Luigi Alici

l’amore misericordioso come «santuario domestico»

 

1.       La famiglia, «comunità salvata e che salva»

1.1     Nell’anonimo scritto A. Diogneto, che risale al II secolo e ci riporta alla prima fioritura del pensiero cristiano, viene riassunta con parole esemplari la condizione del cristiano nel mondo: «I cristiani ― vi si legge ― non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per il modo di vestire. Non abitano mai città proprie, non si servono di un gergo particolare, né conducono uno speciale genere di vita. La loro dottrina non è dovuta ad un’intuizione geniale o alle elucubrazioni di spiriti che si perdono dietro a vane questioni. Essi non professano, come tanti altri, dottrine umane insegnate dall’uno o dall’altro caposcuola. Sono sparpagliati nelle città greche e barbare, secondo che a ciascuno è toccato in sorte. Si conformano alle usanze locali nel vestire, nel cibo, nel modo di comportarsi; e tuttavia, nella loro maniera di vivere, manifestano il meraviglioso paradosso, riconosciuto da tutti, della loro società spirituale.

          Abitano ciascuno nella propria patria, ma come immigrati che hanno il permesso di soggiorno. Adempiono a tutti i loro doveri di cittadini, eppure portano i pesi della vita sociale con interiore distacco. Ogni terra straniera per loro è patria, ma ogni patria è terra straniera. Si sposano e hanno figli come tutti, ma non abbandonano i neonati. Mettono vicendevolmente a disposizione la mensa, ma non le donne. Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma col loro modo di vivere vanno ben al di là delle leggi... In una parola, ciò che l’anima è nel corpo, i cristiani lo sono nel mondo»[1].

          Può essere interessante, a distanza di quasi diciotto secoli, confrontare una testimonianza così limpida e serena, con la puntualizzazione misurata ed attenta che ci è stata donata dal Concilio Vaticano II: «Per loro vocazione ― si legge nella Costituzione Lumen Gentium ― è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio.

          Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti i diversi doveri e lavori del mondo e nelle ordinate condizioni di vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo esercitando il proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a manifestare Cristo agli altri principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità»[2].

          Questi due testi, così lontani per contesto storico ed ecclesiale, possono concorrere a delimitare l’ambito di questo intervento che vuole fornire una serie di spunti esistenziali, che aiutino a verificare nella concretezza della vita vissuta la possibilità di vivere una spiritualità coniugale e familiare ispirata al messaggio dell’Amore Misericordioso.

          I testi citati concordano essenzialmente nel presentare il fedele laico come il cristiano nel mondo, come colui che è chiamato a vivere sino in fondo la dimensione creaturale dell’universo, come dimensione originariamente buona, corrotta dal peccato e redenta da Cristo. In questo disegno, il suo inserimento nel mondo non è qualcosa di «tollerato», ma al contrario un fermento vivo e irripetibile, che è chiamato a lievitare, come un segno quasi-sacramentale dell’amore di Dio per l’umanità e per il creato, un amore incontenibile e totale, che accoglie il mondo e lo vuole redimere in pienezza.

          Rispetto a questo progetto meraviglioso, incrinato ma non irrimediabilmente compromesso, risalta il carattere fondamentalmente, ambivalente della presenza dell’uomo sulla terra, che è chiamato, in spirito di verità e di libertà, a condividere e insieme a trascendere, ad accogliere e a vivificare. Nel piano della salvezza, infatti, la creazione è aperta a progredire grazie alla collaborazione dell’uomo, una collaborazione che l’esperienza del peccato rende ogni giorno particolarmente fragile e insidiata. Il disegno originario di Dio è stato integralmente rigenerato dall’offerta redentiva di Cristo e solo l’uomo che, attraverso la grazia, vive una comunione intima con Cristo crocifisso potrà riattivare faticosamente il cammino di tutto il creato, orientandolo verso cieli nuovi e terra nuova.

          Nasce da qui, da questa accettazione piena della nostra identità di uomini e di donne, chiamati tutti a continuare l’opera della creazione, il compito magnifico e terribile del credente laico: riconoscere e testimoniare, nelle forme corrispondenti ai suoi carismi e alle sue possibilità, questo equilibrio profondo tra natura e grazia, tra libertà umana e provvidenza divina, tra fede e storia.

          Questa è, appunto, la prima riflessione da cui vorremmo partire: il laico deve essere nel mondo quello che l’anima è nel corpo: la pienezza vivificante che accoglie, che riscatta, che riabilita, che riconduce l’esistente alla purezza originaria. A tal fine occorre tornare a guardare al mondo con occhi purificati, come un bene, un valore che ha una sua propria ricchezza, un proprio valore nel disegno della creazione.

          Esiste infatti una legittima autonomia delle realtà terrene, che il fedele laico è chiamato appunto a vivificare e fermentare dall’interno: «Se per autonomia delle realtà terrene ― leggiamo nella Gaudium et spes ― si vuol dire che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di un’esigenza d’autonomia legittima: non solamente essa è rivendicata dagli uomini del nostro tempo, ma è anche conforme al volere del Creatore»[3].

          E in un testo ancora più esplicito: «Quanto al mondo ― è ancora il Concilio ― questo è il disegno di Dio: che gli uomini, con animo concorde, instaurino e perfezionino sempre più l’ordine delle realtà temporali.

          Tutto ciò compone l’ordine temporale, cioè i beni della vita e della famiglia, la cultura, l’economia, le arti e le professioni, le istituzioni della comunità politica, le relazioni internazionali e così via, la loro evoluzione e il loro progresso, non sono soltanto mezzi con cui l’uomo può raggiungere il suo fine ultimo, ma hanno un valore proprio, riposto in essi da Dio, sia considerati in se stessi, sia come parti di tutto l’ordine temporale: “E Dio vide tutte le cose che aveva fatto ed erano assai buone (Gen 1,31)”»[4].

          In questa ottica, risulta altresì chiaro che esiste un’unica santità che consiste nel vivere, in forme diverse la pienezza della carità verso Dio e verso il prossimo; non sono dunque le condizioni esterne o mondane quelle che possono «contaminare» automaticamente l’uomo: «Non quello che entra nella bocca rende impuro l’uomo, ― ci ricorda il Vangelo ― ma quello che esce dalla bocca rende impuro l’uomo!» (Mt 15,10).

          Il laico sarà dunque colui per il quale le cose non sono semplici occasioni o mezzi, ma realtà con una propria dignità, una propria verità, un proprio valore, sia pure un valore relativo, o «infravalente», come dice Maritain[5], in quanto uomo creato nel mondo, «è questo laico che Dio vuole santo e veramente santo, nel mondo. E questo laico sente, oggi come mai, di avere una missione per il mondo della famiglia, del lavoro e della cultura: proprio davanti a Cristo sente di non dover abbandonare il mondo ma di essere chiamato a fare del suo mondo il luogo di incontro con Lui»[6].

          Il capitolo V della Lumen gentium che ha per titolo Universale vocazione alla santità nella chiesa, in questo senso, è ancora da meditare e approfondire adeguatamente: «E’ dunque evidente per tutti ― vi si legge ― che tutti coloro che credono nel Cristo di qualsiasi stato o rango, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità e che tale santità promuove nella stessa società terrena un tenore di vita più umano»[7].

 

1.2     In questo contesto si colloca una corretta valorizzazione del sacramento del matrimonio e del valore della comunità familiare. «Dio stesso - ci ricorda ancora il Concilio - è l’autore del matrimonio, dotato di molteplici valori e fini: tutto ciò è di somma importanza per la continuità del genere umano, il progresso personale e la sorte eterna di ciascuno dei membri della famiglia, per la dignità, la stabilità, la pace e la prosperità della stessa famiglia di tutta la società umana... L’autentico amore coniugale ― prosegue la Gaudium et spes ― è assunto nell’amore divino ed è sostenuto e arricchito dalla forza redentiva del Cristo e dalla azione salvifica della Chiesa»[8].

          «Nel matrimonio e nella famiglia ― ci ricorda quindi Giovanni Paolo II ― si costituisce un complesso di relazioni interpersonali ― nuzialità, paternità-maternità, filiazione, fraternità -, mediante le quali ogni persona umana è introdotta nella ‘famiglia umana’ e nella ‘famiglia di Dio’ che è la Chiesa... La famiglia umana - continua il Papa - disgregata dal peccato, è ricostituita nella sua unità dalla forza redentrice della morte e resurrezione di Cristo (Cfr. Gaudium et spes 38). Il matrimonio cristiano, partecipe dell’efficacia salvifica di questo avvenimento, costituisce il luogo naturale nel quale si compie l’inserimento della persona umana nella grande famiglia della Chiesa»[9].

          In Evangelizzazione e sacramento del matrimonio il documento pastorale donatoci dall’Episcopato italiano nel 1975, troviamo precisazioni ed indicazioni che meriterebbero tuttora uno studio attento nelle nostre comunità; vi si ricorda, tra l’altro, che «l’alleanza tra Dio e il suo popolo viene ad essere principalmente espressa e significata da quella particolare forma di vita umana che è il Matrimonio e assume come sua immagine il vincolo coniugale»[10]. Infatti «gli sposi partecipano all’amore cristiano in modo originale e proprio, non come singole persone, ma assieme, in quanto formano una coppia»[11] e vi partecipano «con quella realtà che caratterizza la loro esistenza quotidiana, e cioè con l’amore coniugale»[12].

          Attraverso la comunità familiare, nella comunione d’amore che la costituisce, è la stessa grazia di Cristo, quindi, che si riversa sul mondo. «L’amore coniugale cristiano ― sono ancora i Vescovi Italiani ― è nel mondo presenza e testimonianza della grazia del Salvatore, che purifica, rinnova ed eleva la realtà umana. Nell’incontro sacramentale Gesù Cristo dona agli sposi un modo nuovo di essere per il quale sono come configurati a lui sposo della Chiesa e posti in un particolare stato di vita entro il popolo di Dio»[13].

          Non solo dunque esiste una relazione tra l’Alleanza di Dio con il suo popolo e l’Alleanza coniugale, ma, quel che più conta, tale relazione è diretta e non puramente metaforica: Cristo, infatti, né è il fondamento. Il matrimonio è perciò partecipazione totale all’amore totale di Cristo, che «rimane» come presenza attiva, «dentro» l’amore coniugale donandosi continuamente agli sposi, «perché, come egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per essa, così anche i coniugi, possono amarsi l’un l’altro fedelmente per sempre, con mutua dedizione... Ed essi, compiendo con la forza di tale sacramento il loro dovere coniugale e familiare, penetrati dello spirito di Cristo, per mezzo del quale tutta la loro vita è pervasa di fede, speranza e carità, tendono a raggiungere sempre più la propria perfezione e la mutua santificazione, ed assieme rendono gloria a Dio»[14].

          E’ la grazia sacramentale, quindi che fa della famiglia una vera e propria «Chiesa domestica»[15], la grazia che viene donata agli sposi, infatti, non è una grazia privata, ma fonda la comunità mediante lo Spirito Santo in vista dell’unità in un unico corpo di Cristo[16]. In tal senso la grazia sacramentale del matrimonio genera la più piccola, ma autentica comunità di credenti e di santificati, quella che, con le parole dei Vescovi italiani si potrebbe anche definire «comunità salvata e che salva», in quanto «non solo riceve l’amore di Gesù Cristo che salva, ma lo annuncia e lo comunica vicendevolmente agli altri»[17].

          La riscoperta di una vocazione laicale autentica e di un’autentica vocazione a vivere la grazia sacramentale che santifica il matrimonio e la famiglia dovrebbe accompagnare costantemente la nostra riflessione di sposi, di genitori, di figli, e diciamolo pure, orientare più seriamente gli esami di coscienza, a volte anemici e superficiali, che accompagnano stancamente la nostra vita di fede. Per la sua stessa natura, l’evento dell’amore coniugale, in quanto esperienza di comunione totale, feconda, indissolubile, si trova posto in una dolorosa e splendida collocazione di frontiera, fra una convivenza assetata d’amore, ma inaridita dall’egoismo e sconvolta dalla concupiscenza, ed un cammino di fede che sembra profilarsi sempre più esigente e difficile.

          Eppure, per la sua stessa natura, si potrebbe ritenere il mistero dell’Alleanza coniugale come il segno più ‘trasparente’ e ‘leggibile’ umanamente più ‘comunicativo’, di quel mistero di creazione e di redenzione che può essere accolto, con timore e tremore, nel dono della fede. Con una inevitabile semplificazione, potremmo arrivare a dire che la comunione coniugale e la comunità familiare che essa genera, è forse il segno più immediato e comprensibile, con cui preparare la strada all’annuncio del Salvatore che viene. Proprio per questo, però si chiede a tale segno di comunicare un messaggio d’amore umanamente ricco e positivo, che riesca ad abbracciare la vita dell’uomo in tutta la gamma delle sue manifestazioni affettive, materiali, culturali, sociali, riuscendo nello stesso tempo a liberarle nelle loro migliori potenzialità, come un corpo che si rianima in virtù di una presenza misteriosamente viva e vivificante.

 

2.       L’Amore Misericordioso nella famiglia

2.1     Precisate alcune linee di orientamento è possibile far prendere finalmente al nostro discorso un andamento più esistenziale e meno teorico.

          Vorrei partire, molto semplicemente, da due domande: come può l’annuncio di un Dio ricco di misericordia, che Gesù Cristo ci ha rivelato come Padre, rianimare la vita della famiglia, cioè letteralmente ridare un’anima alla sua vocazione d’amore, fino a penetrare le pieghe più intime e nascoste, raggiungendo tutta la gamma delle sfumature e delle vibrazioni affettive, esistenziali, educative che costruiscono, giorno dopo giorno, la fatica dello stare assieme?

          In secondo luogo: quale aiuto può venie, in questo specifico commino di santificazione familiare, da una famiglia Religiosa chiamata istituzionalmente, attraverso una speciale professione, a proclamare e testimoniare all’uomo d’oggi il mistero del Padre e del suo amore, a celebrare i tratti più delicati e profondi della tenerezza divina?

          Con una semplificazione inevitabile, che ha tutti i limiti dell’esperienza personale, sarei tentato di rispondere alla prima domanda con l’annuncio di Paolo: «Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatto rivivere con Cristo»[18]. E’ l’annuncio inaudito di un amore che è in grado di ricongiungere la morte con la vita, fino a riabilitare un’esperienza vitale soffocata dalla perversa spirale del peccato.

          Tutta la dinamica dell’amore coniugale riflette ed amplifica, al livello della massima donazione possibile fra due persone, la stessa dinamica dell’amore umano, che impasta assieme la fragile generosità della donazione con le volubili immaturità dell’egoismo e con l’amarezza della caduta, del rifiuto, del tradimento. L’amore umano vive un suo equilibrio delicato e fragilissimo, affidato ad una sintesi precaria di affettività, di intelligenza e di libertà che deve confrontarsi in ogni momento con i rigurgiti della istintualità più impulsiva e con i calcoli miopi di una giustizia ridotta unicamente a pareggiare richieste e dirimere conflitti.

          In un certo senso, si potrebbe affermare che la maturità affettiva della famiglia, colta lucidamente anche dalle odierne scienze umane, sta nella capacità di contrastare un rapporto egocentrico basato sul possesso, che vede gli altri unicamente come strumenti per soddisfare i propri bisogni, e nel trascendere, ad un livello appena più alto, un rapporto di tipo contrattuale, fondato su una reciprocità puramente esteriore di diritti e di doveri. Questa sapiente architettura, che colloca l’amore oltre la rivendicazione di diritti e l’arroganza delle pretese, condivide però con la natura umana una condizione fondamentale: è costantemente in bilico tra la vita e la morte.

          Ognuno di noi sa come l’amore coniugale può morire in ogni momento e non sempre nelle forme drammatiche della violenza, della infedeltà, dell’abbandono, ma anche in quelle più sottili, ma egualmente crudeli, della freddezza, del disimpegno, della disat­tenzione, della mancanza di dialogo, di una convivenza, insomma, assestata sui binari puramente funzionali di una divisione di compiti che consenta ad ognuno il massimo di egoismo individuale.

          Ciò che manca dunque all’amore coniugale è un dono straordinario, un supplemento di misericordia e di perdono che le consenta di passare attraverso la croce dell’in­comprensione, dell’aridità, della sofferenza, del lutto, di quel particolare momento difficile che talora ci si presenta come il capolinea dell’amore, come il punto terminale di un binario morto, dove sembra finire tutto.

La croce di Cristo, come ci ricorda il Papa nell’Enciclica Dives in misericordia, nel far «giustizia della morte che, agli inizi della storia dell’uomo, si era alleata col peccato» è anche «una rivelazione radicale della misericordia, ossia dell’amore che va contro a ciò che costituisce la radice stessa della male nella storia dell’uomo: contro al peccato e alla morte». E la famiglia, che è in cammino per liberare progressivamente il proprio amore dalle persistenti scorie di egoismo, trova dunque in questa rivelazione non soltanto la «più profonda verità di quell’amore che è Dio» ma anche «tutta l’interiore verità dell’uomo e del mondo che è la sua patria temporanea»[19].

          Infatti, è ancora il Papa nella Familiaris Consortio, «lo Spirito, che il Signore effonde, dona il cuore nuovo e rende l’uomo e la donna capaci di amarsi, come Cristo ci ha amato. L’amore coniugale ― dunque ― raggiunge quella pienezza a cui è interiormente ordinato, la carità coniugale, che è il modo proprio e specifico con cui gli sposi partecipano e sono chiamati a vivere la carità stessa di Cristo che si dona sulla croce»[20]. In tal modo alla famiglia è donata la grazia di vivere la propria vocazione come un autentico mistero di creazione e di redenzione, un mistero cioè che va incontro al bisogno d’amore, che pulsa nelle fibre più intime della natura umana, santificandolo in radice e chiamandolo a percorrere sempre, fino in fondo, il cammino della misericordia, attraverso il quale si passa, ogni giorno, dalla morte alla vita.

          «La configurazione all’amore sponsale di Cristo verso la chiesa spinge gli sposi ad effettuare continuamente la redenzione dell’amore coniugale nella vittoria sulle passioni, nel superamento di ogni sorta di egoismo, nella purificazione e sublimazione di ogni donazione reciproca totale; li spinge alla speranza, all’ottimismo, alla gioia con cui devono vivere insieme il loro cammino comune, guardare ed aprirsi giorno per giorno, al loro comune avvenire fino alla gloria del cielo, ma anche all’inserimento nel mondo per portarvi la redenzione di Cristo»[21].

 

2.2     Vi furono sempre ― ha scritto Maritain ― ma non saranno mai abbastanza numerosi, centri di pace e d’irradiazione in cui gli uomini trovano un po’ di silenzio per ascoltare Dio e per unire le proprie forze in vista di qualche eventuale impresa che Egli richieda e ispiri loro. Sono le porte attraverso le quali gli angeli possono scivolare di nascosto tra noi. Per secoli questa funzione toccò ai monasteri e agli istituti religiosi, che continuano tuttora e continueranno sempre ad adempierla: tutto ciò che si immaginerà di nuovo, dovrà sempre rifarsi da essi e in essi ritemprarsi. Ma il mio pensiero è che questo compito sarà esercitato d’ora in poi dal mondo laico stesso, o almeno da quelle sue famose ‘minoranze profetiche’, data la presa di coscienza che sta avvenendo ai nostri giorni da parte dei laici cristiani, e che segna una svolta davvero decisiva nella storia della Chiesa. Questi «focolai di luce spirituale», conclude Maritain saranno «fermento che farà lievitare tutta la pasta»[22].

          Non credo sia una forzatura eccessiva applicare questa pagina del grande filosofo francese anche alla Famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso e al santuario che essa considera centro e segno della propria spiritualità, da dove proclama al mondo, con le parole della Madre Speranza, che «Dio è un Padre pietoso che cerca con ogni mezzo di confortare, aiutare, fa felici i propri figli; che li segue da vicino, li cerca incessantemente con amore, come se non potesse essere felice senza di loro»[23].

          In uno splendido libro che Giampiero Beltotto ha realizzato, raccogliendo interviste e poesie in un monastero di clausura, quando si chiede che differenza ci sia, dal punto di vista dell’amore, fra la vocazione al matrimonio e la vocazione monastica, si legge la seguente risposta: «Dal punto di vista dell’amore, nessuna. Amare è aderire a Dio e al suo volere. Se non si ama un marito perché non si scopre in lui il volto del Signore e l’adempimento del suo volere, è difficile dare al rapporto coniugale l’ampiezza, la fedeltà e la profondità che lo dilata a una dimensione eterna e ne fa immagine di Chiesa. Colui che suscita e benedice l’incontro è il Signore. Così per noi: se il Signore non ci accompagna per mano, il primo fervore, più o meno mistico, si esaurisce presto... La differenza ― proseguono le monache ― consiste nella modalità delle mediazioni. La vocazione monastica aderisce, per così dire, al Signore, senza le mediazioni dell’amore umano e di ambiti di espressione professionale». In questi casi, esse concludono, «permane l’amore che aderisce al volere del Signore, permane l’inesauribile scoperta della misericordia del Signore che dal fondo del nostro stesso cuore ci costruisce come figli del Padre»[24].

          Per questo il Papa rivolge un’esortazione: «ai responsabili degli Istituti di vita consacrata a voler considerare ― sempre nel sostanziale rispetto del carisma proprio ed originario ― l’apostolato rivolto alle famiglie come uno dei compiti prioritari, resi più urgenti dall’odierno stato di cose»[25].

          Per una famiglia un santuario, come quello dell’Amore Misericordioso di Colle­valenza può essere un luogo di preghiera, di conversione, di riconciliazione, di colloquio più intenso e diretto con Dio, ma anche (e talvolta nello stesso tempo) un luogo di evasione, un alibi turistico per la stanca routine liturgica della parrocchia, addirittura una comoda riserva emotiva di splendide solennità occasionali, da consumare poi nei tempi lunghi dell’indifferenza e del disimpegno.

          Indubbiamente è difficile discernere, nel guazzabuglio del cuore umano, dove solo il Signore sa leggere, motivazioni autentiche da atteggiamenti il più delle volte inconsci e immotivati. C’è però un pregiudizio, che sovente porta a confondere santità e sacralità e in tal modo ci allontana da una accoglienza piena del messaggio cristiano.

          Ad una mentalità sacrale corrisponde, per lo più, una religiosità esteriore che allontana il divino in un suo spazio di purezza incontaminata, ritenendo erroneamente che esso s’incarni soltanto in una serie di luoghi, di tempi, di gesti o addirittura di persone trasformate da un misterioso contatto con il soprannaturale. In questi casi, anche e soprattutto una comunità religiosa o un santuario sono avvertiti come da una dimensione inaccessibile ed estranea alla quotidianità della vita, come un monumento di fede eroica ed inimitabile, qualcosa di troppo grande per poterlo riportare con noi, quando si torna a casa.

          Il genuino messaggio cristiano, invece, è un messaggio di santità, cioè di alleanza, di grazia, di comunione piena: Cristo è infatti in modo perfetto il «Santo di Dio», colui che vive in pienezza la condizione di Figlio. Essere chiamati alla santità significa dunque essere chiamati ad accogliere il dono gratuito e salvifico dell’Amore Misericordioso del Padre, ed innestarlo all’interno della nostra vita, con i suoi problemi, i suoi limiti, le sue debolezze.

          Sorge allora, a questo punto, la necessità di rivedere il rapporto egoistico e stru­mentale, che talora abbiamo col santuario, ricercando, di conseguenza, il modo di rita­gliarci un modello di santità adatto alla nostra vocazione coniugale e tale che possa trasformare la famiglia in un autentico «santuario domestico».

          Si tratta di un cammino che ci impegna a liberarci gradualmente da una religiosità sacrale, esteriore, che punta unicamente sulle grandi emozioni e sui gesti straordinari per acquisire una capacità nuova di donazione e di perdono, una finezza di sensibilità e di atteggiamenti da calare nel quotidiano, da trasformare nel linguaggio dimesso e prezioso delle piccole cose. Questa Congregazione dell’Amore Misericordioso, che sta crescendo nel silenzio operoso e difficile che segue sempre il fervore eroico degli inizi, può alimentare senza enfasi, come maestra di spiritualità, questa nostra difficile ascesi quotidiana, stile amore misericordioso, può farlo con la preghiera, con la fedeltà gioiosa alla propria vocazione, con l’esercizio umile e limpido del suo ministero, con la serenità e la semplicità della sua vita di comunione, con la testimonianza esemplare della Madre Fondatrice, una testimonianza che il tempo finalmente sta liberando da interferenze emotive o da attese indebite, restituendola alla storia della Chiesa come il lievito che continua a fermentare la massa, ben oltre la corta memoria degli uomini.

 

3.       Contemplazione e incarnazione

3.1     Giunti a questo punto, si potrebbe tentare di cogliere alcune linee di spiritualità familiare, che siano fedeli ai valori dell’Amore Misericordioso e insieme alla particolare vocazione laicale della famiglia stessa, nella prospettiva di un vero e proprio impegno missionario.

          Se vero che attraverso i sacramenti l’uomo viene trasformato in una «creatura nuova»[26], il pieno sviluppo della grazia sacramentale apre ad una nuova vita, chiamata a raggiungere la perfezione attraverso l’esercizio delle virtù cristiane. Esiste dunque un nesso intimo fra la grazia ricevuta nel sacramento ed il tipo di spiritualità grazie alla quale l’uomo potrà sviluppare tutte le sue potenzialità di «creatura nuova».

          Anche la spiritualità familiare deve quindi configurarsi come il pieno sviluppo della grazia sacramentale del matrimonio, in virtù della quale gli sposi devono rivivere l’uno per l’altro l’amore di Cristo per la chiesa e della chiesa per Cristo. Tale spiritualità, pur nelle inevitabili diversificazioni di personalità essenzialmente come un itinerario di contemplazione e incarnazione.

          Se è vero che l’amore coniugale consegue la sua pienezza in questo mistero di creazione e di redenzione, ciò che si chiede prima di tutto alla comunità familiare è di costruire la comunione, una comunione che è essenzialmente unità nella diversità, tensione unificante nella divisione, intimità nella dispersione: in altre parole si chiede alla famiglia di mettersi in uno stato di conversione permanente alla misericordia una conversione cioè che non si esaurisce in un momentaneo episodio interiore, ma diventa stile di vita, disponibilità a rimettersi in questione, a rompere il circolo vizioso delle rivendicazioni reciproche, a riconoscere i propri limiti e i propri errori.

          A questo atteggiamento non può che corrispondere un cammino di fede e di purificazione interiore, che giunga a vivere l’amore come dono e come perdono, impa­rando a trasferire nelle nostre piccole meschinità quotidiane il «dimenticare di Dio», che è veramente la fonte della nostra pace[27].

          La consapevolezza intima, profonda che Cristo è «dentro» l’amore coniugale dovrebbe dare a tutti i gesti che compongono la nostra esistenza del Signore, proprio come un santuario dove si celebrano dinanzi al mondo, con la vita, le meraviglie del suo amore.

 

3.2     Ma come è possibile trasformare in un vero e proprio «santuario domestico» (espressione che ricorre fra l’altro nel linguaggio conciliare ed è ripresa dal Papa)[28] quel semplice luogo di ritrovo caotico e indaffarato in cui ormai si sta riducendo la famiglia? Come unificare e santificare le esigenze di lavoro, la fretta, lo stress, la mentalità futile e consumistica che si insinua ormai inconsciamente dentro la nostra vita?

          Se tale obiezione ha un senso e non è (come credo) un semplice pretesto, ciò significa che essa esige un supplemento di impegno e di attenzione, anziché essere, come accade sovente, un incentivo al disimpegno, a lasciarsi andare. Su queste basi, allora, possono avviarsi verifiche serie e responsabili, per favorire un autentico cammino di contempla­zione e di incarnazione.

          La prima considerazione può essere la seguente: per struttura naturale e per vocazione cristiana, «la famiglia, in quanto è la matrice dell’individualità, ― ha scritto Marcel ― si colloca realmente al punto di articolazione fra vita e spirito»[29], è dunque il luogo della sintesi, della ricerca di un equilibrio nel rispetto della diversità. Di conse­guenza è indispensabile spandere sulla molteplicità delle esperienze affettive, sessuali, professionali, sociali di cui vive la famiglia una molteplicità di semi di contemplazione, che orientino segretamente verso una comunione autentica con il Signore.

          In questo campo non conta tanto la quantità del tempo che abbiamo a disposizione, ma soprattutto la qualità e il valore dei fermenti che immettiamo. E non è vero che la società odierna frapponga ostacoli insormontabili in tale direzione, accanto a tanti fattori di distrazione e di disorientamento, dobbiamo avere l’onestà di riconoscere che la società odierna ci offre tanto tempo libero e insieme tante possibilità impensate di comunicazione, di spostamento, di formazione culturale e teologica.

          Entro questo contesto, disarticolato e diviso, dobbiamo alimentare piccoli germi di contemplazione e di speranza. Del resto, «se non hai mai avuto distrazioni ― ha scritto Thomas Merton ― non sai come pregare. Perché il segreto della preghiera è una fame di Dio e della visione di Dio, una fame profonda che né il linguaggio né l’affetto sanno esprimere... Nonostante tutte le distrazioni che potrai avere, prega facendo uno sforzo tranquillo e forse anche senza parole per fissare il tuo cuore in Dio, che è presente in te indipendentemente da tutto ciò che ti passa per la mente. La Sua presenza ― egli conclude ― non dipende dal tuo pensare a Lui. Egli è lì, infallibile, se non vi fosse, tu non esisteresti»[30].

          A tal fine dobbiamo dare un respiro nuovo, meno episodico e individualistico, ai sacramenti che ci sono donati, in particolare il sacramento della riconciliazione e dell’eucarestia; creare dei momenti e anche degli spazi fisici (nelle nostre abitazioni sempre più ampie) di silenzio e di preghiera comune, una preghiera che sia per noi e i nostri figli autentica scuola di vita, quindi adatta ai bisogni, ai ritmi, all’atmosfera della nostra casa; affidarci con sistematicità ad una guida spirituale, predisporre un piano di letture sulle quali discutere e confrontarci; riempire di preghiera, di ascolto e di aggior­namento attraverso nastri registrati il tempo che spesso sprechiamo racchiusi e nervosi in automobile; conoscere e invitare in casa persone ricche di maturità e di esperienza; impegnarci con assiduità in associazioni e movimenti che sviluppano in modo particolare la spiritualità coniugale; scegliere un modo intelligente per trascorrere il tempo delle vacanze; infine saper spegnere il televisore al momento giusto, anche per riflettere assieme sui problemi che essi ci riversa in casa, per valutarli e parlarne con i figli, per ritrovare il gusto del dialogo e dell’ascolto, superando quel pudore ingiustificato con cui spesso, soprattutto gli uomini, bloccano ogni avvio di riflessione seria e costruttiva.

          Uno stile di autentica contemplazione ha dunque il suo riscontro più immediato sul piano dell’incarnazione, a cominciare dalla capacità di concorrere ed accendere una nuova vita e associarla al proprio cammino educativo. «Così i coniugi ― si legge nella Familiaris consortio -― mentre si donano tra loro donano al di là di se stessi la realtà del figlio, riflesso vivente del loro amore, segno permanente dell’unità coniugale e sintesi viva ed indis­sociabile del loro essere padre e madre»[31].

          Questo mistero di incarnazione, non può, inoltre, non generare anche un modo nuovo di vivere l’amore, affinando gradualmente la nostra capacità di discernimento e trasformando i nostri modelli di vita.

          Molti di noi, giovani o meno giovani, si portano ancora dietro un pregiudizio romantico, che considera l’amore come un sentimento immediato e ingovernabile, mentre esso comporta una dura ascesi di umiltà, di pazienza, di allenamento, una vera e propria «arte di amare», come ci ricorda anche Fromm[32]. La risposta all’Amore Misericordioso dovrebbe manifestarsi anche in questo: nella capacità reciproca di cogliere le differenze di sesso, di temperamento, di sensibilità, di età, di ruolo, che fanno la diversità e la ricchezza della comunità familiare, valorizzandole in un clima di continua maturazione psico-affettiva. Molte volte invece, in nome di un chiuso egocentrismo o comunque di un amore ancora immaturo e possessivo, si bruciano stoltamente nelle nostre famiglie talenti nascosti e preziosi.

          Allo stesso modo, una spiritualità di contemplazione, se non vuole prima o poi marcire e sterilizzarsi, deve affinare il senso critico, generare comportamenti di vita meno frivoli e superficiali, che sappiano opporsi in modo efficace ed intelligente ai modelli consumistici dominanti, insegnandoci a cogliere bisogni e attese reali, il più delle volte a noi vicinissimi, ma coperti dal frastuono di mille frivolezze. Per andare come pecore in mezzo ai lupi, occorre essere prudenti come serpenti e semplici come colombe (cfr. Mt 10,16). Anche in questo campo, la misericordia è più vicina ad una intelligenza generosa che all’impulsività del sentimento; essa non crea mai una cappa devozionale ed invadente, ma è come un lievito fresco che dona equilibrio e serenità

          Quando invece una famiglia si offre divisa alla grazia di Cristo, riservandole spazi spiritualizzati ed astratti, mentre la vita materiale ferve in ben altre direzioni, la sua stessa professione di fede suonerà come un linguaggio ipocrita e inconcludente, poiché pretende di annunciare a parole la comunione, screditandola di fatto con la divisione.

 

3.3     Di per sé a questo intervento non si chiederebbe, credo, anche di entrare nel campo più specifico della missione che la famiglia, per vocazione è chiamata a svolgere nella Chiesa e nel mondo. Eppure, non vorrei concludere queste semplici riflessioni senza fare almeno un cenno brevissimo in tale direzione, limitandomi a richiamare l’orizzonte delineato da Giovanni Paolo II nella sua Esortazione Apostolica Familiaris consortio.

          Alla base si potrebbe porre un’affermazione del Concilio: «la famiglia ha ricevuto da Dio la missione di essere la cellula prima e vitale della società. E essa adempirà tale missione se, mediante il mutuo affetto dei membri e la preghiera elevata a Dio in comune, si mostrerà come il santuario domestico della Chiesa; se tutta la famiglia si inserirà nel culto liturgico della Chiesa; se infine praticherà una fattiva ospitalità e se promuoverà la giustizia e le buone opere a servizio di tutti i fratelli che si trovano in necessità»[33].

          Il Papa ci ricorda che la famiglia partecipa alla missione della Chiesa essenzialmente in quanto è unita a Cristo Profeta, sacerdote e Re; questo triplice riferimento la qualifica come una comunità credente ed evangelizzante, in dialogo con Dio e al servizio dell’uomo[34].

          In primo luogo, quindi, «la famiglia cristiana vive il suo compito profetico accogliendo e annunciando la parola di Dio»[35], diventando cioè comunità credente ed evangelizzante. Anzi, prosegue il Papa, «come ha ripetuto il Sinodo, riprendendo il mio appello lanciato a Puebla, la futura evangelizzazione dipende in gran parte dalla Chiesa domestica»[36]. Questo ministero di evangelizzazione pone oggi alla famiglia compiti formidabili, chie­dendole non solo la dilatazione del cuore, ma anche un più incisivo itinerario di studio e di formazione ed un raccordo tutto nuovo con la vita pastorale della parrocchia.

          In tal senso la famiglia deve sentirsi sempre più responsabile del clima spesso freddo se non addirittura anonimo e squallido, che caratterizza la vita e gli ambienti di molte realtà parrocchiali; occupare spazi precisi soprattutto nell’ambito della pastorale familiare e in genere, dell’educazione all’amore, rifiutando di ridursi ad un generico supporto tuttofare all’ombra del campanile; aprire costantemente l’orizzonte ecclesiale delle atten­zioni e dell’annuncio al mondo degli indifferenti e dei lontani.

          In secondo luogo, in quanto inserita nella Chiesa, che è popolo sacerdotale, la famiglia «è chiamata a santificarsi e santificare la comunità ecclesiale e il mondo»[37]. A questo proposito, si tratterebbe di dare alle riflessioni che abbiamo cercato di svolgere un vero e proprio respiro missionario: la vita spirituale della famiglia non può ridursi ad una meschina sublimazione del nostro egoismo di coppia, ma deve essere aperta sul mondo, come atto volto a consacrare a Dio il mondo stesso, secondo quanto ci dice il Concilio[38].

          Da ultimo la famiglia partecipa alla regalità del suo Signore diventando una comunità al servizio dell’uomo, che s’adopera per l’avvento del Regno di Dio, perché si possa realizzare «il disegno di ricapitolare tutte le cose nel Cristo, sia quelle dei cieli, sia quelle della terra» (Ef 1,10). Ciò che forse si chiede con più urgenza alla famiglia, in questo orizzonte, è diventare luogo di promozione di valori morali e, in generale, di una rinnovata dimensione etica della vita. Oggi più che mai, venuta meno la fiducia nel potere delle grandi ideologie e delle grandi visioni del mondo, l’uomo del nostro tempo sembra ripiegarsi con lucido disincanto nella gestione di un’esistenza dominata unicamente da bisogni immediati, quasi drogata da un consumismo sempre più frivolo e spensierato.

          La rimozione di ogni domanda di carattere fondamentale sul senso della vita, sul perché si vive e perché si muore, si paga sempre più con una fragilità ed un’incertezza di fondo, come un malessere sottile che consola e inaridisce tutte le nostre azioni assimilandole ad un gioco tragicamente fatuo e privo di senso. Restano tutt’al più aree di sensibilità ancora marginali o incapaci di fare i conti con una equilibrata e completa gerarchia di valori. Mentre sta crescendo, ad esempio, una diffusa coscienza ecologica, una forma di «inquinamento» ben più grave sembra profilarsi all’orizzonte, che piega alla medesima logica del possesso l’autonomia e la dignità dell’uomo. Stiamo forse andando verso una società che si preoccuperà solo di liberarsi dai sacchetti di plastica e accetterà tranquillamente di abortire in modo sempre più pianificato e insieme, ben presto, di commissionare bambini magari scegliendo su eleganti cataloghi a domicilio gli embrioni superdotati di futuri sportivi, musicisti o scienziati?

          In tale contesto, finisce con il dissolversi, sfumando in un gioco irresponsabile di desideri, la dimensione etica della vita, la capacità di discernere il bene e il male, di educare al senso del dovere e del valore, di concepire atteggiamenti di servizio, di amore, di perdono, di solidarietà, realmente liberi da ogni logica di profitto.

          Alla comunità familiare tocca, in modo speciale, impegnarsi in quest’opera preziosissima e difficile di pre-evangelizzazione, che consiste nel promuovere, con la testimonianza di un amore misericordioso, una nuova cultura etica capace di accogliere e tutelare il valore della vita, con le parole e con le opere; non solo in nome di Cristo, ma anche in nome di un’esigenza interna alla vita stessa e conforme ai dettami di una sana intelligenza; senza crociate fanatiche e senza paternalismi; con un atteggiamento critico ed esigente, che sappia unire al senso vivo dei nostri limiti la consapevolezza di promuovere una verità che è un bene e un valore per tutti.

          Sopra questo compito, dobbiamo chiedere l’aiuto materno di Maria: «Che la Vergine Maria, come è Madre della chiesa ― per usare ancora le parole del Papa ― così sia anche la Madre della ‘Chiesa domestica’, e grazie al suo aiuto materno, ogni famiglia possa diventare una ‘piccola Chiesa’ nella quale si rispecchi e riviva il mistero della Chiesa di Cristo»[39].

          Alla preghiera del Papa vorrei idealmente, ricongiungere, infine, la preghiera di una esemplare coppia cristiana, i coniugi Jacques e Raissa Maritain, che Mauriac definì «contemplativi nel pieno della battaglia»: «Vivendo nel mondo, privi del soccorso che i religiosi trovano nella loro regola e nei loro voti ― privi anche, per una disposizione quale abbiamo a lungo vissuto ― e che Dio ama, noi dobbiamo col fervore interiore e con la povertà dello spirito compensare ciò che ci manca quanto agli appoggi esteriori. Applichiamoci dunque a praticare una profonda e universale umiltà, a rendere incessanti azioni di grazia per tanti benefici ricevuti, a vivere in una fiducia interamente abbandonata alla misericordia di Dio».

          Al testo, riportato nel Diario di Raissa, segue una parte della preghiera che si recitava solitamente dopo la cena in casa Maritain: «Mio Dio ti supplico per i nostri genitori e per i nostri benefattori, per i nostri amici e per i nostri nemici; per i poveri e gli afflitti, per i santi e i peccatori, per gli ammalati e gli agonizzanti, per tutta la Chiesa e per le anime; e specialmente per quelle ― fra i vivi e i morti ― che hanno bisogno più particolare di preghiere... Gesù sia benedetto per la misericordia infinita che l’ha condotto ad abitare sotto il nostro tetto... Signore Gesù, la nostra casa è in modo speciale la tua; tu l’abiti e noi l’abbiamo avuta dalla tua misericordia e dalla carità di uno dei tuoi figli. Fa’ che vi regnino la tua divina grazia, il tuo amore e la tua pace. Amen»[40].


[1]     A DIOGNETO, V,1- VI,1 (trad. it. a cura di M. Perrini, Brescia 19862 ,pp.49ss).

[2]     VATICANO II, Lumen Gentium, 31.

[3]     VATICANO II, Gaudium et spes, 36.

[4]     VATICANO II, Apostolicam Actuositatem, 7.

[5]     Cfr. J. MARITAIN, Umanesimo integrale, tr. it., Bologna 19735 , p.208.

[6]     P. BRUGNOLI, La priritualità dei laici, Brescia 19714 , p.39.

[7]     VATICANO II, Lumen gentium, 40.

[8]     VATICANO II, Gaudium et spes, 48.

[9]     GIOVANNI PAOLO II, Familiaris Consortio, 15. In tal senso, «assumendo la realtà umana dell’amore coniugale in tutte le implicazioni - continua il Papa - il sacramento abilita e impegna i coniugi e genitori cristiani a vivere la loro vocazione di laici, e pertanto a ‘cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio’ (LG, 31)». (GIOVANNI PAOLO II, Familiaris Consortio, 47).

[10]    Evangelizzazione e sacramento del matrimonio, 23.

[11]    Evangelizzazione e sacramento del matrimonio, 34.

[12]    Evengelizzazione e sacramento del matrimonio, 35.

[13]    Evengelizzazione e sacramento del matrimonio, 44.

[14]    VATICANO II, Gaudium et spes, 48.

[15]    «I coniugi cristiani - dunque - in virtù del sacramento del matrimonio, col quale significano e partecipano il mistero di unità e di fecondo amore che intercorre tra Cristo e la Chiesa (cfr. Ef 5,32), si aiutano a vicenda per raggiungere la santità nella vita coniugale, accettando ed educando la prole essi hanno così, nel loro stato di vita e nella loro funzione, il proprio dono in mezzo al popolo di Dio (Cfr.1 Cor 7,7). Da questa missione, infatti, procede la famiglia nella quale nascono i nuovi cittadini della società umana, i quali per la grazia dello Spirito Santo diventano col battesimo figli di Dio e perpetuano attraverso i secoli il suo popolo. In questa che si potrebbe chiamare Chiesa domestica, i genitori devono essere per i loro figli i primi maestri della fede e secondare la vocazione propria di ognuno, quella sacra in modo speciale» VATICANO II, Gaudium et spes, 11)

[16]    Il vincolo più forte che origina e sostiene la comunione coniugale e familiare cristiana è dato dallo Spirito Santo» (Comunione e comunità nella chiesa domestica, 8).

[17]    Evangelizzazione e sacramento del matrimonio, 47. In proposito, cfr. LUIGI E PIERA ALICI, Eucarestia e famiglia una «comunione» difficile, «La nuova Alleanza», 1985, 9/10, pp. 394-404.

[18]    Ef. 2,4s

[19]    GIOVANNI PAOLO II, Dives in misericordia, 13.

[20]    GIOVANNI PAOLO II, Familiaris Consortio, 13.

[21]    G. BALDANZA, Matrimonio, «Dizionario Teologico Interdisciplinare», Torino 1977, II, p.514.

[22]    J. MARITAIN, Ricordi e appunti, tr. it. Brescia 1967, p.268.

[23]    MADRE SPERANZA, Castigami, Gesù mio, per i miei peccati e salvami per il tuo amore e per la tua misericordia, Collevalenza 1971, p.5.

[24]    G. BELTOTTO, Ho intervistato il silenzio, Reggio Emilia 1979, p.32.

[25]    GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio, 74

[26]    Cfr. 2Cor 5,17; Gal 6,15; Rm 8,9.

[27]    Cfr. A. PÉREZ, Un Dio che perdona, dimentica, non tiene in conto, in AA.VV., La forza del perdono, Roma 1986, pp. 115s

[28]    Cfr. fra l’altro VATICANO II, Apostolicam Actuositatem, 11; GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio, 55.

[29]    G. MARCEL, Il mistero familiare, in Homo viator, tr.it., Torino 1967, p.111. «Tra il mistero dell’unione dell’anima col corpo - aggiunge Marcel - e il mistero familiare c’è un’unità profonda, forse troppo poco sottolineata: nei confronti d’ambedue siamo in presenza d’uno stesso fatto, o meglio di qualcosa che è molto di più di un fatto, poiché è la condizione stessa di tutti quanti i fatti: l’incarnazione» (Ivi p.84).

[30]    T. MERTON, Semi di contemplazione, tr. it., Milano 19732 , p.165ss.

[31]    GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio, 14.

[32]    Cfr. E.FROMM, L’arte di amare, tr. it, Milano 1986, spec. pp.107ss.

[33]    VATICANO II, Apostolicam actuositatem, 11

[34]    «La famiglia cristiana poi edifica il Regno di Dio nella storia mediante quelle stesse realtà quotidiane che riguardano e contraddistinguono la sua condizione di vita: è allora nell’amore coniugale e familiare - vissuto nella sua straordinaria ricchezza di valori ed esigenze di totalità, unicità, fedeltà e fecondità (cfr. Hum. vitae, 9) - che si esprime e si realizza la partecipazione della famiglia cristiana alla missione profetica, sacerdotale e regale di Gesù e della sua Chiesa; l’amore e la vita costituiscono pertanto il nucleo della missione salvifica della famiglia cristiana nella Chiesa e per la Chiesa» (GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio, 50).

[35]    Ivi, 51.

[36]    Ivi, 52.

[37]    Ivi, 56.

[38]    VATICANO II, Lumen gentium, 34.

[39]    GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio, 86.

[40]    Pregare con Raissa e Jaques Maritain, a cura di G. Galeazzi, Varese 1984, pp. 57ss.