua grazia, rendendoli capaci di questa attenzione verso ogni persona, di questo amore veramente universale. Sapendo che il compito di formare di tutta l'umanità una sola famiglia, capace di vivere nell'amore, nonostante tutta la ricchezza delle sue diversità, sarà portato a termine dalla potenza del Signore. Come ancora dice l'enciclica: "Soltanto quell'amore, che è più potente della debolezza delle divisioni umane, può realizzare definitivamente quell'unità, che Cristo implorava dal Padre e che Io Spirito non cessa di chiedere per noi con gemiti inesprimibili" (n. 13, in fine).

Perché una tale unità si possa realizzare, noi siamo chiamati dalla grazia del Signore a rinnovarci incessantemente, in una conversione personale e comunitaria, affinché l'amore misericordioso dei Signore possa rendersi visibile nelle nostre persone e nelle nostre comunità, nell'amore con cui per suo dono Io possiamo amare e nel calore di amore con cui impariamo ad amarci gli uni gli altri.

Dibattito, Georges Chontroîne

Non posso essere d'accordo con l'idea di un "ecumenismo ecumenico", che è stata presentata dal padre Cereti e che sembra essere il cuore della sua esposizione.

Infatti, un tale "ecumenismo ecumenico" ha due fondamenti possibili:

- o un universale che lo spirito umano può concepire nella propria ricerca del Trascendente;

- o l'universale che è apparso nel Verbo di Dio Incarnato.

I due fondamenti restano possibili fino a che il Verbo Incarnato non è apparso. Dal momento della sua esaltazione alla destra di Dio, non resta che un fondamento reale. Da quel momento la scelta è necessaria, ed è data come la vocazione stessa dell'uomo.

Da quel momento, non vi è che un solo "ecumenismo ecumenico": abita nel Verbo e non può avere altra dimora.

L'altra possibilità non scompare, ma si trasforma in un tentativo orgoglioso dell'uomo per sostituirsi al Verbo di Dio incarnato. Un tale ecumenismo ecumenico si pone come avversario dell'unico ecumenismo ecumenico reale.

Risposta di Giovanni Cereti:

Ho impiegato l'espressione "ecumenismo ecumenico" fra virgolette, come una citazione di un articolo di Raimundo Panikkar, comparso in Journal of Ecumenical Studies (19, 1982, 781-786).

Venendo comunque molto brevemente alla sostanza dell'obiezione, risponderei che il Cristo, esaltato alla destra del Padre, ha inviato il suo Spirito nel mondo. la teologia dei "semina Verbi", ed una retta comprensione dell'azione dello Spirito nel mondo, possono consentirci di pensare ad un'azione dell'unico Dio, rivelato in Cristo, in tutte le religioni, che rientrano così nel piano universale di salvezza. Si tratta di un tema ancora in larga misura da esplorare, e per questo ho invocato l'elaborazione di una nuova teologia delle religioni, appena abbozzata dal concilio Vaticano II. Come scrive Molari: "Interpretare Gesù e la sua azione come 'incarnazione della parola di Dio' implica necessariamente l'universalità. La Parola di Dio è la stessa che ha suscitato dal nulla le cose, che ha animato i profeti di ogni stagione umana, che ha guidato i sapienti di tutti i popoli e che risuona nella coscienze degli uomini. Con la risurrezione Gesù entra nell'ambito dell'universalità: non appartiene più a un popolo, a una cultura, a una chiesa, ma all'umanità intera... La finalità del dialogo interreligioso deve essere la conversione di tutti all'universalità nell'ascolto della medesima Parola di Dio che risuona in modo diverso nei molteplici linguaggi degli uomini e nella fedeltà allo stesso Spirito di Dio che ovunque suscita santi".

In questa prospettiva mi pare che il dialogo fra le religioni sia necessario, non solo per una collaborazione sul piano pratico, al servizio degli uomini; non solo per una migliore comprensione della stessa fede cristiana (che posso intendere meglio riflettendo su quanto mi dicono le altre religioni, e che posso vivere meglio lasciandomi arricchire dagli apporti spirituali delle altre religioni: per esempio per quanto riguarda la pratica della meditazione), ma anche perché sono chiamato a riconoscere la presenza di Cristo e dello Spirito in tutte le religioni, che come tali diventano una via che può condurre all'unico Padre. quanto al dovere della missione e della testimonianza cristiana, che resta, io penso che la verità di Cristo si imporrà da sé, nella libertà, per la potenza della grazia di Dio: ecco in che senso si può dire che il dialogo fra le religioni e fra tutti gli uomini sarà sempre più il nuovo nome della missione.

NOTE

1) A. GILBERT - L. ROY, La structure éthique de la conversion réligieuse d' après B. Lonergan, in Science et Esprit 32 (1980), 347-360 (citaz. 360).

2) "Fiduciosi nell' azione dello Spirito Santo, che si estende oltre i confini delle comunità cristiane, vogliamo portare avanti il dialogo con le altre religioni non cristiane, per riuscire a comprendere più profondamente la novita del vangelo e la pienezza della rivelazione, e poter mostrare loro più ampiamente la verità salvifica dell' amore di Dio che si adempie in Cristo" (Dichiarazione del Sinodo dei vescovi 1974, In Spiritu Sancto, in Enchiridion Vaticanum, 5, 621).

3) "Benché sussista la tendenza a ricondurre l' etica cristiana alle sue forme preparatorie nella Bibbia, si può d' altra parte rilevare una irradiazione della luce cristiana nelle religioni e nelle etiche non cristiane (cf. per es. l' insistenza sulle componenti sociali in India: Tagore, Gandhi)" (Commissione teologica internazionale, Nove tesi per un' etica cristiana, dicembre 1974, in EV 5, 1058),

4) Un richiamo all' apporto insostituibile delle religioni nella lotta contro il razzismo e nella difesa della vita e della dignità umana, è contenuto per esempio nel documento della Commissione pontificia JUSTITIA ET PAX, Lotta contro il razzismo: contributi della chiesa, novembre 1978, in EV 6, 1119.

5) "Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità tanti problemi morali, che sorgono tanto nella vita dei singoli quanto in quella sociale" (GS 16).

6) Dopo le conferenze mondiali di Kyoto (1970), di Lovanio (1974), e di Princeton (1979), una quarta conferenza mondiale è prevista per il 1984 a Nairobi. Per maggiori informazioni circa le attività di studio, di preghiera e di dialogo della Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace, scrivere alla segreteria italiana, presso Don Giovanni Cereti, Via Traspontina 18, 00193 Roma.

7) Per una maggiore informazione intorno a queste sette e movimenti religiosi mi permetto di rinviare a G. Cereti, I nuovi movimenti religiosi, le sette ed i nuovi culti, (Corso breve di ecumenismo. Vol. V), ediz. Centro Pro Unione, Via Santa Maria dell' anima 30, Roma 1983, ed alla bibliografia ivi indicata.