Giuseppe e Tilde Carpita

 fondamenti umani del matrimonio

 

       Nella vita si fanno tante scelte, che riguardano gli amici, gli studi, il lavoro, ecc. Anche il matrimonio va considerato nell’ambito di una scelta. Per quanto riguarda la vita a due, infatti, si può scegliere la convivenza oppure si può anche decidere di vivere in uno stato celibatario.

       Noi, in questa sede, prendiamo in esame il caso del matrimonio, procedendo dagli eventi che lo hanno preparato. In poche parole vediamo come generalmente si giunge al matrimonio. La fase comune che caratterizza l’incontro fra un uomo e una donna é quella dell’innamoramento; esso può essere dovuto al classico colpo di fulmine, oppure al trasformarsi di una simpatia e di un’amicizia già consolidata nel tempo, o ancora con­seguenza di un’irresistibile attrazione fisica.

       In tutti i suddetti casi, l’innamoramento é caratterizzato dall’involontarietà e dalla soggettività. L’innamoramento sottostà a delle leggi inconsce, in quanto manca una spiegazione razionale alla scelta di una determinata persona e non di un’altra. Questa dimensione inconscia, in qualche modo va esplorata e conosciuta, in modo tale da superare le difficoltà derivanti da scelte patologiche.

       Può succedere che un ragazzo s’innamori di una ragazza perché lei rappresenta il meglio, dal punto di vista estetico o intellettuale, a cui ha sempre anelato. Questa situazione comporta un’idealizzazione e quindi a una scelta mitica; la persona non viene considerata ed amata per quello che é ma per quello che rappresenta (es. attrice, imprenditore, ecc). Può accadere, invece, che ci s’innamori di qualcuno perché ricorda l’aspetto fisico o la professione, o comunque le capacità del padre oppure della madre (la donna che cucina bene come mamma, l’uomo che dà sicurezza economica come papà). Quest’ultima viene individuata come scelta parentale.

       C’é poi chi é incapace di innamorarsi veramente, in quanto nella scelta dell’altra persona continua a scegliere se stesso: E’ il mito di Narciso che, a forza di specchiarsi in uno stagno, s’innamora della propria immagine a tal punto da cadere e annegare dentro lo stagno. Questo tipo di situazione determina una patologia della scelta più difficile da rimuovere, giacché chi la compie non riesce a liberarsene o ad acquisirne consapevolezza con il passare del tempo, a causa del fatto che essa investe tutta la personalità.

       Le scelte cosiddette mitica e parentale invece possono essere più facilmente rimosse, in quanto rappresentano il momento iniziale dell’incontro tra due persone, che con il frequentarsi e con l’approfondimento del rapporto possono venire eliminate.

       L’innamoramento però non é garanzia assoluta di riuscita del cammino verso l’amore maturo; esso si basa su un sentimento che é passeggero, destinato ad esaurirsi una volta soddisfatto. L’amore maturo invece deve essere il frutto di un atto di volontà verso un impegno per il futuro. Se ci s’innamora spontaneamente, non si può rimanere nell’amore per pura spontaneità ma per volontà.

       La capacità di restare nell’amore comporta una chiara conoscenza di se stessi, che si riflette inevitabilmente sull’altro che si ha di fronte, facendolo accettare sia per i lati positivi che per quelli negativi del suo carattere.

       Questi ultimo devono essere considerati come dei limiti naturali, che si cerca di superare insieme, condividendone gli effetti e cercando di spostarsi dal proprio modo di vedere le cose in un contesto di effettiva coeducazione.

       Ecco cosa significa amare «in toto », senza condizioni. Ma tale attività non deve, d’altra parte, significare l’annullamento di sé in una cieca donazione fine a se stessa. Il matrimonio - giustamente é stato affermato - non un banco mutuo soccorso. Occorre, pertanto, che entrambi i coniugi abbiano la capacità di mantenere in un rapporto di comunione totale e di comunicazione continua (qual é quello coniugale) la propria identità, la propria capacità di stare soli con un giusto senso di autonomia ed iniziativa.

       Il rapporto quindi durerà se la scelta da involontaria, soggettiva ed inconscia, qual’é nella fase dell’innamoramento, diventa reale e libera; se non si assolutizza l’altro arrivando a dire: «Tu sei per me il tutto e il resto non conta»se non ci si fa vincere dalle circostanze (quali un fidanzamento protrattosi nel tempo, paura di rimanere soli, desiderio di sistemazione, ecc.). Il Partner, in definitiva, viene accettato per quello che é senza idealizzazioni e condizionamenti.

       Bisogna costruire un rapporto a due in cui si dà quello che si riceve e si ricerca insieme il bene reciproco. Comunque per una crescita organica ed armonica, sia personale che di coppia, il partner non può essere l’unico ed esclusivo obiettivo del nostro bene. L’agire in simile maniera comporterebbe una relazione asfittica, destinata prima o poi a scoppiare. Punti di riferimento nella ricerca del bene dei coniugi devono essere oltre ad essi stessi, i figli nati e nascituri, la famiglia tutta , la società civile e la stessa Chiesa.

       Il momento della procreazione, per esempio, rappresenta l’espressione massima della concretizzazione del bene che si cerca.

       Intanto, va ricordato che la procreazione (che é ben altra cosa della riproduzione a nel mondo animale e vegetale) nell’ottica cristiana, é frutto di una cooperazione dell’uomo all’opera creatrice di Dio. Il nostro ruolo, dunque, anche se indispensabile, non é da solo sufficiente a determinare la vita di un uomo. Ma quello che qui ci preme evidenziare é che la procreazione non può essere frutto di un atto di amore, determinato dalla ricerca reciproca del bene dei coniugi.

       Il bene comune che i coniugi devono costruire, e per il quale s’impegnano per tutta la vita, può essere racchiuso in un termine che sintetizza questa complessa realtà coniugale.

       Volendo dare delle definizioni, «coniugalità» é una forma di unità che si attua a tutti i livelli, fisico-corporeo, psichico, morale e spirituale, e rappresenta insieme un punto di arrivo per il cammino fatto durante il fidanzamento e un punto di partenza per la vita nuova che i due sposi vanno a costruire.

       Non si parlerà più, infatti, in termini di io e tu, ma le due realtà, pur rimanendo nella loro specificità e singolarità, daranno vita ad un’altra, il NOI, che dovrà vivere di una vita autonoma, indipendente e diversa da coloro che l’hanno generata; in questo cammino non ci sarà chi insegna e chi impara, ma i due saranno contemporaneamente discente e docente in un rapporto di coeducazione reciproca che dura tutta la vita.

       Concretamente l’essere coniugi che cosa significa? Significa impegnarsi in un rapporto di sostegno reciproco a tutti i livelli, di cui il più immediato - viene spontaneo dire - é quello economico; la reciproca fiducia e stima si noterà da come il denaro comune Viene gestito, tanto che ha guadagnarlo sia uno solo dei coniugi, quanto che siano ambedue. Nel passato, più che adesso, c’era per la donna il rischio di sentirsi oggetto nei confronti del marito che guadagnava e quindi in posizione di inferiorità. Oggi tali situazioni sono meno comuni, ma egualmente rischioso sottovalutare questo fattore in quanto il guadagnare di più o di meno, l’aver dinanzi a sé la prospettiva di una brillante carriera può causare dei contrasti tra i coniugi specialmente se a beneficiarne é la donna ancora inconsciamente avvertita come sesso debole.

       Oltre che del sostegno economico, occorre parlare diffusamente del sostegno psichico che i coniugi possono e devono darsi.

       Il fatto di sapersi apprezzato nel lavoro che si fa dal proprio compagno aiuta a superare eventuali problemi: contatto fisico, difficoltà, contrasti; così come il sentirsi desiderati, amati per come si é e per quello che si é, aiuta l’altro ad accettarsi sempre più globalmente e a mettersi con serenità al servizio degli altri.

Non c’é niente di più deleterio in un rapporto coniugale del mettere in rilievo pubblica­mente i difetti del partner sia fisici che psichici e il riderci con altri; al contrario, la lode e l’apprezzamento sia in privato che in pubblico, svolgono la funzione di migliorare ulte­riormente le persone, facendole crescere nelle doti positive che già possiedono. Talvolta, sostegno psichico significa critica del comportamento dell’altro, mai però in quei momenti in cui si rilevano soltanto errori.

Il sentieri amati, apprezzati, riconosciuti come persone uniche, é costitutivo del rapporto tra Dio e l’uomo, e il sostegno psicologico tra i coniugi é quindi un veicolo importante attraverso cui il matrimonio guida i coniugi a Dio.

       Occorre, a questo punto, fare un passo indietro e riflettere sulle condizioni in cui i fidanzati, potenziali costruttori di coniugali, arrivano al matrimonio; ognuno porta con sé i problemi, le ferite che si sono accumulate nei primi decenni della sua vita. Il rapporto coniugale può aiutare e anche guarire queste ferite, che possono essere di diverso tipo. Le forme di ansia, per esempio, per cui si ha paura di uscire in spazi aperti (agorafobia), di rimanere in spazi chiusi (claustrofobia), di partecipare a riunioni di folla, di prendere parola in pubblico. Il coniuge che non ha tali forme di paura, dà all’altro, durante la temuta situazione, sicurezza e lentamente l’ansioso si affranca dal timore e dalla paura e può affrontare la temuta situazione da solo.

       Così il coniuge passivo che ha paura di prendere iniziative é incoraggiato a farlo; il coniuge geloso é rassicurato da un comportamento degno di fiducia; il coniuge invidioso viene considerato e apprezzato nel suo valore.

Attraverso un comportamento volto all’accettazione, alla lode e all’apprezzamento, si possono risolvere certe fobie che ci portiamo dentro come eredità dell’ambiente educativo. Altre volte un ascolto attento e paziente può aiutare il coniuge in difficoltà a rimuovere certi ostacoli, certi comportamenti errati o sentimenti dovuti al passato ed ancora influenti nel presente (proiezioni della figura paterna sul marito e di quella materna sulla moglie).

       Gli stessi meccanismi che agiscono positivamente come sostegno emotivo e morale nel rapporto di coppia hanno la loro importanza nel processo di crescita che i coniugi contemporaneamente portano avanti. Si tratta di una crescita sotto tutti i punti di vista fisico, intellettuale, emozionale che non deve costituire motivo di separazione o diversità tra i coniugi. Se uno dei due, per esempio, partito in svantaggio rispetto all’altro per diversità di educazione, cultura ed altro, recupera poi strada facendo, non deve nascere tra i due invidia o disaccordo ma soddisfazione per il cammino fatto. Infatti, talvolta una situazione di dipendenza può essere gradita ad uno dei due in quanto mantiene in soggezione l’altro e un eventuale cambiamento in tal senso può essere giudicato inac­cettabile.

       Nel cammino di crescita ci sono alcuni atteggiamenti da curare; l’ascoltare con attenzione lasciando l’altro libero di esprimersi. Può capitare infatti che uno dei due, ferito in passato nella sua possibilità di comunicazione, abbia paura di esprimere le sue opinioni; il coniuge deve capirlo in questa difficoltà e anticipare intuendolo, il messaggio prima che venga pronunciato.

       Un attento ascolto si trasforma spesso in una risposta; e comunque la risposta stessa va data con calma e pazienza. E’ stato detto: «Se vuoi fare un regalo a qualcuno, ascoltalo attentamente»: Se nonostante tutta questa attenzione, succedono fatti che possono ferire uno dei coniugi, il perdono é la risposta più autentica; la difficoltà, il più delle volte, é nel riceverlo piuttosto che nel darlo.

       Di grande aiuto alla crescita é il dialogo diretto con Dio attraverso la preghiera in momenti particolari della giornata. La preghiera personale, intima, dà maggiore signi­ficato a quella in comune col partner. Una preghiera fatta di silenzio, ascolto, contempla­zione, che ci liberi dalla nostra bramosia di possesso, mettendoci a contatto con lo Spirito. In questo clima, l’altro appare non come un antagonista, ma come un ausilio di cui noi abbiamo bisogno per meglio comprendere il mistero che avvolge la nostra stessa vita, per realizzare un progetto di servizio che esce dal chiuso dei muri domestici per andare incontro a Dio attraverso l’uomo. Non é il prossimo ad avere bisogno di noi, ma siamo noi che abbiamo la necessità di entrare in relazione con gli altri.

       Tutto questo intrecciarsi di situazioni, richieste di aiuto e risposte, va a costituire quotidianamente la coniugalità.

       Viene spontaneo chiedersi, a questo punto: di cosa nutrirsi per essere capaci di tanto? Quali «requisiti» devono possedere i futuri coniugi, perché la loro unione realizzi un amore maturo e responsabile?

       Alcuni di essi potrebbero essere i seguenti:

       Essere capaci di empatia, cioè sentire le pene e le gioie dell’altro come nostre e agire con cautela e tatto. Saper aspettare, ascoltare, tacere, evitare di offendere non per diplomazia ma per aiutare  l’altro a scoprire da sé senza soffrire.

       Essere e rimanere autonomi, sfuggire la dipendenza dall’altra persona; mai dire: «Senza di te sono finito, non esisto» ma capacità di scambiare senza far prevalere le proprie esperienze. Anche nei dialoghi più intimi non é possibile la coincidenza perfetta. Parafrasando Mouniersi può dire che l’amore tanto più é profondo tanto più avverte la solitudine.

       Saper tollerare l’ambivalenza; ogni esperienza, così come ogni rapporto umano, é ambivalente. L’uomo é capace di santità e di indicibili malvagità.  Ciò che da fidanzati faceva innamorare adesso può dare fastidio. Gli aspetti contraddittori vanno integrati, perché non siamo mai totalmente buoni o totalmente cattivi e la famiglia é il luogo dove queste ambivalenze sono immediatamente rilevate: L’amore maturo integra gli aspetti contraddittori dell’uno e dell’altra.

       Mettersi in una prospettiva di fedeltà: questa parola, anche se non é più di moda tanto sembra essere in disuso; é la condizione che permette alla relazione d’amore di crescere e di svilupparsi, e con essa le persone. Contrariamente, nel preferire esperienze diverse si va ogni volta alla ricerca della novità, del paradisiaco momento iniziale, buttando via il rapporto e chiudendo l’esperienza quando tutto questo finisce.

       Avere valori in comune. Viviamo in una società in cui si parla di «caduta dei valori», «cambiamento dei valori» e le scelte sono fatte all’insegna della frizione di un piacere immediato e della moda del momento. Scegliere una persona per i valori che rappresenta, significa che si va al di là del livello fisico, psichico, economico-sociale e si sceglie il livello più profondo di cui gli altri sono simbolo. La scelta dell’altro in termini di valori porta poi a camminare verso mete comuni. Rimangono due persone distinte ma che procedono in comunione verso un fine che li supera entrambi.

       Il periodo che precede il matrimonio deve servire alla verifica delle suindicate condizioni, anche se nella realtà la scelta non può dirsi mai operata completamente; essa, infatti, é frutto di un processo evolutivo che continua pure dopo il matrimonio. Ci si sceglie ogni giorno in un rapporto di amore vitale. Questo non crediamo che sia in contraddizione con quanto detto prima, perché all’inizio l’importante é la consapevolezza del cammino che si sceglie definitivamente di fare, con chi e per chi lo si fa. La consapevolezza ciré della propria vocazione che bisogna acquisire negli anni della giovinezza, preparandosi adeguatamente con l’aiuto di persone amiche, spiritualmente preparate, in grado di farci discernere il bene e il male, riflettendo sui segni della vita quotidiana. Al matrimonio cristiano poi bisogna giungere con un bagaglio di esperienze umane e spirituali, individuali prima e di copia poi, per meglio affrontare le inevitabili difficoltà che la vita coniugale e familiare presenta. Non basta, come talvolta, anzi spesso si ritiene, l’apparente decisione (magari assunta il mese prima) di volersi sposare in una chiesa, indipendentemente da chi c’é dentro, né serve l’abbandonarsi ad una visione magica della grazia di stato legata al sacramento. Certe passività nell’assistenza da parte di alcuni parroci ai matrimoni, comporta, oltre alla quasi inevitabile rottura (oggi più che mai) dell’unione coniugale anche un rafforzarsi della deresponsabilizzazione dei battezzati nei confronti del matrimonio cristiano.

        Il Concilio Vaticano II nella costituzione pastorale «Gaudium et spes» ci presenta il matrimonio come una «comunità di vita e di amore coniugale», spiegando al n. 49 che cos’é l’amore coniugale. Se la preminenza e la dignità dell’amore coniugale nel matri­monio é un dato rilevato, la sua scoperta sul piano dell’esperienza quotidiana é solo dei nostri tempi, nel senso che in passato molto spesso non ci si sposava per amore. Il prin­cipio, perciò, affermato dal Vaticano II, rappresenta una novità nella storia della dottrina cristiana sul matrimonio scaturita certamente dalla necessità di adeguare i principi alla nuova realtà coniugale, familiare e sociale delle epoche moderna e contemporanea.

       Negli ultimi due secoli, infatti, con l’industrializzazione e la conseguente urbaniz­zazione, si é assistito ad un graduale passaggio da un tipo di famiglia all’altro: a quello patriarcale si é andata via via sostituendo la famiglia coniugale con caratteristiche del tutto diverse.

       Nell’ambito della famiglia cosiddetta patriarcale-molecolare-estesa dell’epoca pre-industriale prevaleva l’aspetto istituzionale sulla volontà e i sentimenti dei singoli. IL matrimonio, normalmente, veniva deciso al fine di soddisfare interessi delle rispettive famiglie; non derivava dall’incontro degli sposi ma dal confronto e dall’accordo socio-patrimoniale delle famiglie. Presupposti per l’alleanza di queste ultime, di cui il matrimo­nio da celebrare diveniva strumento, erano in particolare la dote della ragazza, la con­sistenza patrimoniale dell’uomo e il livello sociale di entrambi. Intanto li si faceva sposare (anche se non c’era alcuna attrazione fra i nubendi); il legame affettivo sarebbe nato con il tempo!

       Con tutto ciò non si vuole dire che i nostri avi non comunicassero fra loro; si vuole semplicemente rilevare che la comunicazione coniugale, fonte ed essenza dell’unione e della comunione di cuori, di spirito e di corpi, non era un valore centrale nei tempi passati. Anzi, talvolta, non era addirittura preso in considerazione tale valore.

       Nella famiglia coniugale-nucleare-ristretta, il matrimonio non é di ragione, ma di cuore. E’ la coppia l’artefice di tutto, fondando la famiglia attraverso un incontro di mero amore e assicurandone la sopravvivenza. Il matrimonio nasce da una decisione personale, che mira all’unione delle vite. Nella scelta prevalgono così, considerazioni di carattere personale, basate sulla consapevolezza della propria decisione che, a sua volta, può essere assunta anche contro la volontà dei rispettivi familiari.

       Il matrimonio come «intima comunione di vita» dei due partner si fonda esclusiva­mente sul consenso dei coniugi, che con il loro quotidiano vissuto ne garantisce nel tempo la vitalità e quindi la fecondità, soprattutto spirituale. La famiglia nucleare trova, perciò, il supporto solo nella relazione dei coniugi e non più nel clan familiare, anche se quest’ultimo ancora oggi, in particolari situazioni (ambientali, culturali, economiche), riesce ad influire sulla vita coniugale e le scelte della nuova famiglia. Si pensi, ad esempio, al problema della casa, che induce i giovani sposi a convivere con i genitori di uno dei due, oppure agli stati di disoccupazione o sottoccupazione, che impongono agli stessi giovani di ricorrere anche da sposati, alle casse paterne e materne.

       Nella famiglia patriarcale c’era una dipendenza delle nuove famiglie fondata sull’au­torità del «pater familias»; oggi, invece, la stessa si basa sul bisogno. Nonostante ciò, la famiglia contemporanea si contraddistingue, comunque, per la relazione di copia, basata sul consenso rinnovato e la comunicazione continua. La scelta di stare insieme si consolida nel tempo attraverso un rapporto-confronto fatto di tanti piccoli «si» riconducibili al «si» originario e fondamentale per l’unione coniugale.

Allorquando il dialogo fra i coniugi diventa povero di contenuti, quando non si trovano le parole e soprattutto i momenti per guardarsi negli occhi; quando insomma non ci s’in­contra pur vivendo sotto lo stesso tetto, l’accordo di stare insieme comincia a mostrare crepe, si inizia a perdere di vista il motivo dell’unione ed è la crisi. E poiché non c’é più la solidità della famiglia patriarcale e basandosi l’alleanza coniugale solo sul consenso degli sposi, ad entrare in crisi é tutta la famiglia e non solo i coniugi.

       Per capire meglio questa dinamica, esaminiamo brevemente le caratteristiche del dialogo coniugale.

       Nella copia, dialogare significa scambiarsi la vita, entrare in comunicazione con il partner a tutti i livelli: verbale, mentale, gestuale (movimenti del corpo mimica facciale, occhi) Si comunica e quindi si dialoga con tutto il corpo e non soltanto con la lingua. Anzi, talvolta i silenzi sono più eloquenti di un fiume di parole; una stretta di mano, uno sguardo, un sorriso, una carezza sono più rassicuranti si mille parole.

       Si dialoga per costruire rapporti, per prendere a cuore il bene dell’altro, per creare vita, per superare difficoltà. Al fine di conseguire tali risultati, occorre acquisire nel tempo una capacità di ascoltare, di capire, di assumere il momento dell’altro per superare insieme o far superare le difficoltà, i momenti di sana conflittualità. In poche parole, bisogna fare continuamente attenzione all’altro, cercando di rispettare il suo stato, il suo tempo. Dialo­gare in coppia vuol dire attendere, scegliere il tempo e l’argomento, sdrammatizzare, perdonarsi. Volendo riferire la nostra esperienza coniugale, dobbiamo dire che, a questo riguardo, abbiamo ancora tanto da imparare, però riusciamo sempre a compensarci nei momenti di difficoltà, riuscendo a superarli per l’intervento deciso di uno dei due. E poi in noi c’é sempre un desiderio di chiarezza, anche se questa giunge in maniera conflittuale. Il dialogo serve per fare chiarezza, ma questa esigenza non si può avvertire se non si é padroni di sé, se non si é autentici, veri e liberi.

       Nell’amore coniugale una valenza fondamentale ha l’amicizia, intesa come apertura totale dell’animo all’altro. Per noi é importante essere amici, prima che marito e moglie. L’amicizia vuol dire confidenza, vuol dire condivisine di gioie e dolori. Ebbene nell’ami­cizia e nell’amore l’uno accoglie l’altra come dono, l’aspetta senza fretta di comunicare, la stima, ha fiducia, dona all’altro il meglio di sé riconoscendolo come proprio interlocutore privilegiato. Purtroppo la realtà ci presenta tanti coniugi che fra di loro sono solamente conoscenti.

       Il dialogo coniugale é quindi importante per il perdurare di un rapporto matrimoniale circolare e paritario, fondato sull’autorevolezza reciproca dei partner e non sull’autorità di uno dei due.

       A questo punto s’impone una riflessione sul ruolo della donna nella famiglia. Accen­niamo solo a qualche aspetto del complesso tema. Dal tempo dei Greci in cui veniva con­siderata dall’uomo prostituta per il piacere, concubina per i bisogni e moglie per allevare i figli, di acqua sotto i ponti ne é passata e molta.

       La donna moderna ha visto modificare sia il proprio ruolo che lo status nella famiglia e nella società, in conseguenza, appunto, di un ruolo più rispondente alle esigenze familiari  sociali. le cause di questi mutamenti vanno ravvisate nel lavoro extra-domestico, che ha influito anche nei rapporti coniugali e con i figli, e nel grado d’istruzione raggiunto dalla stessa donna, che ne ha migliorato la condizione. L’Eva del creato, alla luce di questi cambiamenti, é chiamata ad impegnarsi sia sul piano familiare, che su quello profes­sionale. in questo contesto mutano i rapporti uomo-donna, che sin dal loro sorgere, sono portati a svilupparsi su un piano di parità reale, dovuta soprattutto all’emancipazione economica della donna. Ciò, tuttavia, non é ancora sufficiente a realizzare una piena realtà paritaria essendo l’incontro uomo-donna spesso oggetto di condizionamenti esterni che determinano comportamenti licenziosi dettati dall’imperante costume edonistico.

       Nell’epoca in cui prevale la logica del «qui e subito» di oraziana memoria, si sono smarrite del tutto virtù che hanno fatto la storia dell’uomo: la pazienza, la saggezza, la prudenza. L’agire in tempo reale c’impone di essere tempestivi anche nell’amore, più che saggi, prudenti e pazienti. Occorre, dunque, che ci si riappropri dei valori e del senso di responsabilità personale; che non si sfuggano le scelte, le quali vanno vissute, difese e testimoniate con carità e senza condizioni.

       Occorre che si passi dalla famiglia nucleare a quella comunitaria, in cui ci sia sempre la disponibilità di aggiungere un posto a tavola quando qualcuno bussa alla porta[1].


[1]        nota bibliografica

          BONOMI, G:, La coniugalità responsabile, Centro Studi Pavese di Sessuologia, 1977.

          CHIAVACCI, E.,La costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contenporaneo. Gaudium et spes Roma, Studium 1967.

          DINI MARTINO A., MANENTI A., Vivere in due e più..., Roma, Paoline, 1981.

          DOMINIAN, J., Matrimoni: fede e amore, Assisi Cittadella editrice, 1984.

          FRANKL, V., ,Logoterapia ed analisi esistenziale, Brescia, Morcelliana, 1972.

          RAVAGLIOLI, A.M., Un cammino in due. La gioia e la fatica di essere coppia Piemme, 1988.

          TETTAMANZI, D., La famiglia via della Chiesa, Milano, Massimo, 1987.