La lettera

 

Collevalenza
le braccia aperte

Carissimo,

non so se, un giorno, tornerò a Collevalenza. So che ci sono stato, e ringrazio sempre il Signore che mi ha chiamato qui.
Qui — dove c’era un «roccolo» per gli uccelli, che oggi è diventato il «roccolo» della misericordia di Dio — ho baciato anch’io le mani di Madre Speranza.
Un’umile Suora che si è fatta amore di Dio perché Dio potesse parlare con il suo amore. Che è diventata quasi un’assurdità nelle mani di Dio, un arrancare impossibile per tenere il passo con gli appuntamenti, le date, le prospettive del Padre, dinanzi al quale si è posta come inginocchiatoio di fede.
Dicevo, un’umile Suora.
Uno sguardo vivace, profondo, ostinato di amore verso il Crocifisso tutt’uno con l’Ostia.
Un’anima tenera, come il giglio che sboccia nel cuore della Madonna a Lei così cara.
Una spiritualità di fiducia e di abbandono che, portando avanti il messaggio di santa Teresa di Gesù Bambino, diventa parola, animazione, segno di Dio, di questo «Padre pietoso» che alza il «sudario» di ogni uomo per ricrearlo della sua stessa vita infinita.
Di questo Padre che manda il Figlio stesso — come dice Isaia — “a dare agli afflitti di Sion l’olio di gioia invece che abiti di lutto”. Il Padre amante dei figli, come se “non possa essere felice senza di loro”.
Dalla notte di Natale del 1930 alla festa dell’Assunta del 1951 ad oggi, è una risposta sempre crescente al desiderio di Dio che convoca ogni giorno, in pellegrinaggio di fede, moltitudini di anime da tutte le parti, dalle strade più lontane, per farsi sentire con la voce di una Suora che è diventata annunzio e richiamo di un campanile altissimo.
Quasi un mattutino di cieli e terra nuova, anticipo di un alleluia, introito di una Messa per l’abbraccio universale dei fratelli con il Padre.

Nino Barraco

 

Articolo precedente

Articolo successivo

[Home page | Sommario Rivista]


realizzazione webmaster@collevalenza.it
ultimo aggionamento 13 giugno, 2009