di Padre Giovanni Ferrotti fam

La mia testimonianza, che vuole essere un gioioso rendimento di grazie a Dio per avermi chiamato ad essere membro della nostra amata Famiglia Religiosa dell’Amore Misericordioso, si avvale dei ricordi che conservo nella mente e nel cuore e anche degli appunti che conservo in un quaderno, scritti a partire dal novembre 1953.

Comprende gli anni dal 1951 al 1955.

Non vi nascondo che scrivere queste pagine non è stato facile.

Se infatti per un verso è stato bellissimo rivisitare il passato, nel quale ho potuto leggere con maggiore chiarezza i segni di una provvidenza che ha guidato con amore delicato tutta la mia vita, dall’altro sono stato costretto a fare un continuo esame di coscienza che ha evidenziato ai miei occhi una risposta non sempre proporzionata a tanto amore.

La storia della Congregazione è, in un certo senso, la storia della mia vita.

Avevo appena dodici anni, un giorno d’estate, mentre nella piazzetta del paese dove davo calci ad un pallone con fogli di giornali tenuti insieme da uno spago, incontrai per la prima volta Madre Speranza.

Era, quasi sicuramente, il 7 luglio 1951, il giorno nel quale la Madre mise per la prima volta i suoi piedi a Collevalenza.

Una macchina che arrivava in paese destava in quegli anni curiosità. Quella volta poi, dalla macchina erano scese cosa rara alcune suore e un elegante signore.

Non sarei sincero se dicessi che Madre Speranza, in questo primo incontro, mi accolse con particolari dimostrazioni di affetto.

Ricordo soltanto che dimostrò interesse nei miei confronti e nei confronti della mia famiglia.

Da parte mia ci fu subito curiosità e simpatia, sensazioni che non erano riusciti a suscitare zelanti fraticelli a scuola e in famiglia per reclutare vocazioni per i loro istituti e che mi avevano lasciato rosari e immaginette dei loro santi Fondatori.

Quello che invece Madre Speranza mi regalò, fu un pallone rosso, di gomma, che purtroppo dopo qualche giorno finì sopra i tetti e mi costrinse a ritornare al solito rudimentale pallone fatto di cartoni e fogli di giornali.

Da parte loro le suore ricompensavano ogni mia collaborazione, che all’occorrenza prestavo volentieri, con saporite fette di pane spalmato di cioccolata.

Forse può risultare un po’ banale dire che Dio si servì del pallone e della cioccolata per far nascere la mia vocazione, ma, cosa volete?… Così è stato. Le vie del signore sono infinite.

Dopo essersi comprata la mia benevolenza e aver parlato con i miei genitori, la Madre mi chiese se volevo diventare “apostolino” nella Congregazione che stava per fondare...

Non credo che capii molto di che cosa si trattasse, ma la mia fiducia nei suoi confronti era aumentata e quando mi disse che sarei dovuto andare in un collegio, in provincia di Campobasso, accettai volentieri la proposta.

Una certa voglia di farmi prete me l’aveva inculcata una Maestra che ricordo con particolare affetto: si chiamava Elda Ferrotti, ma non era mia parente.

A scuola ci faceva ripetere ogni giorno questa giaculatoria: “Cuore di Gesù, venga il tuo Regno: venga per Maria” e ci faceva pregare per i Sacerdoti.

Parlando con lei, pochi mesi prima della sua morte, mi diceva piena di gioia, che il Signore l’aveva ascoltata perché si sentiva consacrata all’Amore Misericordioso, infatti un alunno con il suo cognome, ed ero io, e un’alunna con il suo nome, Elda Latini (la nostra Sr. Pietà), erano diventati Figli dell’Amore Misericordioso.

Anche Madre Speranza stimava molto questa brava maestra e chiese e ottenne in diverse occasioni la sua collaborazione.

C’era da dire che ero uno dei più assidui chierichetti: non ho detto che ero il più buono.

In paese, infatti, tutti conoscevano la mia vivacità e le mie frequenti birichinate.

Una volta, mentre servivo la Messa versai forse troppa acqua e il Parroco, Don Giovanni Azzarelli, mi diede un colpo in testa con le dita; mi tolsi la cotta e lo piantai sull’altare tornandomene a casa tutto indignato. Dovette venire lui a scusarsi per ottenere di nuovo i miei servizi che furono da quel momento molto meglio retribuiti.

Ricordo anche che, in occasione della visita del Vescovo di Todi, Sua Eccellenza Mons. De Sanctis, mi scelse per declamare in chiesa una poesia. Il Vescovo ne fu contento e accennò alla possibilità di andare in seminario. La proposta della Madre Speranza non mi trovava, quindi, del tutto impreparato.

Le suore, da parte loro, con un linguaggio frammisto di spagnolo che non sempre mi risultava comprensibile, ma che destava in me tanta curiosità, cercavano di coltivare la mia nascente vocazione parlandomi con entusiasmo e venerazione della Madre e della nuova fondazione che stava per iniziare.

Ricordo i preparativi per l’apertura della casa di Collevalenza e soprattutto ricordo distintamente il giorno 18 agosto quando la Madre e la Segretaria generale, insieme a P. Alfredo, P. Giovanni Barbagli, Fratel Sanzio e le Suore: Madre Maddalena, Sr. Anna, Sr. Ester e Sr. Rosa fecero il loro ingresso solenne.

Davanti alla Chiesa della Madonna delle Grazie si era radunata molta gente; c’era anche la banda musicale. Ci fu una lunga attesa e quando furono tutti arrivati si snodò una processione verso la chiesa parrocchiale, dove ci furono preghiere, saluti e un vivace discorso del Vescovo di Todi.

Da quel momento i miei contatti con i padri e le suore furono più frequenti; qualche volta mi invitavano anche a mangiare e mi intrattenevo a parlare con essi.

Alla fine di settembre, con altri tre amici di Collevalenza, Bianchi Gianfranco, Mancinelli Giancarlo e Andreucci Franco, accompagnati da Sr. Ester, partimmo con il pullman di linea per Roma, dove facemmo sosta nella casa delle suore di Via Casilina.

Qualche giorno dopo ci imbarcammo sulla cabina di un camion che doveva condurci a Villa Di Penta. Il viaggio fu abbastanza traumatico.

Ricordo che gli autisti parlavano un incomprensibile dialetto e ogni volta che aprivano bocca mi spaventavo perché sembrava che litigassero tra loro. Fu un viaggio scomodo e interminabile.

Quando Dio volle arrivammo a destinazione, proprio nel momento che gli altri tre “apostolini” che già si trovavano a Villa Di Penta tornavano dalla campagna, sporchi di fango fino alla testa.

Questi tre apostolini erano Cirincione Nunzio, siciliano, che risiede in America ed è rimasto molto legato alla Congregazione, India Giacomo, anch’egli siciliano, che risiede a Torino e che, almeno fino a qualche anno fa, si faceva sentire e vedere, e Papaluca Franco, calabrese di cui non ho avuto più notizie.

L’impressione fu talmente negativa che volevamo ritornare a casa.

Le suore cercavano di calmarci e ci seguivano dovunque perché avevamo manifestato il proposito di fuggire.

Un sacerdote diocesano, D. Gaetano, si incaricava della scuola e della parte spirituale. Era malaticcio e stava quasi sempre in camera. Lo ricordo pietoso e paziente, forse poco socievole a causa della sua malattia.

Passavano i giorni e la nostra scontentezza non diminuiva.

Andreucci Franco fu mandato a casa e rimanemmo in sei.

Noi tre di Collevalenza formavamo un gruppo a parte e alternavamo giorni più tranquilli a tentativi di fermare delle macchine di passaggio per fuggire, finché un bel giorno arrivò finalmente l’ordine di partire tutti per Collevalenza.

Lì, il 24 ottobre, fummo accolti dalla Madre e dai Padri per iniziare la prima Media.

In breve tempo si unirono a noi altri ragazzi provenienti da varie parti d’Italia e dalla Spagna, Manuel Velasco, Angel Pérez…

La scuola era nella casa parrocchiale; per le pratiche religiose andavamo nella chiesa del paese, a dormire si andava in alcune fredde stanze della casa Bianchini; e si mangiava nella casa Valentini, dove si trovavano le suore. Teatro dei nostri giochi, soprattutto la sera, era la piazzetta del paese dove si radunavano le donne (del paese) per godersi lo spettacolo.

Furono tempi difficili, ma belli, perché c’era un vero clima di famiglia, molto entusiasmo e un grande… appetito.

La Madre godeva nel vederci mangiare volentieri. Diceva che era un segno di vocazione soprattutto quando veniva servito un formaggio giallo, dono del popolo americano, che non piaceva a nessuno.

A Collevalenza scarseggiava l’acqua. La portavano con le autobotti, ma era insufficiente. Una o due volte al giorno si andava a prenderla con dei grandi secchi al Vallone che si trovava a circa un chilometro di distanza. Al ritorno bisognava affrontare una salita non indifferente che metteva alla prova le nostre forze.

Eppure, tutto si faceva con allegria.

La Madre ci educava al senso della famiglia, alla festa, al sacrificio, al lavoro, responsabilizzandoci per tutto quello che era necessario, e alla nostra portata.

Spesso condivideva con noi il lavoro e le ore di ricreazione, accompagnandoci a passeggio nella tranquilla strada che porta al cimitero o assistendo con i padri alle nostre animate partite di pallone nel campetto del giardino della famiglia Bianchini.

Molto potrei dirvi su questa patriarcale, benemerita e ricca famiglia di Collevalenza che accolse generosamente la Madre al suo arrivo a Collevalenza.

Sofia, Maria, Germana, Gabriella erano delle sante persone, di comunione quotidiana, caritatevoli, impegnate nelle opere parrocchiali, sempre disponibili: Germana e Gabriella erano state mie catechiste.

Non ci sono spiegazioni per motivare la scelta di Collevalenza da parte di Dio, ma se qualche motivo dovesse esserci, ho pensato più volte che la bontà di queste sante donne ha avuto certamente il suo peso.

Permettetemi anche di fare una breve testimonianza che si riferisce ai rapporti della Madre con la mia famiglia.

A Collevalenza, inizialmente, non tutti la guardavano di buon occhio. Un po’ di curiosità e diffidenza forse può esserci stata anche da parte dei miei genitori, ma durò molto poco perché subito si stabilì un bel rapporto.

Quando alle suore mancava qualche oggetto, e succedeva spesso in quei primi anni, ricorrevano sempre, a nome della Madre, ai miei genitori e trovavano le scure per legna o una pentola per la cucina, un martello o un tubo di gomma.

Ed era una gioia per mia madre Diamante tenere sempre a disposizione un po’ di rosmarino o qualche erba aromatica, perché, diceva, è una piccola cosa, ma può essere sempre utile a qualcuno.

Naturalmente la Madre ricambiava generosamente questi favori.

Mio padre poi, insieme al suo campicello coltivava la vigna e l’orto della parrocchia che erano confinanti.

La Madre si compiaceva per la grande quantità di verdura e di uva che produceva l’orto, ma ancora di più era contenta per l’impegno e la gioia con cui babbo Pasquale lo lavorava. Si sentiva coinvolto e responsabilizzato perché - diceva - “quella povera suora deve sfamare tante bocche”.

Io ritengo che sia stato un gesto di amore e di riconoscenza della Madre quello che avvenne quando mio padre dovette ricoverarsi all’ospedale di Foligno. Dopo alcune indagini il Prof. Ciombolini lo dimise perché “non c’era più niente da fare”. Aveva infatti - come è scritto nella cartella medica - “un tumore alla vescica della grandezza di una grossa moneta”. Lo dissi alla Madre e lo raccomandai alle sue preghiere.

Senza dare molta importanza a quanto le avevo detto mi rispose di stare tranquillo perché “si trattava di una piccola cosa”. Pensai che non avesse capito bene.

Con mia sorella Franca, aiutati da P. Vittorio, facemmo qualche altro tentativo portandolo da alcuni medici di Roma senza risolvere nulla fin quando il Prof. Valli del policlinico di Perugia accettò di operarlo.

Quando il chirurgo uscì sudato dalla sala operatoria ci disse: “Si è trattato di una piccola cosa” … Le stesse parole che mi aveva detto la Madre. Mio padre ritornò a coltivare il suo orto e lo fece per altri dieci anni.

Ricordo che alla fine del 1951 una gravissima malattia colpì la Madre.

Il Dottore Orsini, di Todi, dopo alcune cure, dichiarò che la scienza umana non era più in grado di far nulla e che la sua esperienza gli assicurava che prima del Capodanno sarebbe sicuramente morta.

Alle quattro di una Domenica ci dissero che era entrata in agonia.

Noi tutti pregavamo intensamente per la sua salute. A sera si sparse la notizia che la Madre aveva avuto una visione ed era immediatamente guarita. Chiese di mangiare, cosa che da vari giorni non faceva, e l’indomani la vedemmo alla Messa di ringraziamento tra lo sbalordimento di tutti, soprattutto del dottore Orsini.

Per l’Epifania del 1952 ricevemmo molti regali: un tavolo da ping pong, dame, scacchi e, chissà perché mi è rimasto impresso, della buona frutta candita, mai vista e assaporata fino allora.

Nonostante la nostra giovane età la Madre ci rendeva partecipi dei suoi progetti e delle difficoltà che la Congregazione andava incontro.

Quante Novene e quanti Trisagi ci faceva pregare: per P. Alfredo che doveva affrontare i suoi studi e avrebbe incontrato molte difficoltà, per la Congregazione che correva seri pericoli di essere annientata sul nascere, soprattutto perché fondata da una donna, per i Vescovi e Cardinali con i quali doveva incontrarsi.

Io non riuscivo a capire perché ci fosse tanta difficoltà per approvare una Congregazione fondata da una suora: mi sembrava addirittura più conveniente.

Fu probabilmente in quel primo anno che fece un gesto che non potrò mai dimenticare.

Ci disse che essendo noi i primi apostolini della Congregazione dovevamo diventare santi e volle che scrivessimo in un biglietto i nostri buoni propositi. Ci assicurò che quel biglietto lo avrebbe tenuto vicino al suo cuore fino a quanto saremmo rimasti nella Congregazione.

Andammo a consegnarglielo, uno ad uno nel giardino di Bianchini, durante la ricreazione. Io ricordo bene quello che scrissi, ma non è necessario che ve lo dica. Spero solo che esso sia ancora sul cuore della Madre e che ci rimanga per sempre.

Alla fine dell’anno scolastico, dopo un breve periodo di vacanze in famiglia si andava a Villa Di Penta per trascorrere tutto il resto delle vacanze.

Lì spesso insieme alla Madre, si lavorava, si pregava e ci si divertiva. Si toglievano i sassi dai campi, si raccoglievano le spighe dopo la mietitura, si andava per legna nel bosco, ma si facevano anche delle belle e lunghe passeggiate e delle grandi partite a pallone.

La Madonna della strada, la Abbazia di Faifoli e la fontana del Sambuco erano le mete preferite.

Tra i molti ricordi conservo vivissimo quello di una visita della Madre che, per premiarci delle spighe raccolte dopo la mietitura, ci radunò nella sala e iniziò a distribuire caramelle.

Eravamo in fila indiana, iniziando dai più bassi. Io ero uno degli ultimi e quando mi resi conto che ad ognuno ne dava una bella manciata cominciai a disperare che arrivassero fino a me, perché ne aveva sulle ginocchia, ben visibile, solo una quantità limitata.

Due o tre volte la vedemmo chiudere gli occhi come assorta in preghiera e rivoltare le poche caramelle rimaste. Alla fine tutti ne avemmo inspiegabilmente la stessa abbondante quantità. Si parlò di miracolo perché nessuno era riuscito a farsi una ragione di quello che era avvenuto.

L’anno scolastico 1952-53 trascorse con il solito ritmo: preghiera, scuola, gioco.

Ai professori che erano i Padri e una suora per la lingua spagnola, si aggiunse il maestro Ottavi Americo, molto paziente e comprensivo. Abitava a Todi, ma era originario di Collevalenza.

Il numero degli apostolini era aumentato considerevolmente. Da alcuni paese ne erano venuti molti tutti insieme: da Coreno, Ausonio, Montagano, Petrella, Castellino sul Biferno…

Più volte, dalla terrazza della casa Valentini sentimmo la Madre che guardando verso il roccolo, parlava di un grande Santuario che lì sarebbe sorto e che noi, divenuti Sacerdoti, avremmo accolto tante persone da anni lontane da Dio per le confessioni e per parlare ad esse dell’Amore Misericordioso.

Fu durante quell’anno che io personalmente fui protagonista di un fatto che ritengo straordinario e che accrebbe enormemente la mia fiducia e il mio amore per la Madre.

Avevo passato una notte insonne con un brutto mal di stomaco, ma ero riuscito a non dirlo a nessuno e a non farmi accorgere. Quando all’ora di pranzo andammo al refettorio vidi che nel mio posto c’era del riso e un po’ di pesce in bianco. Mi dissero le suore che la Madre aveva dato quell’ordine. Non mi sono mai spiegato come avesse fatto a saperlo.

E’ da questo momento che i miei ricordi sono supportati da quello che scrissi in un quaderno che conservo gelosamente, dove, come vi ho accennato, a cominciare dal novembre 1953 andavo annotando alcune notizie e alcuni fatti che più mi colpivano.

Nella prima pagina posi come titolo: “Appunti intorno alla Madre”.

La maggior parte di queste notizie sono risapute, ma credo che sia interessante la semplicità e l’ingenuità con cui sono scritte. A volte sono anche corredate da alcuni strafalcioni. Ve ne leggo alcune.

La prima è questa: “A Todi la Madre riceve alcuni milioni da un angelo che gli appare sotto forma di giovane ragazzo”.

Il fatto ce lo raccontò P. Alfonso che accompagnava la Madre.

Con una scusa l’aveva fatto momentaneamente allontanare; mentre si riavvicinava vide questo giovane che poi improvvisamente scomparve. E la Madre gli consegnò un pacchetto di banconote.

Ancora un episodio. Leggo: “Il giorno 8 dicembre 1953, festa dell’Immacolata, la Madre fa il miracolo di moltiplicare i santini, al quale miracolo ho assistito anche io”. Conservo ancora questa immaginetta, dietro alla quale scrissi in un compiaciuto spagnolo: “La Madre hizo el milagro de multiplicar estas estampas que nos dio”.

Avevamo spesso notizie, anche se i Padri e le Suore cercavano prudentemente di essere discreti per non spaventarci troppo, dei suoi frequenti scontri con il “tignoso”. Così la Madre chiamava il demonio.

Nel mio quaderno conservo vari appunti a questo proposito.

Eccone uno con qualche sgrammaticatura: “La Madre viene tentata dal demonio durante la notte, che rompendo le pareti le scaglia calcinaccio”.

Io personalmente ricordo (e come si fa a dimenticare certe cose) che una mattina mentre eravamo nella chiesa parrocchiale accompagnai P. Alfonso nella casa Valentini dove era rimasta la Madre. Il Padre doveva prendere il galletto (moto) per andare a dir Messa a Monticello. Io avevo il compito di richiudere la porta e riconsegnare la chiave alle Suore.

Quando aprimmo la porta sentimmo un fracasso… infernale. Pentole e altri oggetti che sbattevano tra loro rumorosamente e come un sibilo di parole indecifrabili.

P. Alfonso mi accennò qualcosa, poi sapemmo dalla Madre stessa che, mentre stava in cucina aveva avuto la visita del tignoso.

Ma ciò che più mi impressionò a tale riguardo fu un episodio che vi leggo così, come l’ho scritto, il 9 febbraio 1955, esattamente 46 anni fa:

            “La Madre (a colazione) viene al refettorio e parla a noi postulanti raccontandoci ciò che ha fatto durante la notte: è andata con lo spirito da un religioso traviato (perché aveva deciso di non camminare più nella via della perfezione) ed ha cercato con le più sante parole di rimetterlo sulla retta via suggerendogli la preghiera di perdono che doveva fare: - Castiga la mia iniquità e perdonami per la tua misericordia. – Quando è ritornata il diavolo le ha menato e ci ha fatto vedere il segno delle percosse nel collo. E’ infinitamente contenta oltre a questo anche perché sua Santità si è degnato di mandare alla Congregazione la papalina già di suo uso”.

 

Ho sempre ritenuto provvidenziali queste esperienze vissute fin da bambino per lo svolgimento del mio ministero di esorcista che ho esercitato per quasi quindici anni mentre ero rettore del Santuario.

Decine e decine di volte ho avuto la sorte di essere presente alle frequenti estasi della Madre.

Vidi anche, nella chiesa parrocchiale, il suo corpo accasciarsi sui banchi in occasione di un fenomeno di bilocazione e ricordo bene la nostra apprensione, mentre le suore cercavano di rianimarla. Sapemmo poi che in quel momento era stata vista in Spagna.

Alla fine dell’anno 1953, il 18 dicembre, festa della Madonna della Speranza, ci fu l’inaugurazione della prima casa, cosiddetta dei Padri. Avevamo partecipato alla posa della prima pietra, il 25 marzo.

Mi è rimasta impressa la maestosa figura di Mons. Ciarappa che aveva presieduto la cerimonia. Nel mio quaderno ho scritto di lui quanto segue: “Mons. Ciarappa, era nemico della Congregazione perché desiderava sacerdoti no suore. Ogni volta che si incontrava con la Madre mostrava la sua indifferenza per la Congregazione.

Pian piano la tattica della Madre riuscì ad avvicinarlo un po’. Pur non cessando di essere contrario venne alla cerimonia della benedizione della prima pietra dell’edificio. Passato un po’ di tempo divenne amico della Congregazione, tanto da essere il confessore dei ragazzi. Ora vorrebbe venire nella Congregazione, ma egli dice, vuole un segno di Dio per sapere che deve entrare”.

Sappiamo che più tardi farà i voti e morirà nella nostra famiglia religiosa.

L’attesa per l’inaugurazione della casa era stata grande e la festa fu grandissima con larga partecipazione di suore e gente di Collevalenza e dintorni.

Nel mio quaderno, di quella giornata, conservo solo questa nota: “La madre riceve molti onori; sua grande umiltà”.

Nei primi mesi dell’anno 1954 la Madre fece, dopo molto tempo, un importante viaggio in Spagna. Questo è quanto ho scritto nel mio quaderno di appunti. “26 marzo 1954: La Madre parte per la Spagna. Come era il suo volto mentre scendeva le scale dell’Istituto! Lo sguardo rivolto al cielo, in preghiera, spesso sospirava”.

12 maggio 1954 - La Madre arriva a Collevalenza; abbiamo fatto per lei una bella festa alla quale ha partecipato anche molta gente di Collevalenza: la festa si è conclusa con una solenne benedizione eucaristica”.

Durante questo stesso anno ci furono molte professioni religiose, che noi Apostolini e Aspiranti vivemmo con grande interesse e gioia.

Nel 1955 si aprì la casa di Perugia e la Madre mi chiese di andare per un breve periodo per dare qualche aiuto. Conobbi il tanto temuto Vescovo Mons. Parente e altri Sacerdoti che lì risiedevano.

Il 2 luglio ci fu la consacrazione dell’attuale Cappella del Crocifisso, i voti di P. Mario Gialletti e di Fratel Edoardo e la vestizione dei primi 5 Postulanti della Congregazione. Manuel Velasco, Pérez Angelo, Nunzio Cirincione, Miguel Angel Larrión e il sottoscritto.

Per l’inaugurazione del Santuario composi una poesia (avevo già questo virus fin dalle elementari). Mi permetto di leggerla perché alla Madre piacque e quando la sera, durante il trattenimento la lessi, mi abbracciò contenta, con grande affetto:

 

“Qui sempre ci attendi”

Sciogli paesello addormentato sulle rive dei sogni

il Magnificat della tua riconoscenza e narra la tua storia

scritta sui quaderni diafani dei cieli umbri.

Jacopone e Francesco musicano il canto

alla nuova primavera che ferve sui loro colli.

Cristo viene con le mani trafitte e il cuore spalancato

per soccorrere l’umana miseria. Da tempo

l’aereo tuo campanile, le mura, le bifore

aperte sui cieli infiniti attendevano te,

Madre Speranza, messaggera di tesori divini.

Venisti e rise sui colli verdi l’attesa primavera.

Non profumo di umane corolle, ma quello umile

e nascosto di piccoli fiori campestri, spargesti.

Ora nel tuo Santuario, Signore, la luce dei tramonti

ravviva i colori dell’abside lignea e noi veniamo

a deporre il nostro fardello, a chiederti amore e perdono.

Tu vedi le piaghe profonde dei nostri cuori,

a Te solo svelate con casto pudore e vedi

i nostri cuori assetati della tua pace.

 

Questo tuo Santuario, crescerà come i cedri

e spargerà la sua ombra sulle sponde dei secoli umani.

Ecco già vedo la tua casa albeggiare di nuove aurore

E la tua luce spandersi e incendiare la terra.

Vedo genti venire da lontano alle sacre rive di questo mare

E mi incanta la visione di una stagione piena di frutti.

Noi vogliamo, Signore, che il tuo Santuario sia il rogo

dove brucia l’umana miseria. Vogliamo che il tuo cuore

eternamente arda per consumare la miseria dei nostri cuori

qui, dove tu sempre ci attendi, o Re dell’amore

con le tue braccia e il tuo cuore spalancato.

L’indomani, 3 luglio, P. Alfredo venne ordinato Sacerdote dal Vescovo di Todi “Grandissima festa con numerosissimi partecipanti” – trovo scritto nel mio quaderno.

Il giorno 6, alle undici della notte, cinque pullmans con i primi dodici Padri, le suore, i ragazzi partirono da Roma per il Santuario di Loreto. Fu una gita pellegrinaggio indimenticabile. Ma la Madre, purtroppo, non stava bene e non poté accompagnarci.

Sempre nel 1955 ci furono i primi due corsi di Esercizi Spirituali per sacerdoti. Ricordo con quanto interesse, sacrifici e preghiere la Madre li preparò.

Noi Postulanti esordimmo come camerieri, servendo a tavola, senza rompere nessun piatto, ma qualche giorno prima a romperne una discreta quantità ci aveva pensato “il tignoso” arrabbiato per questa nuova, sgradita attività della Congregazione.

All’inizio dell’anno scolastico ci trasferimmo a Fermo, per frequentare il quarto ginnasio presso il Seminario Diocesano.

Sono questi alcuni ricordi tra i molti che avrei potuto raccontarvi.

Termino la mia testimonianza leggendovi una poesia, scritta alcuni anni fa, che esprime e riassume i mie filiali sentimenti verso la Madre:

 

A Madre Speranza

La tua mano calda sul mio capo

ancora sento, Madre, e la speranza

d’averti accanto mi da forza

e pazienza nel cammino.

Io ricordo il tuo sguardo che svelava

a me i miei sentimenti più profondi

e allontanava inutili pensieri.

Tenera e forte quale accorta madre

conducevi il mio spirito su strade

di fiducia e abbandono.

Eri conforto e sprone

nell’impervio cammino della croce

additando il tuo Cristo Crocifisso,

circoli ancora, linfa vigorosa,

nelle mie vene quel tuo amore forte

perché nel dono a Dio diventi dono

per chi cerca perdono, amore e pace,

come sei stata tu, Madre Speranza,

fedele ancella e purissimo specchio

del suo amore di padre, madre e amico.