STUDI
 

Dott.ssa Marina Berardi

 

AMORE e MISERICORDIA:
diritto di cittadinanza in ogni cultura

Dal mese di giugno 2002 abbiamo proposto ai nostri lettori uno stralcio della tesi di laurea discussa dalla dott.ssa Marina Berardi, presso la Facoltà di Scienze della Formazione della Libera Università “Maria SS. Assunta” (LUMSA), in Roma. Già più volte, sulle pagine di questa rivista, abbiamo ospitato alcuni suoi articoli, sempre attinenti al carisma e alla vita dell’ormai Venerabile Madre Speranza, di cui Marina ha seguito il Processo di Canonizzazione e le fasi successive. Come lei stessa dice, questo singolare “incontro” ed una particolare sensibilità verso il tema dell’educativo visto in chiave interculturale, hanno dato vita al titolo della tesi: AMORE e MISERICORDIA. Diritto di cittadinanza in ogni cultura? Contributo per una pedagogia interculturale. Da questo numero riproporremo solo la parte conclusisa, dopo aver pubblicato nel numero di giugno l'introduzione per aiutare il lettore ad inquadrare il lavoro nell'intero contesto. (N.d.R.)

(N.d.R.)

 

(seguito)

Per una carta
d’identità planetaria

Capitolo VI - AMORE E MISERICORDIA.

1. Carattere universale dell’amore

Lamore è un bisogno primordiale, non solo di ogni persona, ma anche di ogni cultura1. Come abbiamo visto, però, quando una cultura “è malata di immanentismo antropologico”2, quando è condizionata da un “materialismo di mentalità”3, difficilmente arriverà a scoprire l’amore, come un’energia nascosta in sé, capace di aiutarla a superare il limite e la finitudine e ad aprirsi al Trascendente.
Una cultura, per la Schindler4, va educata all’amore, con intenzionalità, diversamente sarebbe portata, direi “costretta”, a seguire le sue tristi “logiche”, che fanno riferimento a modelli utilitaristici e strumentali, come quelle del potere, dell’affermazione, del successo, dell’accumulazione, del piacere, del desiderio, del calcolo, che nulla hanno a che fare con la radicalità e la totalità esigita dall’amore5. Puntuale l’appunto di Kierkegaard: “Si son dette molte cose strane, deplorevoli, rivoltanti sull’amore, ma la cosa più stupida che mai si sia stata detta è che l’amore deve avere un limite”6.
La persona, l’unico essere del creato capace di prendere coscienza di sé, ha bisogno di amore, perché è garanzia del suo esserci, del suo sviluppo armonico, di un’identità integrata, della sua capacità di dono. Ha bisogno di sperimentare che l’amore è linguaggio, pienezza, stupore; è scoperta della datità e della propria inadeguatezza; è sofferenza, smarrimento e, al tempo stesso calore, luce, sguardo: è senso7.
Ciascuno di noi, tra le primordiali esperienze della propria vita personale, non farà fatica ad individuare quella dell’amore, vista come l’unica cosa necessaria, senza la quale la vita non ha spessore. Non parliamo dell’idealizzazione dell’amore, ma di quell’amore concreto, esperito nella vita reale, nella quotidianità e nelle sue diverse sfumature: il gesto di perdono di due coniugi, la tenerezza protettrice dei genitori verso i propri figli, la generosa e gioiosa dedizione accanto ad un malato, il servizio ai poveri. Per quanto questa lista potrebbe continuare all’infinito, sarebbe sempre e solo una cosa ad accomunare i singoli gesti: l’amore, “un linguaggio che – come ricorda Madre Speranza – tutti intendiamo immediatamente”8, soprattutto quando è espresso “non già con eloquenti parole ma con [una] vita di amore, sacrificio, abnegazione e carità”9.
Giovanni Paolo II, profondo conoscitore dell’anelito umano, è categorico nella Redemptor Hominis quando parla di questa realtà e verità ontologica: “L’uomo non può vivere senza amore”10. Se all’uomo non è rivelato e comunicato esistenzialmente l’amore, questi non è in grado di comprendere il senso della sua ed altrui esistenza, di coglierla come talento da far fruttare, come dono da mettere a servizio. Sono molti i disagi familiari e giovanili che alla radice hanno questa triste esperienza: non ci si sa dire ed esprimere l’amore in termini di gratuità, di perdono ricevuto e donato, di offerta, riservando gesti e parole per un mero scambio funzionale.
È l’amore quella forza misteriosa che invita e sospinge ogni creatura umana ad inchinarsi davanti ad una grandezza che, il più delle volte, si svela all’improvviso: quella dell’”altro” che è grande per ciò che è e non per quello che fa o che possiede, né per la reciproca utilità che ne potrebbe derivare. Ma questa esperienza presuppone il coraggio di lasciarsi condurre verso l’”altra riva”, dove, nella meraviglia del mistero si approda all’amore.
Quando la persona che ci si disvela è Dio, quando a lasciarsi incontrare è l’Amore con la “A” maiuscola, allora possiamo dire con verità, ciò che qualcuno ha detto per l’amore umano: “non siamo noi a vivere l’amore, ma è l’amore che vive noi11, riconsegnandoci la nostra stessa vita.
Sempre più spesso, infatti, le storie personali e sociali sono segnate da profonde ferite che lacerano l’esistenza, che frantumano l’unità della persona e della collettività, ed è necessario trovare chi “riconsegni” l’uomo e l’umanità a se stessa. “In questi tempi difficili e di lotte”12, è necessario che a questa nostra generazione “sia rivelato “il mistero del Padre e del suo amore””13, il mistero di un amore che “non si fa disarmare”14 ma che inventa sempre nuovi occasioni per usare l’unica sua arma: la misericordia.
É un amore capace di una gioia e di una festa preparate nell’instancabile cercare, inseguire, attendere…, e intimamente “legate” alla felicità dell’altro: richiedono una relazione di reciprocità, di familiarità. É questo l’annuncio per questi nostri tempi che è stato affidato a Madre Speranza, chiamata a gridare al mondo che “Dio è un Padre pieno di bontà che cerca con tutti i mezzi di confortare, aiutare e rendere felici i propri figli; li cerca e li insegue con amore instancabile, come se Lui non potesse essere felice senza di loro”15. Ha esortato e si è adoperata con tutte le sue forze umane affinché, nelle piccole e grandi circostanze della vita, si compia “tutto il bene possibile senza mai spegnere il desiderio di far felici gli altri”16.
Contrariamente a quanto si crede o si vorrebbe, la partecipazione a questo tipo di amore ha poco a che vedere con la felicità spensierata e giocosa. Passa, piuttosto, per la rinuncia di sé, per la sofferenza, la croce, perché “la scienza dell’amore si apprende nel dolore”17. Qui, paradossalmente, è il luogo dove l’uomo scopre di “essere vissuto” dall’amore, che “l’amore si alimenta di sacrificio e [che] per chi ama è dolce il patire”18.
L’amore autentico, pur attendendo reciprocità e corrispondenza, non si scandalizza davanti all’infedeltà, alla fragilità, ai dinieghi, al peccato individuale e dell’umanità ma, anzi, moltiplica (redobla – direbbe Madre Speranza) la sua tenerezza: “l’uomo, il più perverso, il più miserabile e perfino il più perduto è amato con tenerezza immensa da Gesù che è per lui un padre ed una tenera madre”19. Quale migliore icona della prossimità familiare, per esprimere la reciproca appartenenza nell’amore e all’Amore?

 

2. I “nomi” dell’amore

Nel parlare comune, la parola “amore” assume i più svariati significati e connota realtà diversissime. É stato detto che “l’amore ha più di un nome”, probabilmente alludendo ad una certa ambiguità che tale termine nasconde. In effetti, viene usato per indicare realtà ed esperienze che non hanno nulla in comune tra loro: l’essenza di Dio, i legami familiari o amicali, la pornografia, ecc.
Non credo occorra soffermarsi oltre sul fatto che il termine è adoperato in modo spesso improprio o che sia, per così dire, inflazionato e strumentalizzato. Tutto ciò potremmo coglierlo come l’indice della rilevanza che tale tema riveste per la vita di ogni essere umano. Esulando da ciò che è pura mistificazione dell’amore, tentiamo ora di dare un nome a quelle espressioni più autentiche di amore che permettono all’uomo di entrare in relazione con l’altro da sé.

L’eros, inteso come passione, desiderio, forza creatrice, attrazione, coinvolge la corporeità dell’uomo, maschio e femmina, ciascuno in sé compiuto, ciascuno che desidera completarsi nell’altro.
Non sempre, però, riesce a rimanere “segno” di reciprocità perché, se disgiunto dall’affettività e dalla tenerezza, può trasformarsi in possesso, dominio, aggressività. In questo senso è un eros che “ha bisogno di aiuto, […] di essere governato”20, affinché ciò che percepisce solo come oggetto in rapporto al proprio bisogno, divenga invece soggetto, senza il rischio di far fare all’altro la fine di un pacchetto di sigarette vuoto: essere gettato via21.
Purtroppo, nell’età postmoderna, come nota Russo, questa è la funesta realtà di un eros “esploso in pratiche [...] sganciate l’una dell’altra ed ognuna autosufficiente; ognuna contiene in sé la propria legalità. L’Eros si è pluralizzato. Non più il maiuscolo “Amore”; ma tanti minuscoli “amori””22.

Quel tipo di esperienza che ci accomuna al mondo animale perché non deriva e non richiede doti specificatamente umane è indicato da Lewis con il termine affetto (per i greci storge).
In particolare identifica quel reciproco legame che unisce qualsiasi essere vivente con la sua prole, dove l’amore si esprime nel reciproco bisogno-necessità di donare e di ricevere.
Proprio perché irrazionale, “questa specie d’amore ignora le barriere di età, sesso, classe sociale, educazione”23 e, aggiungiamo noi, di cultura e nazionalità. Inoltre, per la sua caratteristica di connaturalità, di umiltà e modestia, questo sentimento nasce senza che ce ne accorgiamo ed è pronto ad aprirsi a tutti, rendendo l’ambiente e coloro che ci circondano familiari.

La philìa indica, invece, l’amicizia, che acquista i connotati del rispetto, disinteresse, libertà, reciprocità, fiducia, condivisione, cooperazione, solidarietà, ritualità. “La vera amicizia è rara”, si sente ripetere spesso. In effetti essa non è qualcosa di connaturale, di spontaneo, di istintivo, ma fa riferimento ad una “vicinanza per somiglianza”24, ad una relazione tra due persone che, intenzionalmente scelgono di dar vita a quel particolare rapporto, di dirigersi, “fianco a fianco”25, con lo sguardo rivolto in avanti, verso una comune meta.
Anche la philìa può essere segnata dal limite umano dell’interesse, dell’egoismo, da un sottile orgoglio che porta alla separazione tra un “noi” ed un “loro”, creando estraneità. Tutto ciò avviene quando si perde di vista quel carattere spirituale dell’amicizia che favorisce invece apertura e reciproca stima.
Ed infine l’agàpe, è l’espressione più alta dell’amore, perché coincide con la carità. Nei testi biblici, la parola greca, sta ad indicare sia l’amore illimitato di Dio che l’amore dell’uomo quando, in qualche modo, partecipa all’amore di Dio.
È amore che si effonde da una fonte interiore inesauribile, è dono dall’alto; ma è anche amore conquistato, è scelta personale: “É apparsa nel mondo questa virtù - scrive Madre Speranza - che regolando ed ordinando il nostro amore, armonizza tutto l’uomo, lo sublima e lo nobilita grandemente”26.
L’agàpe è quella realtà che integra e getta una luce nuova sulle altre forme di amore umano, affetto, amicizia ed innamoramento, perché l’unica capace di un amore disinteressato27, di amare ciò che per sua natura non sarebbe amabile.

Quando questo unico “amore” dai mille volti e dai diversi nomi dice all’altro la voglia di “farlo uomo-con-noi”, quando diventa gioia per la gioia dell’altro, allora - conclude Ebner - la gioia per la gioia dell’altro, è la gioia che Dio c’è”28.

 

3. Il cuore del dramma

Disagio, indifferenza, apatia, disinteresse, dominazione, egocentrismo, solitudine, vuoto, non senso, disprezzo di sé sono i sentimenti che accompagnano chi non riesce ad intessere relazioni significative, i sentimenti di colui che, non sperimentando d’essere soggetto amabile, degno d’amore, non può vivere la più grande delle avventure umane, quella di scoprirsi soggetto amante, capace di donare amore.
Dolore e solitudine sono connaturati all’uomo, fanno parte dell’esperienza quotidiana. Per quanto riguarda il dolore, in genere, riusciamo ad accettare quello che ci viene dalla nostra natura, mentre ci rattrista quello che riteniamo causato dagli altri. Così, è più forte il peso della solitudine quando, pur vivendo in mezzo agli altri, non ci giunge il gesto di amicizia, di solidarietà, di vicinanza e di amore che avremmo desiderato. Il peso del dolore appare invece insopportabile quando qualcuno, fraintendendo le nostre parole o i nostri gesti, ci rifiuta, ci umilia, si comporta come se non gli fossimo accanto29.
Il cuore del dramma lo possiamo, dunque, individuare proprio nel dramma di un cuore che non sa amare, nel “non-amore”, che può giungere fino alle estreme conseguenze del rifiuto, dell’odio e della negazione della propria ed altrui esistenza.
Come l’amore, sia a livello personale che collettivo, è fonte di unità e di vita, così l’odio veicola morte e divisione. Il sentimento dell’odio affonda le sue radici nel terreno della “diversità”, sia questa supposta o reale30, esaspera le differenze, allarga le distanze, genera estraneità.
Quell’amore che gode nel ricercare ciò che accomuna piuttosto che esasperare ciò che divide, quell’amore che cerca e desidera vicinanza e genera familiarità piuttosto che isolamento ed estraneità, per qualcuno rimane un sogno irreale e lontano:
“Molti si ritraggono […] timorosi di vivere il rischio assoluto che l’amore rappresenta; ma se, nella sorda vita degli uomini, soltanto l’amore “perde”, è attraverso l’amore che si profila la salvezza. […] Proprio nella misura in cui può perdere, soltanto l’amore salva31.

(Continua)


1 Cfr. Giovanni Polo II, Discorso all’UNESCO, 12.01.1990.

2 Gallagher M.P., Fede e cultura, Ed. San Paolo, Alba (CN) 1999, p. 75.

3 Taddei N., Ruolo profetico di Madre Speranza nella realtà odierna in Aa.Vv., Ruolo profetico di Madre Speranza, Ed. L’Amore Misericordioso 1993, Collevalenza (PG), p. 25.

4 Cfr. Gallagher M.P., Fede…, op.cit., p. 120.

5 Cfr. Lombardi Satriani L.M., Il silenzio dell’amore – L’amore del silenzio: 20 tesi per una ricerca, in D’onofrio S., Amore e culture. Ritualizzazione e socializzazione, Ed. STASS, Palermo 1989, p. 302.

6 Citato da Alici L., Collana Profili: Madre Speranza Testimone dell’Amore Misericordioso: una profezia per il nostro tempo, Ed. L’Amore Misericordioso, Collevalenza (PG) 1993, p. 22.

7 Cfr. Lombardi Satriani L.M., Il silenzio…, op. cit., p. 310.

8 Madre Speranza, Collezione El pan 7, Ed. “Archivo Congregaciones Amor Misericordioso”, Collevalenza (PG) 1997, n. 375.

9 Madre Speranza, Collezione El pan 20, n. 646.

10 Giovanni Polo II, Enciclica aposolica: Redemptor hominis, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1979, n. 10.

11 Lombardi Satriani L.M., Il silenzio..., op. cit., p. 300.

12 Madre Speranza, Collezione El pan 13, n. 1.

13 Giovanni Paolo II, Discorso alla Famiglia Religiosa dell’Amore Misericordioso, Collevalenza (PG), 22.11.1981.

14 Franzoni G., La solitudine del Samaritano. Una parabola per l’oggi, Ed. Theoria, Roma 1993, p. 33.

15 Madre Speranza, Collezione El pan 18, n. 2.

16 Madre Speranza, Collezione El pan 8, n. 1063.

17 Madre Speranza, Collezione El pan 18, n. 2.

18 Madre Speranza, Collezione El pan 5, n. 44.

19 Madre Speranza, Collezione El pan 2, n. 67.

20 Lewis C.S., I quattro amori. Affetto, Amicizia, Eros, Carità, Ed. Jaca Book 1990, p. 106.

21 Cfr. Ibidem, pp. 89-90.

22 Russo L., L’amore nell’età postmoderna, in D’onofrio S., Amore e culture. Ritualizzazione e socializzazione, Ed. STASS, Palermo 1989, p. 440.

23 Cfr. Lewis C.S., I quattro…, op. cit., pp. 37-57.

24 Ibidem, p. 63.

25 Ibidem, p. 66.

26 Madre Speranza, Collezione El pan 8, n. 1065.

27 Lewis C.S., I quattro..., op. cit., pp. 120-121.

28 Ebner F. (a cura di Ducci E. – Rossano P.), Parola e amore, Ed. Rusconi, Milano 1998, p. 62.

29 Cfr. Carotenuto A., Eros e pathos. Margini dell’amore e della sofferenza, Ed. Bompiani, Milano 1993, pp. 103-104.

30 Cfr. .Vv., Me stessi noi stesso. Tous parents, tous different, Ed. De Luca 1993, p. 59.

31 Lombardi Satriani L.M., Il silenzio..., op. cit., p. 306.

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ultimo aggionamento 23 agosto, 2002