STUDI
Paolo Martinelli

Amore misericordioso e paternità di Dio

 

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(Seguito)

II. Amore misericordioso e Mistero Pasquale

In Cristo, misericordia di Dio per noi, troviamo tutto quanto il Padre ha voluto comunicarci. È, dunque, nella missione di Gesù che noi troviamo la descrizione di ciò che è la misericordia divina. Tutta la sua esistenza è consumata nella obbedienza al Padre ed è in un certo senso unita interiormente dal fatto di dover comunicarne il volto. La nascita, la vita, i trent’anni di preparazione, l’esercizio pubblico della sua missione, i suoi miracoli, le sue parole, persino i suoi atteggiamenti di compassione di fronte al bisogno o di duro rimprovero di fronte alla mancanza di fede sono internamente unite dalla sua obbedienza al Padre. Il cardinale Ratzinger ha affermato efficacemente a questo proposito che «In Lui [Gesù] è presente il fondamento nascosto; nell’azione, nei discorsi, nella vita, nei dolori di colui che è veramente Figlio si può vedere, ascoltare, avvicinare questo sconosciuto. Il fondamento sconosciuto dell’essere si rivela come Padre»14.

1. Ma se è vero che il Figlio di Dio incarnato ci rivela il volto ultimo del Padre, questo non può che mettere in luce anche il senso della nostra libertà e l’identità del nostro peccato. Pertanto ci sembra possibile riconoscere che se la paternità di Dio si manifesta primariamente come fondamento di tutto, il peccato dell’uomo si configura come occultamento, negazione di questo dono, come caparbia affermazione di un essersi fatti da sé e quindi di una affermazione di sé come misura di tutte le cose. In tal modo l’azione dell’uomo si pone come autochiusura nei confronti del mistero paterno divino e quindi come perdita di quell’atteggiamento di accoglienza di se stesso come donato da un altro. Questo ci permette anche di riscoprire il significato vertiginoso della libertà umana. Se è evidente che ogni vivente non è da se stesso15, tuttavia è vero che solo nell’uomo vi è una coscienza che può arrivare a riconoscere (o a misconoscere) questo «essere da un altro». La libertà dell’uomo è il luogo in cui tale legame chiede di essere riconosciuto.
Una rappresentazione emblematica di quanto detto ci è espressa sinteticamente nella parabola del «Padre misericordioso» (Lc 15,11-32)16. Qui il tema della misericorclia non a caso coincide con il tema della paternità. Il senso del peccato ivi espresso non sta tanto nella prodigalità con la quale il figlio più giovane sperpera i suoi averi, quanto nella negazione del padre17. Questa. che è la radice di ogni peccato, è anche l’atteggiamento del figlio maggiore, che pur rimanendo nella casa non ha rapporto filiale con il padre. La conversione del figlio minore, poi, avviene proprio al culmine della impossibilità di compiere il proprio desiderio, e della constatazione della propria insoddisfazione nei confronti del reale, nel rientrare, allora, in se stesso e scoprire la sua figliolanza perduta. Il ritorno alla casa diviene una nuova scoperta del mistero del padre, che ama, accogliendolo senza condizioni, oltre ogni misura umana. L’esperienza della lontananza ha permesso insperatamente di conoscere ciò di cui non ci si era mai accorti: la propria dignità e libertà di figlio e l’amore gratuito del padre.

2. Se Cristo, dunque, è venuto per rivelarci il Padre, allora la sua «ora» come compimento della sua missione, ci comunica l’efficacia infallibile della misericorclia di Dio. Vorremmo mettere in rilievo solo alcuni tratti del mistero pasquale, dove l’onnipotenza di Dio fa in modo che il male dell’uomo, persino il rifiuto dell’Inviato di Dio, diventi strumento da cui poter trarre il bene, ossia il raggiungimento dello scopo del mondo.
Innanzitutto va ricordato che il mistero pasquale deve essere descritto essenzialmente come la stipulazione dell’eterna alleanza18. Questo indica che l’accadere di questo mistero è innanzitutto la consumazione libera e liberante dell’obbedienza di Cristo al Padre. In Cristo possiamo contemplare la corrispondenza perfetta tra la libertà umana e quella infinita di Dio. Questa corrispondenza tra l’umano e il divino avviene prendendo il posto dei peccatori e quindi assumendo su di sé tutto il rifiuto dell’uomo nei confronti di Dio. In questo senso avendo Dio trattato Gesù «da peccato in nostro favore» (2 Cor 5,21), ed essendo questa reciprocità avvenuta «quando noi eravamo ancora peccatori» (Rm 5,6), l’alleanza che qui viene stipulata nel sangue di Cristo è eternamente valida. Ciò vuol dire che da questo mistero scaturisce per l’uomo l’offerta della riconciliazione e la possibilità di corrispondere in Cristo alla volontà del Padre.
La parola neotestamentaria che riassume il senso del mistero pasquale può essere sinteticamente individuata nel «pro nobis»19. Non inteso solamente come dono fatto «in favore nostro» o come solidarietà di Dio con i peccatori e genericamente con la condizione umana, ma radicalmente come scambio di posto, ossia come assunzione da parte di Cristo del posto di per sé spettante al peccatore20, L’essenza di ciò che stiamo dicendo potrebbe essere descritto come il dono del Padre che manda il Figlio (Gv 3,16), il quale nel suo movimento kenotico fino all’assunzione del peccato esprime la sua totale obbedienza fino alla morte di croce (Fil 2,6-11). Solo per obbedienza al Padre Cristo può prendere il posto del peccatore; infatti, egli come tale è assolutamente l’innocente, Colui che è in tutto simile a noi «eccetto il peccato» (Eb 4,15). Perciò quel posto non può essere assunto a partire da se stesso ma solo come obbedienza radicale. Il Figlio, ossia l’eterno «sì» al Padre, è cosi infinitamente ed eucaristicamente disponibile da poter prendere su di sé anche ogni «no» pronunciato dalla libertà finita che nega il Padre.
L’aspetto disarmante, se così possiamo dire, della misericordia nel mistero pasquale appare nel fatto che Dio utilizzi per riavvicinare l’uomo a sé ciò che l’uomo utilizza per allontanarsi da lui, ossia il peccato21. Sulla croce, infatti, Cristo prende su di sé tutti i peccati del mondo e potremmo dire con Adrienne von Speyr, li «confessa» al Padre. Alla luce della dedizione del Figlio, la menzogna, la negazione del Padre di cui è sostanziato il nostro peccato, è definitivamente smascherato. È nella diastasi tra Padre e Figlio, che appare sulla croce, che, come in controluce viene smascherato il peccato.
Il mattino di Pasqua, la risurrezione del Figlio per opera del Padre che gli ridona lo Spirito, rappresenta in un certo senso l’«assoluzione», che non a caso viene affidata con il dono dello Spirito al ministero agli apostoli come possibilità di rimettere i peccati (Gv 20). Nella risurrezione, come dice Giovanni Paolo II, «il Figlio di Dio ha sperimentato in modo radicale su di sé la misericordia, cioè l’amore del Padre che è più potente della morte» (DM 8)22. Cristo stesso ora nella sua carne crocifissa e risorta può infondere lo Spirito alla Chiesa perché sia nel mondo il luogo della nascita dell’uomo nuovo. La Chiesa, che dal mistero pasquale nasce, si configura allora come luogo in cui si è introdotti sacramentalmente, in Cristo morto e risorto, al riconoscimento di Dio come Padre divenendo docili allo Spirito, e dove si è chiamati, mediante la propria missione personale ed ecclesiale, ad annunciare la misericordia di Dio a tutti i popoli.

3. Pensiamo sia opportuno aggiungere un altro aspetto del mistero pasquale che in particolare nella nostra epoca von Balthasar e la von Speyr hanno sottolineato: è il mistero implicato nel Sabato Santo, nella discesa agli inferi, come mistero del Silenzio di Dio. Non potendo in questa sede prendere in considerazione gli aspetti propriamente dogmatici23, ci limitiamo a mettere in evidenza il carattere di estrema misericordia che da questo mistero emerge. La comprensione che è stata proposta da Balthasar ci sembra scaturisca da una realistica comprensione delle espressioni evangeliche riguardanti l’abbandono che Cristo sperimenta vicariamente per noi. La potenza misericordiosa del Padre si manifesta esattamente nell’apparente suo contrario. ln realtà questa assenza del suo volto è ciò che rivela ultimamente la sua identità, in quanto il Figlio, sua perfetta espressione24, può scendere nell’abisso della sua estraniazione25; in tal senso proprio in estrema obbedienza al Padre amato, Cristo si pone nel punto in cui va a dirigersi colui che rinnega la paternità di Dio in una disperata autochiusura. In tal modo si può dire che l’autodedizione misericordiosa di Dio nel Figlio mostra l’aspetto estremo della misericordia di Dio, che può essere identificato in un estremo abbraccio, come «da sotto» (Subabbraccio)26, di Dio nei confronti del peccatore che a causa della sua autochiusura si allontana da Dio. Qui la diastasi che si presenta tra le persone divine risulta essere l’estrema forma dell’unità dell’amore al servizio della salvezza delle creature27. In tal senso la dedizione di Dio fa in modo che la misericordia si esprima come inseguimento fino all’ultimo di colui che si chiude nel peccato, anzi si può dire che colui che abbandona Dio troverà sempre Dio che nel Figlio, per amore misericordioso inconcepibile, si è fatto ancora più abbandonato di lui, perché acconsenta infine alla luce della grazia perdonante di penetrare nel suo cuore.
A questo proposito è importante mettere in evidenza come la misericordia di Dio in nessun caso può voler dire una svalutazione o un superamento della libertà dell’uomo che fino all’ultimo, ostinatamente, può rifiutarsi a questo amore28; ciò vuol dire, piuttosto, che il peccato dell’uomo non può impedire a Dio di offrirgli istante per istante fino all’ultimo la possibilità di ricominciare e di abbandonarsi all’abbraccio del Padre. L’idea stessa dello «scambio dei posti», correttamente intesa, ci fa comprendere bene che non si tratta di qualche cosa che preserva l’uomo dal dover fare qualche cosa, ma è piuttosto quell’evento che avendo rotto la logica del peccato che ci impediva di essere liberi, dà un compito e provoca alla decisione.

Nota biografica
Paolo Martinelli (1958 Milano), frate cappuccino, ha studiato Teologia presso lo Studentato Teologico San Francesco di Milano e presso la Pontificia Università Gregoriana, dove ha conseguito la licenza in Teologia Fondamentale ed il dottorato di ricerca. Ha pubblicato La morte di Cristo come rivelazione dell’amore trinitario nella teologia di H.U. von Balthasar, Jaca Book, Milano 1996. Attualmente vive a Roma ed insegna teologia alla Gregoriana e all’Antonianum.

Estratto da «Communio»
n. 164, Marzo-Aprile 1999

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14 J. Ratzinger, Credo in Dio Padre onnipotente, in Communio 19 (1975) 12.

15 Sul problema del fondamento ultimo dell’essere cui si è inesorabilmente rimandati dal problema della differenza ontologica vedi E. Pérez Haro, El misterio del ser: una mediacion entre filosofia y teologia en H.U. von Balthasar, Barcellona 1994.

16 Per quanto segue cfr. R. Fornara, La paternità rifiutata e riscoperta. Una lettura di Lc 15,11-32, in F. Moraglia (ed.), Dio Padre misericordioso, Facoltà teologica dell’Italia settentrionale. Sezione di Genova, Genova 1998, pp. 83-98.

17 La stessa divisione dei beni che gli spettano, di per sé è atto di esecuzione testamentaria, ossia ciò che accade quando il padre muore. Egli dunque si muove negando l’esistenza del padre.

18 Sulla redenzione come alleanza vedi le osservazioni di J. Galot, La Rédemption, mystère d’alliance, Paris 1965 (tr. it.: Gesù liberatore, Firenze 1978) e la soteriologia di Balthasar, Teodrammatica. IV: L’azione, Jaca Book, Milano 1986.

19 Descrizione delle categorie neotestamentarie della riconciliazione in H.U. von Balthasar, Teodrammatica. IV: L’azione, Jaca Book, Milano 1986, pp. 1-25.

20 Cfr. sulla storia e il significato di questa categoria K.H. Menke, Stellvertretung, Schlüsselbegriff christlichen Lebens und teologische Grundkategorie, Freiburg 1991.

21 Per questo vedi A. von Speyr, La Confessione, Jaca Book, Milano 1977; vedi anche Id., Il volto del Padre. Meditazioni teologiche, Brescia 1975, pp. 69-81.

22 F.X. Durrwell, Il Padre, Dio nel suo mistero, Roma 1998, mette in particolare relazione la paternità di Dio con la risurrezione del Figlio dando così un ruolo fondamentale allo Spirito Santo sia nella Paternità che nella figliolanza, come afferma ed. es. in ibid., 130: «risuscitando Gesù nella potenza dello Spirito, Dio ci rivela che la sua paternità si realizza nello Spirito Santo».

23 Ci interessa in questa sede solo mettere in evidenza l’immagine di Dio che emerge e non soffermarci sugli aspetti propriamente escatologici che sono indubbiamente implicati. Per questi cfr. H.U. von Balthasar (ed.), «Hinabgestiegen in das Reich des Todes». Der Sinn dieses Satzes in Bekenntnis und Lebre, Dichtung und Kunst, Freiburg-Munchern-Zurich 1982, Id., Teodrammatica. v: L’ultimo atto, Jaca Book, Milano 1985; Id., Breve discorso sull’inferno, Brescia 1988; Id., Sperare per tutti, Milano 1989.

24 H.U. von Balthasar, Teologica. II: Verità di Dio, Jaca Book, Milano 1990, 308s.: «Il fatto che egli dunque, in quanto Figlio sia il più lontano dall’inferno e in quanto portatore del peccato sia il più vicino, il fatto che come questo morto ha perduto il suo essere Parola (perciò il silenzio) e allora è pure la più forte e chiara espressione (Aussage) del Padre».

25 Cfr. Teologica. II, 309s. Cfr. anche F. Ulrich, Dio nostro Padre, in Communio 19 (1975) 32-38.

26 È la traduzione italiana del neologismo tedesco Unterfassung coniato da Balthasar per esprimere la posizione di Cristo nei confronti del peccatore. Personalmente ho proposto una lettura di questa espressione alla luce della preghiera ignaziana del «Suscipe»: cfr. P. Martinelli, La morte di Cristo come rivelazione dell’amore trinitario nella teologia di hans Urs von Balthasar, Jaca Book, Milano 1996, 390. Per questo concetto cfr. in generale cfr. H.U. von Balthasar, Teodrammatica. V: L’ultimo atto, Jaca Book, Milano 1985.

27 A von Speyr, Kreuz und Hölle, II, 190s, cit. in Teologica. II, 310: «L’inferno serve ai misteri intradivini e alla loro rivelazione: ad essa viene resa visibile e dimostrata la massima distinzione delle persone e la loro impresumibile unità. Là dove il Figlio credeva di essere il più abbandonato che mai dal Padre, l’abbandono viene utilizzato per far saltare il carcere dell’abbandono e per lasciar entrare nel cielo del Padre il Figlio insieme con il mondo redento». Espressioni non meno significative le troviamo in Durrwell, Il Padre nel suo mistero, 146s.: «Nella morte di Gesù, il Padre lo genera estremamente lontano da sé, in una sortita fino ai limiti della creazione, e là, nell’estrema presenza al Padre, si compie la comunione perfetta, la presenza totale del Figlio nel seno del Padre».

28 Teodrammatica. V, 243-248.


 


È stupendo averti come Padre!

Perché possa ricevere e dare:
il perdono
il pane del dolore da condividere,
il pane della grazia per non attaccarmi al male,
il pane della fraternità per diventare una cosa sola coni miei fratelli,
il pane del tempo per conoscerti,
il pane del silenzio per amarti.

(Ernesto Olivero)

 

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ultimo aggionamento 13 giugno, 2009