STUDI

L. S.

Dovunque c’è l’esigenza impellente di un apostolato intraprendente

 

Il mondo non è una sala d’attesa per il viaggio dell’anima verso il Cielo, ma il teatro della nuova creazione. Da ogni parte s’invoca l’acqua rigeneratrice, ma sono sempre più numerose le anime sole senza attenzione altrui, il confronto a quelle che si acquistano. Anime che hanno fame e sete di Dio, che sentono il vuoto interiore e una struggente nostalgia di realtà soprannaturali, esistono in numero superiore ad ogni immaginazione, specialmente oggi in cui quanto può offrire la terra è così accessibile e demoralizzante.
Ora, ogni cristiano – seguendo l’esempio di Gesù, che diceva: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra” – dovrebbe essere un incendiario. È questo un dovere inerente al battesimo; e il cristiano è l’uomo con una investitura missionaria a cui Dio ha affidato altri uomini. Nel suo bel libro “Il dovere e il sogno” Maria Sticco diceva: “Ogni cristiano innamorato del suo Maestro e della sua fede è necessariamente un apostolo, e con l’esempio, la preghiera, la sofferenza, l’insegnamento diffonde l’idea divina”.
Il Cristianesimo autentico è salvarsi con i fratelli, far sentire Dio presente agli altri com’è divenuto presente a se stesso. Il proprio dono a Dio è di dissetare la sete di amore di Cristo sulla croce. Da parte sua, lo Spirito di Dio, quando trova un’anima “molto inclinata a far del bene” come la Prassede manzoniana, apre innanzi ai suoi occhi orizzonti nuovi, e fa questa cosa sublime di servirsi degli uomini per salvare altri uomini.
Zelo equivale a passione; e come c’è la passione del male, così c’è pure la passione del bene. Per essere apostolo oggi ci vuole l’amore appassionato a Cristo, un amore che si effonde in testimonianza e azione. Diceva Madre Teresa nell’anno 1976: “Noi ci sforziamo di fabbricare bombe di amore, di preghiera e di sacrificio, per far arrivare al cuore di tutti l’amore di Dio”. E Giovanni Paolo II – nell’udienza del 21 febbraio 1979 – ha precisato che “evangelizzare vuol dire far presente Cristo nella vita dell’uomo, fare tutto il possibile affinché l’uomo creda, ritrovi se stesso in Cristo”.
Ma nella tattica apostolica il compito principale è la formazione dell’uomo: quando la persona è adulta interiormente, - passando da una religiosità solo di pratica a una fede viva d’incontro con Cristo – diventa lievito umano, valevole a fermentare la massa. Certamente è difficile creare attorno a sé un gruppo di persone formate spiritualmente, capaci di collaborare e di essere animatrici, molle di cambiamento. Ma è necessario costituire efficaci strumenti di evangelizzazione nelle famiglie, nei posti di lavoro, negli ambienti sociali.
E, per ottenere buone realizzazioni, l’attività apostolica deve avvantaggiarsi dei modi concreti e pratici delle donne nel risolvere le situazioni, e della decisione più rapida e sicura degli uomini. Poi come collaboratori vanno scelti coniugi adulti: sebbene i giovani siano più ricettivi agli insegnamenti, socialmente non sono tenuti in molta considerazione e non hanno la stessa autorità degli adulti pienamente integrati nella comunità.
Invece i ragazzi costituiscono il più valido mezzo di evangelizzazione nelle famiglie. Ma prima bisogna guardarsi in volto tra sé e loro. Scriveva il 14 gennaio 1924 don Primo Mazzolari: “Parecchie sere la settimana raccolgo i giovani più vicini in casa mia e con loro passo qualche ora giocando e leggendo un poco. Mi avvedo che la coscienza riceve di più da questi contatti, che non da tante prediche. Per questa via s’arriva meglio a correggere le storture, le grossolanità, i pregiudizi: si sciolgono i giovani dal rispetto umano, e si intrattiene con loro un rapporto amichevole che aiuta l’intendimento reciproco”.
Inoltre alle mamme preoccupate per i figli vacillanti nella fede si suggerisca di portare in casa libri che trattino problemi religiosi, con particolare riguardo a quelli dei giovani, di fare l’abbonamento a una rivista o giornale cattolico che arrivi settimanalmente in famiglia. Non c’è bisogno di dire ai figli di leggerli: libri e riviste si fanno reclame da sé.
Insomma l’apostolato occorre intraprendenza, mettendosi ad agire, senza abbondare nei ragionamenti. Anche per l’apostolato vale il proverbio: “Dove c’è una volontà, c’è una via d’uscita”. Per cui bisogna operare con rinnovato entusiasmo, e lasciare a ciascun collaboratore la possibilità di esprimere tutta la propria forza creativa, mettendo in moto la carica ideale che ha dentro di sé.
Ancora va detto quanto sia prezioso abituarsi a cogliere “qualsiasi occasione” per spargere il seme della buona parola: essa è portatrice di un messaggio o di un’idea che suggerisce un orientamento di vita. Parlando all’Unitalsi il 2 febbraio 1981 Giovanni Paolo II osservava che “una buona parola è presto detta; eppure a volte ci torna difficile pronunciarla. Un gesto affettuoso, un cenno di attenzione e di cortesia può essere una ventata di aria fresca nel chiuso di un’esistenza, oppressa dalla tristezza e dallo scoraggiamento”.
Infine, - anche se è cosa lodevole dedicare parte del proprio tempo libero a far compagnia a persone sole, che aspettano con ansia una “visita” – l’impostazione di vita apostolica è di ricercare il contatto umano con tutti, senza lasciarsi incapsulare in un cerchio di amicizie e di preferenze. Diceva l’abate Perreyve nel secolo scorso: tante volte si trascurano i 99 che si perdono per il centesimo che si fa perire per eccesso di cure.
La maggioranza dei battezzati è lontana dalla Chiesa ed è trascurata; ma spesso quel che di valido c’è nei cuori dei lontani coincide con l’umanesimo profondo del Vangelo. Per cui se si ha l’impegno di starli ad ascoltare, ci si accorge che proprio durante i loro racconti e le loro chiacchiere si crea un senso di confidenza, di fiducia, di fraternità.
In breve, va concluso che l’evangelizzazione è anzitutto rapporto umano, più che insegnamento. E chi viene continuamente a contatto con le vite e i problemi di tutti, senza alcuna distinzione, esercita la migliore presenza evangelizzatrice; e domani riceverà dal Signore la mercede degli evangelizzatori.

Ci procuriamo una pienezza di vita praticando la nostra fede

Nel suo bel libro “Nessun uomo è un’isola” Thomas Merton scriveva: “Si vive da uomo solo se si conosce la verità, e si ama quanto si conosce, e si agisce secondo questo amore. Così si diviene la verità che si ama… L’uomo è stato fatto per una verità più grande di quella che può scoprire con la sua sola intelligenza, per un amore più grande di quello che la sua volontà da sola può raggiungere, e per un’attività morale più alta di quella che mai abbia potuto concepire la prudenza umana”.
La nostra vita raggiunge la sua perfezione quando, assoggettato il corpo, ci divinizziamo facendo unità con Cristo. Se il nostro spirito riposa in Dio, diventiamo pienamente persone, la cui esistenza ha qualcosa della pace conventuale: un fuoco intenso e tranquillo, ravvivato da raro splendore. Pascal esortava a fare le piccole cose come se fossero grandi perché Dio vive la nostra vita, e le grandi cose come se fossero piccole perché Dio è onnipotente.
Il vero credente vive in una perenne primavera spirituale, ricca di promesse. Per lui le realtà quotidiane diventano cose sacre, ricevono nuovo contenuto: sono l’immagine vivente della realtà eterna. I fatti quotidiani e gli avvenimenti della storia, indecifrabili sul momento, egli li giudica come geroglifici della Provvidenza. Leon Bloy diceva: “Tutto ciò che succede è adorabile”.
Nella luce di Dio la realtà è più bella del sogno, supera l’immaginazione. La vita nella fede è inesauribilmente bella e buona: è una grande corrente d’amore. E chi convive con Dio si sente mirabilmente calmo: nonostante tutto, al fondo di se stesso, gode la pace e una quiete e forte gioia. Anche in mezzo alle contrarietà, nel segreto della sua anima, trova la serenità in Dio, come l’azzurro del cielo resta sereno al di sopra delle nubi tempestose.
Il salesiano don Rinaldi diceva: “Fare il proprio dovere con semplicità, con volto sereno è l’omaggio più gradito che possiamo fare a Dio, e la via migliore per santificarci”. Perciò il suo programma era di essere allegro e sempre buono.
Il vero cristiano suscita inquietudine negli altri per il modo in cui vive, ed anche per quella specie di gioia che respira. Purtroppo sono pochissime le anime che hanno dato al Signore la libertà di fare di esse ciò che Egli desidera col suo ardente amore. Per cui vediamo un cristianesimo impersonato da quelle poche persone che hanno provato nel corpo e nell’anima l’enigma di Dio.
Da parte sua, l’uomo di oggi, vivendo intensamente con i sensi, non si lascia persuadere da ragionamenti, astrazioni e principi, per penetrare nel mondo misterioso della fede. Vorrebbe vedere uomini in lotta con la dura realtà quotidiana e che vivano di Dio come le piante vivono di luce, per convincerlo della potenza di vita contenuta nel cristianesimo. Ma le deformazioni delle persone di fede sono più appariscenti delle loro verità: ancora troppi cristiani si fanno soltanto “portatori” anziché “facitori” di grandi parole, ripetute ma non rivissute.
E allora noi di buona volontà – a cominciare da me e da te – chiediamo umilmente al Signore di rafforzarci con la sua grazia nella capacità personale di rendere “fatto” ciò che potrebbe rimanere solo “parola”. Anzi, di diventare testimoni viventi di parole fattesi azioni.


"Annegami tutto nell’abisso del tuo amore e della tua misericordia e rinnovami con il preziosissimo Sangue con il quale mi hai riscattato".

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ultimo aggionamento 15 luglio, 2002