ESPERIENZE

Paolo Risso

 

Don Edward Poppe: il sacerdote è per il sacrificio eucaristico

Don Edward Poppe

Una riflessione dopo la sua beatificazione

Una gioia incontenibile ha dato il Santo Padre Giovanni Paolo II a sacerdoti e fedeli, beatificando, il 3 ottobre 1999, don Edward Poppe (1890-1924) nativo di Moerzeke (Belgio), “sacerdote di fuoco”, dalla vita breve, che da anni, anche grazie alla sua biografia voluta subito dopo la sua morte dal Card. Mercier e scritta da Mons. Odilon Jacobs, suo intimo amico, era considerato maestro e modello di santità.
Durante l’omelia, il Santo Padre ha colto e sottolineato l’essenziale dell’esistenza consacrata e del messaggio di don Poppe, quando ha detto:
“L’azione pastorale è feconda solo nella contemplazione. Essa si nutre dell’incontro con il divino Maestro, che unifica l’essere interiore affinché faccia la sua volontà. Invito i sacerdoti a porre sempre l’Eucaristia al centro della loro vita e del loro ministero, come il beasto Edward Poppe. È lasciandosi illuminare da Cristo che potranno trasmettere la luce”.

 

“Un solo Sacrificio con Te”

Chi un po’ conosce gli scritti del nuovo Beato, ha pensato istintivamente a una pagina incandescente in cui egli scriveva:
“Obatus est… Gesù si è offerto, Egli mi ha amato, Egli si è immolato per me. O Gesù, eccomi pronto per essere offerto per Te, immolato con Te. Eccomi, con Te, attaccato alla croce, unito a Te, sino alla follia della croce. O salutaris Hostia! Ecco che per mezzo della tua morte, Tu hai generato la vita. Ecco l’Agnello di Dio… Ecco il buon Pastore che ha dato la vita per le sue pecorelle e, per mezzo della morte, ha vinto il mondo. O Gesù, io sono felice di essere il tuo sacerdote-vittima, morto e sepolto con Te, risorto con Te”.

Dal Calvario, don Poppe passa all’altare, il “Calvario mistico”:
“O Gesù Eucaristico, Vittima di salvezza, Vittima offerta perennemente al Padre per i peccatori, io voglio imitarti, io tuo sacerdote, io altro – Te stesso. Eccomi, o mio Amato, ostia di salvezza con Te, eccomi, vittima per i peccatori, per sempre. Ogni giorno, ormai mi offro, mi consacro, mi immolo con Te, per me e per tutte le anime. Non voglio pensare più niente, gustare più niente, attendere più niente che Te, Gesù, Gesù-Ostia”.

Dal suo colloquio-offerta con Gesù sull’altare, don Poppe, rivolgendosi ai suoi confratelli nel sacerdozio, raccomandava:
“Restate ostia con l’Ostia. La nostra vita non ha alcun senso se non siamo delle vittime. Senza quest’opera continua di configurazione al suo Sacrificio (“victimatio”, c’è nel testo originale) le nostre prediche sono parole gettate al vento. Un cuore di sacerdote che non sanguina con Gesù , non è un cuore di sacerdote”.
Davvero egli era giunto a vivere l’essenza del sacerdozio, così come appare nel Nuovo Testamento, sacerdozio che è essenzialmente partecipazione e imitazione del divino ed eterno Sacerdozio di Gesù Cristo. Partecipazione nell’essere, proporzionata alla partecipazione nell’azione, poiché l’azione suppone l’esistenza del soggetto adeguato per compierla.

 

Chi è il Sacerdote?

Gesù è Sacerdote per essenza, in quanto Uomo-Dio e quindi qualificato Mediatore tra gli uomini e il Padre. Egli esercita la sua suprema azione salvifica nell’immolazione avvenuta sul Calvario e perennizzata nella sua ri-presentazione nella Messa, per applicarne i frutti. Proprio nella Messa, si rinnova il supremo Atto sacerdotale di Cristo, così da costituire il momento supremo della sua divina azione salvifica nella storia e il supremo atto di religione.
Gesù ha voluto far giungere la partecipazione sacerdotale del suo ministro fino a questo vertice: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19). La partecipazione ministeriale si estende a tutta l’azione sacerdotale e salvifica di Gesù, ma raggiunge il suo culmine in questa azoine. Essa è così emergente da dover affermare che i sacerdoti “soprattutto esercitano il loro sacro ministero nel culto eucaristico” (Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 28-).
Nulla è più grande e più essenziale in Gesù che il suo sacrificio; quindi nulla c’è di più grande ed essenziale del suo sacerdozio. Il Sacrificio di Gesù sul Calvario, in adorazione e lode al Padre, in espiazione dei peccati e per la salvezza dell’umanità, affinché ritorni in comunione di vita con Dio, è ripresentato sull’altare nella S. Messa, da Lui che continua il suo sacerdozio nel ministro ordinato, proprio per questo sublime fine. Il sacerdote è essenzialmente per l’Eucaristia (“sacerdos propter Eucaristiam”).
Tutto questo è chiarissimo nella vita e negli scritti di don Edward Poppe: la sua visione di fede del sacerdozio – come dev’essere per tutti – dipende essenzialmente dalla visione di fede che si ha dell’Eucaristia, in modo che l’uno è legato strettamente all’altra. Se si vede, come occorre vedere, nell’Eucaristia, veramente la presenza reale di Gesù sul piano dell’essere che consente che il suo Sacrificio sia davvero presente e offerto a Dio per la sua adorazione e per la salvezza del mondo (a differenza di tutte le altre “presenze” di Gesù, che sono sul piano dell’operazione), l’azione consacratoria che la produce, è il più clamoroso ed esaltante prodigio dell’onnipotenza di Dio.
Solo il divino Sacerdote, l’Uomo-Dio, può compierlo, con il suo divino potere. La partecipazione a tale divino Sacerdozio comporta quindi la partecipazione a tale divina onnipotenza come causa secondaria, ma vera.
Vi è dunque molto di più, nel sacerdote ministro di Dio, che un solo primato di presidenza e di ufficio: vi è la reale elevazione del suo essere, mediante il carattere e i congiunti poteri sacri, alla partecipazione dell’onnipotenza divina. Questa partecipazione è tanto più esaltante per il modo in cui si esercita il potere della consacrazione eucaristica, pronunciando le parole onnipotenti in prima persona (“in persona Christi”).
Il sacerdote non solo presiede, (come ora si suol dire), ma offre il santo Sacrificio della Messa al Padre, non è tanto il presidente della comunità, ma il Sacrificatore-uno-con Cristo Sacerdote che offre il medesimo Sacrificio a gloria di Dio e per la comunità, anche se questa fosse fisicamente assente. Davvero all’altare, nella realtà più piena, egli è alter Christus nell’atto più sublime e sconvolgente. Non basta che egli all’inizio della celebrazione eucaristica dica, come spesso avviene, “siamo qui per ringraziare il Padre, riuniti intorno alla stessa mensa per ascoltare la sua parola e nutrirci del Pane di salvezza”. Ciò è assolutamente insufficiente e, preso alla lettera limiterebbe la celebrazione a ciò che fanno i protestanti, la parola e la cena, in cui Gesù Cristo non è realmente né sostanzialmente presente e non avviene alcun sacrificio.
Occorre che – alla luce del Magistero perenne della Chiesa – che don Poppe visse in modo eroico – ogni sacerdote che celebra ricordi a sé e ai fedeli che egli è all’altare (l’altare del Sacrificio, “ara Crucis!”) per transustanziare il pane e il vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, in Cristo stesso immolato, “offerto in sacrificio” di adorazione, di espiazione e di salvezza; che la mensa è essenzialmente mensa sacrificale, dove si accoglie il Cristo Vittima e si diventa vittime con Lui.
È troppo sublime il discorso nella realtà che esprime. Per questo è indispensabile l’elevazione che è appunto il risultato dello specifico Sacramento dell’Ordine sacro, per cui il sacerdozio ministeriale è sacerdozio sacramentale: il sacerdozio in senso vero, in senso stretto è sempre caratterizzato – così come è chiarissimo a don Poppe – dall’offerta del Sacrificio, la quale implica prima di tutto la sua rituale attuazione. Solo chi ha ricevuto la capacità mediante il Sacramento dell’Ordine, è in senso vero, sacerdote.

 

Dignità sublime

Ma ciò è qualcosa di entusiasmante che esalta chiunque per mezzo dell’Ordine sacro è investito di tale dignità, e che può entusiasmare sino all’offerta suprema di sé molti tra i giovani qualora fossero messi a conoscenza che essere sacerdoti di Cristo non è soltanto essere un po’ più uomini degli altri, un po’ più cristiani degli altri, non solo animatori della comunità, tantomeno uomini della base e del dialogo e portatori di valori umani per mezzo della parola. Ma essere sacerdoti è essere Cristo Sacerdote che rende presente Lui Immolato per ripresentare ogni giorno il suo medesimo Sacrificio. La Messa non è un incontro di fede e di fraternità, ma lo stesso Sacrificio del Redentore che dà a Dio la gloria suprema, espia i peccati del mondo e conduce ogni uomo che l’accoglie all’intimità con Dio. Qualcosa di formidabile, di divino, direi di “pazzesco”, ancor più se si pensa che la vera civiltà del mondo, così come la felicità eterna di ogni uomo è assicurata soltanto da questo Sacerdozio e da questo Sacrificio.
Vengono le vertigini a rifletterci solo un po’… Altro che disprezzare il sacerdote, altro che ridurre le Messe o svilire la sua celebrazione come troppo spesso avviene oggi. È la più sublime dignità della terra e del cielo.
Ed ecco allora il messaggio del beato don Edward Poppe: meditando gli scritti e gli esempi di Lui, si sente tutta la strabiliante divinizzazione dell’essere e dei poteri sacerdotali, la sublime realtà che segna il livello, assolutamente originale a cui si solleva la sua coscienza, la sua visione, la sua attività sacerdotale. Davvero “sacerdote e ostia”, davvero “l’Eucaristia al centro della sua vita e del suo ministero” così come dev’essere: l’annuncio del Vangelo e la catechesi, la preghiera personale e comunitaria, il ministero delle Confessioni, ogni atto, ogni parola, tutto prepara a partecipare al Sacrificio eucaristico. La missione, il servizio ai piccoli e ai poveri, la santità, tutto scaturise dal medesimo Sacrificio.
Di lì, dal sacerdozio vissuto con al centro il santo Sacrificio della Messa, si comprende tutto il fascino e l’attrazione che don Poppe ha sempre esercitato sui giovani e sui preti, in particolare sui giovani che aspirano a servire Dio e la Chiesa come futuri sacerdoti. “Solo Gesù Cristo amato – egli scriveva – conta ancora per me. Io non mi appartengo più. Uscita da me – estasi – trasferimento dell’amante nell’Amato, in lui posso gridare pieno di gioia: “Non sono più io che vivo, ma Gesù Cristo vive in me” (Gal 2,20).

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ultimo aggionamento 13 giugno, 2009