Reginaldo Grégoire

«mater gratiae et miserricordiae» nei padri e nella tradizione cattolica medievale

  

       Tra i numerosi testi relativi alla questione mariana, occorre distinguere con cura le esclamazioni ammirative, le poesie, le affermazioni dommatiche esplicite, i testi liturgici e devozionali. Non ogni frase patristica o medievale è automaticamente un discorso dottrinale ufficiale e completo, o un atto del Magistero ecclesiale. Molti testi sono elementi parziali, frammenti di una riflessione occasionale e non esauriente, discorsi provocati da circostanze pastorali, liturgiche, catechistiche. La realtà vissuta dal popolo cristiano nella sua preghiera e nella sua devozione non è trasformata inevitabilmente in insegnamento apodittico del Magistero; ma ci rimane sempre questa preziosa testimonianza sulla vita e sulla fede dei fedeli, consensus fidelium o, per lo meno, sensus fidelium, espressione di una convinzione e di una certezza, frutto di una esperienza ripetuta e genuina dell’intercessione efficace di Maria. In qualche circostanza, questa letteratura mariana - per esempio, i Miracula Beatae Mariae Virginis - sono l’eco di una teologia talvolta inquietante e insicura[1]. In altri casi, il lirismo dei predicatori deve essere ricondotto alle sue origini oratorie in un determinato ambiente umano e culturale, senza dimenticare l’influsso della poesia del «Cantico dei cantici». Altrove si tratta di applicazioni mariane di asserzioni cristocentriche. In modo assai generale, l’insegnamento dei «Miracula» è cristologico e evangelico: non c’è nessun peccatore, grande o piccolo che sia, che debba disperare dalla sua salvezza, a condizione che ci sia il pentimento. Ci sono preghiere che iniziano con un saluto alla Vergine e proseguono con una domanda al Cristo. Per esempio nel secolo XI, un testo attribuito a Ermanno di Tournai († 1147): «Sed quia utrumque offendimus, ad utriusque misericordiam recurramus, et alteri per alterum reconciliari exoremus. Bona ego mater, reconcilia bono filio tuo reos filios tuos. Bone frater, reconcilia binae matri tuae reos fratres tuos»[2].

       Questa premessa indica la delicatezza del tema da svolgere nella presente sede. Si impongono alcune considerazioni ecclesiologiche. Infatti il titolo «madre di grazia e di misericordia» potrebbe essere attribuito alla Chiesa, poiché il ruolo della Chiesa consiste in una mediazione di grazia e di misericordia, prevalentemente per il mezzo dei sacramenti.

       Per ciò che riguarda Maria, madre della grazia e madre della misericordia sono due appellativi, due titoli che indicano una funzione e una missione in ordine alla saggezza. Se la realtà della maternità divine risulta dai testi biblici neo-testamentari, tuttavia una esplicitazione sistematica di un’altra forma di maternità non emerge nel Nuovo Testamento. La letteratura biblica mette spesso Dio in collegamento con la misericordia e con la grazia: per esempio, «...ut ostenderet divitias gloriae suae in vasa misericordiae, quae praeparavit in gloriam»[3], «sit vobiscum gratia, misericordia, pax a Deo Patre, et a Christo Iesu Filio Padris in veritate et charitate»[4], «gratia, misericordia, pax a Deo Patre et Christo Jesu Domino nostro»[5]. Nella liturgia di Giovanni Crisostomo, il concetto si esprime nella seguente affermazione: «Poiché tu sei Dio misericordioso e amico degli uomini...». Questa sobrietà lineare e essenziale si ritrova nella venerabile preghiera mariana, della Ave Maria, con la clausola medievale: «Santa Maria, madre di Dio prega per noi peccatori...»[6]. Il titolo «madre di grazia» potrebbe essere una derivazione del saluto angelico: «Ti saluto, Maria. Il Signore è con te, egli ti ha colmata di grazia»[7].

       Ma la Vergine Maria, denominata soltanto donna da S. Paolo, non riceve altri titoli né una qualsiasi funzione nella Chiesa primitiva e neppure nella storia successiva della Chiesa. Pertanto questi titoli di «mater gratiae et misericordiae» sono il risultato di una riflessione teologica. Quindi la loro validità sarà esaminata con particolare attenzione, verificando le motivazioni che condussero alcuni scrittori e teologi ad introdurre questi appellativi nella speculazione teologica mariana e nella pietà quotidiana. Il primo risultato è il necessario collegamento con la cristologia e con la soteriologia. «La Vergine santa ha generato fisicamente secondo la persona Dio unito alla carne» scrive Cirillo di Alessandria († 444)[8] e ancora: «E’ con ragione che deve essere chiamata “Madre di Dio”»[9].

       In Oriente, la sensibilità teologica è diversa da quella dei Padri occidentali. Un inno liturgico attribuito al vescovo di Edessa, Rabbula (†436), compagno di Cirillo di Alessandria nella lotta con l’eresia di Nestorio, invoca Maria: «Come ti loderemo, o umile, tu che sei tutta santa, tu che concedi a tutti i fedeli aiuto e forza?»[10]. Con il binomio «aiuto e forza» sono designate la grazia e la misericordia concesse da Maria ai suoi devoti. Il vescovo di Batna, Giacomo di Sarug († 521), canta le lodi dell’anima di Maria: «Per quanto il giusto può avvicinarsi a Dio, anche questa perfetta Beltà gli si avvicinò nell’eccellenza della sua anima; ma che Cristo sia da lei comparso nella carne, fu pura grazia, per la quale dobbiamo celebrare la di lui misericordia. A tal grado giunse la bellezza di Maria, che nessuno al mondo l’ha mai superata. Del resto, diciamo al Signore il «grazie » che a lui si addice per aver riversato senza misura la sua grazia sul creato. Stima la grazia del Figlio che tutti i mondi mai riusciranno a ricompensare con la loro gratitudine; stima i meriti di Maria, perché tra i figli degli uomini nessuno ne ha più grandi. I gradini attraverso cui passò questa eccelsa creatura sono la sua beltà, e poi la scelta a diventare madre del Figlio del Santo. Essa aveva innalzata la sua anima fino alla vetta più alta della perfezione, poi la grazia infinita prese dimora in lei. Il Signore la vide piena dello splendore di santità e volle prendere santa dimora nel suo seno»[11].

       Con la vivacità poetica il sacerdote Giovanni Damasceno († 749) si rivolge a Maria in una omelia sulla Dormizione: «Sei anche tu fonte perenne della vera luce, tesoro inesauribile della vita stessa, feconda sorgente di benedizione, causa ed origine di tutti i nostri beni. E anche se la morte, per qualche tempo, ha nascosto il tuo corpo, da te scaturiscono ciò nonostante sorgenti limpide ed inesauribili di luce sfolgorante di vita immortale e di autentica felicità, fiumi di grazia, fonti risanatrici, una benedizione senza fine»[12]. E altrove «...santificatrice di tutte le cose, riposo per gli affranti, consolazione per coloro che piangono, rimedio per gli ammalati, porto per quanti vengono sbattuti dalla tempesta, perdono dei peccatori, consolatrice degli afflitti, solerte aiuto per tutti coloro che ne hanno bisogno»[13].

       Siamo nella realtà della maternità di grazia e di misericordia. In Occidente, dal secolo X si diffonde il titolo di «mater misericordiae». L’origine è probabilmente benedettina e cluniacense. Giovanni di Salerno, nella sua Vita di Odone di Cluny (942), riferisce che quel secondo abate di Cluny era solito chiamare Maria «madre di misericordia». L’origine sarebbe nota: un ex-brigante, diventato monaco di Cluny, vedette in sogno una bella signora che gli chiese se la riconosceva. Poiché il monaco rispose negativamente, essa si qualificò «Ego sum mater misericordiae»[14]. Il titolo esprimeva una maternità misericordiosa, che fu rapidamente accolta dalla devozione privata. Lo stesso Odone di Cluny pregava in questi termini la Madre del Salvatore nella notte di Natale: «O Domina, mater misericordiae, tu nocte ista mundo edidisti Salvatorem; oratrix pro me dignanter existe. Ad tuum gloriosum et singularem confugiopartum, piisima, et tu meis precibus aures tuae pietatis inclina. Vehementer expavesco ne vita mea tuo discipliceat Filio, et quia, Domina, per te mundo se manifestavit, propter te quaeso absque dilatione misereatur mei»[15]. Questa preghiera fu ripresa in seguito, fino al secolo XVI[16]. Si rileva anche, nel secolo XII, il passaggio da «mater misericordiae» a «Mater nostra»[17].

       Ma il testo allora più famoso è, senz’altro, l’antifona «Salve regina mater misericordiae», già antifona di Terza nel giorno dell’Assunzione di Maria, attribuita al vescovo Ademaro de Le Puv († 1098)[18]. E’ una implorazione alla Madre di Dio. Le parole iniziali erano «Salve regina misericordiae», una sovranità di misericordia, diventata poi una maternità di misericordia. Al posto di «vita, dulcedo», si leggeva forse «vitae dulcedo»: vita e dulcedo sono due titoli attribuiti a Maria. Se Maria è vita nostra - titolo già cristologico - ciò suppone l’esistenza di una dottrina teologica relativa alla mediazione di grazia. Si ricordi la dottrina di S. Bernardo di Clairvaux († 1153) espressa per mezzo dell’immagine dell’acquedotto che serve a trasmettere i doni di Dio[19]. Maria sarebbe madre della misericordia che è Gesù stesso? L’ipotesi è suggestiva. Rimane comunque il fatto che la pietà popolare abbia espresso la sua devozione e la sua fede nella capacità di Maria di manifestare un ruolo di ascolto, di intercessione, di mediazione. Il motivo di quella possibilità di Maria di manifestare la sua funzione di misericordia è espressa da una delle più antiche orazioni mariali del sacramentario gregoriano, già destinata alla festa del 1 gennaio: «Deus, qui salutis aeternae, beatae Mariae virginis verginitate fecunda, humano generi praemia contulisti; tribue, quaesumus, ut ipsam pro nobis intercedere sentiamus, per quam meriumus auctorem viatae accipere Dominum nostrum Jesum Christum»[20]. E’ l’economia della salvezza che consente al credente di rivolgersi a Maria. Lo stesso concetto si presenta in una orazione gregoriana per L’Annunciazione: «Deus, qui de beatae Mariae virginis utero Verbum tuum, angelo nuntiante, carnem suscipere voluisti: praesta supplicibus tuis, ut, qui vere eam genitricem Dei credimus, eius apud te intercessionibus adiuvemur»[21].

       In modo enfatico, ciò è cantato da una prefazione della messa mozarabica di Natale, del secolo VII, dove si insiste sul ruolo di collaborazione di Maria alla salvezza: «Il tuo Unigenito è diventato figlio della tua ancella, Signore della sua madre: parto di Maria, frutto della Chiesa; nato da quella, ricevuto da questa; uscito piccolo da quella, dilatato meravigliosamente da questa. Quella ha creato la salvezza per i popoli, questa i popoli; quella ha portato nel suo seno la Vita, questa nel lavacro; nelle membra di quella Cristo è entrato, nelle acque di questa Cristo si è rivestito. Per quella è nato chi era, per questa è trovato chi era perduto; in quella è vivificato il Redentore delle nazioni, in questa le nazioni sono portate alla vita; per quella viene per togliere i peccati, per questa toglie i peccati a motivo dei quali è venuto; per quella ci ha pianti, per questa ci ha curati. In quella un Bambino, in questa un gigante; là piange, qui trionfa; per quella è stato portato fin dall’infanzia per questa ha sottomesso i regni. Ha promesso alla Chiesa di darLe il regno eterno. Si è impegnato a metterla, quale regina, alla sua destra. Le ha concesso ciò che aveva concesso alla sia madre: essere riempita, non essere violata; generare, non essere corrotta; a quella una volta, a questa per sempre; sedere quale sposa nel talamo della bellezza e moltiplicare i figli nel seno della pietà; essere gravida della sua discendenza, non essere sporca nella voluttà. Così, diventata ricca in Lui per Lui, reca umili doni al suo sposo e signore... Quindi adesso dalla sua destra, rimanendo in una eternità beata e gloriosa, loda il Signore, con te, Padre onnipotente, che regna con lo Spirito santo, con tutti i santi cantando e dicendo: Santo...»[22].

       La liturgia ambrosiana trasmette un prefazio per la dedicazione della Chiesa, che risale al secolo IX. Maria è madre dei viventi: è un modo efficace, sotto il profilo letterario per trasmettere una dottrina genuina sulla maternità di grazia. «...per Cristo nostro Signore. Egli ha affidato una eminente potestà alla Chiesa oggetto del suo gradimento, che ha stabilito per un tale onore Regina e Sposa, alla cui sublimità ha sottomesso l’universo, al cui giudizio ha dato dal cielo l’ordine di consentire. Questa è la madre di tutti i viventi, fatta più sublime dal numero dei figli. Essa procrea dei figli ogni giorno per lo Spirito santo...»[23]. Viene affermato e applicato alla Chiesa ciò che era già stato proclamato da Maria. Alla stessa epoca, lo stesso Cantico dei cantici aveva ricevuto una doppia esegesi: mariana e ecclesiologica.

       In modo più esplicito la liturgia bizantina dei vescovi della Natività della Santissima Madre di Dio canta: «Dalla stirpe di David oggi nasce la Madre della Vita, che dissipa le tenebre: è lei il risollevamento di Adamo e la riabilitazione di Eva, la sorgente d’incorruttibilità e la liberazione dal peccato; grazie a Lei siamo stati divinizzati e liberati dalla morte». E’ un testo sublime, che riassume perfettamente la teologia della redenzione e della santificazione. In maniera più discreta, l’ufficiatura bizantina del mattino, per la festa dell’ingresso al Tempio della Madre di Dio proclama: «Il frutto dei santi Gioacchino ed Anna è offerto a Dio nel santo tempio: fanciulla nel corpo, ma nutrice della nostra vita...» Infine, il celebre «Inno acatisto», del secolo VII, enumera tra le sue invocazioni un particolare saluto: «Ave, dolcezza di misericordia»[24].

       Prima del medio evo occidentale e fino al secolo XII, non appare in teologia una affermazione di un ruolo proprio di Maria, una dimostrazione di una sua operazione di grazia, operazione di cui Maria sarebbe il soggetto (in dipendenza dal Cristo e, ovviamente, dello Spirito Santo)[25]. Logicamente, l’intercessione di Maria era già stata riconosciuta, partendo da alcuni testi biblici, il principale essendo il racconto delle nozze di Cana[26]. Ma lo sfruttamento di tale testo in una prospettiva di intercessione esplicitamente definita risale al secolo XII. Il ruolo di intercessione della Madonna è considerato analogo a quello esercitato dai martiri: «...ut quod possibilitas nostra non obtinet, eorum postulatione donetur»[27]. In chiave mariana, il concetto suddetto si esprime nel seguente modo: «Famulorum tuorum, quesumus, Domine delictis ignosce, ut qui (tibi) placere de actibus nostris non valemus, genitricis Filiii tui Domini nostri intercessione salvemur»[28].

       Vari autori del secolo XI e XII affermano la presenza della misericordia in Maria. Per il Vescovo Fulberto di Chartres († 1028), la misericordia della Madre di Dio è utile per chi è consapevole del proprio peccato: «Quantoque vos conspicitis apud maiestatem Domini noxios existere, eo amplius respirate ad genitricem Domini plenam misericordiae»[29]. Lo stesso Fulberto prega: «Pia virgo Maria, caeli regina mater Domini, mater redemptoris, mater conditoris, mater creatoris, mater luminis, mater misericordiae et pietatis; supplex ad te confugio, misericordiam et gratiam a te et per te requiro, ut per te possim pacificari Filio tuo»[30]. Questa delicata invocazione sottolinea la capacità di Maria di offrire la sua disponibilità presso il suo Figlio, per concedere misericordia e grazia.

       Pier Damiani († 1072) è convinto della sua intercessione, dandoLe il titolo di madre di pietà e di misericordia, come già Fulberto: «Rogamus te, clementissima, ipsius pietatis et misericordiae mater, ut qui tuae laudis insignia frequent gaudemus in terris, tuae intercessionis auxilium habere mereamur in coelis»[31]. Una apologia proveniente da Fonte Avellana, del secolo XI, si conclude con una supplica: «Nunc ergo mater misericordiae, ora pro me peccatore ad eumdem filium tuum Dominum nostrum...»[32]. Il titolo è ancora attestato da una antica benedizione del mattutino, della fine del secolo XI: «Succurrat nobis hodie mater misericordiae»[33]. Una preghiera erroneamente attribuita a S. Anselmo e risalente alla fine del secolo XI, manifesta una precisa convinzione circa il ruolo orante di Maria: «Quare hoc potes? Quia mater es salvatoris nostri, sponsa Dei, regina caeli et terrae et omnium elementorum. Te ergo, domina: ad te confugio, piissima, et ut me per omnia adiuves suppliciter peto. te tacente, nullus orabit nullus iuvabit; te orante, omnes orabunt, omnes iuvabunt»[34].

       S. Anselmo († 1109) asserisce che Maria è madre di Cristo, Cristo è nostro fratello per effetto causale di Maria, siamo figli di Maria «per vitae restitutionem»: «Qui enim fecit ut ipse per maternam generationem particeps esset naturae nostrae et nos per vitae restitutionem essemus filii matris eius, ipse nos invitat, ut confiteamur nos fratres eius. Ego iudex noster est frater noster; salvator noster est frater noster; denique Deus noster est factus per Mariam frater noster... O Maria, quantum tibi debemus, Domina Mater per quam talem fratrem habemus»[35].

       L’omiletica medievale ricorre spesso al concetto della maternità di grazia e di misericordia, ma senza necessariamente ricorrere in modo esplicito, a quella terminologia. Ad esempio, un sermone anonimo «in natali sanctae Mariae», della fine del secolo VII o dell’inizio del secolo VIII, afferma: «Neque enim dubium illam quae meruit pro liberandis dare praetium, posse liberatis impartire suffragium»[36]. Il tema sarà ripreso dall’abate benedettino di Farfa Ambrogio Autperto († 784): «...nec potentiorem meritis invenimus ad placandam iram iudicis quam te, quae meruisti mater existere eiusdem redemptoris et iudicis: Succurre ergo miseris, iuva pusillanimes, refove debiles; ora pro populo, interveni pro clero, intercede pro monachorum choro, exora pro devoto femineo sexu; sentiant omnes tuum levamen, quicumque devote celebrant tuum Natalem. Sit tibi compassio super afflictis, sit pius affectus, super caelorum peregrinis; et, cum te semper laetatem aspicis, fletus nostros, quaesumus, ad Deum ipsa admittas, eumque ut proprium filium pro nobis interpelles»[37]. Paolo Diacono († 799) si esprime con concetti analoghi: «Set hoc nihilominus nulli debet esse ambiguum, quod nemo ea sanctorum sit in miserando mitior vel in compassione, vel ad quae libuerit obtinenda potentios... Ad hanc igitur omnis aetas, omnisque sexus concurrite; unusquisque vestrum quod sibi deesse considerat, ab huius efficacibus meritis plena fide deposcat, quia quae omnium castis suis viceribus protulit Redemtorem, universis prompta est opem conferre salutis... Huius splendidissimae matris et virginis efficacibus meritis universorum quae poscitis effectum praesumite. Quia quae ipsum misericordiae fontem, Iesum Christum Deum ac Dominum, peperit, ab ipso cuncta percipiens, per ipsum omnibus desiderata concedit»[38]. Questo testo ha il vantaggio di evidenziare il ruolo di Cristo nel dono della misericordia, pur sottolineando la funzione di intercessione di Maria, che sarà ripresa, dal secolo IX, dall’inno «Ave maris stella», in cui si canta i seguenti versi:

              «Monstra te esse matrem,

              Sumat per te precem,

              Qui pro nobis natus

              Tulit esse tuus».

       Ormai questo dato fondamentale è inserito nella liturgia e nella pietà popolare. Anche nel rito bizantino, una antifona dell’ora di Sesta, proclama: «Voi che siete fonte di misericordia, giudicateci degni della vostra compassione, Madre di Dio; volgete lo sguardo sul popolo che ha peccato, mostrate, come sempre, il vostro potere, perché nella nostra speranza in voi, vi diciamo: Ave, come già Gabriele, il capo degli eserciti degli incorporei». In occidente una altra preghiera del secolo XI, invoca: «Alma Virgo Maria... obsecramus te lacrimosis suspiriis, ut ad gemitum nostri meroris aures inclines magnificae tuae pietatis... Surge, misericorrditer actira pro nobis, et amplectere vestigia (al. misericordiam) Redemptoris nostri. Da preces pro nobis»[39].

       Assai noto è il «Te Matrem laudamus», trasposizione in chiave mariana del «Te Deum laudamus», sorta lungo il secolo XII. Tra le acclamazioni di quell’inno si rintracciano alcune tematiche ormai bene accettate da tutti: «Tu scala Regni caelesti et gloriae; Tu thalamus; Tu arca pietatis et gratie; Tu vena misericordiae; Tu sponsa et mater Regis aeterni; Tu templum et sacrarium Spiritus sancti; totius beatissimae Trinitatis nobile triclinium»[40].

       L’insegnamento della maternità di Maria non incontra più alcuna difficoltà; dal secolo XI in poi tutti gli autori spirituali e gli omelisti lo ripetono: Ad esempio, S. Anselmo († 1109): «O beata fiducia, o tantum refugium! Mater Dei est mater nostra: mater eius, in quo solo speramus et quem solum timeamus, est mater nostra; mater inquam eius qui solus salvat, solus dmnat est mater nostra»[41]. Goffredo di Vendôme († 1124) chiama Maria «mater christianorum»[42].

       Maria è madre della grazia e gli autori medievali lo dimostrano ricorrendo al noto parallelismo tra Eva e Maria. Per esempio Ermanno di Tournai († dopo il 1137) scrive: «Eva quippe illa dicitur mater morientium quia per illius culpam omnes sententiam mortis incurrimus, haec autem est mater viventium, quia per istam omnes vitam perditam recepimus. Sequentes enim Apostolum dicentem: vivificanbuntur (1Cor. 15,12), et nos de gloriosa matre eius dicere possumus: Sicut per Evam omnes moriuntur, ita per Mariam omnes vivificamur; Paradisi namque porta per Evam cunctis clausa esta, per Mariam virgimen interum patefacta esta»[43]. Per il cistercense Aelredo di Rievaulx († 1167): «Per beatam Mariam multo melius quam per Evam nati sumus, per hoc quod Christus de ed natus fuit... Ispa est mater nostra, mater vitae nostrae, mater incorruptionis nostrae, mater lucis nostrae... Ideo nobis magis mater quam mater carnis nostrae. Ex ipsa ergo est melior nostra nativitas, quia ex ipsa esta nostra nativitas, nostra sanctitas, nostra sapientia, nostra iustitia, nostra santificatio, nostra redemptio»[44]. Non ci sono espressioni più eloquenti per affermare la maternità di grazia e di santità.

       Per la maternità di misericordia, bisogna citare il famoso tropario egiziano del secolo III «Sub tuum praesidium»[45]. Il testo greco recita: «Fuggiamo sotto il riparo delle tue misericordie», mentre la versione originale sarebbe la seguente: «Sotto la tua misericordia ci rifugiamo, Genitrice di Dio. Le nostre suppliche tu non le respingere nella necessità ma dal pericolo libera noi sola casta, sola benedetta»[46]. E’ l’affermazione della certezza della sua mediazione. Maria è rifugio di misericordia, capace di liberare dal pericolo. Il testo latino ufficiale ha sostituito «misericordia» con «praesidium», che significa protezione; il testo ambrosiano invece ha conservato «Sub tuam misericordiam»e le altre versioni latine «Sub tuis visceribus», che corrisponde meglio all’originale greco εύσηλαγχυία, che significa «buone viscere, buona interiora, buon cuore, tenero cuore, misericordioso»[47]. Anche l’attuale testo siriano cattolico presenta: «Sotto il manto della tua misericordia e delle tue preghiere esaudite ed accettate noi ci rifugiamo. Proteggici, o santa Madre di Dio, Maria...»[48].

       Nel secolo VII, l’Assunzione si è ormai diffusa nel mondo bizantino. Ne segue un aumento di affermazioni relative all’intercessione di Maria. Ciò risulta nelle omelie mariane sull’Assunta. Ad esempio, nella più antica che appartiene a Teoteknos di Livia in Palestina (secolo VI) si proclama: «Rallegriamoci con la Madre di Dio, e formiamo cori con gli angeli, e celebriamo questa festa delle feste, l’Assunzione della sempre Vergine. In terra, era diventata il tesoro e l’insegnamento delle vergini; in cielo è partita come quella che intercede per tutti. Avendo assicurazione presso Dio, ci procura i doni spirituali, ci fa grazia della parola e ci insegna la saggezza»[49]. Lo stesso Germano di Costantinopoli († 733), a proposito dell’Assunzione, asserisce: «Riceviamo la certezza della vita eterna e acquistiamo in te, trasportata verso Dio, una mediatrice presso Dio»[50].

       Nel secolo X, un altro teologo bizantino, Giovanni il Geometra redige una Vita della Vergine che è una «somma mariale bizantina», centrata sull’Assunzione. Concludendo, l’autore commenta il salmo 44 e afferma: «So che la madre di colui che è misericordioso non manca di misericordia. Me lo provano l’amore per i poveri, l’ospitalità, le intercessioni, le guarigioni dell’anima e del corpo concesse durante la tua vita a quanti te ne pregavano; me lo provano i miracoli privati e pubblici, da ogni parte e da ogni genere, sopra ogni parola, più numerosi della sabbia, operati dopo la traslazione: e ciò che è ben migliore e più levato, le conversioni e le riconciliazioni incessanti dei peccatori, la condotta e la salvaguardia dei giusti, e per dire tutto con una parola la salvezza e la divinizzazione, privata e comune, della partecipazione della tua razza. Forse anche il Re fu sedotto da quella bellezza particolare, quel desiderio insaziabile di misericordia, da quella rassomiglianza con lui, più che dalle altre virtù, voglio dire: la castità e la forza, la prudenza e tutte le altre bellezze di quella regina, che sorpassano ogni bellezza della nostra natura. Dimodoché il Re misericordiosissimo diviene, se possibile, più misericordioso, lui che ha scelto questa regina a causa della sua bontà misericordiosa, e che ha voluto questa regina così misericordiosa presso se stesso, affinché il Paracleto del Padre abbia per noi una inclinazione e un affetto necessario e irrevocabile, poiché egli é supplicato da ogni parte, e avendo trovato un altro Paracleto, la Vergine, che ogni ora placa le sue giuste collere, invia a tutti le sue misericordie e diffonde a profusione le sue larghezze»[51].

       Romanos il Melode (” 560 ca), nel secondo inno sulla Natività canta, rivolgendosi a Adamo e Eva: «Lasciate i vostri lamenti, vado a farmi la vostra avvocata presso il mio Figlio; voi altri, cacciate la tristezza, perché ho portato la gioia nel mondo, perché è per distruggere il regno del dolore che sono venuta, piena di grazia»[52]. Maria con queste parole proclama la sua maternità di grazia. Tuttavia Romanos, insiste sull’unico misericordioso; nell’inno sulla moltiplicazione dei pani, egli scrive: «Nutrici tutti, compassionevole, e dacci la tua grazia e il perdono delle nostre colpe, per le preghiere della Madre di Dio, perché tu sei l’unico Cristo, l’unico misericordioso, pane celeste di immortalità»[53].

       E chi non conosce la celebre «preghiera di S. Bernardo» († 1153), che è un canto rivolto alla vergine di misericordia e alla madre del Verbo: «Memorare, o piissima Virgo Maria, non esse auditum a saeculo quemquam ad tua currentem praesidia, tua implorantem auxilia, tua pentem suffragia esse derelictum. Ego, tali animatus confidentia, ad te, Virgo virginum, Mater, curro ad te venio, coram te, gemens peccator, assisto. Noli Mater Verbi, verba mea despicere, sed audi propitia et exaudi»[54].

       Un altro cistercense, Guerrico di Igny († 1155) riprende il tema della maternità di grazia: Maria é madre di coloro che rinascono alla vita: «Et quia illa (cioé Eva) non potuit fideliter interpretari nomen suum, ista (= Maria) implevit mysterium: quae et ipsa, sicut Ecclesia cuius forma esta, mater est omnium ad vitam renascentium»[55]. O ancora: Maria è madre della vita: «Mater siquidem est vitae, qua vivunt universi qua dum ex se genuit, nimirum omnes ex ea victuri erant, quodammodo regeneravit. Unus generabatur, sed nos omnes generabamur, quia videlicet secundum rationem seminis quo generatio fit, iam tunc in illo omnes eramus. Sicut enim in Adam fuimus ab initio propter semen carnalis generationis, sic in Christo, ante initium, propter semen spiritualis regenerationis»[56]. Adamo de Perseigne († 1204), anch’egli cistercense, nel suo «Mariale», si rivolge a Maria in questi termini: «Timere non debet, ut parat, cui misericordiosissima mater clementissimi fratris et iudicis se piissima matrem exhibet et potentissimam advocatam. Tu misericordiae mater non rogabis pro filio Filium , pro servo Dominum, pro reo Iudicem, pro creatura Creatorem, pro redempto Redemptorem? Rogabis plane, quia qui Filium tuum iter Deum et homines posuit mediatorem, te quoque inter reum et iudicem posuit mediatricem»[57].

       Nel secolo XIV, il titolo di «Santa Madre della grazia» («delle grazie») si ritrova nelle Marche, in Friuli, anche a Vicenza; era una conseguenza dell’evoluzione del titolo «Domina» in «mater misericordiae»; da un titolo «gaudioso» si giunge ad una realtà di umanità[58]. Nella pietà mariana dei Servi di Maria, una supplica conservata nella «Legenda beati Philippi» del secolo XIV, invoca Maria: «...tuque, o piissima mater, peccatorum advocata miserorum refugium, captivorum solatium, fonseque misericordiae ac pietatis»[59]. In modo analoga, una lauda alla Vergine, del secolo XV, manifesta questa consapevolezza della maternità di misericordia e della intercessione di Maria;

                   «Ave, imperadrice del cielo,

                   Ave, madre di misericordia

                   Ave, avochata di noi miseri pecchatori.

                   Dolcissima regina degli angioli,

                   Imperadrice del cielo,

                   Chamera di Spirito santo,

                   Armario di scienzia»[60].

       La lauda riprende la tematica del «clamor» medioevale, in cui si sollecita la Vergine Maria di svolgere una funzione di avvocatura, con riferimento specifico alla misericordia per i peccatori. Perciò si rileva, anche in quella sede, il collegamento con la storia della salvezza.

       A livello popolare, questa teologia della maternità di grazia e di misericordia si diffuse per il tramite della celebre «Penitenza di Teofilo», racconto agiografico noto in Oriente, e particolarmente dal secolo XIII, anche in Occidente[61]. Teofilo era economo della chiesa di Adana, in Cilicia nel secolo VI. Per non aver accettato l’episcopato, Teofilo cadde in disgrazia e fu privato delle sue mansioni. Per vendicarsi ricorse alla magia e si rivolse ad un ebreo esperto in demonologia. Questi gli annunzia che avrebbe trionfato a condizione di rinnegare Cristo e Maria. Teofilo accetta, firma un attestato del suo impegno col diavolo. Poco tempo dopo, si accorse del suo errore e si rivolse alla Madonna per suggerimento del Signore. Per 40 giorni sta nella chiesa di Maria, supplica, piange, digiuna ma la Madonna non si lascia piegare; anzi dice chiaramente a Teofilo: «Sei temerario e noioso nella tua richiesta, fastidiose postulans, di essere aiutato, tu che hai rinnegato il mio Figlio, Salvatore del mondo e me stessa? Come posso chiedere che ti perdoni il male compiuto? Con quali occhi guarderò il volto misericordioso del Figlio mio?...» Tuttavia aggiunge, il perdono ci sarà a condizione che il pentimento sia sincero: «Valde enim misericors et nimis iustus existit iudex». Teofilo si affretta a segnalare l’esempio di pentiti notevoli: i Niniviti, Raab, Davide, Pietro, Zaccheo, Paolo e Cipriano. Maria esige una professione di fede in Cristo; si sforza di sciogliere i dubbi di Teofilo. «Tu tantum accede, et confitere illum. Misericors enim est, et suscipiet lacrimas poenitentiae tuae». Allora Teofilo felice, «cum reverentia et competenti humiltate», esprime la sua fede in Cristo, chiedendo a Maria di non respingerla, ma di presentarla di persona al suo Figlio. Maria é finalmente soddisfatta, essa che é «spes generis christianorum, mediatrix Dei ad homines».

       Questa parabola agiografica illustra il ruolo di Maria che conduce alla grazia e indica la via della misericordia, secondo la felice espressione di un anonimo del secolo XII-XIII, probabilmente certosino: «ministra gratiae Spiritus sancti»[62].

 

Conclusione

       La pietà liturgica e popolare non esita a riconoscere la funzione di ascolto, di intercessione, di mediazione di Maria nell’ambito della grazia e di madre della misericordia sono assai recenti e posteriori al secolo VIII. Sono una deduzione logica di una riflessione biblica e teologica, che ha approfondito alcuni aspetti della vicenda storica e teologica della «Madre di Dio» (Teotókos). La prudenza del pensiero occidentale si giustifica dalla necessità di non attribuire a Maria il ruolo tipico dello Spirito Santo; in Oriente si rileva la stessa tendenza, e quindi non si può dimenticare il genere letterario di numerose affermazioni (acclamazioni omiletiche, inni di lode, riflessioni poetiche, ecc). Secondo il monaco bizantino Giovanni il Geometra, della fine del secolo X, il Figlio «ha voluto che questa regina così misericordiosa diventasse non soltanto la sua madre,. la ancora mediatrice e riconciliatrice presso di sé, affinché il Paraclito del Padre abbia per noi una inclinazione e un affetto necessario e irrevocabile, essendo supplicato da ogni lato e avendo trovato un altro paraclito, la Vergine, che ogni ad ogni ora pacifica le sue giuste collere, invia a tutti le misericordie e diffonde con profusione i suoi benefici»[63].


[1]        Ad es. PIER DAMIANI (?), In Nativitate beatae Mariae Virginis, p.l..., 144, 740 B: «Accedis enom ante illud aureum humanae reconciliationis altare, non solum rogans, sed imperans, domina non ancilla». Per i Miracula beatae Mariae Virginis, cfr. Bibliotheca Hagiographica Graeca 1058-1076. Bibliotheca Hagiographica Latina e Suppl. 5361-5409 a;  Bibliotheca Hagiocraphica Orientalis 655-661.

[2]        ERMANNO DI TOUNAI, De Incarcatione, P.L., 180,38 A.

[3]        Rom 9, 23.

[4]        2 Giov. 3.

[5]        1 Tim. 1,2; 2 Tim 1,2.

[6]        Il primo testo completo dell’Ave Maria si trova in un codice fiorentino, già della biblioteca del convento dei Servi, anteriore al 1371; cfr. R.M. Taucci, Un Santuario e la sua Città: la SS.ma Annunziata di Firenze, Firenze 1978, p.52.

[7]        Lc. 1,28

[8]        CIRILLO DI ALESSANDRIA, lettera a Nestorio, 2.

[9]        Id. Contro coloro che non riconoscono che Maria è la madre di Dio., 4.

[10]      Testo citato in La Teologia dei Padri, II, Roma 1974, p. 163.

[11]      Id. p. 167; cf C. VONA, Omelie mariologiche di S.Giacomo di Sarug, Roma 1953, pp. 132-133 (Lateranum, n.s., 19).

[12]      Omelie sul transito di Maria, I, 10-11; id., p.171.

[13]      Id., 12-13; ed.cit., p.171.

[14]      GIOVANNI DI SALERNO, Vita Odonis Cluniacensis, II,20; P.L., 133. 72AB. Cfr. H.BARRÉ, Prières anciennes de l’Occident à la Mère du Sauveur, Des origines à saint Anselme, Paris, p.111.

[15]      Vita Odonis, 1,9; P.L., 133, 47 BC.

[16]      Cf H. BARRÉ, op.cit., pp. 112-113.

[17]      Id., p.182.

[18]      C. BOYER, Le «Salve Regina», in Marianum 14 (1952), fasc. 2(41), pp.270-275.

[19]      S. BERNARDO, ed. J. Leclercq-H.Rochais, S. Bernardo opera omnia, V., Roma 1968, pp. 282-283.

[20]      P. BRUYLANTS, Les Oraison du Missel romain, II, Louvain 1952, n.440.

[21]      Id., n.320.

[22]      M. FÉROTIN, Liber mozarabicus sacramentorum, Paris 1912, v. 56, n. 114.

[23]      A. PEREDI, I prefazi ambrosiani, Milano, 1937, p. 201.

[24]      Inno acatisto, 5; ed. C. Del Grande, Firenze 1948, p.49.

[25]      Y. CONGAR, Sainte Eglise, Paris 1963, p.686 (Unam Sanctam, 41).

[26]      H. BARRÉ, L’intercession de la Vierge aux début du Moyen Age occidental, in Recherches sur l’intercession del Marie, I, Fondements et premiers développements, Paris 1966, pp. 78-79.

[27]      Sacramentario di Verona, ed. L.C. Mohlberg, Roma 1966, n.71 (Rerum ecclesiasticarum documenta, series maior: Fontes, 1).

[28]      Cf H. BARRÉ, Prières anciennes..., op.cit., p.82.

[29]      Sermo VI, in Nativitate beatae Mariae virginis; P.L. 141, 331 B.

[30]      Testo in H. BARRÉ , Prières anciennes..., op.cit. p.155.

[31]      PIER DAMIANI, s. 46, P.L. 144,761 B.

[32]      Testo in H. BARRÉ, Priéres anciennes..., op.cit., p.221.

[33]      J. LECLERCQ, Formes anciennes de l’office marial, in Ephemerides Liturgicae 74 (1960), p. 94, n.21.

[34]      PS. ANSELMO, or. 46, P.L., 158, 944 A. Citato da H.BARRÉ, Prières anciennes..., op.cit. pp. 168-169. Cfr. Ps. Beda, hom III, 59: «Mundus deletus esset, nisi per preces sanctae Mariae sustinearur» (P.L., 94-422 b).

[35]      Oratio 52 ad S.Virginem Mariam; P.L., 158, 957.

[36]      Ps. ILDEFONSO, s.8,2; P.L., 96, 270 A.

[37]      Citato da H. BARRÉ, Prières anciennes..., op.cit., p.86.

[38]      Id., pp. 86-87.

[39]      Citato da H. BARRÉ..., Prières anciennes..., op.cit. 175-176.

[40]      G. BESUTTI, Pietà e dottrina mariana nell’Ordine dei Servi di Maria nei secoli XV e XVI, Roma 1984, p.59 (Scripta Pontificae Facultatis Theologicae Marianum, ns., 9)

[41]      Oratio 52 ad S.Virginem Mariam; P.L. 158, 957.

[42]      Sermo 7 de Purificatione S. Mariae; P.L., 157, 266.

[43]      Tractatus de Incarnatione Domini, 10; P.L., 180, 36.

[44]      Sermo 20 in Nativitate beatae Mariae virginis, P.L., 195, 323.

[45]      G. GIAMBERARDINI, «Sub tuum presidium» e il titolo «Teotokos» nella tradizione egiziana, in Marianum 31 (1969), fasc. 2-4 (96), pp. 324 - 362.

[46]      Id. , p.330.

[47]      Id., pp. 334-334

[48]      Id. pp. 339..

[49]      A. WENGER, L’Assomption de la Très Sainte Vierge dans la tradition byzantine du VI au X siècle, Paris 1955, p.289 (Archives de l’Orient chrétien, 5).

[50]      Terza omelia sulla Dormizione, P.G., 98,365 B.

[51]      Testo in A.WEGNER op.cit., p.411.

[52]      Id, p.53.

[53]      Id. p.55

[54]      Non anteriore al secolo XV; cfr. A. LANZ, Memorare, o piissima virgo Maria, in Eciclopedia cattolica 8 (1952) cc. 660 -661.

[55]      Sermo 1 in Assumptione Beatae Virginis; P.L., 211, 703.

[56]      Id.

[57]      Mariale, sermo 1 in Annunciatione Beatae Virginis; P.L., 211, 703.

[58]      Cf. D. M. MONTAGNA, Aspetti e forme della pietà mariana nell’Ordine dei Servi tra Quattro e Cinquecento (analisi di un’opera recente), in Marianum 47 (1985), p.565.

[59]      D. M. MONTAGNA, La «marianità» di San Filippo Benizi dei Servi (1233-1285), secondo le fonti agiografiche medioevali, in Marianum 47 (1985) pp. 550 - 551.

[60]      D.M. MONTAGNA Ramenta mariana medioevalia, 4 Laudi alla Vergine Annunziata di Firenze secondo il quattrocentesco Codice Rustici (Firenze, Biblioteca del Seminario), in Marianum 47 (1985), p.231.

[61]      Penitenza di teofilo; cfr. R. JANIN, Teofilo di Cilicia, in Bibliotheca Sanctorum 12 (1969), cc. 340-343. Bibliotheca Hagiografica Graeca III, Append., nn. 1319-1322;. Bibliotheca Hagiografica Latina, 8121 -8126. Cfr H. BARRÉ, L’intercession de la Vierge... art.cit, pp.92-94. testo latino Publica Theophili poenitentia, ed G.G. MEERSSEMAN, in Medelingen van den koninklijeke vlaamse Akademie... van belgie Klasse der Letteren, Brussel 25 (1963), pp.3-36.

[62]      Libellus de corona beatae Virginis; 11; P.L., 96,300 C.

[63]      Discorso di addio sulla Dormizione; ed. A. WENGER, L’Assunption..., op.cit., p.408, n.63.