STUDI

L. S.

Il problema di Dio nell’uomo moderno

 

Di fronte alla perfezione delle innumerevoli creature circostanti, -che in bellezza e splendore si dirigono verso un fine sapientissimo, a loro prefissato e da loro non conosciuto, -gli animi attenti si aprono allo stupore. A questo senso di meraviglia segue l’indagine sulla causa primaria che fa sussistere ogni cosa. Per cui la ricerca dell’Assoluto è conseguente alla propria capacità di stupore di fronte all’intera creazione dei sei giorni.
Chi guarda tutte le cose con occhi incantati, giocondi, riconoscenti si accorge insieme a Simone Weil che “la sostanza di questo universo in cui viviamo è amore… La bellezza del mondo ci parla dell’amore divino, che ne è l’anima. Ci sono purtroppo molti momenti in cui non siamo sensibili alla bellezza del mondo, perché uno schermo si pone tra essa e noi, siano gli uomini o le brutture della nostra anima. Ma nella luce della realtà tutto è in sé mediazione divina”.
L’uomo d’oggi, ossessionato dal guadagno e frastornato da tanti richiami, non concede che occhiate fugaci ai tramonti, alle gemme sboccianti, al volo triangolare d’uno stormo, al viso d’un fanciullo: non è in comunione col mondo, non gode di visioni, non avverte quel dialogo d’amore che lega l’intera creazione e la finalizza. C’è bisogno di fare una sosta e di stabilire il deserto intorno a sé e dentro di sé: quando tutto tace, ogni creatura diventa una parola di Dio, un segno della sua presenza, una voce che l’annuncia.
Tutta la realtà circostante irradia di continuo messaggi cifrati ed eloquenti; ma questi suscitano vibrazioni, riscuotono echi solo in quanti si aprono al visibile con un’attenzione acuta, e custodiscono la capacità di incantarsi. Lo scienziato Teilhard de Chardin esclamava: “Per impadronirvi di me, o mio Dio, Voi che siete il più lontano e il più vicino, vi servite e vi alleate con l’immensità del mondo e l’intimità di me stesso”.
Oggi, però, quanti sono quelli che per un momento si slegano dalle strettoie delle necesità e dalle ansie quotidiane, e fermano uno sguardo meditativo su qualcuna delle policrome creature squadernate per ogni dove dalla magnificenza di Dio? Quanti dalle vetrine dei negozi passano ad osservare la meravigliosa vetrina della creazione? E c’è qualcuno la sera che sollevi gli occhi al di sopra dei luminosi cartelli pubblicitari e guardi il cielo stellato, che pure ha ispirato santi ed artisti, filosofi e scienziati?
Per troppe persone Dio, più che una realtà, è solo una esigenza, avvertita con maggiore intensità quando più sconcerta l’esperienza quotidiana. Si dubita dell’esistenza di Dio, ma di Lui si ha bisogno per soddisfare la necessità di dare un senso alle proprie azioni. L’uomo d’oggi, più è civilizzato, più si sente isolato ed orfano, con addosso una insicurezza esistenziale; così si volge a Dio come a un punto fermo al quale ancorarsi.
Vediamo così un ritorno di religiosità in tanti giovani e adulti, che alla caduta dei grandi miti hanno avvertito un vuoto d’anima che li ha richiamati a Dio. Anche il mondo degli intellettuali e degli scienziati mostra segni evidenti di cercare una luce che li guidi nel bivio della vita.
Per bocca del fisico Antonino Zichichi la scienza ammette che esiste un ordine nella natura, un “disegno” nell’universo; ma la comprensione della “ultima verità” non è affidata all’elaborazione di eleganti schemi matematici, e va cercata sul piano trascendente. Quindi è “ragionevole” affidare alle motivazioni di fede le risposte ai grandi interrogativi che coprono il mistero di Dio, e avanzare nella vita con una invisibile luminosa Presenza. René Le Senne rilevava: “La prova principale dell’esistenza di Dio è la gioia che si prova pensando che esiste”.

È appagante la vita costellata di verità supreme

La nostra anima è assetata di luce, cioè di verità. Come il sole è la salute del corpo, la verità è la salute dell’anima. Il bisogno di verità, come “svelamento”, accompagna da sempre il cammino dell’uomo: egli nasce col desiderio di esplorare l’ambiente in cui si muove, va a scuola per conoscere il mondo in cui vive, si ripiega su se stesso per sapere com’è fatto internamente, interroga la religione per dare una soluzione ai problemi fondamentali della vita.
Nel 1912 uno scrittore di punta confidava: “Non voglio più vivere sbattutto, come ora, tra il dubbio e la negazione. Ho bisogno di qualcosa di vero… di una verità che mi faccia toccare la sostanza più intima del mondo; che sia il sostegno ultimo, il più solido, una verità, insomma, che sia una conoscenza definitiva, autentica, assoluta. Senza questa verità non riesco più a vivere; e se nessuno può rispondermi, cercherò nella morte la beatitudine della piena luce o la quiete dell’eterno nulla” (Giovanni Papini prima della conversione, in “Un uomo finito”).
Il fondo dei nostri desideri è conoscere la parte eterna di noi stessi, vedere quello che siamo nel tempo presente e già in Dio, grazia alla nostra essenza eterna. Nella vita, il camminare non ha valore; ciò che importa è l’orientamento, “la navigazione” verso un approdo di luce piena.
Costantemente noi tendiamo a ricercare la verità sulla nostra esistenza, sul mondo in cui viviamo, su tutta la realtà che scopriamo attraverso contatti e conoscenze. Ma, nella sua ansia verso l’infinito, ognuno vorrebbe anzitutto approdare a una risposta convincente alle domande che appartengono alla sua persona: “Chi sono? Verso dove sto andando? C’è una vita dopo questa esistenza?”.
Percorrendo l’arco della vita, noi più volte rimescoliamo le carte della mente, rimettiamo in discussione le verità poste a base dell’esistenza, sino a quando ci adagiamo sulla poltrona delle nostre persuasioni definitive. Ma oggi molti non hanno un patrimonio di valide idee orientatrici, di valori propulsivi: la loro vita è fondata sull’effimero, sul pragmatismo: è la filosofia delle bestie, per le quali il sopravvivere è la suprema legge. Negli uomini di cultura, poi, sono più numerosi “i punti interrogativi” che non “i problemi”: essi non cercano tanto la discussione quanto una risposta; ciò che desiderano è la sicurezza nella verità.
A tal proposito è difficile che qualcuno si converta alle idee o verità altrui, specialmente se queste riguardano l’impostazione di vita: ognuno agisce secondo le sue convinzioni e si schiera con quelli che la pensano come lui. Quando arriva un altro a parlare di verità che sono al di fuori delle idee comuni, o si presta scarsa attenzione o ci si mette contro. A Gesù un giorno capitò di essere respinto dai suoi paesani di Nazaret, dopo aver annunciato a loro la verità: essi non erano disposti ad accogliere quanto diceva lui, figlio d’un falegname, senza il contorno visivo di qualche miracolo.
Anche noi tante volte siamo inclinati a chiuderci nei nostri piccoli schemi, se non vediamo qualcosa di miracoloso, di scioccante, che dia una sterzata alla nostra vita. Benché pilotati da idee religiose, nella pratica quotidiana all’invisibile preferiamo il visibile, e aspettiamo qualcosa di straordinario, un segno dal Cielo, per dare una traiettoria spirituale al nostro cammino. Quando non arriva questo segno né da Dio né dai santi, parecchi battezzati ricorrono a fattucchiere, a medium, ad astrologi. Per cui, anche se ognuno di noi crede in Dio, a molti manca una solidità interiore, un patrimonio di verità personalizzate.
Tutti abbiamo una mente e un cuore fatti per conoscere la verità e per amarla in un ideale personalizzato; e tutti vorremmo certezze che ci facciano toccare la sostanza intima delle cose e di noi stessi. Ma ci accorgiamo che da soli non siamo capaci di sapere la verità sulle tre cose che più ci interessano: la vita, la morte e l’amore.
Noi moderni sappiamo molto su svariati argomenti; ma dobbiamo deciderci a ricorrere a Dio e a fidarci di Lui per conoscere la verità sulla nostra origine e sul nostro destino, per sapere a cosa serve la vita, e a chi donare tutta la carica del nostro amore. Se invece andiamo nel campo dei razionalisti e dei gaudenti, non troviamo più luce alla nostra mente, né maggior riposo alla nostra inquietitudine.
Per cui le questioni fondamentali della vita ci pungolano ad andare al di là dell’immediato, a considerare “i valori spirituali”, passando dal piano immaginato al piano della realtà. Ecco allora la fede: che insegna e comunica un arcobaleno di verità portatrici di “valenza salvifica”, in quanto ci mettono in stretto contatto con Gesù di Nazaret, l’Uomo-Dio rivelatore di verità supreme, che trasfigurano l’esistenza umana dandole un senso di sublimante elevazione. Questa benefica fede è il frutto della verità ricercata senza pregiudizi e condizionamenti passionali; ed è la cosa più importante da offrire a se stesso e da conservare viva.
È diversa la visione della vita, ed è diverso il comportamento tra chi ha fede e chi ne è privo: la persona ricca di fede manifesta una concezione unitaria della vita e una capacità nuova di giudicare, di amare, di gioire, di soffrire, di agire; mentre chi è privo di fede manca di una panoramica del mondo nella sua totalità, e non entra in quel fascio di luce che colorisce la solitudine esistenziale.
Che vale all’uomo di cultura e al professionista di oggi aver appreso tante verità naturali e scientifiche, se poi essi non conoscono il senso della vita e della morte, se quanto hanno imparato non li ha fatti progredire nell’essere più che nell’avere? La cultura è una gran bella cosa, ma troppe volte sforna dei presuntuosi che credono di possedere tutt’intera la verità, perché non vanno al di là della loro visuale. Per cui la verità va ricercata instancabilmente ed accettata incondizionatamente, quando si manifesta alla propria coscienza: questo è indispensabile, per vivere da uomini e non da degradati.
Infine bisogna tornare a riflettere che nella profondità del nostro cuore permane sempre la nostalgia della verità assoluta e la sete di giungere alla pienezza della sua conoscenza. E allora da parte nostra custodiamo bene quella costellazione di verità supreme che abbiamo personalizzato, rimpolpiamole di ulteriori motivazioni, e soprattutto incarniamole, cioè facciamole diventare realtà col nostro comportamento. In tal modo noi diventiamo “figli della luce” (Ef 5,8), e ci santifichiamo con “l’obbedienza alla verità” (I Pt, 22).


Nella profondità del nostro cuore permane sempre la nostalgia della verità assoluta.

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ultimo aggionamento 15 luglio, 2002