DAGLI SCRITTI DI MADRE SPERANZA
 
“Il Tuo Spirito Madre”
a cura di Madre Gemma eam

Lunedì Santo
Roma 19 aprile 1943

 

 

 

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Madre Speranza di Gesù Alhama Valera nata il 30 settembre 1893 a Santomera morta in Collevalenza l’8 febbraio 1983
Fondatrice delle Ancelle e dei Figli dell’Amore Misericordioso
Fondatrice del Santuario di Collevalenza
È in corso il Processo canonico per la sua canonizzazione.
Riproponiamo in questo e nei prossimi numeri della Rivista delle Riflessioni sulla Passione di Nostro Signore, scritte dalla Madre Speranza per la Settimana Santa del 1943. (N.d.R.)

Care figlie, in questi giorni vogliamo meditare la Passione di Gesù; oggi contempliamo Gesù nell’Orto del Getsemani e poi quando viene arrestato.
Gesù va nell’Orto degli Ulivi sia per raccogliersi in preghiera in un luogo solitario, sia perché in quel luogo più facilmente può trovarlo Giuda che conosce la sua abitudine di ritirarvisi a pregare. E anche perché vuole che nell’Orto abbia inizio la Redenzione, dato che nell’orto del Paradiso terrestre è iniziata la rovina del genere umano.
Gesù, nell’angoscia della sua afflizione e tristezza, comincia col privarsi volontariamente di ogni consolazione sensibile. Concede libertà ai suoi appetiti affinché scaturiscano con veemenza le sue pene.
Le afflizioni di Gesù sono causate dalla visione: della moltitudine quasi infinita dei peccati di tutto il mondo come ingiuria infinita fatta a Dio; del supplizio eterno che per essi soffriranno i suoi figli; dell’ingratitudine e perdizione di tanti uomini che non approfitteranno dell’Incarnazione, della Redenzione e dei Sacramenti; dell’ingratitudine e rovina del popolo eletto, ostinato nel misconoscere il giorno della sua visitazione; della perdizione di Giuda che è stato alla sua scuola; del peccato di S. Pietro; dello scandalo dei suoi discepoli e della sofferenza della sua SS. Madre.
Le parole che Gesù rivolge ai suoi discepoli: “L’anima mia è triste fino alla morte; fermatevi qui e vegliate con me”, ci manifestano, figlie mie, l’intensità del suo dolore sofferto a motivo della grandezza del suo amore. Dolore capace di causargli la morte, come uomo, se Egli non si conservasse in vita per prolungare il suo martirio. Eppure l’uomo, invece di essergli riconoscente, lo offende, si beffa della sua Passione e spreca le grazie della Redenzione.
Gesù rende partecipi della sua sofferenza i tre discepoli da Lui più amati, come li aveva resi partecipi della sua gloria sul Tabor, e li avverte che il mezzo per non cadere in tentazione è vegliare e pregare.
Gesù si ritira a pregare per insegnarci che il rimedio alle nostre tristezze non si trova nel parlare con gli uomini, ma con Dio, che è Padre che consola. Si discosta dai suoi discepoli per privarsi della consolazione della loro compagnia.
Figlie mie, Gesù cerca consolazione nella solitudine per evitare la distrazione. Esercita una profondissima umiltà restando a lungo con il suo volto divino prostrato al suolo; mostra grande fiducia e amore nel dire “Padre mio”; ci insegna la straordinaria abnegazione della volontà chiedendo che non si faccia la sua, ma la volontà del Padre.
Gesù rimprovera amorosamente i suoi discepoli perché si sono addormentati e ci fa sapere che, mentre noi uomini dormiamo, Egli si prende cura di noi vegliando sulla nostra salvezza. Compatisce questa mancanza dei discepoli perché causata da fragilità. Comprendete, figlie mie, che questo vale riguardo alle mancanze commesse per fragilità, come quando dormiamo nel tempo della preghiera nonostante gli sforzi fatti per restare sveglie.
Gesù torna una seconda volta a pregare per insegnarci ad essere perseveranti nell’orazione e dice: “Se non può passare da me questo calice senza che io lo beva, si faccia la Tua Volontà”.
Gesù si alza e, tornato dai suoi discepoli, li lascia dormire, avendo compassione della loro debolezza. Ma questo aumenta la sua sofferenza, perché non c’è chi lo consoli né in cielo né sulla terra. Allora, per la terza volta, torna a pregare, perseverando in orazione e il Padre invia un angelo a onorare il Figlio e a confortarlo, ricordandogli i motivi della Redenzione, che Gesù ascolta con grande umiltà.
Gesù suda sangue in grande abbondanza, sia per la violenza con cui lo assalgono l’angoscia e la tristezza, sia per la grande resistenza che oppone a queste passioni, persistendo con amore immenso nel desiderio di versare volontariamente il suo sangue ancor prima di perderlo nei futuri tormenti, e sia per il dolore che gli procurano le afflizioni del corpo mistico dei suoi eletti.
Debilitato dallo spargimento di sangue, Gesù non trova chi gli asciughi il volto.
Egli, abbandonato ogni timore, esce confortato dalla preghiera per mostrarcene l’efficacia.
Gesù torna dai suoi discepoli e li avverte che già si sta avvicinando colui che lo deve consegnare ai nemici. Egli manifesta il suo cuore amoroso perché, non soltanto non li rimprovera di aver dormito, ma neppure ne parla.
Gesù, a causa del bacio di Giuda, è arrestato dai soldati e viene condotto a casa di Anna. Nel bacio di Giuda è tutta la perfidia del traditore. Questi per denaro aveva cospirato di notte con i rabbiosi nemici di Gesù, parlando male del suo Maestro. Perfida è la sua condotta perché, approfittando della sua conoscenza di Gesù e del luogo, va a prenderlo in compagnia di molti soldati, come se fosse un malfattore, e lo saluta con un ipocrita e insolente bacio di pace. C’è perfidia anche nell’espressione “Maestro” del suo saluto.
Figlie mie, Gesù accoglie Giuda con profondo dolore e tristezza e, con amoroso rimprovero, gli dice: “Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo?”. Gesù si fa avanti a ricevere i soldati e manifesta così il suo dominio; trattiene infatti la turba impedendole di avvicinarsi, pur avendo il traditore già dato il segno convenuto.
Gesù fa cadere a terra i suoi nemici solo dicendo: “Sono io”, come atterrò Saulo per salvarlo. Nello stesso modo, con la sua parola, colmerà di terrore i reprobi nel giorno del giudizio. Gesù pone limite al furore della turba, affinché non tocchi gli Apostoli e rientri in se stessa; ma non le toglie la sua cecità volontaria, dato che Egli vuole morire. Gesù compie il miracolo di farli stramazzare a terra, all’indietro, perché riconoscano che è Dio e che quindi va alla morte per compiere la volontà del Padre suo, e non la loro. Dice infatti: “Volete che non beva il calice che mi ha presentato il Padre mio?”.
Figlie mie, consideriamo come nell’arresto di Gesù i sentimenti delle persone sono opposti. Giuda è nemico nonostante appartenga alla sua scuola; i carnefici, nemici esterni, lo odiano; gli Apostoli lo amano, ma lo abbandonano. Pietro, trasportato dal suo impulso, ferisce Malco, ma Gesù calma gli animi e lo guarisce. In tal modo fa del bene al suo nemico e anche a Pietro impedendo che sia perseguitato per aver opposto resistenza alla pubblica autorità. Gesù dice: “Questa è la vostra ora; l’ora del potere delle tenebre”, dando così ad essi la libertà di maltrattare quanto vogliono il suo corpo divino. Immediatamente cominciano a ingiuriare Gesù, legano le sue mani che hanno compiuto tante opere buone, gli danno calci e coprono di percosse il suo corpo divino. Anche gli Apostoli affliggono il suo cuore fuggendo pieni di paura. Con quanto dolore gli occhi di Gesù guardano la fuga degli Apostoli da Lui tanto amati.
E noi, Ancelle del suo Amore Misericordioso, per timore alla sofferenza, avremo il coraggio di abbandonare Gesù solo nel suo dolore, invece di difenderlo in questo secolo nel quale è tanto perseguitato?

 

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ultimo aggionamento 13 giugno, 2009