Gennadios Zervos*

LA RIVELAZIONE DELL’AMORE DI DIO NELLA CROCE SECONDO LA TEOLOGIA ORTODOSSA ORIENTALE

 

 

Introduzione

         Sulla base delle parole di S. Paolo «siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio»[1]. Giustamente diversi Padri della Chiesa Indivisa hanno interpretato questi versetti come il «mistero della croce», della rivelazione dell’amore ineffabile di Dio nella Croce, particolarmente i grandi teologi S. Gregorio di Nissa[2] e S. Giovanni Crisostomo[3].

         In realtà questa rivelazione dell’amore di Dio nella Croce, che, come afferma Teofilatto «è grande e supera ogni conoscenza» è di una enorme magnificenza ed illimitata, rassomigliando ad un oceano che non ha né profondità, né lidi: è un amore che è più alto del cielo, più profondo dell’Ade, più lungo della terra e più ampio del mare[4].

         Vediamo che la Croce, ove Gesù Cristo Dio-Uomo «ha disteso le sue braccia ed ha unito ciò che prima era separato»[5], come scrive l’Innografo della Chiesa Ortodossa, rivela quattro cose meravigliose, quattro verità preziosissime:

1)      La Croce è la più grande rivelazione della sommità dell’amore di Cristo, come uomo, verso Dio Padre, rivelazione che è stata fatta nel mondo per l’uomo.

2)      La Croce è l’amore che si rivela dal fatto che considera il mondo come una realtà per trovare, vedere e conoscere Dio.

3)      Ed ancora la Croce è la rivelazione dell’amore ineffabile di Cristo come Dio-Uomo verso la sua creatura: l’uomo.

4)      Infine nella Croce abbiamo la più potente rivelazione dell’amore del Dio-Trino, mai sentito come questo, perché non si trattava di qualsiasi dio-liberatore, il quale, secondo la profezia di Eschilo, doveva succedere allo sfortunato Prometeo nel suo dolore, nelle sue sofferenze e torture, né si trattava dei sacrifici degli Ebrei o di quella ecatombe di Omero ed infine nemmeno dei sacrifici umani di Baal, i quali potevano espiare la giustizia divina, perché come esclamava S. Gregorio vescovo di Nissa «essendo ammalata, la nostra natura aveva bisogno di un medico per curarla; l’uomo che si trovava nel “cadavere” del peccato aveva bisogno di un restauratore».

         Sarebbe una mancanza se non ricordassimo qui quello che con vera sapienza scrive a proposito il Metropolita di Mosca Filaret nella sua meditazione sul Santo e Grande Venerdì. Nella Croce si è manifestato «l’amore del Padre che crocifigge, l’amore del Figlio che viene crocifisso, l’amore dello Spirito, che trionfa per la potenza della Croce. Tanto Dio ha amato il mondo… Ecco, cristiano, l’inizio, il mezzo ed il termine della Croce di Cristo: tutto e solo l’amore di Dio»[6].

 

 

Capitolo I – Dio amore e la grandezza del suo amore

         Dopo queste importanti particolarità le quali dimostrano la grande verità della rivelazione dell’incomparabile ed unico amore di Dio-Trino nella Croce per l’acquisto della salvezza e della vita eterna, a favore sempre dell’uomo, è possibile comprendere il perché è stata manifestata da parte di Dio questa insuperabile, amorosa, azione a favore della sua creatura, la più perfetta, caduta, però, nel peccato e condannata in eternità a morte, in quanto il discepolo dell’amore San Giovanni evangelista dichiara con fermezza che «Dio è amore»[7].

         È importante continuare per spiegarmi meglio non soltanto per la suddetta verità, ma anche per le sue meravigliose manifestazioni d’amore verso l’uomo per prepararlo, senza violenza da ambedue le parti (Dio e uomo), ad abolire la sua volontaria schiavitù al diavolo e riuscire ad allontanarlo dal peccato, ritornando liberamente a Dio e così, collaborando con Lui, l’uomo potrà acquisire la sua salvezza e la sua vita eterna, per la quale è stato creato.

         La dichiarazione: “Dio è amore” non solo è la più alta dichiarazione morale, ma è anche la più dolce e consolatrice affermazione per il peccatore ed umile uomo.

         S. Agostino afferma su questa dichiarazione: «E se ancora niente altro ci fosse stato detto come elogio per l’amore per mezzo delle pagine dell’Epistola e dell’intera Scrittura; se su questo unico «Dio è amore» consistesse tutto quello che è stato detto per mezzo della voce dello Spirito Santo, l’uomo non dovrebbe chiedere niente di più».

         “Dio è amore” non certamente nel senso che la sostanza di Dio è amore. La sostanza di Dio è in verità “Spirito”, l’Assoluto, Eterno e Immenso. «Dio è Spirito e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità»[8]. La dichiarazione che “Dio è Spirito” è definizione ontologica di Dio. La dichiarazione che “Dio è amore” è definizione morale di Dio.

         “Dio è amore” nel senso che Dio per sua natura ha la prerogativa morale di amare e l’amore è la sua dominante prerogativa morale.

         Dio ha dimostrato il suo amore verso l’uomo in tanti modi.

         Dio onnipotente ed eterno ha amato l’uomo prima della sua esistenza. Nel tempo ha creato l’uomo dal nulla; ha creato l’uomo con particolare energia creatrice per dare all’uomo un valore particolare, perciò è la più perfetta creatura dell’universo.

         In verità, l’uomo è opera dell’amore Trinitario: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza…»[9].

         Dio dichiara con amore: «Voi siete dei e figli tutti dell’Eccelso»[10].

         Dio prepara con amore per l’uomo una vita spirituale superiore alle cose materiali, regno e paradiso[11].

         Mentre Dio Trinitario con tanto amore ha pensato ed ha operato per il bene dell’uomo, questi si è manifestato contrario, rivoluzionario ed ingrato a questo amore del suo Padre-Creatore.

         Dio non ha abbandonato e non ha distrutto l’uomo, ma al contrario ha continuato ad amarlo e si è rivelato a lui per mezzo di tante beneficenze.

         Lo scrittore degli Atti afferma ai gentili: «Ma non ha cessato di dar prova di sé beneficando, concedendovi dal cielo piogge, stagioni ricche di frutti, fornendovi di cibo e riempiendo di letizia i vostri cuori»[12].

         Preparando Dio, sempre con amore, la riparazione e la salvezza dell’uomo caduto, e di conseguenza aiutando l’uomo a trovare la sua libertà e la sua unità con il suo unico Signore e con il suo unico Dio, ha scelto una nazione, la quale viene preparata, per mezzo della legge e dei profeti ed ancora per mezzo di tanti avvenimenti e miracoli straordinari, a diventare il mezzo di trasmissione della verità e della salvezza in tutto il mondo.

         Questi esempi di amore di Dio verso l’uomo, benché siano grandi e molti, di fronte ad un’altra sua manifestazione di amore, sono piccoli.

         L’apostolo ed evangelista Giovanni, il teologo particolarmente, presenta questa manifestazione di amore speciale: «In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui»[13].

         Ecco la magnificenza dell’amore!

         Dio ha mandato e ha donato al mondo il suo Figlio unigenito, nato da Lui prima di tutti i secoli; Dio vero da Dio vero; generato, non creato, della stessa sostanza del Padre, per mezzo di lui tutte le cose sono state create; tutto questo per ottenere all’uomo la salvezza e la gloria eterna.

         Il Padre ama il Figlio e il Figlio è il riposo e la gioia del Padre.

         Degni d’importanza sono i seguenti versetti: «Da tutta l’eternità io fui costituito, in principio, prima dell’origine della terra. Quando l’abisso ancora non esisteva, io fui concepito, quando ancora non zampillavano le fonti. Prima che sorgessero le maestose montagne, prima dei colli, io fui generato; quando ancor non aveva fatto né terra, né campi, né creato i primi elementi della materia del mondo. Quando stabiliva i cieli io ero presente, quando tracciava un cerchio sulla faccia dell’abisso; quando condensava in alto le nubi, quando distribuiva le sorgenti nel cuor della terra, quando circondava d’un termine il mare – e le sue acque non ne varcheranno la sponda – quando gettava le fondamenta della terra, io ero a suo fianco, quale architetto mi compiacevo giorno per giorno, gioivo di continuo in sua presenza; mi dilettavo sul globo della terra, deliziandomi nei figli dell’uomo. Or dunque, o figli miei, ascoltate me: felici quelli che seguono le mie vie! Date retta ai miei insegnamenti e siate saggi: non disprezzateli!»[14].

         E la sua missione si è compiuta «quando venne la pienezza del tempo»[15]; Dio ha mandato il suo Figlio nel mondo in modo del tutto speciale «nato da donna, nato sotto la legge»[16]. E questa speciale missione dell’unigenito Figlio di Dio fattasi con amore paterno avviene coll’incarnazione.

         Il Figlio e Verbo, Dio e Signore, come il Padre, tutta la sostanza divina, si è fatta uomo.

         Questa incarnazione è svuotamento, diminuzione e umiliazione[17].

         E la sua manifestazione nel mondo per la salvezza dell’uomo è il mistero della Divina Economia che è strettamente legato con la creazione o per dir meglio è l’allungamento della creazione e questa “nuova creazione” era necessaria per la riconciliazione dell’uomo con Dio, avendo per questo come unica forza motrice l’amore e la bontà, come dice S. Gregorio di Nissa[18].

         Così l’amore di Dio Trino rimane come l’unica causa tanto per la creazione quanto per la salvezza; e, come affermano con tanta chiarezza i Padri della Chiesa, la salvezza è la “seconda creazione”, “il grande mistero”, tanto grande «che nessuno può dire, né descrivere con parole»[19].

         È verità indiscutibile che questa decisione per la salvezza del genere umano era comune volontà del Dio Trino e, secondo i detti dei Padri che si basano sulla Scrittura, si chiama «il disegno eterno della Trinità»[20] e manifesta la grandezza della sua bontà, del suo amore, e muovendosi da esso, come medico unico che opera in un momento opportuno e giusto, aspetta con longanimità che la malattia venga al colmo e poi intervenire[21], perché come dice il teologo bizantino Giuseppe Vriennios «le grandi malattie hanno necessità per la loro guarigione anche di molto tempo, di grande dieta e di molti mezzi di aiuto»[22].

         Certamente Dio Onnipotente poteva realizzare la salvezza del genere umano in un altro modo, come per esempio con uno sguardo o con un ordine. Poteva anche vincere il diavolo, il quale ha messo in schiavitù l’uomo e salvare l’umanità intera dalle mani di satana e dalla distruzione[23].

         Senz’altro questo modo era contrario non soltanto alla filantropia e alla giustizia di Dio, ma anche alla libertà dell’uomo, cose importantissime che l’incarnazione manifesta e che sono preziosissime verità della dottrina dei Padri e della tradizione Ecclesiastica.

         Certamente ci sono anche uomini i quali si domandano perché Dio è diventato uomo.

         Senz’altro sarebbe più facile rispondere con il noto versetto: «Non è venuto per essere servito, ma per servire».

         Principalmente il nostro Signore Dio è venuto sulla terra, come è stato detto sopra, per subire, per amore a noi, tutte le sofferenze-passioni, nonché la tremenda condanna della croce.

         L’incorporeo ha avuto carne per crocifiggersi: per provare il dolore della più indegna condanna per la nostra salvezza; perché noi ritrovassimo la nostra libertà da satana; per la nostra unità con Dio; perché acquistassimo la primiera beatitudine, la vita eterna, il regno di Dio.

         Non è possibile non ricordare le parole del discepolo dell’amore S. Giovanni evangelista, che dice con sicurezza e fedeltà: «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati»[24].

         In questo precisamente consiste l’ineffabilità dell’amore di Dio; in questo in verità consiste la grandezza dell’amore di Dio: Lui ha amato per primo l’uomo; ha insegnato per primo l’amore; Dio ama senza nessun interesse; ama la sua creatura peccatrice ed indegna; ama con amore soprannaturale, con amore che diventa “mistero”, perché ama «fino alla morte e alla morte di croce»[25]; perciò l’uomo non può capire questo mistero: come è possibile a Dio amare l’uomo, il quale si dimostra peccatore, disubbidiente, ingrato, traditore del primo amore di Dio verso lui, indegno della divina origine?

         La risposta a questa domanda che risolve il problema è: l’ineffabilità dell’amore di Dio, “l’Amore Crocifisso” che libera, salva, santifica e unisce l’uomo con Dio, suo unico Padre e suo unico Creatore, per cui l’uomo guadagna così la sua primiera beatitudine, la vita eterna e il regno di Dio, facendo la volontà di Dio.

 

 

Capitolo II – L’amore di Dio nel sacrificio di Cristo sulla Croce

         A questo punto sarebbe utile esporre alcuni aspetti riguardo il sacrificio dell’amore del nostro Signore Gesù Cristo sulla Croce; sarà una precisa ricapitolazione veramente preziosa, particolarmente per coloro che approfondiscono il mistero dell’amore di Dio.

         Secondo la dottrina della Scrittura, il sacrificio del nostro Signore sulla Croce è “mistero”, come molte volte viene definito dalla tradizione patristica.

         Mistero viene anche detto nella Innologia della Chiesa Ortodossa Orientale (nella quale si nota la presenza e la voce dei Padri), che lo definisce incomprensibile, inesplicabile e straordinario mistero della Divina Economia, «come Lui ha voluto», mistero che non si spiega, ma viene creduto soltanto con la fede, come canta l’innografo Sant’Andrea Gerusalemmitano, vescovo di Creta, durante la funzione panegirica del mattutino nel santo giorno della Natività del nostro Salvatore Gesù Cristo.

         Ecco che cosa dice San Giovanni Damasceno: «Venite tutte le Nazioni a conoscere la potenza del mistero straordinario; perché il nostro Salvatore Cristo, che in principio era il Verbo, si è crocifisso per noi e volontariamente si è seppellito ed è risuscitato dai morti per salvare il mondo. Lui dobbiamo adorare»[26].

         In Paraklitiki, nello stesso suo libro liturgico, che è di grandissima importanza per la Chiesa Ortodossa, leggiamo: «È veramente incomprensibile la crocifissione, e la resurrezione inesplicabile; i fedeli teologizziamo che è segreto mistero»[27].

         «Questo mistero è segreto da secoli e sconosciuto agli angeli; però per mezzo di te, o Madre di Dio, si è rivelato agli abitanti della terra. Dio si è incarnato in unione non confusa e volontariamente ha portato per noi la croce, con la quale è risorto il primo creato e ha salvato le nostre anime dalla morte»[28].

         Sarebbe una grande mancanza se non ricordassimo qui il capolavoro dell’inno liturgico, scritto da Giustiniano:

         «O Figlio unigenito e Verbo di Dio, che essendo immortale, ti sei degnato per la nostra salvezza di incarnarti nel seno della Santa Madre di Dio e sempre Vergine Maria; che senza subire mutazioni ti facesti uomo e fosti crocifisso, o Cristo Dio, conculcando la morte con la tua morte, Tu uno della Santa Trinità, glorificato con il Padre e con lo Spirito Santo, salvaci».

         È verità indiscutibile che presupposizione di questo mistero è il peccato di Adamo e di Eva, dei due nostri antenati, nel Paradiso.

         Questo peccato nel pensiero ecclesiastico-teologico è noto come “peccato originale”.

         Che cosa è il “peccato originale” secondo la teologia Ortodossa?

         Il celebre professore di teologia Ortodossa Christos Andrutsos dà la seguente risposta:

         «Secondo la materia, peccato originale è la perdita della giustizia e la corruzione della natura fisica e spirituale dell’uomo; secondo la forma è la colpevolezza, cioè la relazione dell’uomo con la giustizia divina, Dio». Continua così: «L’uomo che pecca rompe la legge divina e turba l’ordine divino[29].

         I risultati del peccato originale, senza dubbio, erano tremendi per l’umanità, perché in primo luogo a causa del peccato si è alzato il muro divisorio dell’inimicizia fra Dio e l’uomo, cosa che impediva la diretta comunicazione dell’uomo con Dio; in secondo luogo ha portato come immediato esito la tendenza dell’uomo al peccato e, di conseguenza, il suo allontanamento dal suo Creatore, perché ha trasgredito la divina volontà; e in terzo luogo è seguito l’indebolimento delle forze dell’anima dell’uomo, il quale peccava continuamente. L’uomo peccatore doveva essere punito con la morte, come richiedeva la giustizia e la santità di Dio.

         S. Paolo nella sua lettera ai Romani riferisce: «Quindi, come per colpa di un uomo solo il peccato entrò nel mondo e, a causa del peccato, la morte, così la morte si è estesa a tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato»[30].

         Di questa colpevolezza del peccato originale l’uomo peccatore si è liberato con il sacrificio del Signore sulla croce secondo la sua eterna volontà.

         San Paolo agli Efesini dice precisamente: «…e di mettere in luce di fronte a tutti quale sia il piano di questo mistero, tenuto celato sin dalle origini dei secoli, in Dio, che ha creato ogni cosa»[31].

         Al contrario della giustizia e della santità di Dio, che richiedeva la condanna dell’uomo peccatore, l’amore di Dio richiedeva la salvezza dell’uomo e il ristabilimento della sua comunicazione con Dio, portando via così la colpevolezza e l’eterna condanna.

         L’uomo, essendo peccatore, non poteva salvare se stesso, quanto meno il genere umano.

         La sapienza di Dio, mettendo alla pari giustizia e amore, trova il mezzo della salvezza, il quale è la volontaria incarnazione del Verbo di Dio[32].

         In realtà, «Gesù Cristo, prendendo in sé la natura umana senza peccato, controbilancia da una parte la colpevolezza e le punizioni del peccato di Adamo, per cui soffre il nostro posto; dall’altra parte la sua morte di Dio-Uomo è il contrappeso della morte eterna, che doveva subire il genere umano»[33].

 

 

Capitolo III – Il sacrificio di Cristo come atto espiatorio e di amore all’uomo

         È noto a noi che il sacrificio di Cristo Dio-Uomo sulla croce è stato preannunziato come espiatorio dal Vecchio Testamento con simboli e profezie.

         Il serpente di bronzo, salvando tutti quelli che, morsi dai serpenti mortiferi, guardavano fissamente a lui, in verità significava: «Come Mosè innalzò nel deserto il serpente, così è necessario che sia innalzato il Figlio dell’uomo, affinché chiunque crede in lui, abbia la vita eterna»[34].

         Il sangue degli animali «che venivano sacrificati per la purificazione degli uomini dai peccati; e particolarmente il sangue dell’agnello Pasquale, il quale in Egitto ha protetto i primogeniti degli Israeliti dalla spada dell’angelo della morte; il sangue dei capri e dei vitelli, a causa del quale il Sommo Sacerdote entrava una volta all’anno nel Santo dei Santi e lo spargeva sull’altare per i peccati di tutto il popolo»; tutti questi avvenimenti mostravano chiaramente al popolo di Dio che per la vera purificazione di tutto il genere umano dai peccati doveva essere offerto «il sangue dell’agnello immolato[35] sin dalla creazione del mondo»[36].

         Ricordiamo qui la chiarissima profezia di Isaia riguardo il Messia: «Egli fu piegato dalle nostre iniquità, fu calpestato per i nostri peccati. Il castigo, che è salvezza per noi, pesò su di lui e le sue piaghe ci hanno guariti. Tutti noi andavamo come pecore erranti, ciascuno deviava per la sua strada, ma il Signore ha posto su di lui l’iniquità di noi tutti. Era maltrattato e si rassegnava, non diceva una parola, come un agnello che si porta ad essere ucciso; come la pecora muta dinanzi a chi la tosa, egli non apriva la bocca»[37].

         Un altro profeta, San Giovanni il precursore e battista, vide Gesù venire a lui e disse: «Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo»[38].

         È noto a tutti lo scopo della venuta di Cristo sulla terra: «Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto di molti»[39].

         Caratteristiche sono le parole di Cristo: «Io sono il buon Pastore… per le mie pecore do la mia vita»[40]; «Sono io il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno; e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»[41].

         Questa grande verità è stata annunziata dai Santi Apostoli. S. Giovanni apostolo e evangelista nella sua prima lettera dice: «Il sangue di Gesù Cristo ci purifica da ogni peccato»[42].

         San Pietro Apostolo nella sua prima lettera comanda ai cristiani: «Comportatevi con timore durante il tempo del vostro pellegrinaggio. Voi sapete che non per mezzo di cose corruttibili, come l’oro e l’argento, siete stati riscattati dalla vana maniera di vivere ereditata dai vostri padri, ma dal sangue prezioso di Cristo, l’agnello senza difetto e senza macchia»[43].

          Questa realtà ripete anche S. Paolo nelle sue diverse lettere:

          a)    «Vi ho infatti trasmesso, in primo luogo, quello che io stesso ho ricevuto, cioè che Cristo è morto per i nostri peccati, secondo le scritture»[44].

          b)    «Vivete nell’amore, sull’esempio di come Cristo ci ha amati e per noi ha sacrificato se stesso a Dio, quale oblazione e sacrificio di soave odore»[45].

          c)    «Il quale fu sacrificato per i nostri peccati ed è resuscitato per la nostra giustificazione»[46].

 

 

Capitolo IV – Sacrificio e amore secondo alcuni padri e vescovi della Chiesa Ortodossa

         Il nostro redentore Gesù Cristo «per mezzo delle sofferenze e della sua morte ha offerto alla divina giustizia per noi il prezzo di quello che dovevamo, non soltanto perfettamente pieno e sufficiente, ma superfluamente; perciò non soltanto ci ha riscattati dal peccato, ma ha dato a noi la possibilità di acquistare i beni eterni»[47].

         Dell’argomento sopra detto parlano in particolare S. Cirillo di Gerusalemme, S. Procolo, patriarca di Costantinopoli e Nicola vescovo di Metone.

1.      S. Cirillo si esprime con maestria nelle sue famose opere di “Catechesi”. «Il Salvatore ha sofferto tutte queste cose unendo con il suo sangue sulla croce tutto quello che si trovava in cielo e tutto quello che si trovava sulla terra»[48].

         «Eravamo, veramente, nemici di Dio a causa del peccato. Dio ha ordinato che morisse il peccatore. Era necessario, dunque, che avvenisse una delle due cose: o come Dio giusto doveva distruggere tutti, o come Dio filantropo doveva abbandonare la sua decisione. Però, vedi la sapienza di Dio. Ha mantenuto la verità nella decisione e l’azione nella filantropia. Cristo ha portato i nostri peccati nel suo corpo sulla croce affinché noi, morti ai peccati, vivessimo per la giustizia»[49].

         «Non era piccolo lui che è morto per noi… Non era un uomo comune. Non era soltanto angelo. Era Dio che si è incarnato»[50]. Non era tanto grande il peccato dei peccatori, quanto grande la giustizia di Dio morto per noi. Non abbiamo peccato tanto quanto ha operato per la nostra salvezza lui che ha dato la sua vita per noi…[51].

2.      Gli stessi pensieri incontriamo anche nell’importantissima Omologia di S. Procolo, Patriarca di Costantinopoli.

         Egli, nel primo e nel sesto discorso, dice così: «In primo luogo impara l’economia e la ragione della presenza (del Signore) ed allora glorifica la potenza dell’incarnato, perché molte cose doveva la natura degli uomini a causa del peccato; e, veramente, stupisci per il debito, perché tutti per mezzo di Adamo siamo sottomessi al peccato. Il diavolo ci ha come suoi schiavi… chiedendo la nostra condanna. Era necessario fare una delle due cose: o sottometterci integralmente (al diavolo), o pagare un così grande prezzo come riscatto… L’uomo da un parte non poteva salvare nessuno, perché era egli stesso sottomesso al debito del peccato. L’angelo dall’altra parte non poteva riscattare l’umanità, perché era stupito del prezzo di tale riscatto… Un uomo comune non poteva salvare, un Dio comune non poteva soffrire…»[52].

         «È venuto il “sempre presente” e ha pagato per noi il prezzo del riscatto con il suo sangue e ha dato alla morte, come prezzo per la salvezza del genere umano, la sua carne avuta dalla Vergine. Così ha riscattato il mondo dalla maledizione della legge»[53].

         «È venuto per salvare, però doveva anche soffrire. Dunque, come era possibile fare l’uno e l’altro? Un uomo semplice non poteva salvare. Un Dio comune non poteva soffrire. Che cosa allora doveva accadere? Lui, essendo Dio, l’Emanuele, si è fatto uomo. Per quello che era ha salvato; per quello che si è fatto ha sofferto»[54]. «Ammiro il mistero. Vedo i miracoli e annunzio la divinità. Vedo le sofferenze e non nego l’umanità»[55]. «…Così il Signore… da una parte come sacerdote ha placato il Padre per noi, dall’altra come re ha vinto il diavolo che si è armato contro tutti»[56].

3.      Il terzo rappresentativo esponente della Chiesa Ortodossa, come abbiamo detto sopra, è il Vescovo di Metone Nicola[57].

         Secondo lui «gli uomini come peccatori sono sottomessi alla morte e al suo capo, il diavolo. Può riuscire a liberarsi per mezzo della morte, non di un uomo, perché lui come colpevole sacrificherà se stesso per se stesso, ma non per un altro.

         Questo uomo, però, deve essere impeccabile. Di questo uomo impeccabile l’amore di Dio, cioè Dio, (il quale con la sua vera sapienza e con la sua filantropia regge tutto l’universo), secondo i suoi disegni eterni, ha previsto che il Figlio di Dio, fattosi uomo, si sarebbe sacrificato per liberare gli uomini dalla schiavitù di satana e del peccato. Questo redentore doveva essere Dio-Uomo, cioè da una parte Dio per essere il suo sacrificio efficace, dall’altra uomo per poter soffrire e per servire agli uomini come modello della lotta contro il male e della vittoria di sé»[58].

 

 

Capitolo V – Il mistero dell’amore e della croce secondo S. Gregorio il Teologo

         San Gregorio il Teologo parla della divina economia in Cristo e dice chiaramente che questa dottrina della morte del Signore sulla croce è dogma di fede, a cui dobbiamo dimostrare silenzio e venerazione, perché è mistero.

         Continua a dire che lui farà tutto il possibile per approfondire questo mistero, cercando di essere chiaro nel limite delle sue possibilità umane.

         Devo conoscere, dice, due cose: primo, per quale ragione si è versato il sangue di Cristo; e secondo, a chi è stato dato questo come riscatto. Studia il tema e si sforza di entrare con il pensiero umano nella sostanza di questo mistero.

         Cristo, dice S. Gregorio, è il Figlio unigenito e il Verbo di Dio Padre. Nelle Scritture viene chiamato sommo sacerdote; viene chiamato anche vittima. E questo, perché come sommo sacerdote ha offerto in sacrificio il proprio sangue, versato sul Golgota in riscatto di molti[59] e in redenzione per tutti[60], secondo le Scritture.

         Dunque, questo prezioso sangue di Dio e sommo sacerdote e vittima Cristo, per chi è stato versato e per quale causa? Certamente è stato versato per noi e per la nostra causa.

         Però, questo a chi è stato dato come riscatto? Faccio questi ragionamenti, aggiunge S. Gregorio, perché quello che ci teneva sotto il suo dominio, dopo la disubbidienza, non era Dio, ma il maligno. E noi siamo sottomessi – a causa del peccato originale – al dominio del maligno, perché abbiamo scambiato il paradiso con il piacere del peccato. Faccio, dunque, questa ipotesi e dico: il sangue di Cristo è stato versato per noi ed è stato dato in riscatto per la nostra liberazione dal peccato originale.

         Però, a chi è stato dato questo riscatto? Domanda così: al maligno che ci possedeva o a Dio che voleva la nostra salvezza? Se dirò al maligno, continua il Padre, è grande bestemmia. Se, però, dirò a Dio Padre, in primo luogo com’è possibile? Perché non eravamo in possesso di Dio. In secondo luogo, per quale ragione è giusto che il sangue del Figlio unigenito dia piacere al Padre Dio, il quale non ha accettato neppure il sacrificio di Isacco, offerto da suo padre Abramo, ma scambiò il figlio con il montone?

         Studiando in seguito questo Capitolo vediamo che S. Gregorio si trova in dilemma: perché non è ragionevole che Dio, come onnipotente e creatore dell’universo, offra riscatti al maligno? Come buono e filantropo è inumano ed impossibile per lui che il «sangue dell’Unigenito dia piacere al Padre».

         Emerge chiaramente dalle Scritture che Dio Padre, per la salvezza dell’uomo, non ha risparmiato il proprio figlio, ma che l’ha sacrificato per tutti noi[61], per amore e filantropia.

         Perciò qui S. Gregorio Nazianzeno il teologo, non dogmatizza che sia impossibile che il «sangue dell’Unigenito dia piacere al Padre» come altri hanno fatto per ignoranza.

         S. Gregorio, veramente, ammirando il mistero che ha come base l’amore e la filantropia di Dio, si stupisce sotto forma di interrogazione. Malgrado i suoi sforzi ed i suoi tentativi di approfondire, per quanto sia possibile, la sostanza del dogma, non trova uscita con i pensieri e i ragionamenti umani. Perciò è obbligato dai fatti ad accettare che il “riscatto” l’ha avuto Dio Padre, senza naturalmente chiederlo e senza avere necessità di esso per la salvezza dell’uomo, perché Dio è essere perfetto ed assoluto. Lo ha avuto per l’economia e la necessità della consacrazione dell’uomo e per la sua salvezza, vincendo da una parte il tiranno maligno con il suo amore e con la sua filantropia, e dall’altra parte liberandoci da esso e portandoci nella sua Chiesa per mezzo del suo Figlio.

         Di grande importanza sono le sue parole di chiusura: «Queste cose ho da dire su Cristo. La maggior parte dobbiamo rispettarle con silenzio, perché neppure il tempo le spiegherà, in quanto questo che è esposto a noi non è teologia, ma economia di Dio».

         Dio “economizza” in questo modo la salvezza dell’uomo, ottenendo una redenzione eterna[62], come Dio onnisciente, onnipotente e filantropo.

         Dio, essendo “amore”[63], «ha tanto amato il mondo, che ha sacrificato il suo Figlio unigenito, affinché ognuno che crede il lui, non perisca, ma abbia la vita eterna»[64].

 

 

Capitolo VI – La voce di altri Padri e l’amore divino rinnovatore

         Anche gli altri Padri della Chiesa Ortodossa Orientale, stupiti da una parte dell’ineffabile amore di Cristo sulla croce e dall’altra parte stupiti davanti all’inesplicabile Divino Dramma, il quale dona all’uomo caduto la redenzione, e veramente illuminati e mossi dallo Spirito Santo, parlano di questo mistero della rivelazione dell’amore di Dio nella croce.

         Certamente queste parti delle loro opere sull’amore di Dio nella croce sono di una eccellente bellezza dal punto di vista letterario, dando testimonianza viva della realizzazione di questa verità da parte di Dio verso l’uomo, che soltanto “l’Amore Crocifisso” poteva far rinascere, rinnovare, liberare, salvare, santificare e unire a Dio; così acquista la originaria beatitudine, cioè il regno di Dio, la vita eterna.

         E la Croce che è la lingua di Dio, e la lingua della Croce, che è la lingua dell’amore, grazie al preziosissimo e vivificante sangue di Cristo Dio-Uomo, versato su di essa, fa rinascere e rinnova l’uomo, secondo i S. Padri della Chiesa e nessun’altra potenza poteva soddisfare questo suo ardente desiderio.

         La Tradizione Patristica della Chiesa Ortodossa immersa nell’oceano dei sentimenti, ma anche nelle sue ricchezze dogmatiche concorre ad aiutare i fedeli a partecipare con tutto il cuore alle grandi verità che si nascondono nella croce[65], a superare i momenti difficili della loro crisi e della loro disperazione, ad avvicinare la santa croce, che è il simbolo del perdono e della riconciliazione, il simbolo della luce e della grazia, il simbolo della speranza e della pace, il simbolo della salvezza e della santificazione, il simbolo dell’immortalità e della vita, il simbolo dell’amore e dell’unità, ed ancora ad aiutare i fedeli a rimanere davanti alla croce con venerazione e pietà.

         S. Gregorio il teologo dice: «si spogliò dei vestiti e si vestì con la porpora per spogliare la tonaca di pelle della mortalità con la quale si è vestito Adamo dopo la trasgressione; il Signore ha tenuto la canna nella sua mano come scettro per far morire il vecchio serpente e dragone. Ha avuto la canna per firmare come re con il suo rosso sangue la lettera del perdono dei nostri peccati, in quanto anche i re firmano con il rosso cinabro. Si è crocifisso sul legno per l’albero della conoscenza. Ha avuto il gusto della bile e dell’aceto per il dolce gusto del frutto proibito. Ha avuto i chiodi per inchiodare il peccato. Ha disteso le mani sulla croce per medicare l’allungare delle mani di Adamo e di Eva verso l’albero proibito, per unire i separati che erano lontani, angeli e uomini, celesti e terrestri. Ha avuto la morte (è morto) per far morire la morte. Si è seppellito per non farci ritornare più alla terra come prima… Si sono turbati gli astri per manifestare che sono in lutto per il Crocifisso. Le pietre si sono spaccate perché soffriva la pietra della vita. È salito all’altezza della croce per la caduta che ha subito Adamo. Ed infine è resuscitato per la nostra risurrezione»[66].

         S. Giovanni Damasceno, questo grande teologo e innografo ecclesiastico, dal suo canto dice: «il nostro Signore Gesù Cristo, essendo senza peccato, non era sottomesso alla morte, dato che la morte entrò nel mondo attraverso il peccato. Però Egli muore; subisce la morte per noi, e offre se stesso al Padre in sacrificio per noi»[67].

         S. Gregorio Palamas, Arcivescovo di Salonicco, afferma che Dio se non amava non arrivava a questo grande dono, il quale, in verità, poteva essere donato all’uomo, come d’altra parte è stato fatto.

         Intanto «l’amore di Dio costituisce un “energia” increata, che trabocca dal seno della Santissima Trinità e si versa nel mondo in mille modi e riempie  i cuori…»[68].

         Una viva testimonianza di questa grande rivelazione dell’inconcepibile amore di Dio nella croce, che è veramente la sua più grande condiscendenza all’uomo, sono anche tutte quelle parti-capitoli dei Padri che parlano della croce, particolarmente del sacrificio, dell’adorazione, della sapienza, della potenza, della gloria, della salvezza dell’uomo e della Risurrezione del Signore, come anche dell’amore divino rinnovatore.

         A proposito di quest’ultimo ricordiamo qui alcuni Padri: S. Cirillo di Alessandria e Teodoreto affermano che la particolare causa che l’amore di Dio ha donato per il rinnovamento dell’uomo ha trovato il suo preciso affetto nell’incarnazione del Salvatore, il quale ha sacrificato la sua vita per l’uomo»[69].

         S. Cirillo parlando di questo rinnovamento afferma che è stato ottenuto con l’incarnazione, la Crocifissione e la Pentecoste. Così interpreta: «Quando il Signore ha portato a noi l’esultazione dello Spirito Santo, allora anche ci ha rinnovato con il suo amore, cioè in quel tempo che ci ha visitato con la carne, quando è morto uno per tutti… Ma poiché ha offerto la sua vita e si è trovato per noi tra i morti, mentre la sua stessa natura è la vita, perciò è rivissuto e così ha riformato la natura umana perché questa vivesse una nuova vita e l’ha creata di nuovo come era all’inizio»[70].

         S. Gregorio di Nissa così spiega: «Chi riceverà nel suo cuore la freccia dell’amore divino e crederà in Cristo, “il sagittario dell’amore”, desidera unirsi con Lui in quanto “il colpo di freccia si è trasformato in una nuziale allegria”. E quando con la grazia dei sacramenti l’uomo viene immesso nel corpo di Cristo che è la Chiesa, la sua natura umana si divinizza. Con la luce della dottrina del Signore la natura umana si trasforma e con la sua risurrezione vince la distruzione e la morte, e diventa eternamente nuova»[71].

         S. Ignazio il Teoforo esclama: «Come bevanda desidero il suo sangue, che è amore incorruttibile»[72].

         È verità indiscutibile che questo amore rinnova permanentemente l’uomo e lo fa incorruttibile, perché questo amore comunica a noi il corpo e il sangue di Cristo; come vediamo, l’uomo da una parte si rinnova, dall’altra si perpetua.

 

 

Capitolo VII – La grandiosità dell’opera d’amore di Dio nella innologia della Chiesa Ortodossa

         Questa divina rivelazione della grandiosa opera di Dio sulla croce, questo grande mistero della salvezza dell’uomo, il quale costituisce uno dei più importanti capitoli della Tradizione Patristica e che con silenzioso timore e venerazione i Padri confessano ed interpretano, questo grande mistero dell’opera di amore divino sulla croce – ripeto – prende una particolare posizione nell’Innologia della Chiesa Ortodossa, cioè nel “culto” durante le funzioni dei vespri, del mattutino e della divina liturgia.

         La Chiesa Ortodossa Orientale presenta alla Cristianità intera un tesoro inestimabile di inni pieni della spiritualità di amore alla croce e con i quali i fedeli vivono continuamente questa grande realtà, questa grande verità, indubbiamente corrispondente al contenuto teologico della Sacra Scrittura, come anche all’insegnamento teologico dei Padri della Chiesa.

         La ricchezza spirituale e la forza morale di questi inni, con i quali si canta questo amore di sacrificio nella croce per la salvezza dell’umanità, come anche la loro bellezza, la loro espressività, la loro antichità, la loro larga diffusione e la loro gelosa conservazione, dimostrano con precisione e comprendono in sé tutti gli elementi essenziali dell’Economia Divina riguardo alla salvezza del genere umano.

         È un servizio e contributo veramente inestimabile da parte della Chiesa Ortodossa alle altre Chiese, frutto di elevate riflessioni teologiche e di eccezionale ispirazione poetica, composto da famosi teologi e innografi della Chiesa Una, Santa, Cattolica ed Apostolica, della Chiesa Indivisa.

         Motivo centrale di questi inni, che sono una inesauribile fonte di sapienza teologica, punto prezioso di preghiera e di carità, è il cantare e il glorificare l’amore sconfinato, misericordioso e trionfante di Dio.

         Così canta la Chiesa Ortodossa con San Giovanni Damasceno: «Hai posto per noi un fermo fondamento d’amore, dando il tuo unico Figlio alla morte per noi. Perciò riconoscenti ti gridiamo: Gloria alla tua potenza, o Sovrano»[73].

         Nel mattutino del Giovedì Santo l’innografo afferma: «vedendo da lontano il tuo ineffabile mistero il profeta, o Cristo, preannunciava: hai reso forte e potente il tuo amore, o Padre misericordioso, poiché hai inviato nel mondo in riscatto il tuo Figlio unigenito, o Buono»[74].

         Questo inno ci fa ricordare l’apostolo San Giovanni evangelista e teologo, che dice con sicurezza e precisione: «In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: che Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito affinché per mezzo di lui vivessimo»[75].

         L’autore di un altro inno del Venerdì Santo, avendo davanti a sé il testo di S. Giovanni evangelista: «In questo consiste l’amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che lui ci ha amati e ha mandato il Figlio come propiziazione per i nostri peccati»[76], afferma con esattezza anche qui questa comune ed armoniosa corrispondenza degli inni liturgici con la parola delle Sacre Scritture. Infatti: «Tu sei stato condotto, o Cristo Re, come pecora all’uccisione e come agnello immacolato sei stato inchiodato sulla croce dall’empietà degli uomini, a causa dei nostri peccati, o Amico degli uomini»[77].

         Di questo incommensurabile amore di Dio nella croce, in cui si concentra tutta la salvezza dell’uomo, e secondo l’Evangelista Giovanni: «(Perché) Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, affinché chiunque crede in lui non persica, ma abbia la vita eterna»[78], da cui viene dimostrata la bontà immensa, la pazienza, la mitezza, l’obbedienza e l’umanità del nostro Redentore, manifestate durante la tremenda e redentrice sua Passione, cantano così i Cori Bizantini della Chiesa Ortodossa: «Oggi illuminano il mondo come luci salvifiche le sante sofferenze: Cristo si affretta a patire, perché è buono, e lui, che nella sua mano tiene tutte le cose, accetta d’essere appeso al legno per salvare l’uomo»[79].

         «Hai sofferto per noi e ci hai liberati dalle passioni, disceso fino a noi per il tuo amore per gli uomini, ci risollevi: o possente Salvatore, abbi pietà di noi»[80].

         «Oggi il Signore del creato si presenta a Pilato, si consegna alla croce il Creatore di tutte le cose, come un agnello viene condotto, per suo proprio volere; è confitto coi chiodi e il suo costato viene trafitto, accosta le labbra alla spugna colui che ha fatto piovere la manna; è schiaffeggiato sulle guance il Redentore del mondo, e dai suoi servi è schernito colui che tutti ha plasmato. Oh l’amore del Signore per l’uomo! Prega il Padre suo per chi lo crocifigge dicendo: Perdona loro questo peccato, perché non capiscono, gli iniqui, il male che commettono»[81].

         Moltissimi altri inni, pieni di teologia e misticismo, vengono cantati nella Chiesa Ortodossa durante la Santa e Grande Settimana, con i quali si venera la Croce di Cristo come l’unico santo immacolato sacrificio di Dio incarnato che «Dio ha offerto in sacrificio di riconciliazione»[82], per il riscatto e la salvezza[83] del genere umano decaduto, dal peccato[84], dalla maledizione[85] e dalla morte[86], conseguenze della disobbedienza alla volontà divina[87].

         Considero utile e necessario in questo momento ricordare anche tutti gli inni che riguardano la Morte e la Risurrezione, perché sappiamo molto bene che esiste uno stretto legame tra la Morte del Salvatore e la sua Risurrezione. Ai Romani S. Paolo dice: «Egli è stato infatti dato per le nostre colpe ed è risorto per la nostra giustificazione»[88].

         La lettera ai Colossesi, nella quale leggiamo: «Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui anche siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti; con lui Dio ha dato vita anche a voi che eravate morti per i vostri peccati e per l’incirconcisione della vostra carne, perdonandoci tutti i peccati, annullando il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli. Egli lo ha tolto i mezzo inchiodandolo alla croce; avendo privato della loro forza i Principati e le Potestà ne ha fatto pubblico spettacolo dietro al corteo trionfale di Cristo»[89], parla della correlazione tra Morte e Resurrezione del Redentore dell’uomo e su questa veramente magnifica affermazione di S. Paolo si basano i magnifici inni “Stichirà” dei Vespri del Sabato Santo.

         Essi suonano così: «Oggi l’Ade gemendo grida: Sarebbe stato meglio per me se non avessi accolto il nato da Maria! Venendo qui egli ha distrutto la mia potenza, ha spezzato le porte di bronzo, ha fatto risorgere, poiché è Dio, le anime che prima possedevo»[90]; «Oggi l’Ade gemendo grida: È stata distrutta la mia potenza: ho accolto un morto come uno dei mortali, ma non posso assolutamente trattenerlo, anzi con lui perderò i morti su cui regnavo; io possedevo da secoli i morti, ma costui li fa ora risorgere tutti. Gloria, o Signore, alla tua Croce e alla tua Resurrezione»[91].

         «Oggi l’Ade gemendo grida: È stata inghiottita la mia potenza; il Pastore è stato crocifisso e Adamo è risorto; sono stato privato di quelli su cui regnavo, ho vomitato quanti con forza avevo inghiottito. Ha svuotato le tombe il crocifisso ed ha annientato la potenza della morte. Gloria, o Signore, alla tua Croce e alla tua Resurrezione»[92].

         Mentre nel “Menologio” del Grande Venerdì[93] il lettore legge: «Si fa memoria della santa, redentrice e tremenda Passione del Signore e Dio Salvatore nostro Gesù Cristo che per noi volontariamente soffrì gli sputi, le battiture, gli schiaffi, le offese, le irrisioni, la veste purpurea, la canna, la spugna, l’aceto, i chiodi, la lancia, e soprattutto la croce e la morte, fatti tutti avvenuti il venerdì», alla funzione del Grande Sabato l’anima ortodossa ascolta, secondo il libro del Triodio: «Celebriamo la sepoltura del Corpo divino e la discesa agli inferi del Signore, Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo».

         (Vi sono) diversi altri inni, pieni di amore di Dio, con i quali l’ortodosso fedele gioisce, ascoltando la ricchezza della bontà del Crocifisso e la potenza del Risorto Dio: «Canto la tua misericordia, o Amico degli uomini, e mi prostro davanti alla ricchezza della tua bontà, o Sovrano: volendo salvare la tua creatura, ti sei sottomesso alla morte – diceva la Purissima (Madre) – ma per la tua Resurrezione, o Salvatore, abbi pietà di noi».

         Così sul legame spirituale della Croce e della Risurrezione nel quale, secondo le parole di S. Paolo: «Se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati; e anche quelli che si sono addormentati in Cristo sono perduti; e se noi riponiamo la nostra speranza soltanto in questa vita, siamo i più infelici di tutti gli uomini; ma Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti»[94], abbiamo una viva testimonianza della Potenza della Risurrezione che dà il perdono dei peccati e li annienta; (su esse) si basa un testo liturgico che esprime questa salda fede della Chiesa: «Regna l’Ade, ma non eternamente sulla razza dei mortali: quando infatti Tu fosti deposto nella tomba, o Potente, con la mano vivificante hai spezzato i sigilli della morte e ai dormienti da secoli hai annunciato la vera liberazione, o Salvatore, divenuto il Primogenito tra i morti».

         Per mezzo di questi inni, così pietosi e commoventi, abbiamo alcune icone in verità preziosissime, con le quali viene dimostrato in modo meraviglioso la rivelazione di questo amore ineffabile nella croce: «Come Pellicano ferito dal tuo costato, o Verbo, tu hai vivificato i tuoi figli morti, gocciolando su di essi vivificanti sorgenti». Questo meraviglioso inno con questa meravigliosa icona del pellicano con i suoi figli ha una forza spirituale invincibile, perché è dedicato al nostro Salvatore Gesù Cristo. (Esso) acquista una grande importanza se noi conosciamo la meravigliosa vita di questo uccello.

         Il pellicano è un uccello veramente modello per il suo amore per la famiglia. Costruisce il suo nido sulle rocce; suo nemico è il serpente. Molte volte il pellicano va fuori per trovare cibo per i suoi figli. Il suo amore e la sua affettuosità sono due belle sue caratteristiche. Durante le sua assenza può capitare che questo suo nemico, il serpente, passi dal nido dove ha lasciato le sue più belle cose, i suoi figli. Può succedere che loro vengano morsi dal serpente. In questo caso, dice la tradizione popolare, il pellicano fa una grande cosa: vedendo i suoi figli piccolini, feriti e morti, per i morsi del serpente, pieni di veleno, becca il suo petto e con il suo sangue dà da bere ad essi che in questo modo si salvano e rinascono. Il sangue del pellicano è ottimo antidoto – ottimo farmaco – che trionfa sulla morte dei suoi figli e dà loro la vita, mentre dopo poco tempo il pellicano muore a causa dell’emorragia.

         Questa icona descrive con fedeltà assoluta la meravigliosa opera del nostro Redentore, il quale per fare rinascere l’uomo dal peccato, per portarlo alla sua primiera beatitudine, ha versato sulla croce il suo preziosissimo sangue, unico punto in cui la Cristianità senza dubbio ha la più grande e perfetta rivelazione dell’amore Trinitario. E il suo vivificante sangue, dono eterno del suo amore ineffabile, «dono dell’amore crocifisso», purifica come farmaco «la nostra coscienza dalle opere morte»[95], secondo S. Paolo; dà il meglio, la ricchezza, la libertà, l’esaltazione, la gloria, la salvezza secondo S. Gregorio il teologo: «Ha preso il peggio per dare il meglio, è diventato povero per far diventare ricchi noi per mezzo della sua povertà. Ha preso la forma di servo per ottenere a noi la libertà. È stato disonorato per glorificare (l’uomo). È morto per salvare. Si è innalzato (sulla croce) per trarre a sé quelli che si trovano nel cadavere del peccato».

         Un’altra immagine, che dimostra questo amore soprannaturale, incomprensibile per ogni uomo, dato, però, per lo stesso uomo, per la sua eterna esistenza, per la continuazione del suo vivere in eternità, per diventare noi di nuovo «eredi di Dio, coeredi di Cristo»[96], l’abbiamo con il seguente inno: «Fratelli, amiamo lo sposo! Prepariamo le nostre lampade, risplendendo di virtù e di retta fede, affinché, come le vergini prudenti del Signore già pronti, possiamo entrare con Lui alle nozze. Lo sposo, che è Dio, dona a tutti la corona incorruttibile»[97].

         Dio è lo sposo. La Chiesa è la sua sposa. Eva è stata creata dal costato di Adamo. Anche la Chiesa è stata creata dal divino liquido, dal “sangue e acqua”[98], usciti dal costato colpito.

         Lasciamo qui libera la voce di S. Giovanni Crisostomo affermare questa realtà: a) «Il Mistero occulto si è manifestato: acqua e sangue sono usciti dal costato»; b) «Non era una cosa semplice, né una cosa casuale quella che è avvenuta riguardo le due fonti che sono scaturite dal costato di Cristo, perché da ambedue le parti è stata creata la Chiesa. E così i fedeli conosceranno che per mezzo dell’acqua saranno rigenerati e per mezzo della carne saranno nutriti»[99].

         Non c’è più immagine sacra riguardo la creazione della Chiesa; non c’è più santa immagine riguardo l’istituzione della Chiesa, la quale viene fondata sulla croce[100], grazie

 

all’insuperabile ed unico amore di Dio verso l’uomo; per questi Egli fa questo grandioso cammino di martirio e di amore; per questi desidera ardentemente e volontariamente celebrare il mistero della salvezza con un martirio unico e inaudito e con una reale testimonianza di primiero amore e come dice da una parte S. Paolo: «…non a prezzo di cose corruttibili, come l’argento e l’oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia», e dall’altra parte come dice l’inno mistico del Grande Giovedì (sera): «Ci hai riscattati dalla maledizione della legge con il tuo prezioso sangue; appeso alla croce e trafitto dalla lancia, hai fatto scaturire per gli uomini l’immortalità. O Salvatore nostro, gloria a te»[101].

         In quel momento, così triste e commovente, nel quale il soldato faceva un atto di barbarie «colpendo il fianco di Cristo con la lancia»[102], avviene l’unità tra Sposo e Sposa, cioè tra il Signore e la Chiesa. In quel momento d’altra parte, così sacro e Santo, avviene la purificazione e la santità della Chiesa, la quale rinasce e si nutre con il sangue di Cristo; si presenta nel mondo «senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata»[103], e, come dice S. Giovanni Crisostomo «non soltanto ha ornato la Chiesa, ma l’ha fatta gloriosa»[104].

         In verità lo “Sposo”, il più bello fra tutti gli uomini[105], come scrive l’innografo, stabilisce un legame spirituale con la sua Sposa, la Chiesa, grazie al suo immenso amore rivelato nella croce; e questo legame mistico abbraccia ogni creatura; abbraccia il “caduto Adamo”, come canta la Chiesa Ortodossa durante il mattutino della Risurrezione, perché Cristo «fu crocifisso per ogni uomo, per effondere il perdono. Il suo costato fu trafitto perché per ogni uomo scaturissero le acque della vita. Fu confitto con chiodi, affinché l’uomo, convinto dalla profondità dei suoi patimenti, dalla grandezza della sua potenza, possa esclamare, o Cristo, datore di vita: «Gloria, o Salvatore, alla tua croce e alla tua passione»[106].

         Cristo, «distendendo le sue braccia ed unendo ciò che prima era separato»[107] e «operando la salvezza in terra e stendendo le sue braccia purissime sulla croce per accogliere tutti i popoli»[108], per la sua invincibile debolezza di amore verso l’uomo, ha ottenuto da una parte la mistica comunione tra Dio e l’uomo e dall’altra dell’uomo con se stesso e con il suo prossimo, diventando così mediatore tra Dio e l’uomo.

         Si dice che la separazione dell’atomo nella fisica forse ha aiutato la vita dell’uomo, rendendosi utile. La separazione, però, dell’io dal prossimo è la causa della tragedia e del dramma della miseria umana. Io e il prossimo, accanto a Lui, sotto la luce e la guida di Lui e soltanto di Lui. Ecco lo splendore del Dio Trino sulla terra.

         Discordie… rivoluzioni… guerre… sono conseguenze e risultati della divisione dell’uomo da se stesso, del suo allontanamento dal prossimo e della ribellione (apostasia) dell’“io” e del “tu” da Dio. E, però, Cristo per la libertà dell’uomo ha sopportato la croce e per l’unione e la sua unità, la tremenda e vergognosa morte»[109]; e come dice S. Paolo: «spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce»[110].

         A questo prezioso contenuto spirituale, salda fede della Chiesa Indivisa, è conforme il contenuto di uno dei più mistici e commoventi inni dell’Ortodossia, che si canta alla sera del Grande Giovedì: «Oggi è appeso al legno colui che ha sospeso la terra sulle acque. È cinto di una corona di spine il Re degli angeli, di una falsa porpora è rivestito colui che avvolge il cielo di nubi, è schiaffeggiato colui che ha liberato Adamo nel Giordano. È confitto con chiodi lo Sposo della Chiesa. È trafitto di lancia il Figlio della Vergine. Adoriamo i tuoi patimenti, o Cristo. Mostraci anche la tua gloriosa Risurrezione»[111].

 

 

Capitolo VIII – L’amore vivificante di Dio nella Divina Eucaristia

         L’insuperabile amore di Dio per l’uomo continua fino ad oggi con la Divina Eucaristia, la quale è una rappresentazione e commemorazione del sacrificio del Golgota.

         L’Eucaristia, costituita in commemorazione della morte di Cristo sulla croce, coincide con il sacrificio del Golgota, perché ambedue hanno Gesù Cristo come offerente e offerta, come sacrificatore e sacrificio[112], con la differenza che nell’Eucaristia Cristo sacrifica se stesso per mezzo del sacerdote «in modo incruento e misterioso»[113]; sul Golgota invece «ha offerto se stesso con il suo sangue, sacrificando la sua vita corporale»[114]. Così con il sacrificio della Croce «il Signore ha compiuto la redenzione di tutto il genere umano, riconciliando l’uomo con Dio; il sacrificio invece nell’Eucaristia ha come scopo anche la personale appropriazione e la comunione dei beni della croce[115]. Ritengo utile riportare qui la seguente spiegazione del Metropolita di Mosca Macario che afferma così: «Confrontando in genere il sacrificio sulla croce con il sacrificio incruento possiamo dire che il primo è utile come il seme o la radice, invece il secondo come l’albero, il quale ha germogliato da quel seme, si appoggia interamente su questa radice, si nutre dei suoi vitali

 

succhi e in questo modo produce i salutari frutti della vita; affinché ambedue i sacrifici siano indivisi fra di loro e costituiscano principalmente un (unico) sacrificio, ma anche contemporaneamente si distinguano tra di loro. Sono uno e lo stesso albero della vita, piantato da una parte da Dio sul Golgota, riempiendo dall’altra parte tutta la Chiesa di Dio dei suoi misteriosi frutti e nutrendo con questi frutti di salvezza tutti quelli che chiedono la vita eterna»[116].

         San Cipriano[117], Sant’Ambrogio[118] e San Giovanni Crisostomo affermano che l’Eucaristia è una reale immagine che rappresenta il sacrificio della Croce. Le Liturgie di S. Basilio, di S. Giovanni Crisostomo, ed anche altre Liturgie, insegnano che l’Eucaristia si offre in commemorazione delle sofferenze del Signore.

         Degni di importanza sono i seguenti testi di S. Giovanni Crisostomo: il primo dai suoi commenti alla lettera agli Ebrei e il secondo dalla sua Liturgia; il primo (dice): «noi ogni giorno… offriamo, però facciamo commemorazione della sua morte… Non è un sacrificio diverso di quello che allora fece il sommo sacerdote, ma è lo steso che facciamo per sempre; piuttosto operiamo la commemorazione del sacrificio»[119]. Il secondo: «Memori dunque del precetto del Salvatore: («Prendete, mangiate: questo è il mio Corpo, che per voi viene spezzato in remissione dei peccati»; «Bevete tutti: questo è il mio Sangue, del nuovo Testamento, che viene sparso per voi e per molti in missione dei peccati») e di tutto ciò che è stato compiuto per noi: della croce, della sepoltura, della risurrezione al terzo giorno, dell’ascensione ai cieli, della sua presenza alla destra del Padre, della seconda e gloriosa venuta, gli stessi donni, da te ricevuti, a te offriamo».

         È noto che «il sacrificio sulla Croce (è stato) offerto soltanto una volta sul Golgota per il genere umano, invece l’incruenta offerta, dalla sua istituzione si celebrava, si celebra e sarà celebrata fino alla seconda venuta del Signore per la salvezza degli uomini e su innumerevoli altari»[120]. Cristo Dio-Uomo continua ad amare la sua creatura ed a preparare per sempre la preziosa mensa, perché sua volontà è «che siano purificate le loro anime, che siano rimessi i loro peccati e possano acquistare il regno di Dio»[121].

         Grandissimo il dono per l’uomo, inconcepibile per la sua mente l’istituzione del sacramento dell’amore.

         Sappiamo molto bene che Cristo precedentemente aveva fatto un’azione di ineffabile umiltà, così com’era ineffabile il suo amore per l’uomo, insegnando: «Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi»[122].

         Anche il cibo che porta Cristo è insuperabile, unico, come il suo amore, perché in verità è il suo corpo e il suo sangue.

         È attuale ascoltare un inno della Chiesa Ortodossa che si canta nel Grande mercoledì-sera[123]: «Orsù fedeli, con mente sublime, partecipiamo all’ospitalità del Signore ed alla sua mensa immortale».

         In verità questo inno, e tanti altri del Grande Giovedì, hanno due cose degne di ogni menzione: “ospitalità del Signore” e “mensa immortale”.

         E l’innografo, veramente anche lui stupito di questa grandezza dell’amore divino, invita i fedeli a capire questa unica condiscendenza di Dio che continua a dare, e continuerà fino alla fine dei tempi, all’uomo il suo Corpo e il suo Sangue, il quale è antidoto contro la morte; è l’unica garanzia per avere l’uomo la salvezza e l’eternità: «Io sono il pane della vita…», «questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia», «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo, se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»[124]. «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’“ultimo giorno”»…

         «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui». «Come il Padre che ha la vita ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me»; «questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno»[125].

         Mentre Dio ha ospitato l’uomo nel Paradiso[126] e ha messo a sua disposizione ogni cosa buona e bella[127], così che egli aveva la gioia e l’onore di conversare con Dio, un’ospitalità veramente degna, e dopo la caduta di lui ha dato la sua vita per la redenzione dell’uomo e la vita eterna, questi durante la vita terrena di Dio lo ha ospitato prima in una grotta e poi sulla croce.

         È noto che l’Incarnazione e la Sepoltura di Cristo sono gli unici casi di eccellente ospitalità durante la sua vita terrena.

         La Madonna è la creatura pura e vergine che ha ospitato Cristo la prima volta.

         Un inno che si canta alla sera del Grande Venerdì dice: «è ospitato in un piccolo sepolcro»[128]; è «il sepolcro nuovo»[129] che il “nobile Giuseppe”[130], questa nobile anima, ospita il Grande Martire della Salvezza dell’umanità che fino a quel momento era solo nella sua solitudine e nel suo abbandono.

         «Giuseppe, chiesto a Pilato il santo corpo di Cristo, lo unse di preziosi unguenti e lo depose, avvolto in candida sindone, in un sepolcro nuovo»[131].

         Per completare questo punto dell’ospitalità del “Grande Straniero” da parte dell’ospitale Giuseppe mi riferisco a quel bell’inno che si canta durante l’uscita dal tempio dell’Epitaffio nel Grande Venerdì: «Donami questo Straniero, che dall’infanzia si è esiliato nel mondo come uno straniero; … Donami questo Straniero che ha saputo accogliere i poveri e gli stranieri.

         Donami questo Straniero perché lo seppellisca in una tomba, lui che non ha dove posare il capo, come uno straniero»[132].

         Dopo questa esposizione dell’ospitalità da parte di Dio verso l’uomo e di questo verso il suo Padre e suo Signore Dio, l’Ultima Cena è la più grande ospitalità di Dio per l’uomo, è la più ricca mensa per l’uomo anche in questa terra, preparata dall’ineffabile amore di Dio che è «l’offerente e l’offerto, è colui che riceve i doni e li distribuisce»[133]; «Egli è spezzato e non si divide, è sempre mangiato e mai si consuma, ma santifica coloro che ne partecipano»[134].

         Evdokimov dice nella sua opera “L’Ortodossia”: «Tutta l’Eucaristia è stata offerta una volta e non si è mai esaurita. L’Agnello di Dio è sempre mangiato e mai consumato».

         Nell’Eucaristia, il celebrante, continuando l’opera di amore di Cristo Dio-Uomo per la salvezza dell’uomo e diventando con le preghiere mistiche ponte tra Dio e l’uomo, si sforza di unire il cielo con la terra e creare tali condizioni che il “pléroma della Chiesa” si presentasse degno davanti a Dio e comunicasse con il suo corpo e il suo sangue, realizzando così la parola di Dio ed in verità la sua volontà: «Prendete, mangiate: questo è il mio corpo che per voi viene spezzato in remissione dei peccati»; «Bevetene tutti: questo è il mio sangue del nuovo Testamento che viene sparso per voi e per molti in remissione dei peccati»[135].

         Il celebrante ogni volta che celebra l’Eucaristia, avendo davanti a sé questo mistero di opera di amore, si sforza di costruire la grandiosa scala di Giacobbe per fare salire al cielo le anime che pregano con lui.

         Le preghiere del celebrante che prega sommessamente anche da parte del popolo coincidono con la Divina volontà e tramite di esse vivono una realtà divina e acquistano la forza spirituale di avere un rapporto di conoscenza, di sincerità, di amore, di fratellanza e di comunione con Dio.

         Cristo, «per l’ineffabile e immenso suo amore per gli uomini fattosi uomo senza alcun mutamento» come dice S. Giovanni Crisotomo nella sua Liturgia, compie tutta l’economia di salvezza a favore dell’uomo e realizza la volontà di suo Padre per dare all’uomo il glorioso titolo di “Figlio di Dio” e di farlo partecipare alla gloria eterna della Santissima Trinità.

         Dio non cessa allora di amare l’uomo e volgere il suo sguardo su di esso; così continua a visitarlo, ad ascoltarlo e ad incontrarlo; il suo dono più meraviglioso è l’eterna Eucaristia, la quale è “medicina di immortalità” e “antidoto per non più morire”.

         Nell’Eucaristia si invita l’uomo non soltanto ad imitare (Cristo) nel compiere la volontà di Dio, ma anche a vivere fino in fondo il suo eccellente desiderio, cioè di dare e donare la sua vita per gli altri: «Come io ho amato voi, così amatevi gli uni gli altri», «nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici»[136].

         Rimane per sempre, anche oggi, grandissima l‘importanza spirituale e morale della S. Eucaristia perché scopre all’uomo di oggi l’amore ineffabile del suo Salvatore, nato, crocifisso e risuscitato per la sua salvezza e la sua eternità.

         L’uomo tramite la S. Eucaristia trova il suo inizio divino e la via che porta al regno di Dio.

         L’uomo, creato «a sua immagine e somiglianza», trova nell’Eucaristia la sua ricchezza spirituale e realizza le divine parole: «Prendete e mangiate» e «Bevetene tutti», diventando così vero membro della Chiesa e Figlio di Dio.


*     Dr. Gennadios Zervos, vescovo ortodosso di Kratias.

[1]     Efesini 3, 18. 19.

[2]     La Croce si manifesta”.

[3]     Il mistero che è stato istituito per noi”.

[4]     Cf. «Infatti la profondità e l’altezza, l’ampiezza e la lunghezza, che cosa altro poteva essere se non la natura della croce?».

[5]     Canone del Mattutino del Grande Sabato, Ode III.

[6]     Meditazioni e discorsi, in Opere, (in Russo), Mosca 1873, p.90.

[7]     I Gv. 4, 8. 16.

[8]     Gv. 4, 24.

[9]     Genesi 1, 26.

[10]    Salmi 81, 6.

[11]    Cf. Mt. 25, 34 e II Cor. 12, 2-4.

[12]    Atti 14, 17.

[13]    I Gv. 4, 9.

[14]    Proverbi 8,23-30.

[15]    Galati 4,4.

[16]    Galati  4,4.

[17]    Filippesi 2,6-8.

[18]    Discorso sullo Spirito Santo, pg. 46, 696 B.

[19]    Giuseppe Vriennios, I Ritrovati, II, Edizione E. Vulgaris, in Lipsia 1768, 66,49,185.

[20]    Cf. efesini 3, 11.

[21]    Cf. Gregorio di Nissa, Antirrheticus adv. Apollinarem, pg.45, 1180 C.

[22]    Giuseppe Vriennios, op. cit., p.100.

[23]    Cf. Gregorio di Nissa, Oratio Magna Catechetica, XV, pg. 45, 48 BC.

[24]    I Gv. 4, 10.

[25]    Filip. 2,8.

[26]    Paraklitiki, Mattutino della Domenica.

[27]    Ibidem

[28]    Paraklitiki, Sabato sera.

[29]    Dogmatica della Chiesa Ortodossa Orientale, Atene 2-1956, p.152.

[30]    Rom 5,12.

[31]    Ef. 3,9.

[32]    Christos Andrutsos, op. cit., p. 197.

[33]    Ibidem

[34]    Gv. 3, 14-15.

[35]    Eb. 9, 11. 12.24; 10, 11.12.

[36]    Manuale di Teologia Dogmatica, p. 284.

[37]    Is. 53, 5-7.

[38]    Gv. 1,29.

[39]    Mt. 20,28.

[40]    Gv. 10,11.

[41]    Gv. 6,51.

[42]    Gv. 1,7.

[43]    I Pt. 1, 17-19.

[44]    I Cor. 15,3.

[45]    Ef. 5,2.

[46]    Rm. 4,25.

[47]    Manuale di Teologia Dogmatica, p. 289.

[48]    Cf. Col. 3,20.

[49]    Cf. I Pt. 2,4.

[50]    Cf. Is. 63,9.

[51]    Catechesi (ai Catecumeni) 13, 18.

[52]    Migne 65, 687.

[53]    Cf. Gal 3,13.

[54]    Migne 65, 689.

[55]    Migne 65, 692.

[56]    Migne 65, 721.

[57]    Ha studiato a Costantinopoli a fu consigliere teologico dell’imperatore Emanuele I Commeno.

[58]    Christos Andrutsos, op. cit., p. 199.

[59]    Mc. 10,45.

[60]    Rm. 3,23s.

[61]    Cf. Rom 8,31s.

[62]    Ebrei 9, 12.

[63]    I Gv. 4,8.

[64]    Gv. 3,16.

[65]    Cf. Christodulos Paraskevaidis, Metropolita di Dimitriados, La Divina Passione, p. 25

[66]    Cf. Christodulos Paraskevaidis, Metropolita di Dimitriados, La Divina Passione, p. 29

[67]    Esposizione della fede ortodossa, Pietroburgo 1894, pp. 195-196.

[68]    Il rinnovamento dell’amore divino, Rivista “Croce”, p.74.

[69]    Cf. Gv. 15,13.

[70]    Il rinnovamento dell’amore divino, p. 75.

[71]    Il rinnovamento dell’amore divino, p. 75.

[72]    Ibidem

[73]    Libro Liturgico della “Paraklitiki”, ufficio Domenicale, III tono. (In tutto i toni, secondo la Musica Bizantina, sono otto ed ognuno è usato per una settimana).

[74]    Canone, IV Ode.

[75]    I Gv. 4,9.

[76]    I Gv. 4,10.

[77]    Stichirà all’Ora Prima.

[78]    Gv. 3,16.

[79]    Triodion Quaresimale.

[80]    Ibidem

[81]    Ibidem

[82]    Rom. 3,25.

[83]    Cf. Mt. 20,28; Mt. 18,11; Gv. 3,17.

[84]    Cf. Gal. 1,4; Col. 1,14.

[85]    Cf. Gal. 3,13.

[86]    Cf. I Cor. 15,22.

[87]    Cf. Rom 5,12. 19.

[88]    Rom. 4,25.

[89]    Col. 2, 12-15.

[90]    Triodion (Libro con le ufficiature quaresimali della Domenica di Telone e Fariseo fino al Sabato Santo).

[91]    Ibidem

[92]    Triodion.

[93]    Gli Ortodossi dicono: «Grande Venerdì» invece di “Venerdì Santo”.

[94]    Cf. I Corinzi 15, 117-20.

[95]    Cf. Ebrei 9,14.

[96]    Cf. Rom. 8,17.

[97]    Mattutino del Grande Materdì.

[98]    Cf. Gv. 19,34.

[99]    Cf. P. Trempelas, Commento al Vangelo di S. Giovanni, Atene 1954, p. 681.

[100]  - «Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue» (Atti 20,28).

[101]     Triodion.

[102]     Cf. Gv. 19,34.

[103]     Cf. Ef. 5,27.

[104]     Cf. P. Tremplas, Commento alle Epistole del nuovo Testamento, Atene 1956, p.149.

[105]     Triodion, Grande Lunedì-Sera (cioè, Mattutino del Grande Martedì).

[106]     Triodion, Grande Giovedì-Sera, (Inni: “Le Beatitudini”).

[107]     Triodion, Grande Venerdì-Sera, Canone, ode III.

[108]     Triodion, Inno dell’Ora Sesta del Grande Venerdì.

[109]     Metropolita di Stavrupoli Massimo, Discorso sulla Festa del Trono della Chiesa di Costantinopoli, Rivista “Stachis”, Vienna 1974-77, p.81.

[110]     Filip 2,7-8.

[111]     Triodion.

[112]     Cf. Concilio Trullano, canone III.

[113]     Christos Andrutsos, Dogmatica della Chiesa Ortodossa Orientale, p. 371.

[114]     Ibidem.

[115]     Ibidem.

[116]     Manuale di Teologia Dogmatica (traduzione in greco dell’Archimandrita N. Pachidas), pp. 453-4.

[117]     Epist. 63, 14.

[118]     De off. 1,48.

[119]     Omelia 17.

[120]     Manuale di Teologia Dogmatica, op.cit., p. 453.

[121]     Cf. Liturgia di S. Giovanni Crisostomo.

[122]     Gv. 13,15.

[123]     In realtà è il Mattutino del Grande Giovedì.

[124]     Gv. 6,51.

[125]     Gv. 6,48-51 e 6,53-58.

[126]     Cf. Genesi, 2,8.

[127]     Cf. Genesi, 2,9.

[128]     Ode VIII.

[129]     Apolitichion (Inno principale del Santo Giorno).

[130]     Ibidem.

[131]     Inno “Kathisma” del Mattutino del Grande Sabato.

[132]     Processione dell’Epitaffio.

[133]     Liturgia di S. Giovanni Crisotomo.

[134]     Ibdem.

[135]     Liturgia di S. Giovanni Crisotomo, Preghiera prima della Consacrazione.

[136]     Gv. 15,12; 15,13.