DONO E
MISTERO

Domenica 13 maggio 2001, l'Università cattolica di Lublino ha conferito a Mons. Stanislao Dziwisz la Laurea honoris causa in Teologia e Lui ha preso la parola per ricordare l'evento del 13 maggio 1981. Ne riportiamo dall'Osservatore Romano una parte.

Dono è stato il ritorno, dirò: il miracoloso ritorno del Santo Padre alla vita e alla salute. Un mistero rimane – nella dimensione umana – l’attentato. Infatti non l’ha chiarito il processo né la lunga carcerazione dell’attentatore. Sono stato testimone della visita del Santo Padre ad Ali Agca nel carcere. Il Papa lo aveva perdonato pubblicamente già nel suo primo discorso dopo l’attentato. Non ho udito una parola di richiesta di perdono da parte del carcerato. Lo interessava soltanto il mistero di Fatima – turbato dalla forza che l’aveva superato. lui aveva mirato bene, ma la Vittima era rimasta in vita. Nell’anno del Grande Giubileo il Santo Padre si è rivolto tramite una lettera al Presidente della Repubblica Italiana perché Ali Agca fosse liberato: questa domanda – si sa – è stata accolta dal presidente Carlo Azeglio Ciampi. Il Santo Padre ha accolto con sollievo la scarcerazione di Ali Agca. Più volte aveva ricevuto sua madre e i suoi familiari. Spesso domandava di lui ai cappellani dell’istituto di pena.

Nella dimensione divina il mistero è costituito da questo drammatico evento, che ha fortemente indebolito la salute e le forze del Santo Padre ma allo stesso tempo non è rimasto senza effetto circa i contenuti e la fecondità del suo ministero apostolico nella Chiesa e nel mondo. Ricordo che durante un colloquio il Santo Padre ha confessato: "E’ stata una grande grazia di Dio. Vedo in questo un’analogia con la prigionia del Primate. Solo che quell’esperienza durò tre anni, e questa...".

Penso che non sia un’esagerazione applicare in questo caso il detto antico: Sanguis martyrum semen christianorum. Forse c’era bisogno di quel sangue sulla Piazza San Pietro, sul luogo del martirio dei primi cristiani. in questo contesto mi vengono in mente quattro riflessioni.

Senza dubbio, il primo frutto di quel sangue versato fu l’unione di tutta la Chiesa nella grande preghiera per la salvezza del Papa. Lungo l’intera notte che seguì l’attentato, i pellegrini venuti per l’Udienza generale e una sempre crescente moltitudine di romani, pregavano in Piazza San Pietro. Nei giorni successivi, nelle cattedrali, nelle chiese e nelle cappelle del mondo vennero celebrate Sante Messe e si offrirono preghiere secondo le sue intenzioni. lo stesso Santo Padre diceva a questo proposito: "Mi è difficile persare a tutto questo senza commozione. Senza una profonda gratitudine verso tutti. Verso tutti coloro che il giorno 13 maggio si sono riuniti in preghiera. E verso tutti coloro che hanno perseverato in essa per tutto questo tempo. (...) Sono grato a Cristo Signore e allo Spirito Santo, il quale mediante questo avvenimento che ha avuto luogo in Piazza San Pietro il giorno 13 maggio alle ore 17,17 ha ispirato tanti cuori alla comune preghiera. E pensando a questa grande preghiera, non posso dimenticare le parole degli Atti degli Apostoli, che si riferiscono a Pietro: "Una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui" (At 12, 5)" (7 ottobre 1981).

In quei giorni giungevano espressioni di benevolenza anche da numerosi ambienti non propriamente legati alla Chiesa, da Capi di Stato, da Rappresentanti di organizzazioni internazionali e dei vari organi politici e sociali di tutto il mondo. Sembra che i sentimenti che venivano espressi allora contribuissero a formare fino ad oggi il loro riferimento al Santo Padre quale Autorità morale nel mondo.

La premura per la vita e la salute del Papa si manifestò non soltanto nella Chiesa cattolica ma anche nelle comunità di altre confessioni cristiane, e perfino di altre religioni. Ricordo che al Segretariato per l?unione dei Cristiani giungevano centinaia di telegrammi dai loro rappresentanti. Da Costantinopoli arrivò un inviato speciale del Patriarca Demetrio, per esprimere la profonda partecipazione alle sofferenze del Vescovo di Roma. C’erano i telegrammi inviati dal Patriarca di Mosca, di Gerusalemme, dell’Armenia e di molte altre Chiese ortodosse. C’erano i telegrammi del Primate della Comunione Anglicana, ed anche dei Capi di numerose somunità protestanti. Sono profondamente convinto che la sofferenza del Papa ha portato un enorme contributo all’opera dell’unità dei cristiani, alla quale Egli è così dedito.

Ho già menzionato che per quel giorno diventato memorabile era previsto a Roma una grande manifestazione promossa da ambienti che si pronunciavano a favore del diritto all’aborto. manifestazione che, a causa dell’attentato, fu revocata. Nei disegni della Divina Provvidenza nulla avviene a caso. Può darsi che ci fosse bisogno di quel sangue innocente e di quella disperata lotta per la vita, affinché si risvegliasse nelle coscienze degli uomini la consapevolezza del valore di essa e la volontà di custodirla dal concepimento fino alla morte naturale. Il fatto che in quel giorno furono istituiti sia l’Accademia Pro Vita e sia l’Istituto per la Famiglia presso la Pontificia Università Lateranense sembra confermare tale intuizione. Indipendentemente dallo stato effettivo delle leggi e dei costumi, nella questione del rispetto per la vita nelle società contemporanee, si può dire che l’impegno del Santo Padre e della Chiesa a favore della famiglia e della vita concepita trovò in quel giorno un nuovo impulso ed una motivaione esistenziale.

Certamente si potrebbe approfondire di più il mistero dell’attentato, di quella lotta per la vita e la salvezza del Santo Padre, citando ulteriori frutti che si sono avuti e che oggi, a vent’anni di distanza è possibile individuare. Sono tuttavia consapevole che il suo senso definitivo rimarrà negli inscrutabili voleri della Divina Provvidenza. Nondimeno a questo punto desidero esprimere una profonda convinzione che il sangue versato in Piazza San Pietro il 13 maggio fruttificò con la primavera della Cgiesa dell’Anno 2000. Non cesso di rendere grazie a Dio per questo dono e per questo mistero di cui mi ha concesso di essere testimone oculare. A conclusione di questa testimonianza voglio citare le parole del Cardinale Wojtyla tratte dal poema Stanislaw: "Se la parola non ha convertito, sarà il sangue a convertire".

S.E. Rev.ma Mons Stanislao Dziwisz
Prefetto Aggiunto della Casa Pontificia

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ultimo aggionamento 28 giugno, 2001