di P. Giulio Monti fam

 

In un articolo scritto da P. Nello Montecchiani nel gennaio del 1967, due anni prima della sua morte, ci sono alcune frasi che ritengo possano considerarsi un programma e una sintesi della sua vita.

“Vivere è generosità sempre pronta a dare e a darsi. E’ mettere a disposizione di chi te lo chiede il proprio tempo e qualità. Quando non esisterai più per te, ma unicamente per gli altri avrai fatto qualcosa di importante”.

Qualcosa di importante P. Nello l’ha fatto: ha saputo coltivare nel breve spazio della sua vita delle ottime qualità naturali e attraverso un ammirevole cammino di ascesi ha portato a perfezione la sua capacità di dare e di darsi.

          Riuscì a fare della sua vita un dono, a non appartenere più a se stesso perché si era totalmente e decisamente donato al Signore.

“Il religioso - aveva scritto – deve essere pienezza del Cristo per poterlo comunicare agli altri”.

E pregava: “Se ci hai preso per figli, facci sentire che ti apparteniamo, dimenticando le nostre fragilità e riempiendo il vuoto del nostro cuore di Te, come ci hai promesso”.

L’amicizia con P. Nello è stata una delle cose più belle della mia vita.

Dal giorno in cui entrò in Congregazione fino alla sua morte rimanemmo cordialmente amici. Lo ebbi compagno di studi e di noviziato.

Insieme facemmo i voti e fummo ordinati Sacerdoti.

La sua vita è stata per me un continuo richiamo all’essenziale, all’urgenza di convogliare tutte le energie verso un unico scopo: la gloria di Dio attraverso l’esercizio della carità, nella fedeltà ai voti e alla Congregazione.

P. Nello era nato l’11 marzo 1940 a Castel Rinaldi in provincia di Perugia, un paesino ai piedi dei monti Martani, pochi chilometri distante da Collevalenza.

Trascorse i primi anni della sua vita in un ambiente familiare contadino, semplice e sereno dove la laboriosità, lo spirito di sacrificio e la tenacia sono valori che si assimilano nella continua lezione della vita di ogni giorno.

Frequentò le scuole elementari del paese alternando lo studio con la cura del piccolo gregge di pecore che papà Pietro possedeva e, quando era la stagione adatta, con la raccolta dei funghi nel vicino bosco insieme alla mamma Anita, al fratello Filippo e alla sorella Iolanda.

Il carattere buono, tenace, calmo, l’intelligenza pronta ed acuta convinsero il parroco a proporgli di entrare nel Seminario di Todi dove avrebbe potuto seguitare gli studi e avviarsi, se il Signore lo avesse voluto, verso il Sacerdozio.

Iniziò così il cammino di risposta alla vocazione che lo porterà gradualmente attraverso prove non indifferenti, alla Consacrazione Religiosa e al Sacerdozio.

Nel Seminario diocesano di Todi frequentò, stimato dai Superiori e apprezzato dai compagni, la scuola media e il ginnasio. Passò poi al Seminario regionale di Assisi dove intraprese gli studi liceali. Aveva da poco iniziato il terzo anno quando il 24 gennaio 1956 (morirà esattamente dieci anni dopo) fu dimesso dal Seminario. Infatti la richiesta di fare alla fine dell’anno gli esami di Stato, consigliato peraltro dal Vescovo di Todi, Sua Ecc.za Mons. De Sanctis, era sembrata ai Superiori segno di mancanza di vocazione per cui fu deciso di rimandarlo a casa.

“Non era fatto per il Seminario e per il Sacerdozio” era scritto nella lettera di dimissione!

       Furono giorni difficili. Soffriva per l’evidente ingiustizia affermando che “non se lo meritava”, ma sentiva nello stesso tempo, e sempre con maggior evidenza, che il Signore lo chiamava alla via sacerdotale.

Il suo stato d’animo mi sembra meravigliosamente espresso in un suo articolo: “Un prete si confessa” uscito sempre nella rivista “L’Amore Misericordioso” nel numero di marzo 1966.

“Dove andrò io povero e misero come sono? Non mi conosci? Non vedi come la mia anima è piena di ondeggiamenti, di miserie, di quelle miserie che non fanno morire, che non la scuotano né la precipitano con violenza nel fondo e per questo più pericolose.

Vivo ancora, o Signore. Ma è una vita annoiata, senza slancio, senza gioia, senza amore. La mia anima è arida, secca, aperta a tutti, dove entra chi vuole. Vado cercando di riempirla di mille cose, di attaccarmi qua e là e più la riempio più sono insoddisfatto, più sono vuoto perché non ci sei Tu.

Signore, non Ti ho ancora conosciuto, non Ti ho aperto la porta che a metà e Tu non sei entrato perché non vuoi essere solo. Non vuoi che altri turbino il tuo amore per me. A Te, Signore, lo posso dire perché mi ami: entra nel mio cuore fin laggiù, dove tenacemente si nasconde quel rimpianto, dove ogni tanto mi rifugio per godere quella gioia che ho abbandonato.

Ti ho promesso di lasciare tutto e intanto tengo la mano allungata a troppe cose.

Cosa posso dare io agli altri? Ancora hai fiducia di me?”.

Questo tormento interiore e ciò che era avvenuto erano solo uno scherzo della Provvidenza che stava preparandogli quella che sarebbe stata la sua vera e definitiva vocazione: Religioso e Sacerdote nella Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso. Trovandosi in casa amareggiato e indeciso su da farsi ebbe un giorno la visita di un lontano parente di Collevalenza.

Veniva a nome di Madre Speranza, una suora che si era da pochi anni stabilita a Collevalenza e della quale aveva appena sentito parlare. Madre Speranza desiderava parlare “con questo giovane che stava male e soffriva molto”. Accompagnato dalla mamma si recò a Collevalenza. La Madre lo accolse con grande cordialità ma quando gli chiese se desiderava “rimettersi la veste” ebbe un rifiuto deciso. La Madre lo esortò a studiare da solo per potersi esaminare da privatista alla fine dell’anno. Lo assicurò che poteva contare sull’aiuto di qualche padre di Collevalenza e che se poi negli esami di luglio gli fossero rimaste due materie (doveva infatti esaminarsi del programma dei tre anni di liceo) rimanesse pure tranquillo perché negli esami di settembre avrebbe senz’altro superato tutto. Avvenne esattamente così e il fatto lo impressionò profondamente. In un successivo incontro con la Madre ebbe da lei la novena all’Amore Misericordioso ma non sappiamo cosa si dissero. Sappiamo solo che da quel momento cominciò a prendere consistenza la decisione di entrare nella Congregazione dei Figli dell’Amor Misericordioso.

Riprese la veste e insieme agli altri seminaristi si trasferì nella casa di Fermo per frequentare presso il Seminario diocesano il quarto anno di liceo. Ma questa volta la decisione non era bene accolta dalla famiglia specialmente dal padre che senza ostacolarlo commentava deluso: “Proprio frate! Avesse almeno scelto di farsi prete!”.

Rifioriva nel suo cuore e nel suo volto la gioia: tutti lo ricordiamo – vivace, allegro, sempre intraprendente e generoso, amante dello studio come nessun altro.

Era la gioia di una giovinezza protesa verso la conquista di una meta tanto amata perché tanto desiderata e sofferta.

“La giovinezza – scriverà – è la primavera della vita che tutto rinnova, che ti mette nell’anima una voglia di cantare, di amare, di vivere, che ti commuove”.

La sua era soprattutto la gioia che scaturisce dal dono e dall’impegno: un prezzo pagava volentieri.

“Esci da te stesso e guarda attorno: quanti hanno bisogno di te, del tuo cuore, del tuo vero amore, del tuo aiuto… La gioia riempirà il tuo cuore quando smetterai di cercarla per te solo, ma ti impegnerai di procurarla agli altri.

Sei triste fermati, stai cercando di soddisfare i tuoi interessi. La gioia fiorisce nel dono, ma farsi dono significa essere a completa disposizione del beneficiato”.

Fu con questo entusiasmo e con queste disposizioni che, terminano brillantemente il quarto liceo, iniziò il 15 agosto 1960 a Matrice (Campobasso) il suo anno di noviziato.

Le testimonianze del Maestro dei Novizi, P. Serafino Romanelli e quelle di suoi compagni concordano nel giudicarlo forte di volontà e tenace nei propositi, sempre calmo, sorridente, generoso.

Si distingueva per la sua pietà, particolarmente verso il SS. Sacramento e la Madonna.

Lavorava volentieri senza mai lamentarsi dei disagi del freddo o del caldo. Studiava con estremo interesse specialmente le materie che potevano essergli utili per la Teologia.

Avvisato di piccoli difetti, come una certa tendenza a distinguersi dagli altri nel mangiare, nelle pratiche di pietà, nelle mortificazioni, nel preferire soffrire in silenzio piuttosto che chiedere un permesso, accettava serenamente le osservazioni e rientrava nella normalità. Il Maestro dei Novizi lo definisce: “Ottimo elemento che sarà molto utile alla Congregazione e che potrà fare molto del bene”.

Il 15 agosto 1961 emise la prima Professione Religiosa.

Ecco alcune frasi da lui pronunciate pochi mesi prima della morte, nell’omelia in occasione della professione perpetua della Sorella Sr. Speranza:

“La vocazione religiosa va considerata e vissuta alla luce del mistero della Chiesa… Dio riempie il Cristo e Cristo riempie di sé la Chiesa e la Chiesa risale a Dio con tutta la realtà umana santificata e penetrata dalla potenza e dall’amore del Signore. In questo mistero di salvezza la vita religiosa trova il suo posto…

Il religioso appartenendo a Dio lo deve amare con tutto il suo cuore e con tutte le sue capacità, appartenendo alla Chiesa deve essere capace di ascoltare le voci imploranti del mondo, le voci delle anime innocenti, di quelle sofferenti, di quelle senza pace, senza conforto, senza guida, senza amore per svelare agli spiriti le immense ricchezze della carità di Cristo… è il sacramento del Cristo, così anche il religioso. E’ manifestazione sensibile di una realtà divina in esso velata e per esso operante ed presenza del Cristo in modo che lui possa dire realmente: il Padre è o nel Padre; chi vede me vede il Padre. Il religioso è il testimone che non parla del Cristo ma vive di Lui.” E terminava mettendo in rilievo il valore di una comunità che deve facilitare al religioso il lavoro di perfezione.

“Siamo una sola cosa tra noi, un solo cuore e una sola anima per un unico intento perché Cristo possa essere tra noi come Spirito vivificante e garanzia della nostra corrispondenza al suo amore”.

          Nell’ottobre del 1961 iniziò, sempre nel seminario di Fermo la Teologia.

Di anno in anno andava destando la stima e l’ammirazione di Superiori, professori e compagni per le sue doti di volontà, di carattere e di intelligenza.

Era sempre disponibile per approfondimenti su determinate questioni che i professori proponevano e mai si dimostrava seccato per le continue richieste di spiegazioni da parte dei compagni.

Man mano che si andava avvicinando il giorno dell’Ordinazione cresceva in lui un senso di sgomento e di timore dinanzi alla grandezza del Sacerdozio.

Vi presento alcune frasi, prese da un suo articolo riportato nella rivista “L’Amore Misericordioso” (marzo 1966) dal titolo: “Un prete si confessa” dove questi sentimenti vengono espressi con profondità e delicatezza in forma di colloquio tra il Sacerdote e il Signore.

“Tanti sentimenti agitano il mio cuore, o Signore, e lo commuovono; ma due sono più forti degli altri: timore e gioia.

O paura perché hai creato in me una nuova realtà, una nuova vita: la tua…

La mia mente non riesce a convincersi di tanta dignità e il cuore è turbato. Ho paura, o Signore, non della tua giustizia, non della tua punizione. Ho paura del tuo amore, che non lascia in pace, che tormenta e brucia senza pietà finché non ha tutto purificato. Dove andrò io povero e misero come sono?

Sì, va! Rendimi testimonianza! Io ti conosco; non aver paura. Non sei tu che devi operare. Non sei tu che devi parlare, perdonare i peccati, che devi ascoltare e consolare quel cuore angosciato, benedire quella sofferenza. Io do la grazia, Io santifico le anime… E’ la tua impotenza, la tua insufficienza, la tua fragilità che mi serve. Dammela e io ne farò una potenza.

Fammi posto nel tuo cuore, lascialo tutto per me e la mia vita sarà la tua”.

All’inizio dell’ultimo anno di Teologia, per una speciale concessione ottenuta dalla Madre per i primi seminaristi della Congregazione venne ordinato Sacerdote, insieme ad altri due compagni da Mons. Norberto Perini, Arcivescovo di Fermo, nella chiesa della Casa Generalizia delle Ancelle dell’Amore Misericordioso a Roma.

Era il 24 ottobre 1964, vigilia della festa dell’Amore Misericordioso. La commozione e la gratitudine verso il Signore per un dono tanto grande saranno più tardi espressi con queste parole: “Grazie Signore che ti fidi di me. Dammi un cuore grande e generoso, un cuore puro che sappia sollevare le miserie senza macchiarsi. Grazie, Signore, perché quando andrò in cerca di una luce che rischiari la mia mente, so che posso trovarla in Te, e se cerco un cuore che sappia amarmi così come sono, che riscaldi con suo affetto il freddo delle colpe, so che sei Tu. Dammi un cuore che possa soddisfare alle tue esigenze, capace di palpitare dei tuoi sentimenti, di perdersi in Te”.

L’indomani della sua Ordinazione celebrò la S. Messa nel Santuario di Collevalenza ed ebbe insieme ai suoi compagni il privilegio e la sorpresa di benedire un Vescovo polacco che sapendoli Sacerdoti Novelli si era inginocchiato dinanzi ad essi. Quel Vescovo diventerà dopo qualche anno Giovanni Paolo II!

Ultimati gli studi teologici fu aggregato alla casa di Collevalenza con diversi incarichi. Faceva scuola agli apostolini trattenendosi volentieri con essi nelle ore di studio e di ricreazione. Così lo ricorda un ex apostolino: “La sua morte mi ha sconvolto tanto perché era quello con cui andavo più d’accordo, perché era moderno, perché eravamo amici… Nella sua tomba e su, a Collevalenza, è rimasto un pezzo del mio cuore, del mio affetto, nel mio animo s’è infiltrata una grande amarezza che porterò per tutta la vita, ma s’è infiltrata in me la volontà, lo stimolo di vivere per fare del bene agli altri”.

Attese anche alla formazione spirituale delle ragazze della Casa della Giovane che lo ricordano con riconoscenza e stima per il suo equilibrio e per la capacità di sdrammatizzare i loro problemi giovanili.

Per un certo periodo di tempo fu Vice parroco a Collevalenza e anche questo lavoro lo disimpegnò con amore e dedizione.

Ma fu soprattutto al servizio nel Santuario che dedicò con passione e gioia il suo tempo e le sue migliori risorse.

Profondamente impregnato del messaggio dell’Amore Misericordioso riusciva a comunicarlo ai pellegrini che venivano al Santuario, specialmente nel ministero della Confessione.

Scriveva: “provate a immaginare la vostra vita piena di miserie con un Dio giudice severo e vendicatore: sarebbe stato meglio non esistere. La sicurezza di trovare in Lui un cuore più che paterno, che ci considera come una cosa tutta sua, che ci accompagna pieno di misericordia, ci ridà speranza, ci ridà vita…

Non abbiamo nessun titolo nel presentarci a Lui, non possiamo pretendere nulla per l’osservanza della sua legge come il pubblicano del Vangelo ed è una fortuna. Un dono da offrire l’abbiamo anche noi, però è un dono di cui non ci possiamo vantare ma tanto utile: i nostri peccati.

Sei Padre per questo: per amare e perdonare”.

Erano queste convinzioni che si traducevano in atteggiamenti di pietà, di umiltà, di generosità, che si manifestavano nelle sue parole e in tutta la sua vita ad attirare al suo confessionale tante persone, soprattutto giovani. Vero Figlio dell’Amore Misericordioso vedeva nel Sacramento della Penitenza il momento privilegiato dell’incontro della bontà di Dio con la miseria dell’uomo e ad esso dedicava pazientemente il tempo e lo studio necessario per essere aggiornato e poter capire i problemi e le sofferenze nascoste dei penitenti.

In alcune frasi di un suo articolo che potete leggere con grande utilità spirituale nel numero di gennaio 1966 della rivista “L’Amore Misericordioso” viene molto bene espressa la gioia della sua fede nel perdono di Dio.

“Dovevi scontare per le tue malefatte, ebbene ha pagato Lui per te e un prezzo più che abbondante.

Sapeva che, una volta ripartito non l’avresti più ricordato, mentre ne avevi bisogno per saziare la fame della tua anima più divorante di quella del corpo. Ed è rimasto per farsi mangiare, per saziarti. Ti ha fatto pagare forse? Ti ha rinfacciato la tua ingratitudine? Ti ha umiliato facendoti vedere le tue brutture? Niente di tutto questo: dimentica tutto ed è disposto a lasciare passare se a volte inciampi; basta che veda la tua volontà di camminare. Ti difende anche contro le accuse degli uomini: “nessuno ti ha condannata? Neppure io ti condanno” E’ questo l’amore; donare o meglio lasciarsi prendere senza neppure sperare ricompensa. E Dio si è donato così a te. Poteva fare di più? L’Amore ha superato se stesso”.

Il segreto della sua profonda vita interiore, della sua disponibilità e della sua serenità era la preghiera.

Puntualissimo agli incontri comunitari, amante della preghiera liturgica, si vedeva spesso in intimo raccoglimento in qualche angolo della chiesa, tutto immerso nel colloquio con il suo Signore.

“La preghiera – aveva scritto – è questo tenue filo, spesso impercettibile perché si svolge nel silenzio del cuore, ma tanto potente da arrivare fino a Dio a da farci acquistare la sua bontà, la sua onnipotenza, il suo amore…

Ecco la vostra preghiera: un continuo dono del cuore a Dio…

Fargli sentire il gemito del nostro cuore quando il nostro piede inciampa nella salita che conduce a Lui.

Quando siamo stanchi e vorremmo buttar via la croce che ci pesa sulle spalle per sederci all’ombra di qualche albero e ristorarci a qualche sorgente ingannevole.

Quando alla sera si fa silenzio attorno a noi e possiamo così rientrare nel nostro intimo e no vi scorgiamo che miseria, quella miseria che la mattina ci eravamo proposti di eliminare, e per di più aumentata: Padre buono perché ancora quella debolezza, quell’affetto, quella passione sempre più prepotente, perché?…

Ecco, o Padre buono quel che siamo; non trattarci secondo le nostre colpe, ma nella misura della tua bontà”.

Per volere dei Superiori si iscrisse alla facoltà di filosofia presso l’Università di Perugia. La passione per lo studio che lo aveva sempre contraddistinto lo accompagnò ancora e gli permise di superare brillantemente i vari esami.

Aveva già messo mano alla tesi di laurea quando nella notte tre il 17 e il 18 gennaio 1969 fu colpito da una emorragia cerebrale che lo porterà alla morte.

Mi confidò che aveva scelto Sartre come argomento della sua laurea perché aveva capito l’importanza di quanto affermano le regole dei Figli dell’Amore Misericordioso: “cercheranno di conoscere le idee degli avversari per combatterli con le loro stesse armi”. Sapeva infatti quanta presa avessero, soprattutto nei giovani, le idee del filosofo francese e desiderava conoscerlo a fondo per capirne le argomentazioni e combatterlo con maggiore efficacia.

La notizia della malattia che aveva colpito P. Nello, e che subito si rivelò in tutta la sua gravità, suscitò una generale commozione per la stima che godeva presso tutti coloro che avevano avuto la fortuna di conoscerlo.

Si tentò il ricovero nel Policlinico di Perugia ma nonostante le premurose cure dei Professori Larizza e Ventura non si riebbe più. Madre Speranza si recò due volte a fargli visita per confortarlo. Viste inutili le cure fu dimesso dal Policlinico il 23 gennaio e giungeva a Collevalenza ormai agonizzante.

Rese a Dio la sua bella anima circondato dai genitori, dalla sorella religiosa delle Ancelle dell’Amore Misericordioso, dai confratelli e consorelle e da alcuni parenti.

Il Sacramento degli infermi gli era stato amministrato non appena fu colpito dal male. I funerali, celebrati nel santuario, sabato 25 furono una vera manifestazione di stima ed affetto.

Dalle varie case della Congregazione erano giunti confratelli, consorelle e seminaristi; molti Sacerdoti diocesani e religiosi.

Da Castel Rinaldi, da Collevalenza, Todi, Perugia, Terni, Foligno erano venuti numerosi parenti e amici.

La solenne liturgia della Messa esequiale, presieduta dal Padre Arsenio Ambrogi, Superiore generale della Congregazione e concelebrata da vari altri Sacerdoti, religiosi e diocesani, si svolse in una atmosfera di pietà, di pacato dolore, di fiduciosa speranza nelle realtà eterne.

Tutti sappiamo che durante la S. Messa la Madre lo vide vestito da Sacerdote, nello splendore della gloria del Paradiso.

La salma venne provvisoriamente tumulata nel locale cimitero di Collevalenza per essere poi definitivamente posta nel cimitero della Congregazione a valle del Santuario.

Delle numerose testimonianze di partecipazione giunte alla Madre ci piace riportare quanto disse il Cardinale Ugo Poletti, allora Vescovo di Spoleto e Todi in visita alla salma: “Tante vocazioni vi dia il Signore in seguito a questa grave perdita”.

E il Professore Cornelio Fabbro, Preside della Facoltà di Filosofia, presente ai funerali chiedeva alla Madre Speranza di mandare ancora altri suoi figli, buoni e intelligenti come P. Nello.

Il presentimento di una morte prematura P. Nello l’aveva fatto trapelare più volte.

Alla sorella aveva detto pochi mesi prima di morire: “Io morirò certamente prima di trent’anni”. E alla mamma che lo esortava a rinnovare il libretto della mutua aveva risposto: “E’ inutile per me non c’è più bisogno”.

Questo presentimento l’aveva spinto a percorrere in breve tempo un lungo cammino per raggiungere la pienezza della sua santità.

I talenti che il Signore gli aveva dato avevano prodotto i loro frutti.

Perché rimanere ancora in questo mondo quando dal cielo avrebbe potuto fare ancora più del bene?

La sua vita infatti - è la stessa Madre Speranza ad assicurarcelo - è ormai un’eterna Messa a gloria di Dio, a beneficio della Chiesa, della Congregazione e di tante anime che dal suo esempio sono state e saranno spronate verso una vita di donazione a Dio e ai fratelli.