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L. S.

C’è sempre una correlazione tra pentimento umano e misericordia divina

Quel pizzico di fariseismo che ci individualizza influisce su ognuno di noi nel sentire l’arcigno bisogno di vedere puniti i peccatori. Nella vita e nello spettacolo ci si compiace quando “arrivano i nostri” a castigare “i cattivi”.
Quest’amara soddisfazione dell’uomo è stata rilevata da Dio stesso con squisito umorismo sin da quando, nell’Antico Testamento, Egli dovette farsi “perdonare” la sua troppa bontà dal severo e brontolone Giona, il quale “si dispiacque molto” a vedere che Lui non puniva più i Niniviti dediti alla penitenza per riparare il male compiuto. C’è poi la meravigliosa parabola del figliol prodigo a dirci che il Padre giunse quasi a chiedere indulgenza all’abbronciato austero figlio maggiore per l’accoglienza misericordiosa riservata al fratello.
Se l’uomo è stato fatto a somiglianza di Dio, per nostra fortuna Dio non è simile all’uomo, e neppure ai “migliori”. Colui che ha modellato su di sé il cuore di tanti buoni papà esistenti al mondo, è certamente più di loro ricco di tenerezza e di misericordia verso i figli manchevoli, proprio perché questi sono sue creature e Lui è il Padre dei padri.
Tutta la Sacra Scrittura è un’autentica dichiarazione d’amore da parte di Dio, il quale non arriva a stancarsi o a deludersi per le continue cadute dell’uomo, ma resta stabilizzato nel suo amore paterno. E nel Cielo la gioia dei beati è vedere il trionfo della misericordia divina.
Perciò l’autore di “Delitto e castigo” fa dire dal personaggio Marmelàdov: “Non è sulla terra, ma lassù che si ha tanta pietà degli uomini, e li si compiange, ma senza rimproveri! E fa anche più male, quando non si è rimproverati!… Ci compatirà Colui che tutti compatì, Colui che tutti e tutto comprese. Ed è Lui che verrà in quel giorno e dirà: Avanzatevi, uomini deboli; avanzatevi, immagini e impronte di bestialità! Venite anche voi! E diranno gli uomini assennati: Signore, perché accogli costoro? Ed Egli dirà: Per ciò li accolgo, perché non uno di loro si è mai stimato degno di questo. Così a noi Egli tenderà le sue mani, e noi allora comprenderemo tutto!” (libro 2°).
San Paolo ha definito Dio “Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione” (2 Cor. I, 3): è Lui che ha dato all’uomo il segno più evidente di amore col mandare suo Figlio nel mondo a morire proprio per i più bisognosi di misericordia, per i peccatori. Così, “per il grande amore col quale ci ha amati, Dio, ricco di misericordia, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo” (Ef. 2, 4). Da parte sua, la Chiesa ogni giorno, durante la celebrazione della santa Messa, si rivolge più volte alla misericordia del Padre incarnata in Gesù, Vittima della nuova alleanza fra l’uomo redento e il Padre celeste.
Giovanni Paolo II, nell’enciclica “Dives in misericordia” (pubblicata il 30 nov. 1980), fa notare che l’uomo arriva alla conversione di vita quando giunge a “scoprire la misericordia di Dio”, cioè quando diventa consapevole della scoperta dell’amore di Dio, che “oltrepassa la precisa norma della giustizia e si trasforma in misericordia”, apporta nell’uomo la rivelazione del volto paterno di Dio e la conversione interiore.
Con acume psicologico Dostoevskij ha osservato: “Volete castigare tremendamente, severamente un uomo, ma al fine di salvarlo e di rigenerare la sua anima per sempre? Schiacciatelo con la vostra misericordia, mostrategli l’amore, ed egli maledirà il suo operato. Quest’anima si dilaterà, sarà schiacciata dal rimorso e dall’infinito debito che d’ora in poi le starà dinanzi” (In “I fratelli Karamàzov”, libro XII, 13).
Ma, se la scoperta personale della misericordia divina spezza il cuore e rende bruciante il pentimento – dando inizio alla nuova storia di una graduale rigenerazione – colui che ha sbagliato e confessandosi si è pentito della sua colpa, deve cessare di angosciarsi. Cristo, per bocca del sacerdote, gli ha aperto le braccia della divina misericordia e lo ha invitato alla serenità, ad “andare in pace”. Per cui nei disegni di Dio anche la brutta esperienza del male può diventare punto di rilancio della propria vita.
Diceva Fulton Sheen: “La tempesta rivela la fragilità del tetto, ma la parte danneggiata e poi riparata può diventare più tardi la più resistente. La pelle che si forma sulle cicatrici è la più solida. Il peccato sopraffatto può diventare la forza più grande”.
E ancora Dostoevskij, per bocca dello stàrez Zosima, ammonisce: “Non farti prendere dall’angoscia. Basta che il pentimento non ti si indebolisca dentro, e Dio perdonerà tutto. Nel mondo intero non c’è e non ci può essere un peccato tanto grave, che il Signore non lo perdoni a chi se ne pente proprio di cuore. Al pentimento sì, pensaci sempre, ma la paura scacciala via senz’altro. Abbi fede che Dio ti ama tanto, che tu non puoi neppure immaginartelo: ti ama nonostante il tuo peccato. E tu se provi pentimento, vuol dire che ami. E se amerai, tu sarai già di Dio” (In “I fratelli Karamàzov” II, 3).
Chi ha invocato e ottenuto il perdono di Dio deve avere il coraggio di perdonare se stesso. E’ una forma di “carità” difficile il riconciliarsi con sé, ma è necessaria per vivere. E certamente è salutare aver presente la buona novella evangelica: Dio non ci chiede altro che di riconoscere gli errori, di perdonarci, e poi di unire la nostra buona volontà alla sua grazia per rimediare alle storture commesse.
Per cui noi, cristiani penitenti, cerchiamo tuttora di sintonizzarci interiormente con le sagge conclusioni espresse nell’”Imitazione di Cristo”: o Signore, se da una parte Tu ci dici: “I tuoi vizi e i tuoi peccati ti debbono affliggere più che ogni danno materiale” (libro III, 4); dall’altra parte ci suggerisci: “Stroncare ora i vizi e purgarsi ora dei peccati è miglior cosa che lasciarli da purgare in futuro. Nel giorno del giudizio nessuno potrà essere scagionato e difeso da altri. E’ adesso che la tua fatica è producente; è adesso che il tuo dolore può ripagare il male compiuto e renderti puro. Impara a patire un poco adesso, affinché allora tu possa essere liberato da patimenti maggiori” (libro I, 24).
Ed ecco sminuzzate ogni giorno le occasioni propizie per sdebitarci di peccati ed omissioni di bene: noi, che ancora sperimentiamo la misericordia di Dio, siamo chiamati a “usar misericordia” verso gli altri. Alla fine della vita (e della storia umana) tutti saremo giudicati sugli atti concreti della nostra misericordia verso i fratelli: con i quali Cristo si identifica. Per cui, se noi ci impegniamo ad esercitare la misericordia nei tre piani delle opere, delle parole e della preghiera, allora ci modelliamo a Cristo, cioè ci comportiamo da misericordiosi verso le persone vicine. E così siamo sicuri di continuare, nella vita presente e futura, a trovare misericordia e grazia presso Dio Padre.

A
s
c
o
l
t
a

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“Gesù è venuto sulla terra per dare la vita all’uomo, la vita divina, piena e sovrabbondante, emanazione di quella stessa di Gesù che è Via, Verità e Vita.

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ultimo aggionamento 13 giugno, 2009