di P. Juan José Argandoña fam

 

Ma che paio di contadini!

       Si ha l’impressione, ripassando la biografia della Madre che nei momenti più duri, quando sembrava che le prove e le difficoltà stavano lì per sopraffarla, ecco che le compariva accanto un personaggio, magari di umile condizione, che l’aiutava efficacemente ad uscire dallo scoglio, “dall’atolladero” come avrebbe detto lei stessa.

       Non grandi uomini, ma grandi aiuti, perché risaltasse ancora una volta che il vero aiuto le veniva dal Signore. Sono ben noti alcuni: Padre Naval, Padre Postíus, Pilar de Arratia,. Alfredo Di Penta. Mi permetto di aggiungere per conto mio un altro nome, quello di Serafino Romanelli e ce ne sono ovviamente tanti altri.

       Siamo qui, ora, in clima di famiglia, con tanta voglia di evocare momenti belli del passato e persone indimenticabili e mi permetterete che faccia un breve riferimento a quei momenti, giorni da incunaboli, da fioretti, quando a Collevalenza eravamo già tanti, ma era una famiglia lo stesso (allora c’era la mamma) e questa mamma aveva tanto desiderio di avere dodici figli sacerdoti, come il sacro collegio di Gesù. Come lo desiderava, e come lo chiedeva! E aveva contagiato tutti noi e quale festa e che bel pellegrinaggio di ringraziamento al Santuario di Loreto quando finalmente nei primi di luglio del ’55 con l’ordinazione di Padre Alfredo e di Padre Luigi la fatidica cifra di dodici venne raggiunta. Andò perfino in superbia per una volta la Madre e la sentimmo dire che, modestia a parte, i suoi dodici erano un po’ più colti che i Dodici Apostoli.

       Padre Serafino Romanelli fu tredicesimo tra cotanto senno. Anche lui astutamente attirato e indicato in maniera speciale dal Signore alla Madre? Tutto fa pensare che si. Certamente arrivò nel momento giusto. Anche lui marchigiano, dato che non era umbro, anche lui dono del prolifico e generoso seminario di Fermo.

       La sua vocazione di Figlio dell’Amore Misericordioso ricorda tanto la caduta da cavallo di San Paolo. Veramente il capitombolo di don Serafino fu ancor più spettacolare.

Cadde addirittura dal campanile della Chiesa dove si era arrampicato dopo aver forse sentito anche lui l’invito di Gesù: “Serafino, restaura la mia Chiesa”. Fatto è che si ruppe un bel gruzzolo di costole e altri tessuti più delicati e della sua convalescenza si servì la Madre, e per suo mezzo il Signore, per conquistarlo alla causa.

       Quale posto migliore per recuperare la salute e ritornare con rinnovato spirito al lavoro apostolico che la bucolica Villa San Michele Arcangelo in quel di Campobasso?

       Gli anni cinquanta volgevano al termine quando a Matrice arrivò P. Serafino con il doppio incarico di Superiore della comunità e di Maestro dei novizi. Era un uomo sulla quarantina. In realtà aveva soltanto 36 anni, ma il suo fisico robusto, la figura massiccia, le folte sopracciglia nere e ravvicinate, il mento quadrato e una incipiente canizie gli conferivano certa aria di maturità e lo facevano sembrare più anziano di quanto realmente fosse. Villa San Michele aveva bisogno di un tipo come lui e i cambiamenti in meglio furono immediati e positivi.

       Serafino era nato a Grottazzolina (Ascoli Piceno) il 21.7.1923 in una famiglia di contadini dove il babbo Mariano e mamma Tullia avranno altre quattro volte la visita della cicogna.

       E’ Grottazzolina un paesotto collinare e industrioso come tanti altri nelle Marche, anche se non incomincia il suo nome con l’immancabile “Monte”. Anche la sua infanzia sarà stata la tipica di un bardascetto marchigiano, vispo, intelligente, forse un po’ introverso, amante della natura e dedito a tirar avanti bene i suoi studi e ad aiutare i genitori nei lavori dei campi, prima di caricarsi materasso e fagottello per andare in seminario a Fermo.

       C’è comunque un piccolo grande episodio all’origine della sua esistenza che può irradiare molta luce in tutta la sua vicenda posteriore. Mamma Tullia, come le donne ebree, aveva l’abitudine di recarsi al Santuario di Loreto, ogni volta che poteva, con grande devozione.

       Quella volta però e siamo nel ’23, mamma Tullia, nel prendere una scorciatoia, scivolò lungo un dirupo e più che di sé si spaventò molto per la creatura che portava in grembo: “Se mi salvi il bambino, o Vergine Santissima, te l’offro fin dalla nascita”.

       Nessuna sorpresa dunque quando Serafino manifesterà in casa la sua intenzione di entrare in seminario. Sarà quello di Fermo ovviamente e, del seminario di Fermo, come di qualsiasi altro, si potrebbe stare a parlare ore intere.

       Bei tempi quelli per i seminari. Si viveva in regine di internato, con tanta penuria, ma con tanta allegria e spensieratezza.

Si studiava molto durante una dozzina d’anni, Italiano a mani piene, latino, anche i manuali di testo delle altre materie, tutti gli studi degli altri ragazzi italiani, in più negli ultimi corsi di Teologia: Patristica, Sacra Eloquenza, Diritto Canonico e Civile, Morale, Dogmatica, sacra Scrittura, Teodicea, Etica, Storia della Chiesa…

       Non c’era allora la televisione e si disponeva di più tempo per le rappresentazioni teatrali, per applicarsi alla musica, per prove di canto e di liturgia. C’era anche un efficiente circolo missionario e sappiamo che Serafino ne divenne un capace promotore, specie quando si seppe affiancare di due notevoli collaboratori dai nomi ben noti: Mario Tosi ed Elio Bastiani. Promuovevano preghiere, allestivano mostre, raccoglievano denaro, francobolli usati, soprattutto incassarono bei soldini a questo fine con la loro sempre più abile attività di rilegatori di libri.

       Il 29 giugno 1947 Mons. Norberto Perini, Arcivescovo di Fermo l’ordinava sacerdote nel Duomo. C’era al suo fianco Tarcisio Carboni e Bevignati, Ceccarini, Chiaramonti,. Crocetti, Scorolli, mancava un altro futuro vescovo, Gaetano Michetti, che mandato a proseguire i suoi studi a Roma sarebbe stato ordinato l’anno dopo.

       Prima tappa del nuovo sacerdote: Massa Martana.

Da tenere in conto che Serafino vivrà la duplice esperienza del sacerdote diocesano e del religioso. Altri tempi. Di preti ce n’erano in abbondanza.

Allora si incominciava la trafila come cappellano. A P. Serafino toccò in sorte Massa Martana e don Carlo Brinciotti come allenatore. Peccato che il tempo tiranno non ci permetta di parlare del suo zelo apostolico, della gentilezza e generosità con cui trattava i genitori del parroco, della sua inventiva nell’apostolato con la gioventù, dei rullini cinematografici che si ingegnava di fabbricare con i ritagli delle vignette di Iacovitti, per intrattenere i bambini nella parrocchia, delle visite ai malati, della sua pietà mariana sempre in crescendo.

Ma Massa stava vicino a Damasco e si sa quanto è decisiva la strada di Damasco per le anime grandi. In mancanza di cavallo Serafino cadde dal campanile e siccome Madre Speranza era specialista nel restaurare e accaparrare uccelli feriti, fatto sta che nell’estate del ’59 ci ritrovammo Serafino convalescente in quel di Campobasso e già toccato dalla nuova vocazione.

       Veramente la sua primissima attività in Congregazione la svolse a Collevalenza. Allora il seminario a Collevalenza attraversava il suo migliore momento e ogni anno si andava aggiungendo un nuovo corso fino a completare l’intero ciclo del Ginnasio e del Liceo. I nuovi arrivati P. Lucas, P. Enzo, P. Luigi Macchi, con compresa un’incursione di Ennio nell’insegnamento, e appunto l’apportazione di P. Serafino, aggiungendosi ai già storici, Iacopini, Suor Monserrat e Anna Maria. Padre Alfredo, Gino, Montecchia fecero possibile quello sforzo didattico e il seminario di Collevalenza appunto riuscì a riunire quasi un centinaio di apostolini dalla Prima Media fino al Terzo Liceo. Padre Serafino era professore e assistente dei ragazzi più grandi allo stesso tempo.

       Ma il suo futuro stava nel Molise e la sua vera dimensione si sarebbe vista a Villa San Michele, in quel di Matrice, Campobasso.

       A Campobasso erano maturi i tempi per cambiare un po’ le cose in meglio e Serafino si dimostrò la persona adatta e provvidenziale.

       Portò uno stile e un’aria nuova. Si diede da fare per rinnovare le strutture, per modernizzare l’azienda. Si preoccupò di conoscere di persona le persone più influenti della zona e il funzionamento della cosa pubblica. Il fatto che parecchi degli apostolini spagnoli crescevano fuori della patria e giungevano all’età della Cresima gli servì di pretesto per cercare loro padrini, nel miglior senso della parola, non precisamente indigenti, che divenivano ipso fatto suoi amici personali. Ciò servì per ottenere stanziamenti, permessi, agevolazioni che gli permisero di introdurre necessarie e notevoli modifiche nel complesso di Villa San Michele. Era Superiore e Padre Maestro allo stesso tempo, competente e solerte. Il suo carattere forte e quasi scrupoloso lo faceva apparire delle volte esigente e un tantino esagerato per i tempi che ormai correvano, e molto, verso una mutazione continua e totale. Ma la sua umiltà, la retta intenzione e certa buona dose di intelligenza gli permisero di saper accettare tutto il fenomeno dell’aggiornamento per cui il Serafino finale di Perugia distava non poco dal Serafino tuttofare dei tempi di Campobasso.

       Non disdegnava i lavori più umili e alternava allegramente le lezioni di ascetica ai novizi con la conduzione del trattore nei campi e tutto quel duro e profumato daffare che a Campobasso richiede l’allevamento di mucche, pecore, galline, conigli e tacchini.

       Curioso infatti è constatare che una delle grandi imprese di questo uomo di Dio e delle attività spirituali è stata precisamente la costruzione della nuova stalla, moderna, capace, funzionale. Né si sa il tempo, i grattacapi, le ansie che questa benedetta stalla gli costò, ma bisogna riconoscere che l’economia della casa fu una vera garanzia di sopravvivenza.