PROFILI DI MADRE SPERANZA – 2

Domenico Mondrone S.J.

Apostola dell’Amore Misericordioso

Edizioni Amore Misericordioso

Estratto da:

"La Civiltà Cattolica n. 3206 del 21.1.1984

Desiderosi - né avremmo potuto farne a meno - di ricordare la figura di Madre Speranza a un anno dalla sua morte, ci capita di trovarci di fronte a una personalità ricchissima. Ma, dovendo comporre di lei non più che un rapido profilo, non disponiamo dello spazio di chi sarà chiamato a scriverne la vita in tutti i suoi particolari e con i molti doni che la caratterizzano.

E' pur vero che non é possibile presentare sia pur brevemente questa serva di Dio, prescindendo dalle cose straordinarie da lei vissute: sarebbe ridurne la figura in modo un po' simile al famoso scorticato che Michelangelo ci ha lasciato nel Giudizio Universale. Ma poiché lo spazio non ci permette di esser completi, ci restringemmo a tratteggiare Madre Speranza guardandola soprattutto attraverso il carisma che ne improntò la vita; l'Amore misericordioso.

In questo - si può dire - c'é tutta Madre Speranza: il suo pensiero, la sua ansia, la sua attività apostolica.
L'Amore misericordioso é il più alto e più significativo vertice di riferimento della sua esistenza terrena. E' quello che puntualizza meglio la sua figura di donna, di religiosa, di fondatrice.

Tre apostoli dell'Amore misericordioso

Il tema dell'Amore misericordioso, che investe la spiritualità di Madre Speranza, non vanta il merito dell'originalità. Tutta la letteratura cristiana ne é piena. E' incalcolabile il numero degli autori di ascetica e di mistica che se ne sono occupati, lasciandoci pagine di commovente profondità e d'un affascinante bellezza. Un'antologia di queste pagine offrirebbe la più valida presentazione della misericordiosa bontà divina e un pascolo di straordinario nutrimento alle anime, specialmente alle più desiderose di donarsi a una vita di amore, ma che son trattenute dalle remore di una fiducia, non piena in Dio che le attrae.

Durante la nostra non breve esperienza di scrittore ci siamo incontrati con tre servi di Dio che hanno particolarmente colpito la nostra attenzione per ciò che hanno vissuto e scritto sull'Amore misericordioso: il beato Claudio La Colombière, santa Teresa di Gesù Bambino e il padre gesuita Daniele Considine, che non si stancava mai di ripetere a tutti: «Dio è buono, fatevi un buon concetto di Dio, non abbiate paura di Lui».

Il beato Claudio fu direttore spirituale di santa Margherita M. Alacoque e apostolo insigne della devozione al divin Cuore e della fiducia che bisogna avere in Lui. Giungeva a dire: «E' certo che la confidenza che onora di più il Signore è quella di un grande peccatore, il quale è talmente persuaso della misericordia infinita di Dio, che tutti i suoi peccati non gli sembrano che un atomo in confronto a questa misericordia».

Santa Teresa di Lisieux, da maestra autentica, ha saputo dire una parola nuova nel campo della santità: la piccolezza, la fragilità, la nullità non sono d'ostacolo all'azione divina. Essa ha fondato il segreto della sua santità, del suo andare a Dio, su Dio stesso. L'Amore misericordioso ne avvolge tutta la figura e la spiritualità. Famoso il suo atto di offerta - 11 giugno 11895 - come vittima di olocausto all'Amore misericordioso per ricevere nel suo cuore tutto l'amore respinto dalle creature cui il Signore vorrebbe darlo.

Meno conosciuto, ma non meno pieno di zelo fu il Padre Considine nel far conoscere alle anime le tenerezze della bontà divina: «Non lo pensate permaloso, facilmente disgustato e offeso il buon Gesù (...). E' assolutamente falso che Egli conservi rancore per il passato (...). Ognuno potrebbe divenire un santo, se volesse soltanto credere che Dio vuol farne un santo (...). Il segno migliore per capire quante grandi cose uno potrebbe fare per il Signore é vedere fino a che punto possiede la virtù della speranza e vedere che cosa sa sperare».

Venendo alla Suora spagnola, il suo anelito per l'Amore misericordioso assume un calore e una dimensione di portata eccezionale. La preparazione a questo apostolato non ebbe nulla di libresco; non fu quasi mai vista leggere un libro. Tuttavia molto imparò dal domenicano padre Arintero, che nel giro di pochi anni diffuse la conoscenza dell'Amore Misericordioso nella Spagna, in Francia e in America. Tra i collaboratori ebbe anche Madre Speranza, la quale avrebbe dato un'impronta sua propria a quella devozione. Tutto quello che dirà e che scriverà su questo argomento lo attingerà dalla sua anima, sotto l'ispirazione di Dio. Fin da giovane si sentì presa per mano dal Signore. Le sue note intime ci offrono testimonianze abbondanti e immediate di questi contatti - tra maestro e discepola - che dureranno per tutta la vita. Anticipiamo subito un piccolo saggio dal Diario:

Il 2 gennaio 1928 scriveva: «Questa notte l'ho passata distratta (nel suo linguaggio vuol dire in estasi), il buon Gesù mi ha detto che vuol servirsi di me per cose grandi; ho risposto che sono disposta a tutto, ma mi sento inutile e incapace a far niente di buono. Mi ha risposto che vuol servirsi della mia nullità, affinché si veda che é Lui che fa cose grandi e di tanto bene alla Chiesa e alle anime».

Sono parole programmatiche e che ci danno la chiave per comprendere nel senso giusto quanto questa creatura da nulla opererà.

Il suo cammino sulle vie di Dio

Madre Speranza nacque primogenita di nove figli il 30 settembre 1893 da José Antonio Alhama e da María del Carmen Valera Buitrago; sua patria Santomera, provincia di Murcia, nella Spagna del Sud. Al battesimo le fu dato il nome di María Josefa. Il padre non aveva un lavoro fisso e andava a giornata per i campi, quando veniva chiamato. Da un certo Antón El Morga aveva avuto un po' di lavoro e una baracca di paglia e fango, dove nacque la nostra Madre Speranza. Quella baracca fu poi travolta da un'alluvione, che in quelle parti era cosa frequente, e la famiglia Alhama poté rifugiarsi in una casetta offerta da un altro benefattore, un signore di Santomera; lì, nel 1929 morì José Antonio

La mamma, donna di forte fede e di grande coraggio, quando la figlia María Josefa raggiunse i sette anni, l'affidò, mettendola a servizio, al parroco del luogo. Aveva questi due sorelle, le quali furono le prime e sole insegnanti della ragazza, che non frequentò mai la scuola. Vi stette fino all'età di ventidue anni, quando il 15 ottobre del 1915 entrò come religiosa a Villena, presso le Figlie del Calvario una comunità di appena sette suore tra i sessanta e i novant'anni. D'allora si chiamò suor Speranza.

Verso il 1921, quando si attuò la fusione delle Figlie del Calvario, in via d'estinzione, con le clarettiane, la nostra fu addetta all'insegnamento delle bambine interne, ma vi restò solo un anno e fu trasferita a Madrid. Cominciando a manifestarsi in lei fenomeni mistici straordinari, si pensò di affidarla alla guida di esperti padri clarettiani. Alle molte attrattive umane e al fascino della sua spiritualità, profonda e semplice, il Signore cominciò ad aggiungere quei doni straordinari che sogliono far da richiamo attorno ad alcune anime d'elezione. L'autorità ecclesiastica spagnola per accertare meglio l'autenticità di quei fenomeni non avrebbe tardato a rinviare suor Speranza al Sant'Uffizio; ma non si trattò di una citazione punitiva.

Madre Speranza, intanto, seguendo l'ispirazione del Signore, era uscita dalla congregazione delle Figlie del Calvario, portando con sé altre cinque o sei consorelle e, nella notte di Natale del 1930, dava inizio alla Congregazione delle Ancelle dell'Amore Misericordioso. Si affrettò ad andare incontro alle situazioni umane più bisognose, fondando collegi per fanciulli poveri e handicappati, case asilo per ammalati, ricoveri per anziani.

La sua vita si muoveva ormai sotto il segno della divina Provvidenza. Perfino la sua andata al sant'Uffizio si rivelò un'amorosa disposizione del cielo. Una sera d'agosto, trascorrendo qualche momento di conversazione con lei, ci confidò in vena quasi divertita: «Mi son trovata in Italia, perché citata al Sant'Uffizio. Vi tribolai buoni tre anni. Quando tutto fu finito e pensavo di ritornare in Spagna, fui invitata a rimanere a Roma. Ed eccomi qui». Fu un'avventura a lieto fine. Mons. Luigi Traglia un giorno ebbe a dire: «Tra quanti mi hanno parlato del Sant'Uffizio nessuno me ne ha parlato tanto bene quanto Madre Speranza». La Madre ne parlava con riconoscenza perché il Signore, attraverso il verdetto della Chiesa, aveva dato a lei e ai suoi figli una tranquilla sicurezza sulla genuinità dei suoi doni straordinari e del carisma che avrebbe messo al servizio della Chiesa. Lo descriveva così nel diario:

«Devo arrivare a far sì che gli uomini conoscano il buon Gesù non come Padre sdegnato per le ingratitudini dei figli, ma come Padre pietoso che cerca con ogni mezzo di confortare, aiutare, far felici i propri figli; che li segue da vicino e li cerca con amore instancabile come se non potesse essere felice senza di loro».

Venuta a Roma verso il 1936, portando con sé un gruppo delle sue figliole, si mise a fare prodigi di bene, e la fama di lei giunse fino all'orecchio di Pio XII. Aveva preso alloggio a Villa Certosa, proprietà delle Suore di N.S. di Namur, sulla Casilina. Visse lì gli anni della guerra e il famoso periodo di «Roma città aperta». Il 1 novembre 1944 fu la prima volta che Madre Speranza e le sue figlie si misero a servire i poveri, gli sfollati, i disastrati. le suore ancora ricordano quel pranzo, fatto di pasta asciutta, d'un panino con una bistecca, d'una arancia e di un pezzo di torrone preparato da Madre Speranza con le sue mani. S'inaugurava così il servizio delle cucine economiche per le famiglie povere, per ben cinquecento persone, che contribuivano alla spesa presentando il semplice tagliando della carta annonaria.

Il nome della religiosa spagnola si diffuse ben presto per tutta Roma e oltre; ogni giorno cresceva il numero di coloro che andavano a visitarla, anche solo per conoscere così generosa benefattrice. Tra le persone che la conobbero ci fu pure mons. Alfonso Maria De Sanctis, allora Vescovo di Todi, che la invitò a recarsi nella sua diocesi. Intanto, rimase a Villa Certosa fino al 1949; nella stessa zona costruì ex novo un fabbricato che sarebbe stata la curia generalizia della Congregazione e dove tuttora abita e lavora una comunità delle sue Ancelle.

Tutta intera all'iniziativa di Dio

In data 5 gennaio 1929, leggiamo nel suo diario:

«Il Signore mi ha quasi obbligata ad aspirare alla maggior perfezione, perché possa chiedermi quello che vuole. Per animarmi a questo, devo ricorrere a tutti i mezzi, e il primo è di animarmi a far cose grandi per Lui, costi quel che costi».

Camminando di questo passo, con le sollecitazioni della grazia e la visione via via più chiara di ciò che il Signore voleva da lei, Madre Speranza partì da Roma e nel 1944 si recò a Todi. In un'ora per lei indimenticabile, il Signore le aveva fatto comprendere di volerla al servizio del Suo Amore misericordioso come l'aveva compreso la giovanissima Teresa di Lisieux, ma sviluppandone il messaggio sul piano d'un apostolato più vasto e multiforme. Molto le giovarono in questo anche le luci avute durante la preghiera in comunione con la santa Carmelitana, che tenne sempre come assidua e fedelissima amica.

Si trattava non tanto di diffondere una nuova devozione, quanto di dar vita a un movimento spirituale capace di coinvolgere tutto il popolo di Dio, aiutandolo ad avere una visione più cosciente e concreta dei rapporti tra Dio e l'uomo; di offrire agli uomini d'oggi un efficace mezzo di elevazione e di salvezza.

Madre Speranza era lontana dalle grandi assemblee del Concilio Vaticano II e non conosceva ancora i solenni e ispirati orientamenti della Gaudium et spes. Ma nella chiara luce della preghiera e dei suoi contatti interiori con Dio poté ben intuire le prove verso cui s'avviava il mondo contemporaneo e ciò che la misericordia divina si preparava a compiere per salvarlo. Con perfetta chiarezza ella intuiva quanto, anni dopo, avrebbe detto Giovanni Paolo II nell'enciclica Dives in misericordia:

«La mentalità contemporanea forse di quella dell'uomo del passato, sembra opporsi al Dio di misericordia e tende, altresì, a emarginare dalla vita e a distogliere dal cuore umano l'idea della misericordia. La parola e il concetto di misericordia sembrano porre a disagio l'uomo, il quale, grazie all'enorme sviluppo della scienza e della tecnica, non mai prima conosciuto nella storia, é diventato padrone e ha soggiogato e dominato la terra. inteso talvolta unilateralmente e superficialmente, sembra che non lasci spazio alla misericordia».

L'uomo che si chiude all'offerta della misericordia! Madre Speranza trepidava e ne soffriva pene di morte. Persuasa, però, che la rivincita sarebbe stata di Dio, bontà instancabile, si offrì a collaborare con Lui con magnanimo spirito d'olocausto. Sottopose la sua vita alle asprezze d'un ascetismo tanto più eroico quanto più nascosto, per strappare a Dio le anime più restie ai richiami dell'amore. Cristo, per salvare le anime, ne pagò il prezzo con i patimenti della passione e con la morte di croce. La sua discepola non scelse una via diversa.

Accettò volentieri la sua partecipazione, anche cruenta, alla passione con le mistiche sofferenze delle stimmate; presto però ottenne che il Signore gliene lasciasse i patimenti, ma non i segni visibili. Con lo stesso geloso nascondimento copriva le pratiche di penitenza e di privazione eroiche. Qualcosa, però, trapelava spesso. Tra l'altro, Dio solo ha contato le intere nottate sottratte al sonno per preparare in cucina i lavori più grossi da risparmiare alle sue figliuole per l'indomani, quando in casa cresceva il numero degli ospiti, per lo più sacerdoti, convenuti per raduno di studio o di esercizi spirituali.

Madre Speranza visse la sua vita in una gara di generosità con Dio. E da Lui otteneva tutto! Lei stessa, del resto, con semplicità ammirevole raccontava ai suoi certi «scherzi» della divina Provvidenza, non eluse alcune sorprendenti moltiplicazioni di derrate e d'altri mezzi, di cui aveva bisogno per le opere di beneficenza. ma i suoi sapevano che la loro Madre pagava tutto di persona. Significativo quanto troviamo scritto nel diario: «Vorrei poter dire quando lascerò questo mondo: "Ti ringrazio, Gesù mio, perché questo mio corpo martoriato non ha mai avuto un momento di ristoro, ma solo la fortuna di patire ogni sorta di tribolazione».

Singolare il suo culto per il Crocifisso. Ne è testimone la grande immagine che ne fece scolpire in legno policromo dall'artista Cullot y Valera fin da quando era ancora in Spagna, dove lo collocò nella cappella del noviziato. Costruita a Collevalenza la Cappella dell'Amore Misericordioso, il Crocifisso fu collocato poi sulla parete del'abside, dove domina col suo volto soffuso di amore e sullo sfondo d'una grande ostia bianca, che ricorda il quotidiano rinnovarsi del sacrificio della croce.

 

«Castigami, Gesù mio, e salvami»

Madre Speranza mirava - come abbiamo già visto - a far conoscere agli uomini che Gesù «non é un Padre sdegnato per i loro peccati, ma pietoso»

E' ammirabile l'insistenza con cui ritorna, a costo di ripetersi o con altre parole, su questo medesimo concetto, tanto le premeva che tutti condividessero la sua persuasione circa le disposizioni dell'Amore misericordioso verso tutte le anime. Essa mirava, inoltre, mediante un totale svuotamento di sé, a saturarsi a tal punto della divina presenza, da farla sentire a chiunque l'avesse avvicinata. Mirava a far sentire a Dio agli altri come lei lo sentiva: un Dio che ama tutti con la stessa magnanimità.

«Devo far sì che tutti quelli che trattano con me sappiano che il buon Gesù ama tutte le anime con la stessa intensità: che se c'é una differenza é proprio questa: ama di più quelle anime che, pur piene di difetti, si sforzano e lottano per essere come Lui le vuole; che anche l'uomo più perverso, più abbandonato e più miserabile é amato da Lui con immensa tenerezza».

Com'é caro alla Madre questo sentimento! Una delle cose più caratteristiche della sua personalità era appunto l'assimilazione, che aveva realizzato in sé della tenerezza divina. Non era così piena che si notava subito, al primo incontro con lei. Tutti son pronti ad attestare il calore materno con cui accoglieva le anime, a cominciare dalle più sofferenti e dalle più devastate dal peccato. Diffondeva questa tenerezza con quelle braccia che subito ti si aprivano come quelle sue parole così semplici ma così toccanti, con quello sguardo che ti fissava e ti penetrava. Spesso bastava l'incontro di pochi minuti per aprire il varco in un cuore indurito e lontano, o capovolgere dolorose situazioni.

Anima di grandi desideri - era stata chiamata a far cose grandi - mirava non solo a far sentire nella sua persona la divina presenza, ma a comunicare agli altri una volontà sincera d'esser migliori; e più ancora: «Devo fare in modo che tutti quelli che trattano con me sentano anch'essi il desiderio di offrirsi come vittime di espiazione per i peccati dei sacerdoti del mondo intero». I sacerdoti! Quanto amore, questa sollecitudine materna ha provato e sofferto per essi Madre Speranza! Presto vedremo le iniziative che saprà intraprendere per andare incontro al loro lavoro e aiutarli a farsi santi: é il colmo del suo ideale apostolico.

Madre Speranza passerà alla storia dell'agiografia cattolica come una mistica di alto livello. Il Signore fu molto generoso con la sua serva, perché trovò in lei una corrispondenza che non ebbe mai tentennamenti. Ascoltiamo, però, con quanto discernimento essa imposta il suo cammino verso Dio:

«Devo raddoppiare gli sforzi per avanzare nel cammino della santità, ma evitando sempre che questo desiderio sia qualcosa di precipitato e affannoso, tanto meno poi presuntuoso, perché gli sforzi violenti durano molto poco e coloro che sono presuntuosi si scoraggeranno sempre alle prime sconfitte (...). Gesù mio, dà alla mia volontà la forza e la costanza di cui ha continuamente bisogno per non desiderare né bramare altro che Te; che io mai, desideri altra cosa che non sia fare la tua divina volontà; che questa si compia in me con tutte le sofferenze che dovesse comportare, anche quando io non la comprendessi, anche quando io non riuscissi a vederla».

La lotta per mantenersi su questa via, senza mai deviare, sarà accanita, ma nulla di sconvolgente e d'impressionante ne lascerà trapelare all'esterno, tanto inalterabile e tranquilla é la sua serenità, stupenda la dolcezza di tutto il comportamento. Sempre così, anche durante i lunghi periodi di aridità di desolazione, di angosciose prove spirituali. Madre Speranza è passata attraverso le agonie della notte oscura. Commovente il grido che sfugge allora alla sua anima:

«Ti prego, Gesù mio, abbi pietà di me e non lasciarmi sola in questa aridità e oscurità. Ti cerco, Gesù, e non ti trovo; ti chiamo e non ti sento. Che tormento, Gesù mio! Che martirio! Solo Tu lo puoi apprezzare, e a Te lo offro in riparazione delle mie ingratitudini e delle offese che ricevi dai sacerdoti del mondo intero (...). Puniscimi pure con ogni sorta di sofferenza, ma non con questa aridità e freddezza verso di Te».

Ma appena s'affaccia una schiarita, il tono é diverso:

«Da quando hai scelto il mio cuore per tua dimora, Gesù mio, ho desiderato soltanto di pensare a Te, di tenere il mio cuore e la mente fissi in Te. Se soffro, soffro con Te; quando godo, godo con Te; ti ho donato per sempre tutti i miei affetti, i miei desideri, tutto il mio essere e la mia speranza; fuori di Te, per me non c'é niente di grande che mi affascini».

Volontà forgiata come l'acciaio, Madre Speranza coltiva anche il sentimento, espressione della sua femminilità genuinamente umana e pura; ama Dio con tutto il suo essere.

A Collevalenza, centro della sua attività

Questa è la suora che nel 1951 giunge in un angolo appartato di terra umbra, dove la sola costruzione di spicco rimane ancora la trecentesca casa detta di Jacopone. Si può dire che era la cornice adatta per quella povera religiosa, giunta da lontano. Umile, modesta, con un personale da niente, Madre Speranza non lasciava trasparire di avere in sé un'anima gigante e, se non esageriamo, il genio dei realizzatori. A Collevalenza trovò alloggio, per i Figli presso la casa parrocchiale e per le suore presso la casa Valentini; ma presto pose la mano alle costruzioni.

Portava con sé un progetto già preparato dal Signore. Il 15 agosto del 1951 aveva fondato a Roma i Figli dell'Amore Misericordioso; il 18 dello stesso mese metteva piede a Collevalenza. Qui, quando giunse Madre Speranza, sul terreno che sarebbe diventato proprietà della sua Congregazione trovò un boschetto chiamato «il roccolo»: serviva ai cacciatori per distendervi le reti con cui catturare le allodole. Qui - disse la Madre - d'ora in poi il Signore prenderà le anime».

Nel 1953, si costruì la casa dei padri. Nel 1954 s'iniziò il seminario. Nel 1955, la cappella dell'Amore Misericordioso, eretta a Santuario il 30 settembre 1959 dal Vescovo di Todi mons. De Sanctis.

Mentre le costruzioni andavano aumentando c'era ancora un grosso problema da risolvere. Collevalenza, geologicamente situata su una schiena d'asino, non aveva mai avuto l'acqua.

«Verso il 1960 la Madre, per la comunità religiosa ivi stabilita e per le piscine che aveva intenzione di far costruire per il bagno degli ammalati, incaricò la Ditta De Togni di Verona di scavare dei pozzi. Dopo ripetuti e inutili tentativi, il signor De Togni decise di desistere e si recò dalla Madre per informarla della sua decisione. Madre Speranza non fu d'accordo; disse che l'acqua c'era e indicò il punto esatto. L'impresa si rimise al lavoro. Dopo 91 metri affiorò la prima sorgente, a 116 la seconda, a 121 la terza falda. Da quel giorno l'acqua scorre limpidissima per le costruzioni attorno al santuario e le piscine».

Nel 1962, si costruì la Casa della Giovane. Nel 1965, fu pronto il grande santuario consacrato dal vescovo di Todi, mons. Fustella, e solennemente inaugurato dal card. Alfredo Ottaviani. Esso fu imposto dal continuo e crescente afflusso di pellegrini, che la cappella precedente non riusciva più a contenere. Il disegno fu affidato all'architetto Giulio Lafuente, che lo concepì come una costruzione grandiosa, ricca di originali e simbolici particolari. Armonico e luminoso il primo piano, molto raccolta la cripta. In poco tempo quel tempio é divenuto centro di spiritualità a raggio mondiale per la diffusione della conoscenza dell'Amore misericordioso. Come segno di particolare benevolenza verso la Madre Speranza, i suoi Figli e le sue Figlie, Giovanni Paolo II insignì il Santuario del titolo di Basilica Minore e benignamente annuì a costituire l'Istituto fondato dalla stessa Madre in Congregazione di diritto pontificio.

Successivamente fu costruita la grande Casa del Pellegrino, con sale di ritrovo, per conferenze e con spaziosi refettori, svettò accanto al santuario l'alto ed elegante campanile; fu gettata la grande piazza capace di contenere 20.000 persone; fu eretta nella valle retrostante una grande via crucis; venne inaugurato un ampio laboratorio di maglieria, dove centinaia di giovanette vengono preparate e formate e imparano un mestiere per l'avvenire; vennero approntate accanto alla statua di Maria Mediatrice, sul fianco sinistro della basilica, le piscine per gli ammalati. Almeno due volte Madre Speranza ci disse: «Con quest'acqua il Signore vuol guarire i mali più gravi, il cancro e la paralisi; datela ai malati e fateli pregare il santo Crocifisso». Non si batte la cassa al miracolo, ma la documentazione di mezzo migliaio di persone graziate é già in archivio.

Madre Speranza aveva pregato: «Fa', Gesù mio, che la Congregazione cresca in profondità, nelle radici delle virtù, più che nella ramificazione delle fondazioni». Tuttavia, mentre a Collevalenza si svolgeva un dinamico fervore di opere. i Figli e le Ancelle dell'Amore Misericordioso, oltre che nella Spagna originaria, si diffondevano in Italia, e in altri Paesi. Oggi sono 19 comunità in Italia, 15 in Spagna, 3 in Germania, 2 nel Brasile.

 

Un motore appartato e silenzioso

Pensare che tutto questo fervore di opere faceva capo alla persona più nascosta e più silenziosa di Collevalenza, a Madre Speranza! Era lei che pregava e operava più di tutti. Il più del suo tempo lo passava all'ascolto di Colui che la dirigeva. Da Lui riceveva ispirazione. Più che direttrice, essa era la mediatrice di una direzione superiore. E' l'unico modo per spiegare il «miracolo» di Collevalenza, le «cose grandi» che il Signore ha compiute servendosi di lei. Nel nascondimento e nel silenzio ella si é realizzata nella totalità della sua vita. E' stato detto che noi ci realizziamo soprattutto amando e servendo gli altri. E diveniamo perciò più veri, più ricchi, più felici. Così si é realizzata Madre Speranza. Non c'é briciola della sua vita che sia cascata per terra e sia andata perduta. Tutto in lei e di lei é stato vissuto e offerto in olocausto per il mondo, per la Chiesa, in particolare per i sacerdoti. Tutto è stato offerto e come assorbito dall'Amore misericordioso.

Pensiamo alle lunghe ore passate giorno dopo giorno in quella saletta del pian terreno, pronta a ricevere tutti per ascoltare e dire a ognuno una parola di fede, di fiducia, di carità materna. Chiameremmo quella cameretta una vera clinica delle anime, perché di lì nessuno usciva come era entrato; tutti partivano con qualcosa di quella tenerezza materna, di quella comprensione aperta a ogni situazione, prodiga di rimedi, quali soltanto la sapientia cordis sa donare e dispensare con frutto. Quante ore, quanti giorni, quanti anni passati in quella cameretta che era, diremmo, il suo pulpito, la sua aula scolastica, dove andavano ad apprendere dotti e ignari, uomini dell'alta gerarchia e umili parroci, benestanti e povera gente. sempre così, mentre attorno a lei c'era tanto da fare.

E quando lasciava quel dispensario di amore, stanca e come mangiata dai suoi visitatori, portava sempre con sé il sorriso inalterabile, fresca come se fosse uscita da un bagno ristoratore, felice d'aver reso un servizio all'Amore misericordioso. Anche quando, negli ultimi anni, gli acciacchi e le sofferenze che l'annientavano non le permisero di stare più all'ascolto di quanti, da vicino e da lontano, andavano da lei, e si ridusse, spesso febbricitante, a starsene lassù, all'ottavo piano della Casa del Pellegrino, seduta su una modesta poltrona, fu vista ancora gioiosa e felice, perché sapeva che l'Amore misericordioso avrebbe continuato ad accogliere le anime salite a Collevalenza non per una gita turistica, ma per un bisogno di lasciare ai piedi del gran Crocifisso un peso insopportabile.

Madre Speranza, non vista, vedeva e seguiva questi pellegrini e aveva per tutti una porzione di preghiere. L'intesa stabilita tra lei e il Crocifisso, dinanzi al quale tanti andavano a prostrarsi, era senza soluzione di continuità. Passando dalla cameretta delle sue udienze all'ottavo piano, non aveva interrotto il suo ministero di grazia.

Non tutto finiva con quegli incontri personali. A essi è da aggiungere un denso carteggio con cui si chiedeva di chiarire una questione, si ponevano domande, si sollecitavano risposte. Per venticinque anni Madre Speranza ha ricevuto e seguito più di trenta lettera al giorno. Aveva l'abitudine, quasi scrupolosa, di non lasciare mai nessuno senza risposta. Si calcolano a migliaia le lettere ricevute e fatte partire. Così per la richiesta di preghiere. A queste domande sempre: Pregaré, pregaré. E non erano promesse a vuoto. Quando Madre Speranza prometteva di pregare s'impegnava a farlo sul serio, persona per persona. Non bastandole, per questo, le ore del giorno, ricorreva a quelle della notte. Per i casi più pietosi e più gravi se ne andava ai piedi del suo Crocifisso e lì teneva i suoi colloqui, trattava gli affari, esponeva le sue domande, alzando talvolta la voce con un «a tu per tu» che metteva alle strette il cuore di Dio e ne strappava ciò che voleva.

Solo un cuore verginale - leggiamo in un appunto domestico - dilatato e fatto simile al cuore di Dio, ha potuto arrivare a questo ed essere un riflesso nel cuore di Dio verso ognuno di noi. Per questo a Collevalenza ha creato un centro di accoglienza col Santuario e la Casa del Pellegrino. Per questo non ha voluto nelle nostre case personale di servizio. Il pellegrino che viene a Collevalenza si deve sentire in famiglia, accolto dai padri e dalle suore, perché i padri e le suore potessero essere anche loro un riflesso e un segno di quel Dio che qui «attende gli uomini come figli che ama e che vuol rendere felici».

 

La sua «passione» per i sacerdoti

Madre Speranza aveva dei sacerdoti un concetto altissimo e nutriva per loro una sollecitudine tutta materna. Accanto all'altezza del loro carattere sacro, vedeva i pericoli ai quali continuamente espongono la fragilità umana, le insidie del mondo e l'odio del nemico degli uomini. Offertasi, fin dal 1927, quale vittima d'olocausto, è appena credibile quanto per i sacerdoti abbia pregato e sofferto notte e giorno, durante tutta la vita. Il sogno più bello fu d'avere una sua famiglia di sacerdoti, per accudirli come figli, fare di essi un dono all'Amore misericordioso, riempirli di questo mistero divino e farne apostoli appassionati e ardenti. Ma lo scopo specifico che assegna ai suoi Figli ci dà la misura del suo cuore materno.

Nel Libro delle Usanze , redatto per essi, leggiamo:

«Il fine principale di questa Congregazione è l'unione tra il clero secolare e i religiosi Figli dell'Amore Misericordioso; questi metteranno tutto il loro impegno nel fomentare tale unione, saranno per loro veri fratelli, li aiuteranno in tutto, più con i fatti che con le parole».

Madre Speranza ha fondato la famiglia dei suoi sacerdoti in vista dei sacerdoti diocesani. Ha voluto che tutte le case della sua Congregazione fossero le loro case, dove ogni sacerdote può andare a pieno diritto sempre che vuole, come a casa sia, «con lo scopo di riposare e rimettere lo spirito nella pace della casa religiosa». Tutto questo col beneplacito dei loro vescovi e con l'aiuto, quand'é possibile delle loro curie.

Per i sacerdoti secolari Madre Speranza ha vincolato la missione dei Figli dell'Amore Misericordioso, questi potranno dedicarsi a qualsiasi attività, ma passando per un cammino prioritario obbligato; prima andare ai sacerdoti e poi con loro (unidos), andare a qualsiasi lavoro apostolico. Ogni sacerdote diocesano può, volendo, restare a totale servizio della propria diocesi e avere tra i Figli dell'Amore Misericordioso la propria famiglia, la propria casa ed esservi accettato come membro della comunità. I Figli dell'Amore Misericordioso lavorano in continuazione per essi: organizzano esercizi spirituali, settimanali di studio, corsi di aggiornamento. E ora van pensando al problema dei sacerdoti anziani, spesso i più soli e i più abbandonati, impossibilitati al lavoro pastorale. Provvedere ad essi – raccomanda la Fondatrice - «con cuore di madre», senza far intendere che si faccia loro «la carità», specialmente se non potessero in alcun modo contribuire al sostentamento.

Nel primo incontro ufficiale avuto con l'attuale Pontefice, questi disse loro: «La vostra vocazione è grande! Non so se siete una grande comunità, molto numerosa, ma la vostra vocazione è grande! E con questa vocazione voi portate la speranza nel mondo»: «Fatti arditi da tanta tenerezza paterna - scriveva padre Arsenio Ambrogi – lanciammo coralmente l'invito di un pellegrinaggio del Papa a Collevalenza». Passarono due anni e il Papa andò pellegrino a Collevalenza e a Todi. Giunto nella grande piazza del santuario, prese le mosse dalla Dives in misericordia e continuò:

«Vorrei dire ora che questo spirituale itinerario dell'uomo a Dio, basato sulla mediazione di Cristo rivelatore, mi ha suggerito il presente itinerario, che é propriamente un pellegrinaggio al santuario dell'Amore Misericordioso (...), che é centro eletto di spiritualità e di pietà. Col suo stesso nome, come con la sua mole e con l'attività spirituale, pastorale e formativa che vi é promossa, esso a tutti ricorda e proclama la grande e consolante verità della misericordia paterna del Signore (...). Agli interrogativi, a cui già con la mia enciclica intendevo richiamare tutti i figli della Chiesa per una convinta risposta di fede, ci richiama altresì questo insigne santuario che tanto opportunatamente é sorto in mezzo a voi. Esso costituisce un segno e quindi un invito a meditare e ad accogliere l'eterno messaggio della salvezza cristiana, quale scaturisce dal disegno misericordioso di Dio Padre».

Fu quella la volta in cui il Santo Padre s'incontrò con Madre Speranza; appena terminato il discorso rivolto alla famiglia religiosa dell'Amore Misericordioso, scese dalla cattedra, le andò incontro, l'abbracciò e la baciò sulla fronte. Due insigni apostoli dell'Amore Misericordioso s'erano incontrati. La Madre dovette sentirsi profondamente compresa e commossa dalla gratitudine e in cuor suo dovette ripetere: Nunc dimittis, Domine. Quell'abbraccio del Papa fu il suggello a tutta la sua vita e alla sua opera. E i Figli ricordarono sempre le parole che lo stesso Vicario di Cristo aveva detto loro il 2 gennaio 1981:

«Coraggio, carissimi fratelli e sorelle. Il mondo é assetato, anche senza saperlo, della misericordia divina, e voi siete chiamati a portare quest'acqua prodigiosa e risanatrice dell'anima e del corpo»

Madre Speranza, pur nel decadimento delle sue facoltà fisiche, dovette accogliere queste parole come una consegna, e ripetere ciò che aveva già detto altra volta: «Tutto comincerà quando sarò morta».

Si addormentò nel Signore la mattina dell'8 febbraio 1983 a 90 anni

Domenico Mondrone S.I.

 

PROFILI DI MADRE SPERANZA – 2

P. Mario Gialletti fam

Ha saputo amare con verità

Edizioni Amore Misericordioso – 8 febbraio 2008

 

Ha saputo amare con verità

"La Madre ci ha detto che cosa essa fa durante la santa Messa. Quando il sacerdote, al momento dell'offertorio, offre l'ostia Essa offre su quella patena anche la sua anima, il suo corpo, tutte le sue potenze, tutti i suoi sensi e tutto anche di noi figlie perché - come con la Messa scompare il pane e il vino e, sotto le apparenze del pane e del vino, resta solo il Corpo e il Sangue di Gesù - così avvenga anche in noi che, lasciando tutto quello che siamo, resti in noi solo Gesù e solo Gesù regni nel nostro cuore" (Camino... p.111). Madre Speranza ha fortemente orientato l'esistenza sua e della sua Famiglia religiosa verso la presenza di Gesù Eucarestia.

"Desidero lasciare ai miei Figli e alle mie Figlie la preziosa eredità che io - senza alcun mio merito e gratuitamente - ho ricevuto dal buon Gesù. Questi beni sono: una fede viva nell’eterno Padre, nel suo divin Figlio, nello Spirito Santo, nel santo Vangelo, nella sacra Eucarestia..." - così, tra l'altro, si esprime nel suo Testamento. Ha voluto lasciare questi beni, tra i quali non poteva mancare l'Eucarestia.

La forza che sprigiona dall'Eucarestia è per se stessa capace di costruire una comunità di cristiani. Costruire: nel senso di dare una struttura, una forma. Nell'Eucarestia diventa possibile a Gesù comunicarsi a noi travasando in noi il suo essere essenziale che è la carità-amore. "Il Corpo e il Sangue del buon Gesù ci trasformano in altrettanti cristi, comunicandoci il suo modo di essere" (Refl. n. 7).

Accogliendo in noi l'amore di Cristo, veniamo liberati dall'egoismo e dal peccato, rinasciamo creature nuove, capaci di amare come Dio ama.

La comunione al Corpo e al Sangue di Cristo rinvigorisce incessantemente la nostra volontà di amare con verità, di amare nell'unico modo vero, di amare come Dio ama. Questo é il comandamento nuovo che Cristo ci ha dato.

Questo resta l'unico modo di amare con verità, l'unico modo vero di amare. "Amatevi gli uni gli altri, come IO vi ho amato...". La nuova giustizia del cristiano si misura con questo comandamento: il cristiano è tanto giusto, è tanto vero e autentico quanto sa amare gli altri come ama Dio. Per questo Madre Speranza scrive ancora: "Siamo fatti gli uni per gli altri; c'è in ognuno di noi qualche cosa degli altri; c'è in tutti gli altri qualche cosa di nostro. Questo qualche cosa degli altri che c'è in noi è la loro propria vita; e questo qualche cosa di nostro che sta in loro è proprio la nostra vita; le nostre vite si compenetrano e si identificano più o meno, in proporzione di quanto ognuno riceve e di quanto ognuno dà" (Las Esclavas... p.55).

Da qui il discorso di amare con verità non potrà mai trovare spazio per la competitività, non potrà mai farmi vedere nell'altro un concorrente da battere, mentre aprirà spazio alla complementarità e mi farà vedere nell'altro uno da amare, uno da aiutare, uno da amare come me stesso perché qualche cosa di me è in lui.

Da qui il discorso di amare con verità non potrà mai prescindere dallo sforzo di imitare il modo di amare di Dio "amatevi... come Io vi ho amato". Non a caso Madre Speanza ha fortemente legato l'idea dell'Eucarestia e l'idea della Croce: il Crocefisso dell'Amore Misericordioso ha sullo sfondo una grande Ostia bianca, chiaramente Madre Speranza legge il sacrificio e la croce in chiave di amore, come se il dolore fosse stato necessario per sostanziare e manifestare e misurare l'amore, come se non ci potesse essere vero amore senza "la prova più grande di amore" che sarebbe quella di essere disposti anche a dare la vita per la persona che si ama".

La conclusione sarebbe allora che il dolore è la misura dell'amore, lo spessore dell'amore, per cui la capacità di amare con verità, la capacità di amare in senso cristiano, è data dalla capacità di soffrire.

Nutrendosi dell'Eucarestia Madre Speranza dovrebbe averlo imparato molto bene se ha saputo amare e cercare il dolore come ha saputo amare e cercare il dolore come ha saputo amarlo e cercarlo e se ha potuto scrivere: "Teniamo sempre molto presente che la misura della nostra perfezione è data dalla nostra capacità di mortificazione" (Costumbres HAM, cap.IX, parte 2ª).