STUDI

 

    Prof. Gaetano Benedetti  
Prof. Ing. Calogero Benedetti
  

 

Il sogno metafisico

Come abbiamo fatto più volte in passato seguitiamo ad ospitare volentieri in questa nostra Rivista contributi intesi a farci conoscere soprattutto ciò che è germe di sapienza divina ispirata nel contesto delle culture e tradizioni religiose dei vari popoli.
In questo articolo presentiamo una interessante corrispondenza tra due Professori universitari, il Prof. Gaetano Benedetti, già Docente di Psicoterapia e Psicoigiene nell’Università di Basilea (che scrive una sua riflessione sul SOGNO METAFISICO) ed il Professore Calogero Benedetti, già docente di Complementi di tecnica delle Costruzioni nella Università dell’Aquila. Nel rispetto del reciproco pensiero e delle idee di ciascuno, i due Professori, che sono anche fratelli, ripropongono queste riflessioni con una serena verifica alla luce della Religione cristiana. (N.d.R.)

 

(seguito)

Carissimo Calogero,

Ti ringrazio affettuosamente della Tua risposta al mio sogno “metafisico”, che colma la lacuna del “Tuo silenzio” nel mio sogno, e che mi sembra veramente ben fatta.
Infatti una certa differenza di punti di vista, spostamenti dell’attenzione, e “fedi fondamentali”, non nuoce affatto alla comunicazione, anzi l’arricchisce.
La comunicazione diviene profonda non nell’assenso incondizionato, ma anche in un certo “dissenso nell’amore”, che permette di imparare dall’altro, e di riflettere su di sé.
Tale è il mio stato d’animo e di pensiero quando leggo le Tue meditate e bellissime risposte ai miei scritti.

Voglio tentare adesso, riflettendo su Tue numerose risposte, anche degli anni passati, di dire qual è la differenza del mio pensiero dal Tuo; differenza che, come ho detto, si integra nell’amore e nel rispetto reciproco.

Allora: Io sono anzitutto uno psicologo, Tu un logico.

Fa parte essenziale della psicologia considerare anzitutto la dimensione subiettiva della Verità; e fa parte della Logica considerarne la dimensione obiettiva.

Così, io vedo anzitutto la dimensione subiettiva della Fede Cristiana; e vedo come tale dimensione subiettiva si evolve da pensieri antichissimi archetipici (che ho ben illustrati nel mio scritto sul sacrificio, pubblicato, assieme alla Tua risposta, nella rivista dell’Amore Misericordioso).

Il Cristianesimo mi appare in tal luce una fase evolutiva altissima di ciò che si è iniziato nel mito, come se già questo sia stato una comunicazione della Trascendenza all’uomo.

Diverso è invece il Tuo punto di vista, che tende a svalutare tutte le religioni universali antecedenti il Cristianesimo, e vede in questo ciò che è completamente nuovo, una verità obbiettiva, che lascia poco spazio alla discussione psicologica, perché erompe da una rivelazione unica di Dio all’uomo.

Entrambi i punti di vista mi sembrano significativi: non nel senso, che esistono “due verità” e che cioè la verità è relativa, e dipende dal nostro punto di vista (ciò sarebbe in assoluto contrasto con la Tua Fede); ma nel senso che esistono qui almeno due vie dello spirito verso Dio, e nell’amore ce ne sono ben più di due!

Affettuosamente, Gaetano


Carissimo Gaetano,

riguardare la Fede Cristiana “come espressa da una dimensione soggettiva che evolve da pensieri antichissimi, archetipici, la fa apparire caratterizzata da aspetti più salienti che non per la sola diversità delle dimensioni «soggettiva» ed «oggettiva» da Te evidenziate.

La Fede Cristiana «quale livello altissimo di ciò che si è iniziato nel mito, come se questo sia già una comunicazione della Trascendenza» comporta un processo di progressivo sfondamento dei rami secchi, di rimozione delle scorze meno o del tutto non pregevoli, sino a portare alla luce il nucleo fondamentale, che è l’adesione di amore dell’uomo a Dio ed agli altri uomini.

Ma come “apice” di un siffatto sentiero, “tutto in salita”, dell’uomo-verso Dio, essa assume i caratteri di una costruzione sviluppata dallo spirito, dall’anima, dalla mente dell’uomo in passi interconnessi in cui la radice di quello successivo è il passo antecedente, in una sequela dunque evolventisi via, via nell’incessante tensione verso Dio.

Il Quadro che così si ottiene è bellissimo; ed esso valorizza tutte le fedi, di ogni tempo, ma pur collocando quella Cristiana al loro apice, è un quadro «riduttivo», nel senso che fa della Fede Cristiana un «prodotto» (nel senso etimologico di “cosa che è prodotta”) dalla mente (o meglio: dallo spirito), in una progressione connaturata all’essere uomini, radicata cioè in un’esigenza (o nella struttura stessa) dell’esser uomini.

Per converso, l’irrompere oggettivo di Dio nella Storia, è invece «una rottura», un breaking che pone l’uomo dinanzi ad una “scelta”: quella di aderire a Lui che irrompe e sconvolge, o di ritirarsi ripiegandosi su se stessi; di donarsi (per amore) o di non donarsi; di offrisi abbandonarsi all’amore, o di negarsi.

Il titolo del Quadro diventa con ciò diverso: «Dimensione oggettiva della Fede», nel senso che quest’irruzione di Dio nella Storia è un “fatto” e non un “pensiero dell’uomo”; è qualcosa che è posto nella Storia (S. Paolo dice: «quando i tempi sono diventati maturi») come cosa oggettiva e non come qualcosa che evolve progressivamente nella mente e/o nello spirito dell’uomo, ma gli è posta dinanzi «ora» (prima non c’era); ed è ora che si vedrà se egli vorrà donarsi o no, offrendosi in una libera scelta d’amore, o negandosi ad esso.

Mentre la descrizione “soggettiva” della Fede fa dunque di questa una “progressione concatenata”, la descrizione “oggettiva” ne fa «un jato, una rottura, una discontinuità che si presenta all’improvviso», come un laccio, e come tale implica una «risposta d’amore», una scelta da fare subito, ora stesso, un che coinvolge l’offerta di sé, o un no che la nega.

Ma nulla c’era prima, e la scelta non è dipendente da una concatenazione, non è motivata, ma è libera e subito.

«Passando lungo il mare vide Simone ed Andrea suo fratello, mentre gettavano le reti; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Seguitemi, Vi farò diventare pescatori di uomini». E quelli, subito, lasciate le reti Lo seguirono. Ed andato poco oltre vide su una barca Giacomo e Giovanni suo fratello, figli di Zebedeo, mentre rassettavano le reti. Li chiamò ed essi lasciato il loro padre Zebedeo sulla barca con i garzoni, lo seguirono. Uscì di nuovo lungo il mare e nel passare vide Levi, figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse «seguimi». E quello alzatosi Lo seguì» (Mt. 1-16/20 e 2-13/14).
Concordo con te che in amore esistono molte (io direi infinite) vie, e che esse possono addirittura sovrapporsi, in tutto o in parte, come fanno p.es nei riguardi del prossimo, della misericordia, della compassione, il Buddismo ed il Cristianesimo; ma il carattere della Fede Cristiana è che essa ha i connotati dell’innamoramento nei riguardi di una «presenza che irrompe dal di fuori», e come tale è, appunto, obiettiva.

Essa non dipende dal soggetto, ma si impone al soggetto, a cui chiede di essere accettata.

È questa la differenza profonda della Fede obiettiva rispetto a quella soggettiva e la dimostra “vera” e non “costruita”.

Ti annoto in calce, come ho già fatto altre volte, perché esprime più profondamente di me le mie riflessioni sulla Fede come innamoramento di “una presenza obiettiva”, una preghiera altissima scritta da Edith Stein poco prima del suo martirio:

Signore, dammi tutto ciò che mi conduce a Te.
Signore prendi tutto ciò che mi distoglie da Te.
Signore, strappa me a me stessa e dammi tutta a Te”

Poco tempo dopo Hitler la mise a morte. Era l’estate del 1942.

Ti abbraccio. Calogero

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ultimo aggionamento 03 agosto, 2003