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Don L. S.

Nella Confessione il gesto più importante è convertirsi più che accusarsi

 

 

Siamo nell’anno giubilare e in tempo di quaresima! Per noi cristiani è il tempo forte per “rientrare in noi stessi” e riesaminare i rapporti personali con Colui che da lassù è venuto quaggiù, sognando di vivere in comunione, in amicizia con noi.
Ma spesso, per la limitatezza e fragilità umana, s’interrompe la relazione amichevole con Dio. Ecco allora a nostra disposizione il sacramento della Riconciliazione, per ripristinare il flusso della grazia divina in noi.
Il Signore ci chiede la costante tensione della volontà a riprendere il cammino senza darci mai per vinti: come la vita, che ricomincia continuamente.
Purtroppo si verifica che molte persone pronte a confessarsi vagolano con la mente e poi si limitano all’accusa o semplice elencazione dei peccati commessi. E invece, per ottenere la riconciliazione con Dio, è necessaria la conversione del cuore, cioè il dolore sincero dei peccati e l’impegno o “proposito di non commetterli più”. Quindi al cristiano peccatore è necesso il perdono misericordioso sole se, oltre ad essere un confesso, diventa un pentito e un convertito.
Abitualmente si presuppone che l’accusa del penitente sia impregnata di pentimento e di desiderio di conversione. Ma più di prima oggi c’è da combattere la superficialità con cui molti si accostano al confessionale, e c’è da chedersi quanto sia consistente la dose di proponimento miscelata nell’accusa dei propri peccati. È visibile l’assenza di un esame di coscienza prima della confessione in tanti vivaci gruppi di adolescienti; poi in molti adulti che attorniano il confessionale è palese l’impazienza di scaricare il sacco delle loro immondizie spirituali. Per cui è abbastanza esigua la percentuale di penitenti che accusandosi rivelino di voler cambiare abitudini di vita.
E allora io, prete, dico anzitutto a me e poi a tanti confessori: non lasciamoci influenzare dalla fretta e dalla leggerezza dei penitenti. Nel confessionale noi siamo i ministri vivi di un evento straordinario e misterioso: per mezzo nostro si realizza nella storia di tante piccole creature il mistero grandioso della riconciliazione con Dio: non c’è un’altra opera che possa eguagliarla. E a noi celebranti il rito della penitenza spetta il compito di “rimodellare” il battezzato, di arrivare alla radice del suo male, di far emergere la “qualità” del sacramento che amministriamo. È valentìa nostra rendere questo sacramento davvero efficace per tutti, stimolando e corroborando l’impegno personale di conversione. È preferibile confessare un numero inferiore di penitenti, piuttosto che essere frettolosi tralasciando salutari ammonimenti, valevoli a rassodare la consistenza del ravvedimento nel penitente.
Quello della confessione è il momento più propizio per penetrare in un’anima costringerla dolcemente a guardarsi dentro con assoluta sincerità, e stimolarla ad una “rottura” con il passato e ad una diversa visione della vita. Chi si inginocchia presso il confessionale è disposto ad accettare critiche al suo comportamento, a mettersi in discussione, a vedere se stesso in una luce negativa. E allora è questa l’occasione favorevole per rimpostare l’uomo “a immagine e somiglianza con Dio”. E così la confessione è quasi un fatto ricreativo!
Ma su quale base imperniare consigli e esortazioni? Personalmente prendo spunto dalla generale accusa di un peccato comune a tutti i penitenti: costoro confessano di non saper costruire un buon rapporto con il prossimo più prossimi, dicendo: più volte ho avuto scatti di nervosismo in famiglia, ho inveito in casa e sul posto di lavoro. In tal modo quasi tutti oggi scarseggiano della virtù della temperanza, sono più istintivi che umani, poco impegnati a combattere l’egoismo innato, passando da un amore egocentrico ad uno donativo.
Anche nei nostri fedeli parole come “serenità”, “tranquillità” o “pace” sono fuori moda: non c’è quotidiano tirocinio di mansuetudine, di benevolenza, di buona volontà, di longaminità. Soprattutto manca uno sguardo di fede, che propulsiona ad essere ogni giorno più umani e a trattare i vicini come vorremmo essere trattati noi stessi. È questa la base della umana convivenza, è questo il nucleo centrale dell’insegnamento evangelico: che potrei riassumere nella formula di dare gloria a Dio facendo fraternità tra noi.
In breve, c’è tanto cammino interiore da fare, per comportarsi veramente da ristiani, iniziando ad acettare “per primi” gli altri come sono, e partecipando alle loro gioie e contrarietà. Proprio nella dialogante intimità della confessione c’è da essere pungolati a camminare sul binario delle virtù “casalinghe” e sociali. Allora la propria giornata è impillolata o caramellata da tante spicciole gioie: perché si convive in cordialità fraterna con i propri vicini.


Accoglimi
nell’ora estrema

Signore, tu mi colmi per pura misericordia.
Tutto ciò che ho è dono gratuito.
Adoro la tua insondabile bontà e non capisco come Dio stringa un’amicizia tanto intima con la sua creatura.
Spesso ci penso e ogni volta mi devo fermare perché subito il mio spirito sprofonda in questo mistero.
Quale gioia amare con tutte le fibre del nostro essere e saperci amati ancor di più e averne piena coscienza…
O Dio inconcepibile, il mio cuore si scioglie di gioia, perché mi hai permesso di penetrare gli arcani della tua misericordia.
Ogni cosa ha inizio nella tua misericordia e nella tua misericordia finisce.
Ogni grazia scaturisce dalla misericordia e l’ora estrema è piena di misericordia per noi…
Anche se i nostri peccati fossero neri come la notte, la misericordia divina è più forte della nostra miseria.
Occorre una cosa sola: che il peccatore socchiuda un poco la porta del proprio cuore, il resto lo farà Dio.

(Suor Faustina Kowalska)

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ultimo aggionamento 13 giugno, 2009