Celebrazione del 20° anniversario della morte di Madre Speranza
Muoversi a compassione

Sua E.mza José Card. Saraiva Martins
Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi
Omelia sulla Liturgia della Domenica V  del TO: Gb 7,1-7

1. L’esperienza molto sofferta di Giobbe, riassunta nella prima lettura or ora ascoltata, che si conclude con l’affermazione: “Ricordati che un soffio è la mia vita “ (Gb. 7, 7), mette in evidenza una domanda cruciale che non di rado assilla l’uomo: che senso dare al duro lavoro, alle notti di dolore, al veloce passare degli anni?
Non sembra tenue o vana la speranza dinanzi alla vita che appare debole e inconsistente come un soffio?
Come vedere qui l’Amore del Signore?

Il “soffio” ci richiama il gesto creativo con cui Jahvé alita il suo spirito divino sul caos prima, e poi su un po’ di fango. Così ebbe origine il mondo e l’uomo. Noi abbiamo il soffio divino, lo Spirito di Dio. Lo portiamo in vasi di creta, direbbe Paolo.
È qui il mistero dell’uomo che porta in sé il soffio di Dio, il suo Amore, che mai potrà essere spento, a meno che non ci lasciamo andare, in balia dei venti, alla disperazione. Quel soffio dice qualcosa di piccolo, come è piccolo il granello di senape della parabola evangelica, ma contiene una forza irresistibile, una potenzialità che nessuno e nulla può fermare, se noi lo custodiamo e gli consentiamo di svilupparsi.
Quel soffio è lo Spirito di Gesù che lui stesso, risorto, ha alitato sui suoi e a Pentecoste li ha trasformati. Quel soffio è la forza divina in noi. Ma quel soffio ci ricorda anche la nostra debolezza umana, la provvisorietà, la contingenza, il limite, il peccato.
“Nella luce della Rivelazione trovano insieme la loro ragione ultima sia la sublime vocazione e sia la profonda miseria, che gli uomini sperimentano” (GS, n.13).
I Padri della Chiesa alla domanda: “Perché il Signore ha creato l’uomo così debole?” rispondevano: “Perché l’uomo ricordasse sempre che il Signore è Misericordioso e la creatura umana povera e misera, bisognosa continuamente del suo Amore e della sua Misericordia”.
Anche Madre Speranza fa profonda esperienza di questo mistero dell’uomo. Nel suo Diario il 13 Marzo 1952 scrive: “Il Buon Gesù mi ha fatto vedere la necessità di conoscere me stessa e quella di conoscere bene Lui. Dice che la conoscenza di me stessa, insieme alla conoscenza di Lui, favorirà l’unione intima ed affettuosa della mia anima con Lui. Mi dice che Lui è la perfezione e io l’estrema povertà, e tuttavia che vi è una certa con naturalità e proporzione tra i due: nel mio Dio trovo tutto quello che a me manca. Lui si è abbassato fino a me per darmi il Suo amore e riempirmi dei suoi benefici; e io vado verso di Lui come all’unico Signore che può saldare i miei debiti e porre rimedio alla mia irrimediabile debolezza, desiderosa di felicità e di amore; in Lui trovo l’una e l’altra, perché Lui, per l’amore che mi porta, compie tutti i desideri del mio cuor… Mi ha promesso che questa unione crescerà senza mai cessare, se io non la impedisco”.

È il modo cristiano di affrontare il limite, la sofferenza, il peccato. È l’esperienza di Paolo: “Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi” (2 Cor 4,7). “ Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2 Cor 12,9).

2. Le molteplici forme di male che affliggono l’uomo sono affrontate e vinte da Gesù, che si autodefinisce “medico” (Mc 1, 17). È molto confortante ciò che, concordemente e a più riprese, i quattro evangelisti attestano: Gesù ha guarito tutti i malati che ha incontrato. I tre compiti della missione di Gesù, affidatagli dal Padre, sono: annunciare il Vangelo del Regno di Dio (= Dio ci vuole salvi, con la potenza del suo Amore), guarire i malati, scacciare i demoni. E questi tre compiti sono poi affidati ai discepoli perché continuino l’opera di Gesù (cfr Mc 3,14; 6,7-13; 16, 15-20). È ciò che abbiamo ascoltato dal Vangelo di Marco, testé proclamato: “Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demoni” (Mc.1,34).
Marco, col suo stile semplice e plastico, ci comunica che Gesù, dopo aver curato la suocera di Pietro da una semplice febbre, si trova davanti tutta una folla di malati. “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demoni” (Mc 1,32-34).
Sembra di vedere questa scena: malati, indemoniati, tutta la città davanti a Gesù! Come se tutti avessero l’intuizione che Gesù li avrebbe finalmente guariti. È evidente che davanti a Gesù ogni uomo e tutta intera l’umanità corre a farsi guarire. Gesù è il medico di questa umanità sofferente, portando a compimento quello che il Salmo 146 ci faceva pregare: “Il Signore risana i cuori affranti e fascia le loro ferite”.

Ma qual è il senso di questi miracoli?
Non è altro che una manifestazione dell’Amore Misericordioso di Gesù. Lo dice l’evangelista quando descrive Gesù che “accostatosi (alla suocera di Pietro ammalata), la sollevò, prendendola per mano” (Mc 1,31). Un tratto squisitamente amorevole. Gesù non è un guaritore, tanto meno un mago, e neanche uno che vuole far vedere la sua potenza.
Quando, subito dopo, si troverà davanti a un lebbroso, l’evangelista Marco scrive: “Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, guarisci!»” (Mc 1,41).
Il verbo “muoversi a compassione” ritorna spesso nei vangeli: è forse il verbo che più ci rivela l’animo di Gesù, il suo straordinario amore divino che ci commuove profondamente, pensando che chi vede Gesù vede il Padre. Dunque Gesù rivelandosi, proprio nella nostra sofferenza, “come un Padre e una tenera Madre” (M. Speranza), ci rivela che così è il cuore del Padre suo e nostro. Ma allo stesso tempo ci provoca fortissimamente a fare altrettanto. “Vai e anche tu fa lo stesso” (Lc 10, 37).
I santi hanno ripetuto i miracoli di Gesù perché hanno deciso di amare i sofferenti, i poveri, i tribolati, come Gesù, facendo propri i dolori altrui.
La venerabile Madre Speranza ha ottenuto moltissime grazie dal Signore con l’insistente preghiera che proveniva dal suo cuore materno, capace di commuoversi sempre dinanzi alla miseria umana.
Si avvertiva che arrivava a prendere su di sé le sofferenze altrui. Lo si capiva dal fatto che molte persone ripartivano guarite e lei si ritrovava con una sofferenza in più, assunta sempre con la soddisfazione di una madre, felice di vedere un “figlio” contento. Famoso quel testo in cui lei confidava con gioia alle figlie e ai figli il suo servizio nel Santuario. “Io, amati figli e figlie...” (cf. circ., n. 104).
Le Piscine del Santuario sono sorte perché le persone affette da malattie incurabili dalla scienza umana e ferite nello spirito, potessero trovare o la guarigione o la pace del cuore. Madre Speranza fece scrivere all’ingresso: “Usa quest’acqua con fede e amore, sicuro che ti servirà di refrigerio al corpo e di salute all’anima”.
Seguendo l’esempio di Gesù, la Madre Speranza attingeva nella prolungata e intensa preghiera (per lo più di notte), questo amore misericordioso che poi durante il giorno abbondantemente prodigava. Ha imparato a pregare in modo affettivo e confidenziale.
In qualche modo ha portato anche qui una novità: per lei la preghiera è un colloquio d’amore che tutto abbraccia, come ha insegnato Gesù: dalle cose di Dio (il suo nome, il suo Regno, la sua volontà), alle cose umane più umili e quotidiane (pane, debiti, male, tentazioni.

3. San Paolo avvertiva profondamente questa urgenza. Perciò ha affrontato un’infinità di difficoltà per poter far arrivare a tutti questa buona notizia: Dio nel suo Amore Misericordioso vuole salvare tutti in Gesù Cristo. L’abbiamo sentito nella stupenda prima lettera ai Corinzi: “Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno” e “Vel mihi si non evangelizavero” (guai a me se non predicassi il Vangelo).
Anche Madre Speranza ha speso generosamente l’intera sua vita per riannunciare all’uomo d’oggi che Dio è Amore Misericordioso.
È noto che San Giovanni Evangelista ha dato la definizione più alta di Dio, quando ha scritto: “Dio è Amore” (lGv 4, 8.16). Madre Speranza, in seguito alla sua esperienza mistica, annunciava che: “Dio è Amore Misericordioso”.
Questo ci riempie di speranza infinita e allo stesso tempo stimola al massimo grado la nostra profonda conversione: diventare noi stessi misericordiosi, com’è misericordioso il Padre (cf. Lc 6, 36).
A 20 anni dalla sua morte, in questo inizio difficile del Terzo millennio, tale messaggio è quanto mai provvidenziale.
A questa celebrazione dell’Amore Misericordioso di Dio fa riscontro la risposta ideale del cristiano ed in particolare di Madre Speranza: l’abbandono fiducioso nelle braccia del Padre che tutto dispone per il nostro maggior bene.

Collevalenza, 8 Febbraio 2003

José Cardinale Saraiva Martins
Prefetto della Congregazione
delle Cause dei Santi

Articolo precedente

Articolo successivo

[Home page | Sommario Rivista]


realizzazione webmaster@collevalenza.it
ultimo aggionamento 15 marzo, 2003