PROFILI DI MADRE SPERANZA – 32

Mons. Domenico Cancian fam
Vescovo di Città di Castello

 

Amore Misericordioso e Sacerdozio

Giornata di spiritualità presbiterale
Collevalenza, 12 giugno 2014

Edizioni "L'Amore Misericordioso" - 2014

Introduzione

Questa "Giornata" che ha una lunga storia a livello regionale e non solo, quest’anno viene celebrata all’indomani della beatificazione di Madre Speranza che ha speso la sua vita per i sacerdoti. In modo profetico aveva intuito che il cuore del Vangelo è l’Amore misericordioso e che i sacerdoti ne sono i primi destinatari e testimoni.

Vorrei verificare con voi a livello teologico e spirituale la correlazione Amore misericordioso e sacerdozio.

Premettiamo che "Amore misericordioso" non va inteso in modo devozionale o sentimentale. Il card. Walter Kasper, noto teologo, nel libro: Misericordia. Concetto fondamentale del Vangelo-Chiave della vita cristiana (Queriniana 2013), invita a ripensare la teologia alla luce di questo tema "imperdonabilmente trascurato" dal Concilio di Trento fino al Concilio Vaticano II. Lo stesso cardinale ne ha fatto una sorta di applicazione nel libro "Il Vangelo della famiglia" che riporta la sua relazione tenuta davanti al Concistoro straordinario dei cardinali il 20 febbraio 2014.

Egli, nella conclusione, mette in guardia "da un rigorismo non cristiano il quale carica le persone di pesi insopportabili" (pagina 73).

La Bibbia ci parla di un Dio che rivela un cuore di padre e viscere di misericordia. Un Dio apatico e lontano non spiega né creazione, né redenzione. Tutta la storia della salvezza è storia di misericordia. I Salmi, il Benedictus e il Magnificat cantano "la misericordia di generazione in generazione", sono inni "alla tenerezza e misericordia del nostro Dio che ci visita come sole che sorge dall’alto" (cf Lc 1). Lo spiega ampiamente S. Giovanni Paolo II nell’enciclica Dives in misericordia (1980) che potremmo considerare come il primo abbozzo di una vera e propria teologia dell’Amore misericordioso.

Dio è giusto (cf 1Gv 3,7). Dio è Amore (4,8.16). Occorre, osserva Kasper, intendere bene: non si tratta di giustizia vendicativa, punitiva e nemmeno distributiva. E l’amore non è semplicemente un sentimento, è l’Amore di Dio effuso nei nostri cuori, che è lo Spirito Santo (cf Rm 5,5). "In Dio la misericordia è la pienezza della giustizia" perché Dio"giustifica" gratuitamente tutti noi peccatori, così che nessuno può vantarsi davanti a Dio (S. Paolo).

Abbiamo conferma di questo nei santi. Teresa di Lisieux, Faustina Kowalska, Madre Speranza, per citare le tre donne consacrate più vicine a noi (ma potremo richiamare Sant’Agostino, Santa Caterina, S. Francesco), affermano che gli attributi di Dio convergono nell’affermazione principale: Dio è Amore, a cui si aggiunge l’aggettivo misericordioso perché quell’Amore incontra e vince la nostra miseria. Per questo la santità cristiana è riassunta nel comandamento dell’amore e nel diventare misericordiosi (cf Gv 13,34; Lc 6,36; 1Cor 13).

Questo non va confuso con la pseudo-misericordia: lasciar correre il male, giustificare e difendere il malfattore. Anzi, la misericordia, bene intesa, porta sempre alla conversione più profonda, quella che riconcilia con Dio e con gli uomini, e spinge ad una vita all’insegna dell’amore totale.

 

Riferimenti biblici

L’intera rivelazione mette in primo piano l’Amore Misericordioso del Padre che nel Figlio per opera dello Spirito attua la creazione, la redenzione e la santificazione del mondo. La storia della salvezza è storia di misericordia che prevale sulla miseria umana, vincendo il male con il bene (amore) più grande.

"Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia" (Rm 5,20). "Dio ha rinchiuso tutti nella disubbidienza, per essere misericordioso verso tutti!" (Rm 11,32). Dunque: "Chi ci separerà dall’amore di Cristo?" (Rm 8,35).

Evidenziamo alcuni testi in cui l’Amore misericordioso è riferito al sacerdozio.

L’istituzione dei Dodici avviene nel contesto di Gesù che percorre "tutte le città e i villaggi annunciando il Vangelo del regno e guarendo ogni malattia e infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore" (Mt 9,35-36). È proprio qui che Gesù prima invita a pregare il Padre perché mandi operai nella sua messe e poi chiama a sé i Dodici e dà loro "il potere sugli spiriti impuri per cacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità" (10,1). Seguono le istruzioni per i discepoli missionari. "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" (10,8).

Gesù chiama i discepoli perché stiano con Lui e imparino da Lui ad offrire il Vangelo, guarire i malati, dare da mangiare, donare se stessi. Avevano ascoltato il discorso della montagna (Mt 5-7), avevano assistito a tante guarigioni nelle quali Gesù "prendeva su di sé infermità e malattie" e diceva: "Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori" (Mt 8-9).

Gesù si definisce il "buono/bel pastore" pronto a dare la vita per le pecore, rovesciando così il rapporto consueto: vivere delle pecore (cf Gv 10).

"Inverando l’annuncio profetico del Messia Salvatore, cantato gioiosamente dal salmista e dal profeta Ezechiele, Gesù si autopresenta come il «buon Pastore» non solo di Israele, ma di tutti gli uomini. E la sua vita è ininterrotta manifestazione, anzi quotidiana realizzazione della sua «carità pastorale»: sente compassione delle folle, perché sono stanche e sfinite, come pecore senza pastore; cerca le smarrite e le disperse e fa festa per il loro ritrovamento, le raccoglie e le difende, le conosce e le chiama ad una ad una, le conduce ai pascoli erbosi e alle acque tranquille, per loro imbandisce una mensa, nutrendole con la sua stessa vita" (Pastores dabo vobis, n. 22).

Nella preghiera sacerdotale (Gv 17), Gesù chiede al Padre che i suoi siano "una cosa sola" con lui che si offre e si consacra per tutti.

Nella Lettera agli Ebrei troviamo scritto: "Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno" (Eb, 4, 15-16). Cristo Gesù è il sacerdote che non ha offerto gli animali, ma il suo sangue per purificarci dai nostri peccati (cf 9,14).

Dunque l’Amore misericordioso porta all’offerta di sé, al dono della vita per gli altri. Non è per nulla buonismo, condono indolore. La rivelazione più alta dell’Amore misericordioso è nel Crocifisso, nell’eucaristia, nel comandamento dell’amore (Madre Speranza).

 

La riflessione teologica

La riflessione postconciliare sull’identità e la spiritualità del sacerdote ha trovato nell’Esortazione apostolica Pastores dabo vobis (1992) una significativa puntualizzazione incentrata nella carità pastorale. Grazie al sacramento dell’ordine "la vita spirituale del sacerdote viene improntata, plasmata, connotata da quegli atteggiamenti e comportamenti che sono propri di Gesù Cristo Capo e Pastore della Chiesa e che si compendiano nella sua carità pastorale" (PDV 21). I presbiteri sono configurati a Gesù buon Pastore che dà la vita per le sue pecore e a Gesù Sposo della Chiesa. Amore sponsale, paterno e materno (cf 2 Cor 11,2; Gal 4,19).

"Il principio interiore, la virtù che anima e guida la vita spirituale del presbitero in quanto configurato a Cristo Capo e Pastore è la carità pastorale, partecipazione della stessa carità pastorale di Gesù Cristo: dono gratuito dello Spirito Santo, e nello stesso tempo compito e appello alla risposta libera e responsabile del presbitero.

Il contenuto essenziale della carità pastorale è il dono di sé, il totale dono di sé alla Chiesa, ad immagine e in condivisione con il dono di Cristo. La carità pastorale è quella virtù con la quale noi imitiamo Cristo nella sua donazione di sé e nel suo servizio […]. La carità pastorale ha la sua sorgente specifica nel sacramento dell’Ordine e trova la sua espressione piena e il suo supremo alimento nell’Eucaristia: Questa carità pastorale – leggiamo nel Concilio – scaturisce soprattutto dal sacrificio eucaristico, il quale risulta quindi il centro e la radice di tutta la vita del presbitero […]

Questa stessa carità pastorale costituisce il principio interiore e dinamico capace di unificare le molteplici e diverse attività del sacerdote. Grazie ad essa può trovare risposta l’essenziale e permanente esigenza dell’unità tra la vita interiore e le tante azioni e responsabilità del ministero, esigenza quanto mai urgente in un contesto socioculturale ed ecclesiale fortemente segnato dalla complessità, dalla frammentarietà e dalla dispersività. Solo la concentrazione di ogni istante e di ogni gesto attorno alla scelta fondamentale e qualificante di «dare la vita per il gregge» può garantire questa unità vitale, indispensabile per l’armonia e per l’equilibrio spirituale del sacerdote" (PDV, 23).

La carità pastorale, rinviando all’amore di Cristo Buon Pastore, comprende le tre dimensioni del presbitero che possiamo riassumere nei tre imperativi del Maestro: "rimanete nel mio amore"(Gv 15,9); "come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (Gv 13,34); "andate dunque e fate discepoli tutti i popoli" (Mt 28,19).

La prima dimensione riguarda il rapporto personale del presbitero-discepolo col Pastore. "Mi ami tu…?" è la domanda, l’unica, che Gesù rivolge a Pietro prima di affidargli il suo gregge. "Sit amoris officium pascere dominicum gregem" (Sant’Agostino). Condizione prima e permanente, sempre più coinvolgente, è lo "stare con Gesù" inteso come "rimanere nel suo Amore", come una sequela mai compiuta (il "seguimi" che Gesù rivolge all’inizio, lo ripete fino all’ultimo momento: cf Mt 4,19 e Gv 21,19. 22).

C’è qui tutta la mistica e l’ascetica che coinvolge l’intera persona del presbitero in un crescendo che segue passo-passo l’itinerario del Maestro fino al totale dono di sé (cf per es. testamento di Paolo VI, oppure quello di P. Christian De Chergè).

Vi è qui tutto il lungo paragrafo che la PDV intitola: "l’esistenza sacerdotale e il radicalismo evangelico", comprensivo delle virtù umane e cristiane richieste dalla carità pastorale, come la fede, l’umiltà di fronte al mistero di Dio, la misericordia, la prudenza e "i consigli evangelici, intimamente coordinati tra loro, d’obbedienza, castità e povertà: il sacerdote è chiamato a viverli secondo quelle modalità, e più profondamente secondo quelle finalità e quel significato originale, che derivano dall’identità propria del presbitero e la esprimono" (PDV 27).

La carità pastorale richiede l’obbedienza senza servilismi e senza autogestione; il celibato dovrebbe portare alla maturazione affettiva e sessuale nell’amicizia, fraternità, paternità; la povertà comporta la sobrietà che aiuta a vivere la scelta preferenziale dei poveri, nella trasparenza, nella generosità e nella gratuità.

Papa Francesco ai preti di Roma (6 marzo 2014) e ai rettori e agli alunni dei pontefici collegi (12 maggio 2014) rivolgeva alcune domande strettamente personali, tipo: Con che frequenza e come mi confesso? Ti chiedi spesso: dove va il mio cuore? Perché sono triste e perché sono contento? Vigilo sul mio cuore? La sera concludo la mia giornata col Signore o con la televisione? Su questo vi è l’imperativo di Gesù, ripreso da San Paolo: vigilate e pregate per non cadere in tentazione!

 La seconda dimensione della carità pastorale riguarda il rapporto col presbiterio. Il comandamento dell’amore riguarda principalmente l’amore fraterno, come dire che senza questo non c’è né autentico rapporto col buon Pastore e neanche azione pastorale fruttuosa.

Il presbiterio è il luogo naturale della comunione col Signore e della fecondità pastorale. L’identità del presbitero è la vocazione a far parte del presbiterio (cf LG, 28). Il primo dono dei presbiteri alla Chiesa e al mondo è la testimonianza di una fraternità concretamente vissuta. "Siano una cosa sola in me perché il mondo creda" (cf Gv 17: ripetuto cinque volte!). Il Concilio parla di "intima fraternità sacramentale" (PO, 8).

Siamo chiamati a sviluppare insieme la spiritualità di comunione che richiede atteggiamenti impegnativi, quali la stima reciproca, il rispetto vicendevole, l’aiuto fraterno, il perdono, la condivisione e la collaborazione.

Papa Francesco insiste sul fare attenzione a non sparlare dei fratelli, a pregare per quelli antipatici, a coltivare l’amicizia senza la quale ci perdiamo un prezioso aiuto.

Nel discorso comunitario di Mt 18 Gesù chiede ai suoi discepoli le virtù per vivere la comunione fraterna: l’umiltà del bambino, l’accoglienza dei più deboli senza scandalizzare, correzione fraterna, preghiera comune, perdono delle offese.

Gli Atti degli Apostoli (i capitoli 2 e 4) e 1Pt 3,8-9 richiamano la dimensione spirituale, quella amicale e la collaborazione. "Siate misericordiosi, benedicenti".

La carità pastorale è finalizzata all’evangelizzazione e alla missione. Papa Francesco insiste sull’urgenza di uscire, andare, incontrare, toccare le ferite dell’uomo, dialogare, servire. Vuole una "Chiesa in uscita" capace di "prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare e festeggiare" (cf EG, 2024). Una "pastorale in conversione" che parta dal cuore del Vangelo e si attui con la tenerezza di "una madre dal cuore aperto".

Sono queste le espressioni dell’amore misericordioso che riscontriamo nell’apostolo Paolo che si è fatto tutto a tutti, con i sentimenti dello sposo, del padre, della madre e dell’amico. Papa Francesco ai preti di Roma (6 marzo 2014) offre un’intera "meditazione sul tema della misericordia". Ricorda che la vita di Gesù è sulla strada, in mezzo alle folle. Dice: "Questo è proprio il tempo della misericordia. Di questo sono sicuro. San Giovanni Paolo II ha avuto il fiuto che questo era il tempo della misericordia. Lui ha accolto il carisma di santa Faustina, che vedeva nella misericordia la luce per il terzo millennio".

Ma già nel suo pellegrinaggio a Collevalenza il 22 novembre 1981, nell’incontro con i sacerdoti, Giovanni Paolo II diceva: "Parlando ai sacerdoti in cura d’anime, che sono segni viventi ed efficaci della misericordia di Dio, non trovo considerazioni più stimolanti di quelle che discendono da questa virtù, che è al centro della Chiesa, come fontana zampillante a cui tutti si accostano per dissetarsi. Mai come in questo tempo l’uomo ha avuto tanto bisogno della misericordia che è necessaria e per il progresso spirituale di ogni anima e per quello umano, civile e sociale. Essa infatti, se è vissuta in pienezza, potrà rinnovare il tessuto dei rapporti all’interno dei vostri presbiteri e darà alle vostre comunità diocesane maggiore consistenza e afflato d’amicizia, di bontà, di concordia, di mutua stima e fiducia e di volenterosa collaborazione … E in questo studio di reciproca misericordia che si compie e si celebra il mistero della redenzione nella Chiesa. Fate di essa, sia nel suo interiore carisma di perdono e di amore, sia nel suo esteriore esercizio di servizio ad ogni necessità dei confratelli il vostro programma sacerdotale, per vivere in pienezza di fede e di letizia il mistero del Cristo morto e risorto".

Quindi chiede ai sacerdoti di saper compatire le sofferenze, di servire con umiltà, disinteresse e tenerezza, imparando anche dalle scienze umane il tratto più rispettoso. Chiede di celebrare i sacramenti come sacramenti della misericordia, perché la Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia. "Abbiate nel vostro slancio pastorale quella pazienza e quella bontà di cui il Signore stesso ci ha lasciato l’esempio, essendo venuto non per giudicare, ma per salvare. Come il Cristo, anche voi, siate intransigenti con il male, ma misericordiosi verso le persone. Nelle difficoltà che possono incontrare, i fedeli devono trovare nelle parole e nel cuore di voi pastori l’eco della voce del Redentore mite e umile di cuore".

Sia san Giovanni Paolo II che papa Francesco chiedono ai sacerdoti un’attenzione particolare alla celebrazione della riconciliazione, come penitenti e come confessori. Nell’Esortazione apostolica Reconciliatio et poenitentia, papa Wojtyla scrive: "La vita spirituale e pastorale del sacerdote, dipende, per la sua qualità e il suo fervore, dall’assidua e coscienziosa pratica personale del sacramento della penitenza. Tutta l’esistenza sacerdotale subisce un inesorabile scadimento, se viene a mancarle per negligenza o per qualsiasi altro motivo il ricorso periodico e ispirato da un’autentica fede e devozione al sacramento della penitenza. In un prete che non si confessasse più o si confessasse male, il suo essere prete e il suo fare il prete ne risentirebbero molto presto e se ne accorgerebbe anche la comunità di cui egli è pastore … A sua volta, l’esperienza diventa e deve diventare oggi uno stimolo all’esercizio diligente, regolare, paziente, fervoroso del sacro ministero della penitenza al quale siamo impegnati in forza del nostro sacerdozio e della nostra vocazione ad essere pastori e servitori dei nostri fratelli" (Reconciliatio et Paenitentia, 31).

Papa Francesco invita i confessori a non essere né lassisti né rigoristi. Gli uni e gli altri, di fatto, non si prendono a cuore il penitente. "Il rigorista inchioda la persona alla legge in modo freddo e rigido; il lassista minimizza il peccato e svaluta la coscienza. La vera misericordia si fa carico della persona, l’ascolta attentamente, si accosta con rispetto e con verità alla situazione e l’accompagna nel cammino della riconciliazione. Il sacerdote veramente misericordioso si comporta come il buon samaritano. In questo modo il confessore soffre con e per le persone, come un padre e una madre soffrono per i figli malati. Ma tu piangi davanti alle sofferenze delle persone, o hai perso le lacrime, o piangi solo per te? Sai piangere per il tuo popolo? Sai lottare con il Signore come hanno lottato Abramo e Mosè? Non dobbiamo avere vergogna delle ferite dei fratelli! La Chiesa è come un "ospedale da campo" e noi siamo chiamati a curare le ferite. Alla fine saremo giudicati su come abbiamo soccorso o no i fratelli. Misericordia significa curare anzitutto le ferite, prima ancora di fare le nostre analisi. Voi conoscete le ferite dei vostri parrocchiani? Le intuite? Siete vicini a loro?" (Ai sacerdoti di Roma).

I tria munera del sacerdote dovrebbero quindi essere esercitati nell’ottica dell’Amore misericordioso: portare la buona novella ai poveri (Parola della consolazione, della speranza e della beatitudine); offrire i sacramenti della misericordia (soprattutto la riconciliazione e l’eucarestia); guidare con amore e tenerezza il popolo verso la casa del Padre, sapendo stare avanti, in mezzo e dietro, portando sulle spalle le persone ferite e malate, come il buon pastore. In fondo "l’identità del sacerdote è mistero e ministero di misericordia" (Giovanni Paolo II).

 

Cosa suggerisce (sommessamente) la beata Madre Speranza ai sacerdoti

Nei confronti dei sacerdoti ha espresso molta attenzione, stima, affetto, accoglienza, specialmente nelle situazioni difficili. Lei si è avvalsa molto del confessore e del Padre Spirituale: verificava con lui quello che il Signore le diceva nelle frequenti estasi e si atteneva alle indicazioni del Padre Spirituale anche quando erano diverse da quello che le aveva detto il Signore.

Più volte si è offerta al Signore per i sacerdoti, in modo particolare per quelli che l’hanno fatta soffrire non poco. Ha pregato molto per loro.

Ha disposto che la Congregazione dei Figli dell’Amore misericordioso avesse come fine prioritario l’aiuto dell’accoglienza dei sacerdoti, offrendo loro tanti aiuti materiali e spirituali, possibilmente in modo gratuito. Nelle comunità della Congregazione i sacerdoti dovevano sentirsi come in casa loro ed essere accolti come fratelli.

Diceva fin dagli anni ‘50 che il pericolo più grave era la solitudine. Per questo sollecitava i momenti di incontro fraterno e di comunione nel presbiterio. Per chi l’avesse desiderato ha offerto la possibilità di diventare religiosi Figli dell’Amore misericordioso, rimanendo incardinati nella propria diocesi.

Invitava a non cadere nell’attivismo trascurando la preghiera, perché in questo modo era come pensare che le proprie opere erano più importante della grazia del Signore. "Anche il nostro apostolato ci può portare alla perdizione".

Invitava ad esercitare il sacerdozio nella luce della misericordia, soprattutto nel confessionale, nella predicazione, nella carità, partendo dai bisogni concreti delle persone. "Non date un aiuto senza aver prima rivolto uno sguardo di compassione. Prevalgano la gratuità, la generosità, l’affetto sincero, l’incoraggiamento, la preghiera di intercessione".

Soprattutto invitava a presentare Dio Amore misericordioso incoraggiando la gente alla fiducia, alla speranza, al perdono, a diventare misericordiosi. Mettendo al centro il Vangelo della misericordia. "Quando la gente comprende che Dio è Padre misericordioso, allora si converte, incontra davvero il Signore, trova la gioia e la pace". Il principio-speranza è indubitabile perché non si basa sui nostri meriti ma sull’Amore gratuito e infinito del Signore, che eccede sempre le nostre miserie. Madre Speranza lo formulava così: "L’uomo più perduto, il più miserabile è amato con tenerezza immensa da Gesù che è per lui un Padre e una tenera Madre".