Giuseppe Versaldi
la famiglia tra vocazione e cultura dominante: linee di sviluppo dell’azione pastorale
Premessa
Siccome tanto si parla della famiglia è necessario evitare il rischio della genericità e della approssimazione che non aiutano e fanno crescere la confusione in una materia assai delicata. Già fin dai tempi del Concilio Vaticano II i Padri conciliari avvertivano questo pericolo di confusione quando, pur rallegrandosi per l’incremento dei mezzi messi a disposizione delle famiglie, lamentavano un «oscuramento» della dignità del matrimonio e si proponevano di «illuminare» le coscienze per promuovere «la dignità e l’altissimo valore dello stato matrimoniale»[1].
La situazione non è migliorata successivamente se Giovanni Paolo II, più di 15 anni dopo, nella Familiaris Consortio constatava che: «Non raramente all’uomo e alla donna d’oggi (...) vengono offerte visioni e proposte anche seducenti, ma che compromettono in diversa misura la verità e la dignità della persona umana[2]. Contro tale pericolo il Papa indica la luce del discernimento evangelico come «servizio alla verità, alla libertà e alla dignità di ogni uomo e di ogni donna»[3].
Penso che tale discernimento sia essenziale oggi più che mai ogni volta che si parla del matrimonio e della famiglia proprio perché viviamo anche nel nostro Paese in un pluralismo culturale che rende complesso ogni discorso ed ogni comunicazione a motivo dei diversi ed anche contrastanti significati che vengono attribuiti a valori ed istituti anche naturali come appunto il matrimonio e la famiglia. Si tratta, a mio avviso, di iniziare il discorso sulla famiglia vincendo la facile e seducente tentazione di credere in una comune e sostanzialmente convergente visione dei fondamenti che reggono il matrimonio e la famiglia nel contesto della cultura e della società italiana. Sarebbe una imperdonabile ingenuità pensare che il processo di secolarizzazione e di rivoluzione culturale non abbia intaccato anche questi aspetti del vivere umano. Sabino Acquaviva in un saggio «La famiglia nella società contemporanea»[4], parlando della evoluzione della famiglia in Italia, individua tra gli elementi che concorrono alla trasformazione contraria alla visione tradizionale della famiglia il sorgere di «una cultura nazionale prevalentemente consumistica, pianificata, empirica, pragmatica, edonistica, scientifica e tendenzialmente ideologica, ma orientata alla libertà e all’autogestione»[5], la quale pervade lentamente le altre due subculture nazionali: quella cristiana e cattolica e quella marxista e socialista. Come risultato di questo processo pervasivo «sia il sistema cattolico che quello socialista si fanno sempre più elastici e spesso inconsistenti: i comportamenti di coloro che li accettano, nella prassi sembrano far sempre più riferimento al sistema nazionale, senza apprezzabili differenze fra gli uni e gli altri»[6]. Acquaviva porta l’esempio del femminismo come punto di riferimento culturale implicito che finisce per influenzare le scelte di molte donne che non sono politicamente femministe: «La maggioranza delle donne, non è politicamente femminista, però finisce per orientarsi, almeno in parte, verso comportamenti ispirati a gruppi femministi, per cui i gruppi femministi finiscono per essere dei gruppi di riferimento»[7].
Tale processo è tanto più insidioso quanto più è implicito e tocca il punto di partenza, cioè il fondamento, della famiglia così che non emerge come fenomeno se non in alcune decisioni concernenti gli aspetti più concreti e pragmatici della vita familiare. Acquaviva vede in questo risultato di inquinamento strisciante della cultura tradizionale di radice cristiana l’effetto della contestazione del ‘68 che, a suo giudizio, è riuscita solo nella sua pars destruens senza riuscire nella pars construens. «Abbiamo fatto il possibile per distruggere la struttura familiare, per provocare la crisi demografica e quindi direttamente ed indirettamente quella della nostra civiltà, ma non abbiamo proposto nulla di realmente alternativo né per quanto riguarda la «cellula della società», proponendo modelli reali di convivenza di coppia e di allevamento dei figli, né a livello macrosociale, proponendo modelli reali e realmente nuovi di progettazione e organizzazione sociale[8].
Per quanto riguarda il nostro discorso, l’effetto distruttivo si manifesta come un contesto culturale generale, in cui ogni volta che si parla di matrimonio e di famiglia bisogna tener conto che parliamo a gente per cui il messaggio cristiano non è più né l’unico né il prevalente punto di riferimento: la cultura dominante è il risultato di questa mescolanza tra la visione consumistica, pragmatica, edonistica orientata fondamentalmente alla libertà e all’autogestione individuale e quello che rimane della radice cristiana della antecedente cultura. Tale dominio e prevalenza delle proposte contrarie alla visione cristiana, oltre che sulla seduzione di una promessa di felicità a minor costo, fanno forza sul possesso ed uso di potenti mezzi di persuasione, come ben ricordava Giovanni Paolo II nella Familiaris Consortio: «È un’offerta sostenuta spesso dalla potente e capillare organizzazione dei mezzi di comunicazione sociale che mettono sottilmente in pericolo la libertà e la capacità di giudicare con obbiettività»[9].
Per tutte queste ragioni intendo focalizzare il mio discorso sulla proposta cristiana circa il matrimonio e la famiglia come diversità nel contesto della cultura oggi dominante onde poter poi trarre delle utili ed efficaci linee di azione pastorale senza drammi o crociate, ma anche senza ingenuità o rese di fronte alle delusioni.
Divido il mio intervento in tre parti:
1) Innanzitutto mi soffermerò sulla specificità della visione cristiana circa il matrimonio e la famiglia in contrasto con la prevalente visione secolarizzata che pervade la nostra società odierna.
2) Dalle scienze che studiano la famiglia prenderò alcuni elementi a supporto di una corretta visione del problema discusso.
3) Infine cercherò di indicare coerentemente alcune piste per l’azione pastorale a beneficio di quanti operano in aiuto al miglioramento della vita familiare.
1. La proposta cristiana
Non intendo fare un’esposizione sistematica della dottrina della Chiesa circa il matrimonio e la famiglia sia perché esistono molti documenti del magistero e molti trattati autorevoli in materia, sia perché, secondo quanto ho premesso, intendo mettere in evidenza solamente gli elementi di contrasto tra lo specifico cristiano e la cultura oggi dominante.
Innanzitutto non dobbiamo scandalizzarci che da una cultura di radice cristiana si sia giunti al dominio di questa cultura inquinata anche per quanto concerne il matrimonio e la famiglia: questo processo di scadimento non è nuovo ed era quanto Gesù ha trovato anche presso il suo popolo proprio in materia di matrimonio. Senza abdicare alla professione e alla pratica religiosa il popolo ebraico aveva introdotto il divorzio contro il quale Gesù richiama al progetto autentico ed originale del Creatore («... ma da principio non fu così»: Mt 19,8). Non mancano le ragioni storiche e sociologiche anche del deterioramento attuale, ma conviene sempre ritenere come causa prima e fondamentale quella indicata da Gesù nella «durezza» del cuore umano, che spinge la ragione a giustificare le proprie debolezze.
La diversità tra la specifica ed autentica visione cristiana del matrimonio e la famiglia e la cultura dominante riguarda tutti gli aspetti del problema: il punto di partenza (cioè le premesse generali), la via da percorrere (cioè i mezzi da usare) ed anche il punto di arrivo (cioè gli scopi o finalità del matrimonio).
a) Il punto di partenza
* La prima nota essenziale ed ineliminabile del matrimonio e della famiglia nella concezione cristiana riguarda la natura stessa di tale istituto. Per il cristiano il matrimonio è una vocazione ad uno stato di vita da parte di Dio, il quale chiama l’uomo e la donna ad uno stato di vita in cui possono salvarsi, cioè raggiungere lo scopo della loro vita. Il Concilio Vaticano II ed i documenti del Magistero sono sempre chiari ed inequivocabili su questo punto di partenza: «L’intima comunità di vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dal patto coniugale, vale a dire dall’irrevocabile consenso personale»[10]. E la Familiaris Consortio afferma: «Creandola a sua immagine e continuamente conservandola nell’essere, Dio iscrive nell’umanità dell’uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell’amore e della comunione»[11]. Tali espressioni indicano l’aspetto oggettivo dell’istituto matrimoniale, il quale nel suo significato non dipende dalla scelta o dalla volontà dell’uomo o della donna, ma è stato stabilito da Dio, anche se l’uomo e la donna rimangono liberi di aderirvi o meno. La dignità della creatura umana è interamente realizzata e la sua soggettività salva nella libertà del consenso, senza il quale non si costituisce il matrimonio; ma determinare il significato ed il valore del patto coniugale appartiene all’opera del Creatore ed eccede quindi la capacità e la competenza della creatura, al pari della sua esistenza e del suo destino, che sono dono di Dio. Se dunque Dio ha rivelato e, con ripetuti interventi, ribadito e corretto che il patto coniugale a cui l’uomo e la donna sono chiamati a dare libero assenso, è un patto indissolubile, fedele e fecondo, ne segue che tale significato va mantenuto per ogni creatura umana.
Di fronte a tale impostazione, che compone il valore oggettivo del matrimonio con la soggettività delle persone, la cultura dominante afferma invece una soggettività esasperata fino al punto da lasciare anche la determinazione del significato ai coniugi in nome di un concetto abnorme di libertà, che rende l’uomo un essere assoluto e dunque in contrapposizione al Creatore. In altre parole, affermato il diritto assoluto all’autogestione e all’uso utilitaristico della realtà, l’uomo finisce per ritagliarsi i significati e le norme su propria misura, evitando ogni tensione verso ciò che già non è ed in pratica evitando ogni scelta che comporti una rinuncia a ciò che non è immediatamente piacevole e gratificante. Per quanto riguarda il matrimonio tale mentalità secolarizzata considera il matrimonio uno strumento per l’auto-realizzazione della persona senza nessuna chiamata al superamento o donazione di sé per un progetto da realizzare insieme.
È evidente che tale concezione non è solo diversa ma anche opposta e inconcepibile con quella cristiana per la quale il matrimonio è uno stato di vita in cui l’uomo e la donna sono chiamati ad una reciproca donazione di sé mediante l’adesione libera al progetto di Dio, per il quale sono disposti anche alla rinuncia e al sacrificio di quanto si oppone al medesimo progetto.
È da notare bene che la differenza tra le due concezioni verte circa la fede in Dio, essendo ovvio che un non credente non creda in Dio; la differenza sta nella negazione di un significato oggettivo del matrimonio da parte della concezione laicista, qualunque sia la fonte di questa oggettività, per affermare una soggettività patologicamente persuasiva di ogni spazio del ragionare e decidere umano. Inoltre questa stessa impostazione finisce per negare la legittimità anche sociale e politica ad ogni concezione che affermi un dato oggettivo, in quanto tutto ciò, che non scelto dall’uomo sarebbe contrario alla sua libertà e dunque alle leggi della democrazia moderna.
Per la concezione cristiana, al contrario, non solo è legittimo il dovere di accettare il significato oggettivo del matrimonio, ma è altresì legittimo usare tutti i mezzi perché tale concezione venga ad essere un valore socialmente riconosciuto in quanto essa è un bene non solo per il credente, ma per ogni creatura umana.
* Un altro aspetto di specificità e quindi di differenzazione tra la genuina visione cristiana e la cultura dominante concernente sempre il punto di partenza, cioè le premesse circa il matrimonio, riguarda la valutazione e stima delle persone che contraggono matrimonio.
Secondo la visione cristiana della natura umana l’uomo (maschio e femmina) nella sua dimensione storica concreta «si trova in se stesso diviso» e la vita umana «presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre»[12]. In questa prospettiva si evita sia il falso ottimismo di considerare l’uomo come creatura solamente capace di cose buone e di potenzialità positive sia il deleterio pessimismo fatalistico secondo cui l’uomo sarebbe inevitabilmente incapace di operare il bene e di aderire al progetto di Dio. La condizione dell’uomo invece è tale per cui c’è in lui la spinta e la capacità di aderire alla chiamata di Dio, alla cui immagine è stato creato e in cui si trova il suo ultimo scopo, e nello stesso tempo coesiste in lui una spinta opposta che lo inclina a cercare da sé ed in sé la propria norma ed il proprio scopo. L’uomo dunque soffre di questa interiore divisione ed è pertanto creatura fragile proprio perché avverte in sé questa dialettica tra bene e male. La sua salvezza consiste nell’adesione alla grazia della Redenzione con cui «il Signore stesso è venuto a liberare l’uomo e a dargli forza, rinnovandolo nell’intimo e scacciando fuori il principe di questo mondo»[13]. Dunque, l’uomo deve discernere in se stesso ciò che è conforme al piano di Dio da ciò che vi si oppone e rinunciare anche a ciò che può essere attraente per convertirsi al vero ed autentico bene. Tutto ciò vale anche nel campo del matrimonio, che non è la pura e semplice gratificazione delle tendenze e potenzialità naturali, ma una chiamata a scegliere in un particolare stato di vita il vero bene rinunciando a tutto ciò che pure è sentito attraente, ma che inquinerebbe il suo valore.
Al contrario la mentalità secolare dominante, anche a riguardo alla concezione delle persone che si sposano, parte da una concezione esageratamente ottimistica, esaltando unicamente le capacità di autodeterminazione e di autorealizzazione della persona purchè sia lasciata libera dall’esterno di realizzare le sue potenzialità; il fallimento ed il male esistenti sono attribuibili alle condizioni negative esterne che impediscono la piena autorevolezza dei coniugi.
* Applicando tale prospettiva al concetto di amore che sorregge la relazione coniugale si evidenzia un’altra differenza sostanziale. Nella visione cristiana l’amore, inteso come spinta affettiva che attrae l’uomo e la donna, è di certo un valore, ma esso non è esente dalle ambiguità di cui soffre la stessa natura umana. Dunque l’iniziale attrazione tra l’uomo e la donna (cui si dà il nome di innamoramento) è solo il punto di partenza per un processo di maturazione che è anche purificazione e dunque conversione del cuore.
Non si tratta allora per i fidanzati di seguire tale attrazione fino al suo esaurimento, ma di impegnarsi in un processo di crescita nell’amore in cui, oltre ai livelli affettivo e sessuale più istintuali, vengono integrati anche gli altri livelli della natura umana, secondo una struttura gerarchicamente organizzata. A questo proposito, esemplare ed anche originale è i magistero di Giovanni Paolo II circa l’amore coniugale in cui il S. Pontefice è riuscito nella sintesi non facile tra gli elementi naturali dell’amore (eros) ed i valori etico-religiosi (ethos) così da poter integrare senza contrapporre tutto quanto appartiene all’esperienza umana in questo campo[14]. Tale processo esige però un cammino di crescita nel dominio di sè per raggiungere una spontaneità più profonda di quella istintuale, che soffre ancora dell’influsso negativo della concupiscenza.
Al contrario nella visione secolarizzata dominante la spinta affettiva diventa non solo importante, ma addirittura determinante la qualità della relazione di amore, in quanto è vista come spinta unicamente positiva ed è assunta come criterio di decisione ed azione. Non punto di partenza per un cammino di trasformazione ed integrazione, ma bene da consumare senza nessuna remora o norma inibente la spontaneità del desiderio e della intenzione soggettiva. Molte delle difficoltà che la gente del nostro tempo prova nell’accettare le norme etiche in questo campo, sia prima del matrimonio che dopo le nozze, discendono proprio da questa concezione, sovente solamente implicita ed inconfessata, circa la propria persona e la propria capacità di amare, considerate come potenzialità solamente positive che non richiedono conversione in quanto sono naturalmente buone!
b) La via da percorrere
Anche per quanto riguarda la via da percorrere nella vita matrimoniale, cioè i mezzi con cui realizzare il progetto a cui i coniugi consentono, assistiamo a delle differenziazioni che ritengo utile sottolineare.
Qui si evidenzia un paradosso: la concezione secolarizzata, che parte da una prospettiva del tutto ottimistica, nella valutazione ed indicazione dei modi concreti di realizzazione del matrimonio diventa ben presto più pessimistica e fatalisticamente arrendevole di fronte alle difficoltà della vita, mentre la visione cristiana, che è più realistica in partenza, finisce per essere molto più ottimistica e fiduciosa nelle capacità umane nel corso della realizzazione della vita matrimoniale.
Infatti la visione cristiana del matrimonio non si stupisce delle difficoltà e neppure delle crisi della vita coniugale e familiare di fronte alle quali cerca e propone una gamma sempre più vasta di mezzi a rimedio e superamento degli ostacoli, facendo leva sulle capacità di comprensione delle persone e sulla loro buona volontà. Al contrario la mentalità secolarizzata, di fronte al venir meno della spontaneità e al sorgere di difficoltà impreviste, tende a moltiplicare i modi per uscire dalla situazione difficile con una resa quasi senza combattimento e alla ricerca di una nuova situazione più gratificante più facile e spontanea.
È chiaro che la via indicata nella concezione cristiana esige serietà, impegno, spirito di sacrificio ed uso di tutti i mezzi a disposizione per risolvere i problemi e superare le crisi in quanto, una volta che il matrimonio si è costituito con un consenso valido, il venir meno delle circostanze favorevoli e l’attenuarsi della spinta spontanea di attrazione reciproca non giustifica la rottura della relazione, ma deve stimolare l’intelligenza e la volontà a riallacciare ciò che si è allentato, riscaldare ciò che si è raffreddato ed a ricostruire ciò che è stato lasciato cadere. Nella concezione secolare finisce per prevalere il fatalismo passivo, di chi assiste quasi da spettatore al deteriorarsi delle sue capacità ed intenzionalità, ben riassunto nella espressione ricorrente: «Non sento più affetto per il coniuge»; oppure «È finito l’amore, non provo più nulla: perché stare insieme?».
Non è certamente un caso, allora, se nei Consultori di ispirazione cristiana l’aspetto psicologico dell’aiuto alla famiglia è sempre stato così fortemente accentuato, mentre nei Consultori di ispirazione laicista lo è molto meno per privilegiare gli aspetti sanitari legali.
Dunque, anche per quanto riguarda i mezzi di realizzazione del progetto matrimoniale dobbiamo prendere atto che esiste una differenza non conciliabile a motivo dei presupposti teoretici che sostengono le diverse prospettive, prima ancora che della volontà di collaborazione delle persone.
c) Il punto di arrivo
Infine anche sul versante degli scopi o finalità del matrimonio troviamo delle sostanziali differenze che conviene rilevare.
Nella visione cristiana il matrimonio è vocazione specifica ad uno stato di vita in cui l’uomo e la donna si donano reciprocamente in una comunione di vita in ordine al reciproco aiuto ed alla procreazione ed educazione della prole[15]. Tale vocazione specifica è però inserita nel contesto generale della universale chiamata alla salvezza. «Il matrimonio e la verginità sono due modi di esprimere e vivere l’unico Mistero dell’Alleanza di Dio con il suo popolo»[16]. Ne deriva una relativizzazione del matrimonio e dei suoi scopi senza che in alcun modo venga diminuito il suo valore: l’unione tra l’uomo e la donna nel matrimonio è un bene preziosissimo, ma non rappresenta la perfezione definitiva della creatura umana, la quale solo nella unione diretta e piena col suo Creatore trova l’adempimento perfetto delle sue aspirazioni. Gesù con l’esempio del suo celibato, come unione indivisa col Padre e con la sua Parola («alla risurrezione non si prende nè moglie nè marito»: Mt 22,30) ha confermato il valore relativo del matrimonio che è legato alla condizione terrena della vita umana. Ne consegue che il credente, pur impegnandosi al massimo nella realizzazione del progetto matrimoniale, non si aspetta da esso ogni consolazione e felicità. L’unione coniugale non esaurirà ogni sua attesa, ma solleciterà ancor più l’unione con Dio posto a fondamento anche della famiglia ed i limiti, gli insuccessi e le delusioni inevitabili della vita familiare diventeranno accettabili nella prospettiva di un cammino verso la perfezione e saranno anche offerti come sacrificio di purificazione verso l’Amore. Questa relativizzazione degli scopi ed attese del matrimonio nel contesto dei valori eterni preserva da illusioni ed impedisce che sul matrimonio e la famiglia vengano a pesare attese irrealistiche.
Al contrario la mentalità secolarizzata, qualora non sia ancor giunta a quel pessimismo dell’esperienza subita fatalisticamente, esalta le attese di felicità e di gratificazione della relazione affettiva specialmente nella sua connotazione di spontaneità e libertà quasi infinita. Vengono così a crearsi attese di autorealizzazione in uno stato di vita finalmente libero da coercizioni e sovente compensativo di situazioni passate più negative. Di fronte a tali attese irrealistiche più difficile è l’impatto con le inevitabili difficoltà e più ardua si fa la proposta di interventi per risolverle, facendo appello di nuovo alla buona volontà, alla rinuncia e allo spirito di donazione di sé: le persone facilmente si sentono ingannate nelle loro aspettative e deluse dalla realtà e così facilmente si arrendono.
Dunque, è anche da queste premesse circa le attese del matrimonio che possono nascere difficoltà di comprensione e di intervento nel contesto sociale e culturale in cui viviamo oggi in Italia.
Vedremo poi nel trattare le linee di azione pastorale quali sono le conseguenze da trarre da questa situazione di contrapposizione tra lo specifico cristiano circa il matrimonio e la famiglia e la mentalità diffusa tra la nostra gente. Mi pare importante però prendere coscienza, senza spirito polemico, ma con realismo ed umiltà, della situazione in cui siamo chiamati ad operare per non sprecare energie in direzioni sbagliate e per non lasciarci scoraggiare dalle difficoltà e dalla lentezza dei frutti della nostra opera personale.
2. Il contributo delle scienze umane
Prima di indicare alcune linee di intervento operativo nel campo della pastorale familiare, è utile accogliere un’altra voce che può contribuire a fare chiarezza e a discernere la realtà che stiamo esaminando, oltre alla voce della Rivelazione e del Magistero: si tratta del contributo che possono offrire quelle scienze che studiano la natura umana ed il suo funzionamento e dunque anche questo aspetto della realtà che è la famiglia. Lo statuto di queste scienze moderne prescrive una metodologia propria, che è diversa da quella delle scienze sacre ed anche metafisiche in quanto, anzichè il metodo deduttivo-normativo proprio di queste ultime, si avvale del metodo induttivo-empirico che richiede non solo formulazione di opinioni e principi ma anche una dimostrazione mediante ricerche comprovanti le ipotesi formulate in un processo progressivo di acquisizione della verità. Tale diversità di metodo risulta tuttavia salutare qualora si arrivi ad una convergenza di conclusioni o almeno ad alcune conferme di quanto affermato dalle scienze sacre e dai principi primi che costituiscono la visione antropologica generale. Insieme colla Rivelazione mediante la quale «Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli ed ammetterli alla comunione con Sé»[17], anche la ragione umana, se usata rettamente, può accedere alla intelligenza delle cose rivelate ed approfondire la comprensione delle cose create[18]. La Chiesa si avvale del contributo di tutte le scienze al fine di far risplendere meglio la luce della verità[19].
Così, anche se in modo schematico e parziale, è utile riportare alcuni elementi delle scienze psicosociali a conferma della visione cristiana del matrimonio e della vita familiare, onde consolidare la propria certezza ed essere più persuasivi nella proposta della verità che salva. Sono disponibili conferme per ognuno dei tre punti esaminati nella parte precedente.
a) Per quanto concerne il punto di partenza della concezione del matrimonio e della famiglia ormai le numerose e molteplici ricerche in campo psicologico non fanno altro che ripetere lo stesso risultato per quanto riguarda lo stato di salute psichica e l’evoluzione psicologica della gente in generale: la maggioranza delle persone non soffre di disturbi psichici, ma neppure raggiunge la maturità psichica possibile ed auspicabile; in altre parole per lo più le persone che incontriamo non sono psicopatiche, ma neppure godono di quell’equilibrio derivante dal raggiungimento della maturità possibile nella persona adulta ed intesa come libertà e capacità di farsi degli ideali e realizzarli nella vita, in modo realistico, anche a costo di sforzo e sopportando i limiti inevitabili in cui si vive[20].
Ricerche più approfondite e sofisticate mettono in evidenza anche la ragione di questi blocchi nella crescita e sviluppo umano: la ragione preminente, anche se non unica, va identificata nella radice subconscia dei conflitti non risolti che assorbono molte energie dell’individuo e lo spingono in direzioni sbagliate nelle sue scelte, nonostante le buone intenzioni. Esemplare in materia è la estesa e prolungata ricerca di Rulla, Imoda e Ridick su soggetti (uomini e donne) con ideali vocazionali e, con gruppi di controllo, su coetanei laici: sia per gli uni come per gli altri, nonostante i buoni ideali e le buone intenzioni, la realizzazione dei loro progetti risultava minata da spinte contrarie ai loro ideali, spinte di cui i soggetti non erano coscienti e che tuttavia interferivano negativamente sulle scelte concrete della loro vita[21]. Da queste ricerche P. Rulla partiva per elaborare una antropologia della vocazione cristiana che alle dimensioni tradizionali integra anche questa dimensione «dimenticata» della vita psichica ordinaria (che egli chiama «seconda dimensione») e consistente nelle spinte subconsce che, senza rappresentare uno stato patologico, interferiscono sulle decisioni delle persone con rischio di inquinare i buoni ideali perseguiti[22].
La psicologia moderna dunque ci dice che la realtà della persona umana è ancor più complessa di quanto si pensasse nel passato e la fragilità umana non dipende solo dalla patologia o dalla cattiva volontà delle persone, ma è aggravata dalla reale possibilità di essere bloccati, in parte, nella propria decisione di tendere ai valori da conflitti subconsci, cioè al di fuori della ordinaria consapevolezza del soggetto medesimo: tale realtà non contrasta colla visione tradizionale, anche se la completa, come ben dimostra P. Rulla nella citata sua opera di antropologia cristiana.
Tali elementi nel campo psicologico supportano la realistica visione cristiana che parla dell’uomo vulnerabile evitando sia l’ottimismo esagerato sia il pessimismo fatalistico, mentre smentisce ogni concezione, come quella della cultura dominante, che considera l’uomo come essere potenzialmente solo positivo con intenzionalità solamente buone e dunque illimitate in circostanze favorevoli.
Ed anche per quanto riguarda la concezione dell’amore come componente qualificante la relazione coniugale e familiare le ricerche più serie nel campo della scienza psicologica hanno portato ad elaborare teorie che evidenziano la complessità del processo che parte dall’innamoramento e porta all’amore maturo. Basti qui riferirci agli studi di O. Kernberg e alle sue conclusioni all’interno della sua teoria della relazione oggettuale[23] per renderci conto come la visione cristiana, che indica la necessità di un cammino di crescita dopo l’instaurarsi del legame affettivo, sia nel giusto.
Tralasciando le patologie che impediscono addirittura alle persone di innamorarsi (come avviene nei casi di narcisismo primitivo a motivo dell’esclusivo interesse che le persone con questo disturbo hanno per se stesse fino ad usare gli altri per sostenere il proprio Io grandioso), anche per chi non soffre di grave patologia psichica l’innamoramento non è sufficiente per reggere nel tempo una relazione affettiva e tanto meno gli impegni che derivano dalla unione coniugale. Infatti l’innamoramento è una forte attrazione verso l’altra persona con una notevole componente di idealizzazione ed una spiccata spinta alla dipendenza, che rappresentano una certa forma di regressione in cui il proprio passato influisce notevolmente sulla realtà presente, anche se esiste un reale interesse per l’altro/a.
Se il processo si fermasse a questo punto la relazione non sarebbe matura in quanto l’oggetto idealizzato rimarrebbe un idolo da ammirare, oppure la parte di sé mancante a cui aggrapparsi, ma non sarebbe l’altra persona da amare per quello che è in se stessa. È necessario un salto qualificativo nella relazione mediante un processo di realismo maggiore circa l’altro/a che comporta la capacità di sopportare l’ambivalenza dell’oggetto (persona) e di integrare l’assolutamente buono con i limiti e le parti meno positive della relazione affettiva. Tale sviluppo impedisce che l’amore forte iniziale «bruci» le persone e le condanni a continue relazioni tanto intense quanto superficiali, in un vagabondaggio affettivo senza stabile meta.
Acquisita la capacità non solo di innamorarsi, ma anche di amare si tratta di fare un ulteriore passo per diventare capaci di rimanere nell’amore. Per tale sviluppo è necessario un finale consolidamento della propria identità (cioè la capacità di conoscersi per quello che si è in positivo ed in negativo conservando una adeguata stima di sé) ed anche una sufficiente empatia realistica con la persona amata, risolvendo i conflitti infantili rievocati dalla stessa relazione affettiva. È a questo punto di maturità dell’amore che si crea lo spazio per una apertura non solo verso l’altra persona così come essa è, ma anche ad un sistema comune di valori ed ideali che vanno oltre le persone stesse per la realizzazione di un progetto di vita condiviso e da costruire insieme. Si potrebbe dire che nella fase dell’innamoramento più forte è l’influsso del passato, nella capacità di amare realisticamente prevale il presente, cioè quello che i due sono, mentre per la capacità di rimanere nell’amore prevale la prospettiva del futuro, cioè ciò che i due intendono insieme diventare.
Da queste note schematiche si può capire non solo la complessità dell’amore umano, ma anche i rischi di bloccarsi lungo il cammino appena venga meno o la consapevolezza della strada ancora da percorrere o la buona volontà di fare gli sforzi per andare avanti. La realtà poi insegna che tale ipotesi di arresto nello sviluppo non è rara, anche se non sempre se ne individuano con esattezza le cause.
b) Vediamo anche qualche elemento di conferma per quanto concerne la via da percorrere per la realizzazione del progetto matrimoniale.
In generale si può dire che tutto lo sviluppo delle tecniche di psicoterapia, che perseguono lo scopo di aiutare le persone a crescere verso la maturità della relazione affettiva o di correggerne le deviazioni, dimostra la necessità di un intervento dell’intelligenza e della volontà sulla emotività, onde poter distinguere le spinte alla crescita da quelle regressive, bloccare processi distorti, anche se consolidati e razionalizzati come positivi, rinunciare anche a ciò che immediatamente è gratificante per spostare la soddisfazione ad un livello più alto e profondo della relazione, ecc... Tutti interventi che non solo sono all’opposto della semplice linea della spontaneità, ma che esigono l’intervento di terza persona professionalmente preparata ed in grado di aiutare il soggetto a vedere ciò che da solo non vede o vede in modo distorto. Dunque la realizzazione del matrimonio richiede non solo buona volontà, ma anche volontà di sacrificarsi e di cambiarsi: per qualsiasi professionista della consulenza e psicoterapia familiare tale condizione è così evidente da non poter accettare e riuscire nei suoi interventi laddove non esista questa condizione accettata dai soggetti che si rivolgono a lui. Lo stesso Freud che nella sua teoria generale vedeva in ogni tensione (derivante dalla non soddisfazione delle pulsioni) la causa dei disturbi e delle nevrosi, quando volle aiutare in concreto le persone disturbate elaborò una pratica clinica (psicoanalisi) che assumeva come uno dei cardini fondamentali il principio dell’astinenza dalla gratificazione degli impulsi e pulsioni dei soggetti (frustrazione ottimale).
Considerando poi il campo specifico della sessualità bisogna dire che anche in questa materia gli studi seri dei processi, mediante i quali si giunge ad una armoniosa vita sessuale della coppia, evidenziano la complessità e la difficoltà della maturazione sessuale, ben distanti dall’uso della sessualità come strumento di spontanea gratificazione o addirittura di risoluzione degli altri conflitti di coppia. Solo per citare uno studio in questa materia, valga quanto ha potuto concludere M. A. Friederich dalla sua ricerca circa le motivazioni della relazione sessuale: nonostante la motivazione cosciente di volersi amare reciprocamente, l’Autrice ha potuto individuare nelle coppie altre motivazioni subconsce ed anche contrastanti l’intenzione cosciente quali: il desiderio di provare la propria identità sessuale vacillante, la spinta a dominare il partner, l’aggressività, la dipendenza infantile, il rimedio ad una tensione, il rimedio alla solitudine, ecc.[24]. È evidente che in un contesto di pura autorealizzazione tutte queste motivazioni non individuate e tanto meno controllate non porterebbero al raggiungimento dello scopo positivo della sessualità all’interno della relazione coniugale, ma anzi ne minerebbero la possibilità di crescita. Al contrario la visione cristiana, che fa appello anche al controllo, al discernimento e alla continua volontà di conversione mediante il confronto con delle norme etiche oggettive, non solo non inibisce la vita sessuale, ma ne permette l’autentica realizzazione. Non è un caso che, parallelamente alla cosiddetta rivoluzione o liberalizzazione sessuale, siano cresciute le disfunzioni sessuali che, come le statistiche rilevano, nella maggioranza dei casi non sono a base organica, ma psicologica, cioè derivano dall’influsso sulla sessualità dei conflitti, anche non sessuali, non risolti all’interno della coppia.
Dunque, la via della realizzazione del progetto matrimoniale esige, anche secondo quanto dimostrano le ricerche e la pratica psicologica, una intelligenza per conoscere se stesso e l’altro/a ed una buona volontà per continuamente superarsi e maturare.
c) Infine una parola anche per quanto riguarda il punto di arrivo, cioè gli scopi del matrimonio e della vita familiare.
In generale la psicologia insegna che uno dei maggiori ostacoli alla felicità ed al godimento è rappresentato dalle attese globali e magiche poste in persone o situazioni: una poderosa ricerca sui risultati delle terapie di gruppo mette in evidenza che tra le persone più esposte alla delusione ed anche ai danni psichici ci sono quelle che sovrastimavano l’efficacia della psicoterapia di gruppo e si aspettavano soluzioni grandiose e spettacolari delle loro difficoltà[25].
Nel campo poi della vita sessuale una interessante ricerca di Mary Shivanandan sulle coppie che usano i metodi connaturali di regolazione delle nascite a confronto con quelle che usano metodi artificiali mette in evidenza una differenza anche sul grado di soddisfazione ed appagamento sessuale tra i due gruppi: le coppie che usano i metodi naturali (in cui sono prescritti periodi di astinenza dei rapporti sessuali durante i cicli di fecondità) dimostrano un incremento col tempo della armonia e soddisfazione nei periodi di attività sessuale, mentre le coppie che usano i metodi artificiali (in cui non c’è richiesta di astinenza ma il rapporto sessuale è illimitato) col tempo rischiano assuefazione e decremento della soddisfazione sessuale[26].
Tali risultati dimostrano che la felicità qualora sia direttamente perseguita come scopo del matrimonio o della attività sessuale così da usare strumentalmente il matrimonio e le persone per raggiungerla, diventa un punto che si allontana sempre più e quegli stessi mezzi caricati del compito di farla ottenere si deteriorano. Al contrario, se la felicità non è intesa come scopo del matrimonio, ma è considerata effetto del dono reciproco degli sposi, allora non si creeranno attese magiche ed irrealistiche, ma dall’uso ordinato dei mezzi a disposizione scaturirà anche la possibilità di sperimentare gioia e pace insieme agli sforzi e alle tensioni.
È evidente allora come, anche per quanto riguarda gli scopi della famiglia, sia più realistica ed umana la visione cristiana a confronto con quanto abbiamo proposti dalla cultura secolarizzata dominante oggi.
3. Linee di azione pastorale
Niente rischia di far diventare frustrante l’azione pastorale quanto il credere che si possa iniziare a fare qualcosa di bene comunque o partendo da qualsiasi punto della realtà che ci sta davanti. Un’azione pastorale che voglia essere efficace deve scaturire da una riflessione e questa deve partire da una realistica analisi della situazione in cui si è chiamati ad operare. Per questo ritengo di poter ora indicare delle linee di azione pastorale riferendomi alla analisi fin qui fatta e dunque senza intenzione di voler esaurire l’argomento.
* Se è vero come si è visto, che il significato del matrimonio va conservato nella sua oggettività stabilita dal Creatore e ciò vale per tutti gli uomini senza che vada persa la loro soggettiva libertà di scelta, ne consegue allora che la prima azione pastorale deve essere considerata quella che tiene fermo questo significato oggettivo e si sforza di renderlo sempre più chiaro e comprensibile agli uomini del nostro tempo. Anzi, proprio in tempi come il nostro in cui il risultato delle trasformazioni sociali e culturali è quello di aver mescolato e confuso i significati (senza distruggere del tutto quelli tradizionali) è ancor più necessario essere chiari e fermi sui valori da proporre senza cedere alla tentazione di quella che Giovanni Paolo II nella Familiaris Consortio chiama la «gradualità della legge», cioè il limitarsi a proporre quei valori che sono su misura di una mentalità o di una moda culturale[27]. Proprio quando le persone sono bersagliate da tante opinioni e domina una spinta alla riduzione dei significati è più che mai necessario usare tutti i mezzi a disposizione per far sentire e tener alto il significato genuino del matrimonio e della famiglia; in questo modo le persone sono aiutate a non perdere di vista la meta da raggiungere, anche se vi sono lontane. Purtroppo, anche se tale metodologia della «gradualità della legge» non è teorizzata, in pratica rischia di essere più spesso usata con la razionalizzazione del bene delle persone. S. Acquaviva annota anche nel campo della religione cristiana l’attenuarsi della proclamazione dei significati e dei valori specifici della religione cristiana: «La religione... è meno impegnata moralmente e meno o per nulla prescrittiva, soprattutto sul piano individuale»[28]. Anche i dibattiti tra teologi, che sovente sfociano in polemiche col Magistero, non vertono più solo sulle applicazioni delle norme etiche ai campi sempre nuovi del progresso umano, ma toccano, da parte di alcuni, gli stessi principi su cui regge la teologia e la vita della Chiesa arrecando dubbi sulla legittimità della stessa norma oggettiva svuotata di ogni forza obbligante da un soggettivismo assoluto.
Si tratta allora per coloro che operano nella pastorale della famiglia di acquisire una dottrina sicura ed essenziale circa il matrimonio e la vita familiare risolvendo i dubbi mediante riferimento alla dottrina del Magistero più che alla opinione di questo o quell’Autore per quanto brillante. Lo sforzo piuttosto va fatto nel render conto delle proposte che si fanno e delle norme che si illustrano, nel senso di saper sempre inserire nel contesto generale e positivo della salvezza e del vero bene delle persone ogni singolo elemento della proposta cristiana, che, se preso singolarmente ed avulso dal suo naturale riferimento, può risultare non solo difficile, ma anche incomprensibile. Così come ho cercato di fare in questa mia esposizione, potrebbe essere giovevole anche avvalersi dei risultati seri delle scoperte della ragione nelle varie scienze che danno maggior evidenza alla verità dalla convergenza con il dato rilevato e proposto dalla Chiesa.
* Ma l’azione pastorale non si esaurisce certamente nella proposta dei significati e delle norme che ne indicano la via di realizzazione: una volta che il seme è gettato senza permetterne una corruzione previa, bisogna porre l’attenzione al terreno in cui cade, cioè alle persone chiamate al matrimonio e alla vita familiare. Ed anche in questo compito deve valere una visione realistica derivante da una profonda e genuina antropologia integrata con il contributo delle scienze umane. Abbiamo visto che è realistico pensare che quella fragilità e divisione di cui parla la Rivelazione ed il Magistero della Chiesa si concretizzano in una debolezza che tocca non solo la buona volontà delle persone, ma anche la possibilità di crescita psicologica a motivo dei conflitti subconsci così che il risultato finale è che la maggioranza delle persone, pur non soffrendo di disturbi patologici, non è neppure psicologicamente matura. E questa fragilità pervade anche l’amore umano cosicchè è necessario un cammino di maturazione dall’innamoramento alla capacità di rimanere nell’amore da parte degli sposi e che lungo questo cammino si sono ostacoli e rischi di blocco ed anche di regressione. Sul piano pastorale ne segue una conseguenza di primaria importanza, ma sovente in pratica dimenticata: anche se la chiamata all’amore coniugale e al matrimonio ha un fondamento naturale, non per questo il sentirsi chiamati a tale vocazione è segno di esservi già pronti e dotati di quelle qualità che ne assicurano la riuscita. È necessario invece considerare il tempo del fidanzamento come tempo di formazione nel senso stretto della parola, in cui non si tratta solo di potenziare quello che già esiste, ma di discernere, cambiare e rinunciare a quello che pure è presente nei fidanzati, ma ne ostacola la crescita: in altre parole anche per i fidanzati innamorati bisogna parlare di conversione. Conversione da una visione del matrimonio secondo la carne, per acquisire una visione secondo lo Spirito; ma anche conversione da una conoscenza di sé e dell’altro/a secondo le apparenze per una conoscenza più realistica, che è la premessa per la maturazione dell’amore. Purtroppo sovente anche i pastori di anime ed i loro collaboratori nella pastorale familiare si lasciano prendere dall’apparenza di un’affettività così intensa tra i giovani da convincersi che si tratta solo di accompagnarli all’altare con qualche rivestimento di religiosità alla loro spinta naturale positiva. Come per tutte le altre vocazioni, anche per quella del matrimonio non c’è nessuno che possa già trovarsi preparato ad essere esentato dal faticoso cammino del convertirsi per credere al Vangelo. È appena uscito, da parte dell’Ufficio nazionale della cei per la pastorale della famiglia, un sussidio di prospettive e orientamenti dal titolo «La preparazione dei fidanzati al matrimonio e alla famiglia», in cui questo concetto di conversione è felicemente presente come una delle indicazioni per il tempo del fidanzamento: infatti per tutte le coppie di fidanzati si auspicano «iniziative varie di preparazione al matrimonio con adatte opportunità per tutti di un cammino personale di conversione e di itinerari di fede, tanto più esigenti per le coppie spiritualmente più generose»[29]. Io aggiungerei che per conversione non si deve intendere solo il pentimento delle colpe e il raddrizzamento delle storture più evidenti, ma anche l’intenzione di voler allargare la conoscenza di sé e dell’altro/a usando tutti i mezzi a disposizione, sia quelli tradizionali sia quelli offerti dalle scienze moderne, le quali proprio in questo campo dell’amore umano e della vita familiare hanno fatto enormi progressi. Bisogna ammettere che in paragone con gli altri stati di vita o anche solo con le moderne professioni dove si spendono energie, tempo e risorse per formare le persone, la preparazione al matrimonio è ancora quasi interamente lasciata alla spontanea buona volontà delle persone interessate. Ed è poco consolante il fatto che quel poco che si fa (troppo poco) sia fatto quasi interamente dalla Chiesa, mentre lo Stato latita completamente!
* Per offrire la proposta di questo cammino di crescita e di conversione è necessario che si abbiano persone preparate per guidare i fidanzati: se ciò può essere più facile per quanto riguarda i mezzi tradizionali, per quanto concerne gli aiuti che sono disponibili da parte delle scienze umane moderne la difficoltà aumenta. Infatti è necessaria una qualifica professionale in dette scienze assieme ad una ispirazione cristiana sicura, che si integri nel lavoro professionale con i valori e significati genuinamente cristiani. La difficoltà viene dal fatto che la formazione professionale avviene in istituzioni universitarie in cui al massimo si persegue il mito della neutralità delle scienze e dunque poche sono le persone che abbiano integrato già nella preparazione universitaria gli aspetti tecnici con quelli di valore. I Consultori di ispirazione cristiana vanno migliorati proprio in questa direzione per superare l’alternativa di avere o persone sicuramente cristiane però senza qualifica professionale o persone professionalmente qualificate ma che non hanno o non usano la visione cristiana nell’esercizio della loro scienza.
* Per quanto poi riguarda le difficoltà che comunque rimangono da superare per avvicinarsi sempre più alla pienezza degli ideali del matrimonio vale quella che lo stesso Giovanni Paolo II chiama la «legge della gradualità»[30]: capire le difficoltà, accettare gli errori, guidare con pazienza e gradualità sulla via della perfezione. Qui c’è spazio per tutta quanta la compassione e la misericordia di cui ha dato prova e raccomandazione il Signore Gesù; però ad una condizione, e cioè che l’errore sia chiamato errore, la colpa riconosciuta come tale e gli sbagli ammessi come sbagli. In altre parole, non sarebbe vera misericordia accettare le giustificazioni e le razionalizzazioni con cui ognuno di noi può tentare di coprire le proprie manchevolezze accusando di errore o di impervietà la proposta che viene dal Signore. E qui può tornare insidiosa la spinta al soggetivismo così forte nella cultura dominante, per cui si dovrebbe lasciare al soggetto stabilire quando la norma oggettiva si applica al suo caso; una valida preparazione al matrimonio deve portare i fidanzati ad accettare un confronto della loro situazione con tutte le norme oggettive senza nessuna selezione previa.
* Un altro aiuto che rappresenta una linea di azione pastorale, è quello di offrire ai giovani che si preparano al matrimonio ed anche alle famiglie che si vanno formando, un contesto ecclesiale in cui possano vedere incarnato quegli ideali loro proposti: senza l’incarnazione non c’è redenzione! La testimonianza non è solo una esigenza evangelica, ma anche un forte ed indispensabile mezzo psicologico di possibilità di identificazione, che favorisce il radicamento e la fruttificazione dei valori cristiani. Ciò è importante tanto più se si pensa che la mancanza di modelli concreti; cioè di persone che vivono gli ideali matrimoniali, si traduce concretamente nella presenza di contro-testimonianze...
In questa direzione può essere di grande aiuto ai fidanzati e agli sposati un più ristretto riferimento della loro vocazione con quella della vita consacrata e del celibato per il Regno. In concreto, un linguaggio più comune nei due diversi stati per quanto riguarda la qualità dell’amore, che deve essere di donazione, ed una maggiore trasparenza della gioia come effetto della donazione di sé nella consacrazione indivisa al Signore favorirebbero sia la comprensione della comune sorte di creature che si salvano attraverso il mistero pasquale, sia quella relativizzazione del matrimonio in vista della definitiva unione con Dio che evita delusioni e rifiuti.
* Questi sono alcuni suggerimenti che indicano delle piste di azione pastorale nel senso di indicare delle direzioni lungo le quali trovare persone e mezzi per agire con efficacia evangelica. Tuttavia mi permetto una conclusione che mi pare logica da tutto il discorso fatto: per poter attuare sul piano pastorale questi obiettivi è necessaria una condizione previa. Prima di iniziare a formare i giovani al matrimonio ed aiutare gli sposi a vivere il loro ideale di vita cristiana bisogna formare i formatori, cioè bisogna che la formazione dei sacerdoti e dei laici nel campo della pastorale familiare diventi più approfondita e specifica. In altre parole è necessario che l’operatore pastorale (chierico o laico):
― abbia una conoscenza approfondita e motivata del significato del matrimonio e della sua specificità rispetto alla cultura in cui vive;
― abbia una conoscenza realistica di sè rispetto ai suoi stessi ideali così da ridurre la distanza tra quello che è e quello che vuole diventare in modo da rendere più trasparente la sua testimonianza concreta;
― faccia uso di quei mezzi tradizionali e moderni che intende proporre agli altri non cadendo egli stesso nella illusione che basti avere delle buone intenzioni e dei buoni ideali per essere efficaci nella propria vita e nell’aiuto agli altri;
― senza adottare il metodo della «gradualità della legge» sia tuttavia capace di usare la «legge della gradualità» con pazienza e misericordia vera;
― sia evangelicamente disposto a seminare lasciando anche che siano gli altri a raccogliere, continuando ad essere servo anche se apparentemente inutile;
― abbia l’umiltà della collaborazione accettando di confrontarsi con criteri oggettivi, cioè non solo con le proprie opinioni, ma con quelle di persone qualificate ed autorevoli nella Chiesa...;
― abbia sempre viva la speranza di una pienezza di salvezza che è oltre questa vita, così da poter tollerare ciò che rimane sulla terra, anche nella chiesa, imperfetto nelle persone e nelle opere dando valore positivo alle sofferenze inevitabili anche per chi vuole il bene.
Di tali persone ha bisogno il Signore e la Chiesa di oggi in ogni campo, ma specialmente nel campo della pastorale familiare. Sarebbe già un grande risultato se ognuno di noi rendesse alcune idee più chiare e sicure, ma soprattutto riesaminasse se stesso per maturare nella conversione del cuore una più stretta somiglianza con l’amore di Dio.
[1] Gaudium et spes, n. 47
[2] Familiaris Consortio, n.4.
[3] Ibid.
[4] AA.VV. Ritratto di famiglia degli anni ‘80, Editori Laterza, Bari 1981.
[5] Ibid, p. 9.
[6] Ibid, p. 10.
[7] Ibid.
[8] Ibid, p. 36.
[9] Familiaris Consortio, n. 4.
[10] Gaudium et spes, n. 48.
[11] Familiaris Consortio, n. 11.
[12] Gaudium et spes, n. 13.
[13] Ibid.
[14] Cfr. III Ciclo di catechesi alle Udienze Generali, Ed.Paoline 3ª Ed. 1984.
[15] C.J.C. cann. 1055 e 1057.
[16] Familiaris Consortio, n. 16.
[17] Dei Verbum, n. 2.
[18] Ibid, n. 6.
[19] Gaudium et spes, n. 15.
[20] Cfr. B. KIELY, Psicologia e Teologia Morale: linee di convergenza, Marietti, Torino 1982, pp. 50-56.
[21] L.M. RULLA, J. RIDICK, F. IMODA, Struttura psicologica e vocazione, Marietti, Torino 1981.
[22] L.M. RULLA, Antropologia della vocazione cristiana, v. 1, PIEMME, Casale 1985.
[23] O. KERNBERG, Teoria della relazione oggettuale e clinica psicoanalitica, Boringhieri, Torino, 1980.
[24] M.A. FRIEDERCH, «Motivations for coitus», in: Clinical Obstetrics and Gynecology, vol. 13, n. 3, sett. 1970, pp. 691-700.
[25] M. LIEBERMAN, I. YALOM e M. MILES; Encounter Groups: First Facts, Basic Books, New York, 1973.
[26] M. SCHIVANANDAN, Natural Sex, Berckley Books, New York, 1979.
[27] Familiaris Consortio, n. 34.
[28] S. ACQUAVIVA, Il seme religioso della rivolta, Milano 1979, p. 84.
[29] CEI, La preparazione dei fidanzati al matrimonio e alla famiglia, n. 2.
[30] Familiaris Consortio, n. 34.