di P. Giulio Monti fam

 

Nasce a Corridonia chiamata anche Pausola – il 13.12.1915.

Rimase orfano di Madre all’età di quattro anni. Il papà, Beniamino, passò a seconde nozze perché non riusciva a tirare avanti i due figli piccoli che gli erano rimasti dopo la perdita della cara moglie Assunta.

Fu proprio questa seconda mamma che lo aiutò, a costo di innumerevoli sacrifici, a seguire la strada del sacerdozio.

I fratelli di Don Lucio, ancora oggi ricordano con una punta d’invidia, le delicatezze e le attenzioni usate dalla loro mamma verso Don Lucio perché potesse diventare sacerdote.

Già da piccolo sperimentò la povertà materiale sopportata con grande dignità e da un tenero amore tra i membri della numerosa famiglia.

I fratelli dicono che era il capobanda del gruppo, ma anche il più assennato di essi. Faceva corse spericolate sul parapetto del fiume, amava nuotare nelle acque del Chienti e arrampicarsi sugli alberi.

Ma già da bambino era appassionato della lettura, che curava intensamente dopo il gioco.

Era attento ai fratelli a cui, di ritorno dal paese, riportava spesso qualche caramella, cosa che ha continuato a fare sia con i fratelli come con i nipoti e pronipoti fino a pochi mesi prima della morte.

Tornando a casa dal seminario per le vacanze estive, trascorreva molto tempo in parrocchia e con nonno Erminio col quale studiava e leggeva i tanti testi lasciati in eredità dallo zio Don Davide.

I fratelli ricordano ancora la voce potente di questo zio sacerdote e dicono che anche Don Lucio avesse un buon tono di voce, che aveva perso in seminario.

Nel seminario arcivescovile di Fermo ci entrò di prepotenza poiché il nonno materno voleva mandarlo dai frati dove non si pagava; ma lui si oppose decisamente affermando: “prete si, ma frate no”. E fu proprio nel corso di preparazione al sacerdozio che venne fuori il meglio di Don Lucio: la sua bontà, la sua intelligenza, la sua proverbiale memoria e il suo carattere comprensivo con gli altri, ma molto esigente con se stesso.

Furono queste caratteristiche spiccate che lo segnalarono ai superiori del seminario tanto che fu inviato a specializzarsi all’università gregoriana a Roma.

La sua metodicità nello studio e come stile di vita rimase impressa agli amici e soprattutto ai fratelli che raccontano: durante l’anno studiava con regolarità e durante il periodo di esami, mentre i suoi colleghi studiavano esageratamente, lui se ne andava a visitare i monumenti della città eterna. E agli esami riusciva brillantemente perché aveva anche una memoria eccezionale. I parenti ricordano come tenesse bene a mente compleanni, onomastici e date di ogni componente la sua famiglia e come fosse presente o di persona o telefonando, qualora non poteva partecipare alle gioie dei suoi cari. Lo stesso possiamo affermare noi che gli siamo stati vicini: era sempre il primo a ricordare le date significative e a invitare i membri della sua comunità ad unirsi alla festa – anche culinaria – dell’interessato.

Ordinato sacerdote l’8 aprile 1939 venne inviato dall’arci­vescovo in varie esperienze parrocchiali per meglio prepa­rarlo al compito di educatore delle nuove generazioni di sacerdoti. Infatti nell’anno 1942 fu chiamato in seminario ad insegnare varie discipline e vi rimase per circa trent’anni. Sembra che abbia insegnato un po’ tutte le materie tanta era la sua versatilità e preparazione .

Mi è rimasto impresso un particolare negli anni di teologia, essendo nostro padre spirituale e confessore, recandoci nella sua stanza lo trovavamo intento a studiare, leggere, aggiornarsi.: perché tutto questo studio? “sto preparando la lezione per domani”. Ma come dopo tanti anni d’insegnamen­to, quali problemi trova?

“Non mi sento tranquillo in coscienza se non preparo bene le varie lezioni anche per rispetto ai giovani seminaristi”. Ma questo lo fa per ogni lezione? “Certamente.”

Veramente le sue lezioni – quando riuscivamo ad ascoltarle, sia per la sua flebile voce, sia per la nostra svogliatezza che ci faceva approfittare della bontà dell’insegnante, erano semplici, chiare e sostanziose.

Nonostante i tanti impegni ave­va sempre tempo per tutti, non riusciva a dire di no, a nessuno, anche ai più piccoli che si ri­volgevano a lui…

Faceva il viaggio con noi, in pullman, e pensare che poteva servirsi dell’autista del seminario che passava a prelevare altri suoi colleghi.

Questo era il suo stile di vita portato avanti per risparmiare e per essere coerente con la scelta di povertà e di sacrificio a cui era stato educato e che aveva come programma.

Non l’abbiamo mai sentito lamentarsi della fatica, del sacrificio, della poca disciplina dei suoi alunni. Ma sapeva trovare sempre il lato buono in ogni cosa e in ogni persona.

Nell’anno 1953 venne a contatto con Madre Speranza che lo invitò, insieme ad altri tre sacerdoti, a far parte della nascente congregazione, come sacerdote diocesano.

Questo periodo Don Lucio lo ricordava con particolare interesse e dichiarava di essere stato amato particolarmente dal Buon Dio attraverso la persona della Madre Speranza che lo circondò di premure e delicatezze speciali. Si servì di lui come consigliere per tante questioni importanti .

Fu anche il periodo più delicato della vita di Don Lucio perché si trovava a lottare con due forze: essere sacerdote diocesano e divenire religioso come intendeva Madre Speranza.

Era stato fedelissimo alla scelta fatta da ragazzo “prete si, frate no”.

Ora gli veniva chiesto di diventare frate. Perché? Come fare?

Fu il 1953 un anno difficile, delicato e sofferto. I suoi amici sacerdoti non aderirono all’invito della Madre Speranza, solo Don Leonardi aderì, ma con tanta fatica.

Le vie del Signore sono diverse dalle nostre, e quando vuole una cosa trova tutti i mezzi per ottenerla. Così fu con Don Lucio.

Questi dovette lottare su due fronti: un fronte fu il suo padre spirituale che cercava di fargli luce, ma non era tanto entusiasta della nuova chiamata, non vedeva chiaro il nuovo indirizzo.

L’altro fronte è costituito dalle visite e dagli incontri ripetuti con madre Speranza che ormai era diventata quasi una calamita che lo attraeva sempre più e a cui non riusciva a sottrarsi.

Fu un periodo di formazione e amore rinnovato verso il sacerdozio e i sacerdoti. Fu proprio in uno di questi incontri che la Madre chiese a Don Lucio, raccontandogli la sua esperienza personale, di offrirsi vittima per la santificazione dei sacerdoti. E non aveva ancora deciso di entrare in Congregazione.

Il 1954 fu un anno di grazie: si aprirono le case di Fermo e Don Lucio emise i voti nella nostra famiglia religiosa.

Ma furono anni di sacrifici, di privazioni. Gli incarichi del Vescovo, le responsabilità della congregazione – fu il primo superiore della Casa del Clero di Fermo – il collegio Don Ricci… furono momenti belli perché sorretti dall’entusiasmo degli inizi, ma duri per le situazioni concrete da vivere. Eppure il nostro Monsignore diventava sempre più punto di riferimento per tutti.

Una caratteristica di Mons. Marinozzi, l’abbiamo accennato precedentemente, fu la metodicità come stile di vita; questo va rilevato soprattutto per la preghiera, l’amore ai sacerdoti, la povertà come scelta di vita, la fedeltà agli atti comunitari, comprese le ricreazioni a cui era fedelissimo.

Abbiamo la testimonianza dei parenti che ci raccontano di una sua lettera scritta prima di emettere i santi voti, così si esprimeva grosso modo: ”ca­rissimi, il Signore mi chiama ad una donazione più intima e profonda. Da ora in poi vi sarò vicino non materialmente, ma con la preghiera. Vi auguro una giusta felicità e prosperità nel Signore.

Difficilmente Don Lucio, pur con tutti gli impegni che aveva, veniva meno ai suoi momenti di preghiera comunitaria; quando prevedeva di non poter essere presente ne chiedeva dispensa al superiore. E quando non era presente lo si vedeva in altri orari passare il tempo col Signore.

Come era fedele allo stile sobrio, semplice ma espressivo della liturgia! E le festività della Madonna le preparava con par­ticolare preghiera, mortifica­zione e gioia. Specie la festa della Madonna del Carmine – ha portato lo scapolare fino alla morte – veniva solennizzata con particolare attenzione e sapeva coinvolgere delicatamente anche quanti gli erano vicini. Il tutto finiva con un’agape fraterna per rinsaldare l’amicizia sacerdotale, per dire il proprio grazie a quanti avevano contribuito a rendere bella e gioiosa la festa della Madonna.

Una caratteristica propria di Don Lucio era l’amore ai sacerdoti, specie quanti erano provati dalla sofferenza o da altre prove. Qualora veniva a conoscenza che un confratello era malato… discretamente creava l’occasione per una visita di amicizia, d’incoraggiamento.

La sua presenza era discreta, sensibile e incoraggiante. Spesso negli ultimi anni di vita, non guidando, chiedeva di essere accompagnato: che lezione di amore ai sacerdoti!

Era anche un buon compagno di viaggio. Sapeva tenerti sveglio nei lunghi viaggi - ne so qualcosa perché a lui chiedevo di accompagnarmi nei viaggi lunghi verso il nord Italia, per incontri con altre scuole professionali… era spassoso con racconti edificanti; conosceva posti di preghiera e di ristoro con lui ci si sentiva sicuri e gioiosi.

Ma era attento anche a creare momenti di fraternità sacerdotale sia con i suoi colleghi di classe – che ha tenuto sempre uniti e con i quali organizzava dei pellegrinaggi mariani e turistici in Italia e all’estero. Un gesto di amore era quello di partecipare ad ogni iniziativa indetta dai sacerdoti, come ritiri, esercizi, incontri formativi in questo cercava discretamente, di coinvolgere anche i confratelli della sua comunità.

Il suo amore per i sacerdoti è sfociato nell’offerta della sua vita per essi, ma è stata una costante nella sua vita di Figlio dell’Amore Misericordioso.

Voglio leggervi la testimonianza di un sacerdote su Don Lucio:

Uno dei tanti pastori secondo il cuore di Cristo è stato certamente Mons. Marinozzi.

E’ stato mio superiore in seminario, un modello per il mio sacerdozio, un fratello maggiore, un consigliere saggio e prudente soprattutto nella mia attività pastorale nella sua parrocchia di origine.

E’ stata una guida sicura nello studio e nella pietà per un cammino di fede e speranza verso una meta desiderata e voluta.

Era un fratello, un maestro, un amico, un vero educatore che nel­l’adolescente cercava di formare il sacerdote di domani con un’at­tenzione e una riservatezza invi­diabile.

Anche quando era costretto a raddrizzare la strada lo faceva sempre con garbo, con un filo di voce, quasi a scusarsi di quello che in quel momento era soltanto il suo dovere.

Aveva un carattere forte, anche se all’esterno appariva il contrario, frutto certamente di una formazione interiore molto solida: cercava di guidare se stesso e gli altri verso la perfezione. Un vero modello di vita.

Mi è stato vicino come consigliere e punto di riferimento; ho trovato in lui incoraggiamento, consiglio, serenità, anche quando i pareri potevano sembrare diversi.

Con il suo amore al Papa, alla chiesa, al Vescovo, alla diocesi, alla congregazione, rimane sempre un modello di sacerdote e Figlio dell’Amore Misericordioso

Spesso qualche confratello del­la comunità gli rimproverava la sua “troppa” comprensione ver­so gli altri - specialmente verso i sacerdoti – con delle frasi un po’ piccanti… e lui non si scomponeva minimamente, ma abbozzava un sorriso di comprensione e di compassione.

Altre volte gli veniva detto: “certo se il Buon Dio è buono come te, non c’è da temere niente, e possiamo approfittare anche ora della sua bontà”. In questo caso arrossiva e cercava di sviare la conversazione, o taceva.

Ammirevole era nei momenti di malattia: tentava sempre di minimizzare e non far preoccupare gli altri. Invece si preoccupava della salute degli altri. Ricordo che tornando dal Brasile nel 1996, col cambiamento del fuso orario mi ero sentito un po’ giù e non riuscivo ad alzarmi dalla siesta: mi chiamarono, vennero i confratelli. Sembrava che stessi per rendere l’anima a Dio. Don Lucio venne nella mia stanza, si sedette, cercò di farmi coraggio e non mi lasciò se non quando mi vide sereno e tranquillo e pensare che lui stava terminando la sua vita terrena a causa del tumore al rene.

Fino a che è stato fra noi abbiamo goduto della sua presenza, della sua delicatezza, della sua giovialità, anche del suo lavoro. Ora quando ci si trova insieme si nota che manca qualcuno che ci teneva uniti, dava senso alle nostre ricreazioni… e a cui prima si dava forse poca importanza, ma che tutti cercavamo come confessore e guida spirituale: non solo perché era comprensivo e “troppo buono”, ma soprattutto perché aveva chiarezza di idee che sapeva trasmettere, e perché sapevamo che pagava per noi con sacrifici, con preghiere con l’offerta della propria vita.