STUDI
 
L. S.

La magnificenza
dell'uomo è nella
bipolarità di corpo
e di spirito

Ognuno di noi è come un cocktail, miscelato di una consistenza cellulare e di vitalità spirituale, entrambe amalgamate da Dio in mirabile unità. Ma ciascuno rimane sempre un essere complicato, con degli istinti di bruto e dei sogni d’angelo: qualche cosa di miserabile e di grande, raggrumata in un mendicante sublime, proteso alla continua ricerca d’infinito. Il corpo non è che il tempio dello spirito; e quest’ultimo ha “la mania” di rivolgere lo sguardo in alto, nonostante le sue frequenti meschinità.
Ben pochi come sant’Agostino hanno visto la grandezza e la miseria dell’uomo. Per lui l’essere umano è un abisso che non finisce di stupire; e lo stupore nasce dall’ammirazione per le meraviglie del suo corpo, per la molteplicità dei sentimenti del suo cuore, per la profondità abissale della sua memoria, per l’immagine divina impressa nel suo spirito arricchito di aspirazioni insaziabili e di libertà dicisionale.
Perché è immagine di Dio, l’uomo benché finito può raggiungere l’Infinito, avere un suo rapporto con l’Eterno, e sentire un inquieto bisogno del Bene Assoluto. Sant’Agostino, riferendosi al periodo antecedente la conversione, diceva a Dio: “io vagavo lontano da Te, e invece Tu eri dentro di me più intimamente della mia parte più profonda. Eri con me, e io non ero con Te”.
Ogni uomo ha un suo carattere sacro: è fatto per una misteriosa vita con Dio: è un essere dell’aldilà, anche se decaduto e perciò tormentato da forze malvage che lo attirano e lo inducono alle più strane complicità. Tuttavia è redento e quindi riafferrato dalla grazia di Cristo; per cui altre forze operano in lui, altri richiami lo strappano al male per relazionarlo a Dio. Così il mistero dell’uomo è in questa coesistenza dinamica di due forze, che in lui si disputano l’amore e la libertà.
Ma già sul piano esistenziale il paradosso dell’uomo è nell’essere profondamente uno nella natura, e tanto diverso nella sua composizione di materia e spirito, nei suoi sentimenti impastati di ragione e di senso, nei suoi desideri sbilanciati perennemente. Tutti siamo persone che, oltre a riportarsi dietro il peso della carne bramosa di piaceri terreni, avvertono il celeste richiamo ad associarsi agli angeli vivendo secondo lo spirito.
Siamo la sintesi di tutte le tendenze dell’universo: viviamo come le piante, sentiamo come gli animali, amiamo un ideale superiore come i puri spiriti. E poi dalla nostra nima divinizzata scaturisce l’impeto ad eternarci in ciò che amiamo. Piccoli esteriormente, diventiamo grandi internamente per la capacità di amore che abbiamo nel cuore, per “come” pieghiamo il nostro animo ad operare. Ma, quel che più vale, non siamo e non possiamo essere “totalmente” soddisfatti di quanto riceviamo: pur limitati in noi e nei nostri beni, cerchiamo instancabilmente qualcosa che ci appaghi “senza limiti”.
Ora, proprio questo essere inappagati e limitati, ci porta a considerare che la più intima realtà dell’uomo è di essere posto nell’esistenza per perfezionarsi con i propri mezzi, per “arricchirsi” sviluppando il corpo e lo spirito, per “possedersi” nella piena signoria di se stesso, e per “donarsi” nella comunione con gli altri. Rispondendo a questa chiamata, ‘luomo impiega tutto lo sforzo della sua libertà, per risalire il pendio dell’abitudine e rinunciare al possesso egoistico di sé.
Questo groviglio di carne, ossa, sangue e pensieri - che riempie le giornate di fatiche e speranze, di cadute e scrolloni, che soffre mal di denti e pene d’amore - è realmente un mistero. Nasce quando non sa e muore quando non vuole; non si accontenta di domande parziali, e nel suo vagare sente il bisogno “naturale” di Uno a cui domandare il senso della sua esistenza. È propriamente umana la vocazione di conquistare la terra e di mirare al di là di essa, di impegnarsi nel temporale e di guardare oltre il sensibile.
Ciascuno è un’anima in un corpo: ecco l’uomo secondo la filosofia umana; ma è pure un’anima in un corpo e Dio in quest’anima: ecco il dogma cattolico. Per amare l’uomo occorre vedere in lui qualcosa di più che l’umano: bisogna vedere in lui il divino. O si ama nell’uomo “l’immagine di Dio”, o diversamente si vede in lui un mammifero da sfruttare.
L’uomo è un palinsesto con una scrittura visibile e un’altra tra le righe: sotto la scrittura utilitaria è “l’aurea notizia” che Dio ama ogni persona, e le attribuisce un valore tanto grande da meritare l’incarnazione e la redenzione di Cristo.
Allora è essenziale avere una visione religiosa della vita, essere sempre il signore di se stesso, mettendo in accordo la parte divina di noi con l’infinito che ci sovrasta. Tale impostazione comporta il lavorio ininterrotto ad essere l’educatore di se stesso; ma dona pure la gioia indicibile di innalzare il cuore al livello dei propri sguardi, e di trasfigurare in contorni della propria esistenza. In tal modo la individuale biologia diventa biografia, meritevole di inserirsi nella storia comunitaria.

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ultimo aggionamento 15 luglio, 2002