STUDI

 

P. Sante Pessot fam 

 

Il perdono e il suo valore educativo

Estratto dalla Tesi di Laurea presso la UNIVERSITA’ PONTIFICIA SALESIANA

Facoltà di Teologia - Dipartimento di Pastorale Giovanile e Catechetica

Roma 2002

 

(seguito)

2.2 La novità dell’insegnamento di Gesù sul perdono

La nostra riflessione si snoda ora lungo il Nuovo Testamento per chiederci quale sia la novità del perdono insegnato e vissuto da Cristo, quali siano i suoi elementi e quali conseguenze esso comporti per la vita del cristiano e, in modo specifico, nel processo del perdono.

 

2.2.1 La centralità del perdono nell’insegnamento e nella vita di Gesù

Il perdono ha occupato un posto centrale nell’insegnamento di Gesù durante la sua vita pubblica, per cui, da un certo punto di vista, si può già affermare che il perdono si è trovato al centro di tutte le controversie, che egli ha suscitato, dall’inizio della sua vita pubblica fin sulla croce, dove ha perdonato il buon ladrone. Gesù ha invitato gli uomini a perdonarsi le reciproche offese e ad essere, nel rispetto delle esigenze della legge al riguardo, misericordiosi gli uni verso gli altri; ma quest’invito è orientato al regno dei cieli, rivelato progressivamente e che, nel compimento delle promesse dell’antica alleanza, recava in sé nuove esigenze. Questo duplice aspetto di continuità con l’Antico Testamento e di novità rispetto ad esso è una costante di tutto il Vangelo: nelle beatitudini, nelle parabole, che sono esse stesse rivelazioni dei misteri del regno, nella rivelazione della portata delle offese arrecate al prossimo(1).
Tale centralità trova la sua ragione ultima nella volontà di Gesù di rivelare Dio come un padre e un padre che perdona: «il rendere presente il Padre come amore e misericordia è, nella coscienza di Cristo stesso, la fondamentale verifica della sua missione di Messia»(2).
L’invito di Gesù «Siate misericordiosi come misericordioso è il Padre vostro» (Lc 6,36) è la chiave di tutta la nostra riflessione. Gesù invita a perdonare come il padre vostro ha perdonato. Quel come intende dire nello stesso modo, ma forse intende anche dire a causa del fatto che Dio ti ha perdonato, in virtù della forza che viene dal perdono di Dio(3).
La nostra tesi di fondo, che tenteremo di dimostrare in questo capitolo, dal punto di vista teologico e poi nel capitolo successivo dal punto di vista processuale-educativo-pastorale è questa: il perdono, come esperienza cristiana nasce da Dio. Il fondamento, la motivazione e la forza di ogni perdono provengono da un’esperienza: Dio, in Gesù, ha misericordia di noi, ci accetta e ci chiama alla riconciliazione(4).

 

2.2.2 Gesù va con i peccatori

Gesù si rivolge ai peccatori e mangia con loro. A chi gli muove delle critiche risponde: «Andate e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,13). La relazione che Gesù intrattiene con i peccatori è stata al centro delle controversie che lo hanno contrapposto ai farisei. Queste controversie compaiono in vari episodi: la guarigione del paralitico (Mt 9,3-4; Mc 2,6-8); il pasto che Gesù condivide con Matteo (Mt 9,10-13); la peccatrice perdonata in casa di Simone il fariseo (Lc 7,36-50); la donna adultera che sta per essere lapidata (Gv 7,53-8,11). Prima di analizzare alcuni di questi episodi possiamo notare che il perdono è stato sempre una pietra di inciampo nel ministero pubblico di Gesù: il perdono dei peccati è sempre sembrato ai farisei l’indebito esercizio di una prerogativa divina.

 

2.2.3 La guarigione del paralitico

Gesù non solo ha annunciato il perdono di Dio, ma lo ha anche assicurato all’uomo, nella forza di Dio. Per chi lo ascoltava, questo, era un evento sensazionale. Per i farisei era un segno che Gesù bestemmiava: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?» (Mc 2,6-7). Ma Gesù conferma la sua autorità in fatto di perdonare i peccati, guarendo il paralitico. Il perdono dei peccati e la guarigione dei malati sono sempre uniti.
Dal nostro punto di vista è interessante notare che le prime parole di Gesù, che qui vengono riferite, sono rivolte al paralitico, non per guarirlo, ma per annunciargli che gli sono perdonati innanzitutto i peccati.
La sua guarigione, avvenuta dopo che Gesù ha percepito i mormorii, diventa un segno con il quale Gesù insiste sul suo potere di rimettere i peccati.
Spesso per Matteo la malattia è causata dalla colpa. Così non basta che venga guarito il sintomo della malattia, deve anche essere perdonata la colpa, che sta alla base della malattia, affinché il malato guarisca veramente e possa iniziare una nuova vita, così come lo richiede la volontà di Dio. Gesù vuole ricreare l’uomo nella sua interezza. Il perdono serve alla guarigione.
Le due visioni contengono qualcosa di vero. Non si può ricercare la colpa in ogni malattia. Talvolta però le nostre ferite non guariscono perché noi non riusciamo a perdonare al nostro feritore(5).
L’episodio del paralitico dimostra, fin dal primo perdono concesso da Gesù, che gli scribi si sono ormai fatta una precisa idea di lui: Gesù è un bestemmiatore.
Oramai tutti i fatti e i gesti di Gesù verso i peccatori saranno interpretati nello stesso senso e posti in contraddizione con la lettera della legge. Al di là dell’accusa lanciata dagli scribi sembra di poter dire che il perdono contestato è, prima ancora dei segni che lo accompagnano, l’indice della vera identità di Gesù(6).
Inoltre ci sembra giusto giungere a una seconda conclusione: Constatandone lo scandalo - «Chi è costui, che osa insultare Dio? Chi può perdonare i peccati se non Dio solo?» (Lc 5,21; Mc 2,7) – la tradizione cristiana riafferma la stessa fede; effettivamente ogni evento di perdono è fatto di misericordia che rimanda a Dio.

 

2.2.4 Banchetto a casa di Matteo il pubblicano (Mt 9, 9-13)

Gesù, dopo aver chiamato Matteo alla sua sequela, accetta di sedere a mensa in casa del nuovo discepolo, in compagnia dei suoi amici, uomini conosciuti come pubblici peccatori. La tradizione sinottica è unanime nel riferire che Gesù era solito mangiare con i pubblicani e i peccatori (cfr.: Mc 2,15; Lc 15,1-2); talvolta anzi, si invitava lui stesso (Cfr.: Lc 19,1-10). La legge ebraica vietava di stare a mensa con i peccatori. Il buon israelita pensava addirittura di onorare Dio allontanandosi dai peccatori(7). C’è un’aggravante; Gesù è accusato di essere amico dei peccatori, cioè di dimostrare nei loro confronti simpatia ed affetto, perfino preferenza e di essere da loro ricambiato. Tra questi peccatori Gesù sceglie uno dei dodici, alla critica di chi gli contesta tale scelta dice: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati… Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti ma i peccatori» (Mt 9,12-13 e par.). Ma l’evangelista Matteo va ancora più avanti perché riporta la frase di Gesù che cita il profeta Osea 6,6: «Andate e imparate che cosa significa misericordia io voglio e non sacrificio». Una frase questa molto cara a Gesù, al punto da citarla anche in seguito (Mt 12,7). Il termine sacrificio, non chiaramente definito da Matteo, dovrebbe significare il complesso di obblighi rituali. Questa frase va accostata con il discorso della montagna, dove Gesù aveva detto: «Se dunque presenti l’offerta sull’altare e lì ti ricordi che il tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e và prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24). Non è abolito il culto, ma è posposto alla riconciliazione, perché questa è più importante.
Gesù ricorda con forza ai farisei che questa misericordia divina, rivelata e incarnata nel suo gesto di essere lì a tavola con i peccatori, è il primo e il miglior sacrificio, che dovrebbero imparare(8).

 

2.2.5 Un esempio di perdono: l’adultera (Gv 8,1-11)

La donna sorpresa in adulterio, secondo la legge, doveva essere messa a morte (Lv 20,10), mediante lapidazione (Dt 22,23ss). I farisei non perdono l’occasione per ricordare a Gesù la disposizione di Mosè al riguardo, per metterlo alla prova. Gesù non contesta la disposizione della legge, per quanto severa poteva essere, ma con la sua parola ne rende praticamente impossibile l’applicazione: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra» (v. 7). L’effetto è sorprendente, gli accusatori ad uno ad uno se ne vanno. Il narratore annota che Gesù fu lasciato solo. Il tranello non ha funzionato per lui e la controversia è svanita. La donna però, benché il cerchio di morte si sia dissolto attorno a lei, è ancora là, in mezzo, non liberata. Essa attende il responso di Gesù. A questo punto Gesù le dice: «Neppure io ti condanno!». Se Gesù non condanna, ciò non è dovuto allo stesso motivo dei farisei: Egli è senza peccato. Con il suo atteggiamento paradossale egli conferma di essere venuto per salvare e non per condannare. Il perdono diviene per la donna, appello alla conversione(9).

 

2.2.6 La parabola del Padre misericordioso

Nel capitolo 15 del Vangelo di Luca troviamo, in maniera unitaria tre parabole chiamate «parabole della misericordia». La terza parabola, erroneamente chiamata la parabola del Figlio Prodigo, dipinge la figura di un Padre, che quando torna il figlio, che ha sperperato tutte le sue sostanze, si commuove, gli corre incontro, gli si getta al collo e lo bacia. Dopo di che gli mette il vestito più bello, gli ridà la dignità di figlio con l’anello e i calzari ai piedi e fa festa. “L’essenza della misericordia divina, benché la parola misericordia non vi ricorra, viene espressa tuttavia in modo particolarmente limpido”(10). Ciò é dovuto dall’analogia che instaura tra Dio Padre e la creatura da una parte e il Padre terreno e il figlio dall’altra(11).
Notiamo, sullo sfondo, che non viene chiesta nessuna restituzione dei soldi sperperati dal figlio, né una promessa di cambiamento futuro. L’immagine del Padre, che vede il figlio da lontano, dice che il perdono di Dio nasce dal suo amore presbite, che vede meglio i figli più lontani, privilegia coloro che sono distanti e peccatori, è un perdono che corre incontro al figlio, all’offensore, gli impedisce di confessare la propria colpa in tutti i suoi particolari, lo abbraccia, gli fa indossare la veste della festa, gli fa infilare l’anello al dito, che lo distingue dallo schiavo e lo fa sedere accanto a sé nel banchetto solenne. Tutti questi gesti cancellano l’opinione molto diffusa secondo cui il perdono di Dio significa solo l’eliminazione del peccato e la liberazione dal timore del castigo(12).
Nel caso del figlio prodigo il perdono non comporta il semplice ripristino della situazione precedente. In luogo del consueto rapporto di filiazione, subentra un nuovo genere di filiazione in base a un gesto di adozione formale. Il bacio suggella la riaccettazione come figlio (2Sam 14,33) e l’anello gli dà la facoltà di rappresentare il Padre (Cfr.: 1Mac 6,15).
La parabola insegna che all’uomo è consentito riappropriarsi della propria identità e del proprio valore. Ma perché questo avvenga, dipende esclusivamente da lui. La parabola racconta che «quando ormai ebbe speso tutto… cominciò a trovarsi nel bisogno». In questa situazione, ormai ridotto allo stato di suprema indigenza, dubitava della stessa possibilità di continuare a vivere, improvvisamente gli è tornato alla memoria il ricordo della casa paterna e del posto che vi ricopriva. Occorreva che egli dimenticasse definitivamente i beni che aveva posseduto e che ora non aveva più, per riscoprire il senso profondo della sua identità di uomo, della sua realtà di figlio e, quindi, del rapporto che lo univa al Padre. Appellandosi a una giustizia umana, chiede di essere equiparato ai servitori. La sue energie non sono sufficienti, per colmare la differenza ontologica e di valore, che lo separa del Padre e ristabilire con lui il rapporto di intimità, che originariamente li univa insieme. Tale ruolo può essere assolto dal Padre, che pur essendo toccato dall’ingratitudine del figlio, non si è dimenticato di lui, lo ha amato sempre. Per questo agisce nei suoi confronti, non già secondo giustizia, ma secondo misericordia.
Colui che è tornato, benché non possedesse più nulla, acquista, nella casa paterna, un posto che prima non aveva e questo, non per diritto, ma per la benevolenza paterna.
Da queste considerazioni possiamo aggiungere un altro tassello nella riflessione sul perdono.
Il perdono è qualcosa che viene da Dio e che sorpassa ogni tipo di giustizia, non è un semplice sentimento, per profondo che sia, ma implica anche dei gesti e dei comportamenti. Chiede una forma di pentimento, come condizione per ricevere il perdono, che comunque c’è da parte di Dio, ma che per essere efficace nell’uomo necessita il suo pentimento. Infine la parabola sottolinea il valore creativo del perdono, perché restituisce la dignità di persona.

 

2.2.7 Il perdono di Cristo sulla croce

Il perdono, che Gesù assicura agli uomini, trova il compimento nella sua morte in croce. In quell’occasione egli perdona quelli che lo hanno messo in croce: «Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno» e uno dei due ladri crocifissi con Lui: «oggi sarai con me in paradiso». La croce è la manifestazione più chiara del perdono. Ci vuole comunicare nel profondo del nostro cuore che Dio è il Dio che perdona e che non esiste peccato, che egli non possa e non voglia perdonare.
Sembra chiaro, quindi, il rapporto tra il perdono e la croce di Cristo. La croce non trasmette il perdono, perché è Cristo sulla croce, che trasmette il perdono. Gesù ci ha così lasciato un testamento del suo amore che perdona, affinché anche noi possiamo agire come Lui. Il suo comportamento è esemplare e non solo. La preghiera di Gesù ci mostra come anche noi possiamo e dobbiamo perdonare agli altri, senza che il perdono diventi, per noi, un compito insormontabile.
Esaminiamo queste due frasi di Gesù in croce. La prima «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». Come vediamo qui il perdono è concesso a loro, ma la preghiera è rivolta al Padre che è il soggetto del perdono e in essa c’è la motivazione del perdono: «Non sanno quello che fanno». Ora, quando dice «Perdona loro», Gesù non pone alcun limite al numero dei destinatari del perdono. Nella sua preghiera sono compresi tutti i persecutori: i giudei e i pagani, i più colpevoli e i meno colpevoli, quelli che hanno avuto un ruolo primario e le semplici comparse. L’umanità di Gesù inchiodata sulla croce compie tutto ciò che può fare l’impotenza di un uomo schiacciato dall’offesa, che lo distrugge: sottoporla alla misericordia di Dio(13). La motivazione riguarda l’ignoranza dei suoi carnefici circa l’identità di colui che crocifiggono e, quindi, della natura messianica della sua testimonianza. I capi dei sacerdoti e le coorti hanno udito Gesù predicare ed hanno rigettato in modo del tutto deliberato la sua proclamazione. Essi fanno parte di una Gerusalemme che Gesù aveva denunciato per l’uccisione dei profeti (Lc 13,34). Si potrebbe forse riassumere così l’atteggiamento di Gesù in Luca: se c’erano quelli che non sapevano perché non erano stati informati, c’erano quelli che non sapevano perché, sebbene informati, non avevano afferrato. È comunque degno di nota che, anche se quest’ultimo gruppo non sapeva ciò che stava per fare, anch’esso avesse bisogno di perdono(14). Questa frase è una pratica dimostrazione dell’osservanza del comandamento dell’amore verso i nemici, su cui Luca aveva particolarmente insistito nel suo Vangelo (6,27-36; 17,3)(15).
In questa preghiera troviamo l’elemento chiave che permette anche a noi di perdonare. Quando pregando diciamo: «Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno», non soddisfacciamo una richiesta, che si spinge al di là della nostra volontà. Questa preghiera è piuttosto un modo per rivolgerci al Padre e in Lui trovare il nostro vero fondamento, ma al contempo la preghiera ci libera dal potere degli uomini. Crea una certa distanza nei confronti degli uomini e allo stesso tempo ci aiuta a comprendere il loro comportamento. Anche se le persone ci feriscono, spesso non sanno quello che fanno. Ci feriscono perché esse stesse sono ferite.
Se prego usando le parole pronunciate da Gesù sulla croce, «Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno», non sono costretto a dimenticare la mia rabbia, ma posso invece perdonare perché nell’altro non vedo più il mio nemico, bensì una persona ferita. Non do il mio perdono spinto dalla debolezza o da uno spirito di adattamento, ma al contrario sostenuto dalla forza e dalla libertà. Se non perdono, l’altro continua ad avermi in suo potere. È lui che decide i miei pensieri e sentimenti. Il perdono mi libera dal controllo che l’altro esercita su di me. L’altro non è più il mio rivale, ma una persona ferita e accecata, che non può agire altrimenti. Anche se mi uccide, non ha potere su di me. Questo è quanto Gesù ha vissuto sulla croce. Egli resta colui che si è donato al Padre. All’esterno gli uomini possono sfogare la loro cattiveria su di lui. Ma la loro cattiveria non lo raggiunge perché egli prega per loro e nella preghiera comprende il loro accecamento e la loro ignoranza.
La seconda frase di Gesù nella quale formula l’ultimo perdono della sua vita terrena è il suo intervento all’interno di un dialogo tra i due malfattori appesi sulla croce. Il primo insulta Gesù, il secondo esprime la verità: verità sul suo compagno invitato al timore di Dio, verità su se stesso, che riconosce di aver meritato il castigo, verità sull’identità divina di Gesù e sulla sua innocenza. Così che in un’unica frase del malfattore c’è una correzione fraterna, un pentimento, l’atto di fede più puro e una cristallina testimonianza di giustizia. La risposta di Gesù va ben oltre la speranza del buon ladrone: non solo si ricorderà di lui, ma lo prenderà con sé in paradiso. Il paradiso è la dimora dei giusti, di coloro che sono stati perdonati dal Signore. Occorre qui sottolineare l’immediatezza degli effetti del perdono: «Oggi».
L’anonimo ladrone riconoscendo l’Amore crocifisso che perdona, riconosce il proprio peccato, si rivolge a Cristo con il suo nome, Gesù, che significa Dio salva, e il Signore gli promette il paradiso. Questo è il marchio di fabbrica del Dio del vangelo, perché, secondo il terzo evangelista, questo è il culmine dell’attività evangelizzatrice e redentiva di Gesù nella sua passione(16).

(continua)


1 LAFITTE, Il perdono…, 136-137.

2 GIOVANNI PAOLO II, Dives in misericordia, n° 3.

3 La congiunzione os pone un legame, questo sì, ma non basta a precisarne la natura. Nel greco può avere un significato comparativo (come), dichiarativo (che), finale (affinché), consecutivo (cosicché), temporale (quando, allorché), causale (poiché). Si rimanda alla studio di MAGGIONI B., Padre nostro, Milano, Vita e Pensiero, 1998, pp.95-98.

4 RUBIO MIGUEL, La virtù cristiana del perdono, in “Concilium” 2 (1986), p. 122.

5 GRUN, L’arte…, 11.

6 LAFITTE, Il perdono…, 169.

7 La scrittura invitava a non stare in compagnia degli empi (cfr. Sal 1,1) e di eliminare ogni mattina tutti gli empi del paese (Sal 101,8).

8 CANCIAN D., IL Vangelo della misericordia, in AA.VV., Misericordia…, 49-54.

9 Cfr.: LÉON –DUFOUR X., Lettura dell’evangelo secondo Giovanni, vol. II, Cinisello Balsamo, Paoline, 1992, pp. 393-398.

10 GIOVANNI PAOLO II, Dives in misericordia, n°5.

11 PIERETTI A., La Parabola del figliol prodigo ovvero il senso della misericordia di Dio per l’uomo. Atti del II convegno internazionale sulla Dives in Misericordia, 24-27 agosto 1982, Collevalenza, Edizioni l’Amore Misericordioso, 1982, p.109.

12 Cfr.: RENGSTORF K. H., Il vangelo secondo Luca, Brescia, Paideia, 1980, pp. 315 -316.

13 LAFITTE, Il perdono…, 193.

14 BROWN R. E., La morte del messia. Un commentario ai racconti della passione nei 4 vangeli, Brescia, Queriniana, 1999, pp-1091-1092.

15 Cfr.: VANHOYE A. (et alii), La passione secondo i quattro Vangeli, Brescia, Queriniana, 1988, p. 50.

16 MARTINI C.M., L’evangelizzatore in San Luca, Milano, Ancora, 1984, pp.129-131.

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ultimo aggionamento 05 luglio, 2003