STUDI

 

P. Sante Pessot fam 

 

Il perdono e il suo valore educativo

Estratto dalla Tesi di Laurea presso la UNIVERSITA’ PONTIFICIA SALESIANA

Facoltà di Teologia - Dipartimento di Pastorale Giovanile e Catechetica

Roma 2002

 

(seguito)

«Quando invocherà da me l’aiuto, io ascolterò il suo grido, perché  io sono misericordioso»

2.1.3 La misericordia di Dio
Dovendo fare una riflessione sulla misericordia di Dio nell’Antico Testamento, non intendiamo fare riferimento essenziale ai vocaboli ebraici usati per indicarla(1), con i loro corrispondenti nel greco delle traduzioni. Vorremmo seguire un criterio fondamentalmente tematico, leggendo alcuni testi che possono sembrare più rappresentativi, facendo particolare attenzione a quelli più significativi nella loro valenza educativa, vista la prospettiva del nostro elaborato.
Misericordia e creazione: In principio Dio rivela se stesso quando dal cielo tende l’orecchio per ascoltare il lamento di un popolo di schiavi. Egli fa conoscere il proprio volto, come quello di qualcuno capace di ascoltare e com-patire(2). Per questo egli è Dio: “Quando invocherà da me l’aiuto, io ascolterò il suo grido, perché io sono misericordioso” (Es 22,26). L’oppressione diventa, nel rapporto con Dio, un’occasione di benedizione. Lo sguardo di Dio si posa sulle lacrime degli ultimi, dei poveri, dei dimenticati della terra, ne ha compassione e questa compassione apre Dio alla promessa di una terra, nella quale egli stesso condurrà il suo popolo, lungo un cammino di attesa e di conversione.
Una misericordia che si rinnova: Certamente uno dei luoghi in cui, nel libro dell’Esodo, è maggiormente concentrato il vocabolario della misericordia, sono i capitoli 33-34. Israele si ribella a Dio e costruisce un vitello d’oro, Dio lo punisce con la rottura dell’alleanza. Mosè a questo punto prega il Signore di perdonare il suo popolo, ponendo in ostaggio se stesso. Il Signore si lascia convincere, perché sente di non potersi separare dal profeta. Mosè comincia a discutere con lui i termini del rapporto con il popolo. Non basta, dice Mosè, che tu abbia usato misericordia all’inizio, liberandoci e guidandoci nel deserto. Il tuo popolo è giovane e non sa camminare da solo in una via senza tracciati, in una vocazione di resistenza alla fede. Il Signore obbedisce a Mosè: “Quanto hai detto, lo farò perché hai trovato misericordia ai miei occhi” (Es 33,17). La misericordia ha qui un valore di consonanza, di comunione di intenti tra un Dio e un uomo (Mosè). Per amore di un uomo, quel Dio salverà tutto il popolo. Così Mosè conoscerà il nome di Dio, cioè il suo cuore di misericordia: “Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui proclamando: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione”” (Es 34,5-7). Con queste parole Dio completa il quadro della propria identità: egli è giustizia e misericordia, o meglio misericordia in quanto giustizia e viceversa. La due cose non si contrappongono, Dio è giusto perché ha soccorso un popolo schiavo. Questo atto del Signore è modello di ogni giustizia. D’ora in poi nessun operatore di giustizia potrà prescindere da quell’amore speciale, che supera ogni arida proporzione matematica(3).
Misericordia, educazione e correzione: Dio ama suo figlio Israele di un amore paterno. Lo fa a tal punto, che lo richiama continuamente alla giusta condotta, quella che sola può garantirgli la vita e la prosperità. Ma, come capita spesso, anche a un padre qualsiasi, che le sue parole vengano disattese dai figli, così è per Dio: suo figlio si ribella, disprezza le sue parole, scappa altrove, per stringere nuovi rapporti. Ecco che, come ultima spiaggia, inscena un processo (Is 1,2-20), per dialogare con lui e riconquistarne purificato il cuore. Egli ha fatto crescere dei figli, li ha condotti ed educati, finché non fossero adulti, in grado di operare libere scelte. È proprio allora che Israele si è ribellato al Signore. Davanti a questa situazione Dio lascia uno spazio in cui possa verificarsi il miracolo della redenzione e del perdono: “se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato un resto…” (v. 9). C’è un Israele che continua, che ritorna, che rimane. Dio non soffoca la piantina del giardino del mondo. Anche se è un arbusto selvatico, che non si sottomette volentieri ad alcun legame. Ma esige da Dio la prova della solidarietà. Dio non sopporta le celebrazione di liturgie sacrificali, che non siano segno di un’autentica conversione, ma chiede la comunione autentica (Is1,10-20). Così egli è padre di Israele, come colui che educa e pretende la fraternità, come prova autentica della figliolanza e della vera conversione.

 

2.1.4 Una sintesi
Dai dati ricavati emerge che nell’Antico Testamento il perdono è una risposta che viene incontro a una richiesta (verbale e gestuale), il cui scopo è quello di suscitare un atteggiamento equo da parte dell’innocente. Tuttavia il perdono, pur essendo una risposta, rimane dono gratuito; chi lo concede esprime un atto di profonda libertà (Is 43,25), di conseguenza:

  1. l’offensore non ha diritti da far valere; la richiesta di perdono equivale a rimettersi alla decisione e alla benevolenza(4) dell’offeso. Il perdono non è così un atto giuridico, non è l’espressione di un diritto, quanto piuttosto l’atto di rinuncia al diritto di punire compiuto da chi è offeso;
  2. chi desidera il perdono sa che può non ottenere quanto chiede; l’incertezza in questo caso non significa mancanza di fiducia, ma la coscienza della sproporzione tra il suo atto e quello che attende dall’offeso;
  3. l’accusatore concede il perdono solo a certe condizioni(5); non solo è lui a fissarle, ma è il suo insindacabile giudizio che dice se queste condizioni siano state assolte oppure no.

Continuando queste riflessioni notiamo che vi è qualcosa nel perdono che è precedente alla richiesta stessa; la possibilità di fare misericordia è ciò che sottende la dinamica stessa, dell’accusa in una controversia bilaterale. Ciò è evidenziato dal fatto che talvolta è l’accusatore stesso a offrire il perdono, prima ancora che l’accusato sia in grado di riconoscere la sua colpa e di chiedere clemenza(6) . In questa prospettiva il perdono è atto originario, già in qualche modo concesso unilateralmente dall’offeso, e che aspetta solo l’occasione di rendersi visibile quando il colpevole lo riceve.
Quando un reato è stato compiuto, esso diventa parte della storia; lascia delle tracce visibili anche a distanza di tempo e dal tempo non viene cancellato, come fosse una cattiva tintura su una stoffa. Il futuro è condizionato dall’atto del malfattore in modo fatale.
Il perdono, da una parte, viene dopo l’offesa, ma è importante costatare che la sua pretesa è di annullare quanto è stato fatto, di considerare il misfatto “come se non fosse accaduto” (cfr. le metafore dell’oblio, del lavare, del cancellare, e così via). Questo annullamento della storia è problematico, e può apparire solo una finzione che non tocca né l’uomo-colpevole, né la storia attraversata dalla malvagità. Il “come se” dice che purtroppo le cose stanno diversamente, da come le si interpreta.
Il valore del perdono è allora proporzionato al momento stesso del suo porsi: se il perdono è dato prima dell’offesa, il futuro non è condizionato solo dalla malvagità, ma dall’atto dell’offeso, che lo pone in una prospettiva originaria di misericordia e di riconciliazione. Forse non fa tanta meraviglia il vedere che la stragrande maggioranza dei testi biblici dice che è Dio che perdona; proprio perché Lui conosce perfettamente la natura ribelle dell’uomo, debole e povero, e che, entrando in relazione di alleanza con lui, prevede in anticipo la possibilità del tradimento e dell’offesa. È come se Dio prestasse una somma ingente ad un pover’uomo, sapendo che non sarà mai in grado di restituirla, e decidendo quindi di rinunciare a priori al diritto di esigerla a tutti i costi. Questa originaria predisposizione diventa storia nel momento in cui il debitore chiede il condono.
Come conciliare tutto questo con il passaggio di Dio dalla collera alla misericordia?
Dio è originariamente sempre lo stesso verso tutti: è clemenza, pazienza e misericordia; la storia lo rivela proprio come colui che rinuncia alla collera giusta per usare a tutti misericordia. È nel passaggio, non storico, ma concettuale, da una dimensione all’altra che si rivela la natura del divino(7).

(continua)


1 Per un ulteriore approfondimenti suggeriamo la lettura dell’articolo di: MELLO A., Il Dio misericordioso e gli attributi della sua misericordia, in “Parole Spirito e vita” 1(1994), pp. 37-50.

2 VIRGILI R., La misericordia di Dio nel Primo Testamento, in AA.VV. Misericordia. Volto di Dio e dell’umanità nuova, Milano, Paoline, 1999, p. 13.

3 Cfr.: Ibidem, 16.

4 La consapevolezza di non avere diritto si esprime nella formula:“Fa quello che è bene ai tuoi occhi” (Cfr. Gn 34,1-11; Gdt 10,15; 2Sam 19,28-29; 2Re 18,14; Ger 14,7)

5 Cfr.: Gn 18,26ss, 1Sam 24,34; 1Re 1,52; Ger 5,1; 2Cron 33,23.

6 BOVATI, Ristabilire…, 140.

7 Ibidem, 142.

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ultimo aggionamento 25 maggio, 2003