ESPERIENZE

    Paolo Risso

 

Mosso dalla carità e dall'amore:
San Francesco di Sales

 

Quando venne al mondo, il 21 agosto 1567, nel castello di Thorens in Savoia, suo padre già lo sognava prestigioso avvocato. La madre lo educò al senso cristiano della vita, alla preghiera e alla carità verso i poveri.
Non lontano c’era Ginevra, calvinista e separata dalla Chiesa. Francesco crebbe fedelissimo al Papa e alla Chiesa Cattolica. A dieci anni, la 1° Comunione e la Cresima. A undici, sconcertando il padre, volle ricevere la tonsura, il taglio di capelli proprio di chi si avviava al sacerdozio.
A 15 anni, andò a studiare a Parigi al Liceo Clermont, tenuto dai Gesuiti: ne ricevette un’educazione umanistica eccezionale, ma Gesù lo affascinava più delle lettere greche e latine. Il suo rapporto con Lui si fece intenso e luminoso, come appariva dal suo stile di vita in mezzo ai compagni che lo vedevano accostarsi alla Confessione e alla Comunione eucaristica ogni domenica. Nonostante il temperamento piuttosto vivace e persino impetuoso, era diventato così amabile che presto lo chiamarono “il nostro angelo”.
Diciottenne, ebbe una crisi, non dei sensi, ma della fede. Forse suggestionato dai dibattiti del tempo sulla questione della “predestinazione”, temette a lungo di essere destinato alla dannazione eterna. Si dibatté tra diverse ipotesi, tesi e antitesi. Alla fine, nella chiesa di S. Stefano des Grès, mentre pregava davanti alla Madonna, si fece luce nella sua anima: “Nel tuo amore, o Dio, la soluzione”.
Attraverso Gesù, Dio gli si rivelò Padre, Salvatore, e si sentì chiamato “per nome” da Lui ad una fedeltà totale, gioiosa, sempre più generosa. Da quel giorno, Francesco sarà l’uomo e l’apostolo della Verità e dell’Amore.

 

25 mila convertiti

Nel 1588, il padre lo mandò a Padova a studiare diritto all’Università. Lui studiò legge e insieme l’ebraico e la Sacra Scrittura, la teologia e i Padri della Chiesa. Trovò una guida eccellente nel Gesuita P. Antonio Passevino; il suo testo di meditazione prediletto nel “Combattimento spirituale” del teatino P. Scupoli. Si fece un eccellente regolamento di vita e, tra compagni gaudenti e licenziosi, si distinse per la signorilità e la purezza. Era già un intimo di Gesù.
Dopo appena tre anni, era dottore in utroque iure, cioè in diritto civile e canonico. Si era affidato alla Madonna e, prima di rientrare in patria, si recò al santuario mariano di Loreto (Ancona) a pregare nella “Santa Casa”, e a Roma sulle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo, per rinsaldare la sua fede nel Papa, allora più che mai attaccato dai protestanti e dagli eretici di tutte le risme.
Aveva solo 25 anni, quando, nel 1592, entrò a far parte del senato dei giurenconsulti di Chambery. Il padre era orgogliosissimo di lui, ma Francesco gli disse: “Vado a farmi prete”. Già il Vescovo di Ginevra lo apprezzava per la preparazione teologica e spirituale. Gli chiese appena tre mesi di “approfondimento” e il 18 dicembre 1693 lo consacrò sacerdote, nella sede di Annecy, dove il Vescovo dimorava, non potendo stare a Ginevra occupata dai Calvinisti.
Si buttò subito nell’apostolato più sacerdotale che ci sia: la Santa Messa celebrata ogni giorno con fede e fervore, le Confessioni, la predicazone per attirare tutti a Gesù. Predicava per convertire i fratelli a Cristo, i cattolici, tiepidi, i protestanti, i lontani da Dio, non per far sfoggio di cultura, anche se era coltissimo. Chi lo ascoltava, cambiava vita. Presto travolgerà il cuore delle folle.
Tutta la zona dello Chablais era occupata dai protestanti, dai calvinisti. Mons. De Grenier, il buon Vescovo convocò diversi sacerdoti per convertire alla Chiesa Cattolica l’intera regione. In prima fila si presentò Francesco di Sales. Per quattro anni, attraverso la neve alta o la pioggia gelata, con i piedi screpolati da perdere sangue, sotto il sole concente o nella nebbia fitta, passando a volte le notti all’aria aperta, senza dove posare il capo, fu missionario di Gesù.
All’inizio, lo ascoltavano poche decine di cattolici impauriti. Era circondato dalle ostilità e dalle minacce dei protestanti, tutt’altro che disponibili a dialogare. Non gli mancarono attentati alla sua vita. Con dolcezza e fermezza insieme, Francesco predicava la Verità di Cristo tutta intera, senza sconti né accomodamenti. Non l’ascoltavano? Da vero antenato de pubblicisti, preparava foglietti su cui esponeva la dottrina cattolica (specie di volantini, di depliants, diremmo oggi) e, nottetempo, li affliggeva alle case, li lasciava sotto gli usci. Rispondeva agli errori, illuminava i problemi, con tono fermissimo e buono.
Molti cominciarono ad ascoltarlo. Affascinava solo a vederlo, prendeva il cuore. Si vedeva che era mosso da un grande amore a Gesù Cristo, che per Lui si faceva tutto a tutti, pronto a sacrificare la vita, come quando un gruppo di calvinisti tentarono di ucciderlo e lui sventò l’attentato.
Dopo sette anni, il fronte degli avversari cominciò a cedere e vennero le conversioni. Chi lo conobbe da vicino, toccò con mano che era un prete verò ogni mattina, celebrava la S. Messa, come se fosse la prima e l’ultima, due/tre volte alla settimana, si confessava, ogni giorno dedicava un’ora alla meditazione, recitava l’Ufficio divino come un monaco, passava ore e ore a confessare, con una pazienza e una competenza sconfinata, con una gioia in volto che conquistava. Il suo segreto – lo capirono tutti – era soltanto Gesù Verità e Amore, che lo spingeva a farsi uno con Lui, a seminare la Verità e l’Amore. La sua fama dilagò a Torino, a Roma, a Parigi… Nello Chablais, rifiorì la Chiesa Cattolica. Facendo relazione al papa, Francesco fu costretto ad affermare, nonostante la sua umiltà, che c’erano state 25 mila persone tornate dall’eresia al Cattolicesimo!

 

“Com’è buon Dio!”

Nel 1599, Papa Clemente VIII lo chiamò a Roma per conoscerlo di persona, ed ascoltarlo. Quando Francesco ebbe finito di parlare, il Papa si alzò ad abbracciare il giovane apostolo di 32 anni. Appena rientrato ad Annecy, il vecchio Pastore diocesano, con il consenso del Papa, lo consacrò Vescovo Coadiutore con diritto di successione. Continuò la sua missione, più ardente di prima. A Parigi, nel 1602, destò l’ammirazione del re Enrico IV e strinse amicizia con P. De Berulle e coloro che frequentavano il salotto di Madame Acarie (la futura Madre Maria dell’Incarnazione). Si vide offrire dal re la possibilità di diventare Arcivescovo di Parigi e futuro Cardinale. Gli rispose Francesco: “Sono già sposato con una povera donna, non posso lasciarla per un’altra più ricca”. La “povera donna” era la diocesi di Annecy, anzi Ginevra, a cui, come Vescovo era affezionatissimo.
Proprio in quell’anno ne diventava il Vescovo titolare: quale buon Pastore per vent’anni e quale influenza su tutta la Chiesa! Ai suoi preti, cominciò a dedicare una cura particolare. Non c’èra il Seminario, ma si occupò della formazione dei suoi chierici, uno per uno, come un padre con i figli. Si interessò dei monasteri (i Canonici di S. Agostino, i Benedettini di Talloires, di Sixt…) anche fuori della sua diocesi. Li voleva radicati nella loro regola, soprattutto nell’amore a Gesù Cristo.
Si mosse con un programma, uno stile, di singolare lucidità: “Miei carissimi fratelli – scriveva ai suoi preti – vi scongiuro di dedicarvi con tutta serietà allo studio (del Cattolicesimo autentico, intendeva dire); perché la scienza è per un prete come l’ottavo sacramento e alla Chiesa accaddero le più grandi sventure, quando l’Arca santa si trovò in altre mani, che non fossero quelle dei suoi preti. È per questo che la nostra miserabile Ginevra poté prenderci alla sprovvista: ciò fu allorquando s’accorse della nostra sciocca ingenuità, che cioè noi non stavamo punto in guardia e ci accontentavamo di recitare il breviario senza pensare ad accrescere la nostra scienza. I protestanti ingannarono la semplicità dei nostri padri e di quelli che ci precedettero… E così mentre noi dormivamo, il nemico seminò la zizzania nel campo della Chiesa e insinuò l’errore che ha portato la divisione negli animi e messo il fuoco della discordia in tutta la contrada… Poiché dunque la Provvidenza mi ha fatto vostro Vescovo, vi esorto a dedicarvi con tutta lena allo studio, affinché istruiti e di vita intemerata, siate irreprensibili e pronti a rispondere a quanti vi interrogheranno sulla fede”.
Un programma, a ben pensarci, di straordinaria attualità… Nel 1605, iniziò la visita pastorale alle 450 parrocchie. La sua porta rimaneva sempre aperta per accogliere tutti. “Il Vescovo soleva dire – è un grande abbeveratoio pubblico”. Dappertutto organizzava scuole di catechismo ed egli stesso insegnava catechismo ai bambini, che restavano affascinati dal suo sorriso, dalla sua parola densa di esempi. Quando girava per le vie selciate della sua Annency o giungeva nei borghi della sua diocesi, i ragazzi gli si stringevano attorno, affettuosi, giulivi, senza lasciarlo più: la più bella corona per un Vescovo, insieme ai poveri.
Dovunque predicava diverse volte al giorno, ascoltatissimo, evangelista dell’amore di Gesù per tutti, con l’intento di convertire i peccatori e i separati dalla Chiesa, annunciando la Verità senza offendere alcuno, ma nella sua totalità, senza sconti: “Non voglio – spiegava – che dicano che il Vescovo è un gran predicatore, ma solo che amino Dio”. Infatti si cominciò a dire: “Quanto dev’essere buono Dio, se il suo Vescovo Francesco di Sales è così buono!”.
Nel 1604 a Digione, incontrò una giovane vedova, Giovanna di Chantal: con lei nel 1610, diede inizio alla “Visitazione”, una famiglia di religiose che avrebbero dovuto dedicarsi ai più bisognosi, ma la Chiesa ritenne meglio che fossero dedite alla preghiera e alla contemplazione.
Da sacerdote e da Vescovo, Francesco di Sales era guida delle anime, esigente e dolcissimo, di singolare impegno ed equilibrio: con i colloqui, con la confessione, con migliaia di lettere. Un’idea lo anima: Dio chiama tutti, in Cristo, a farsi santi, non solo i monaci, i preti e le suore, ma gli uomini e le donne nel matrimonio, nel lavoro, in qualsiasi onesta condizione di vita. Dei suoi scritti, ricordiamo i due più noti che formarono – e continuano a formare – alla santità Dio solo sa quante anime del suo e del nostro tempo: “L’introduzione alla vita devota” (Filotea), e “Il trattato dell’amore di Dio” (Teotimo), senza dimenticare quelle sue deliziose “Lettere”, un vero pascolo di Vangelo per tutte le categorie di persone.

 

Sul Cuore di Cristo

Di qui quella sua straordinaria influenza su tutta la Chiesa: fondatori giganteschi, come don Bosco, che lo volle patrono della sua Congregazione (appunto i Salesiani!) e Vescovi e Pontefici che lo scelsero come modello nel loro ministero, sono senza numero.
Andato a Lione, alla fine del 1622, già minato nella salute per tanto lavoro apostolico, Francesco di Sales si spegneva a soli 55 anni, il 28 dicembre. Nel 1665, Papa Alessandro VII lo iscrisse tra i santi, e nel 1877, Pio IX lo proclamò dottore della Chiesa. Da dove tanta santità e sapienza? Aveva solo 22 anni e studiava ancora a Padova, quando scrisse il suo orientamento fondamentale: “Ad imitazione del discepolo prediletto, Giovanni, starò sempre sul petto e sul Cuore pieno di amore dell’amatissimo nostro Salvatore”.

 


“Ricordatevi sempre che l’amore verso Dio è una grande cosa, ma all’amore puro ed effettivo arriveremo solo attraverso la rinuncia di noi stessi, la carità e la penitenza.”

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ultimo aggionamento 24 dicembre, 2002