ESPERIENZE

    Paolo Risso  

 

Una vita per i sacerdoti:

Don Antonio Loi

 

 

 

 

 
Don Antonio Loi

 

Per il 40° anniversario della sua singolare ordinazione presbiterale, è uscita recentemente a Iglesia (Cagliari) sua diocesi di appartenenza, una sua nuova biografia, a cura dello scrivente, dal titolo significativo “Una vita per i sacerdoti: don Antonio Loi” (Centro missionario diocesano, giugno 2003). Redigendo questo libro, abbiamo la consapevolezza di aver narrato una delle più belle meraviglie, fiorite in mezzo a tanta confusione e sbandamento, nella Chiesa del nostro tempo.

 

Un ragazzo per Gesù

Antonio Loi era nato a Decimoputzu (Cagliari) il 6 dicembre 1936. Un ragazzo sensibile, entusiasta della vita. La sua fede, semplice e forte, lo appassionava sempre di più a Gesù Eucaristico e alla Madonna. Molto presto comprese che diventare prete era la sua vocazione. Ai primi di ottobre 1949, entrò nel Seminario di Iglesias, dove frequentò i cinque anni del ginnasio, crescendo nella sua preparazione culturale e nell’amicizia-intimità con Gesù. Vestendo l’abito talare l’11 febbraio 1953, scrisse sull’immagine-ricordo: “O Gesù, che il mio primo passo verso l’altare, mi faccia diventare sacerdote secondo il suo Cuore”.
Nel Seminario regionale di Cuglieri, dall’ottobre 1954, proseguì gli studi filosofici e teologici: una vita regolare intessuta di studio e di preghiera, di gioia intensa. Dai suoi scritti, dalle testimonianze di chi lo ha conosciuto di persona, appare l’immagine di un giovane che è stato profondamente segnato da Gesù per sempre. A Gesù, Antonio si consacrò “per compiere la sua opera di amore e per diffondere nelle anime dei sacerdoti, e per essi nel mondo intero, la conoscenza delle sublimi tenerezze del suo Cuore divino”.
Già stupisce questa particolare attenzione ai sacerdoti, in lui così giovane. Nel medesimo tempo, amava lo sport e organizzava gare di atletica. Gli piaceva cantare e recitare commuovendo tutti per la sua voce e per il suo stile. Nelle vacanze estive, nella sua parrocchia d’origine, promuoveva diverse iniziative apostoliche e ricreative in mezzo alla gioventù. Ma soprattutto era la sua intensa unione con Dio che si irradiava dalle sue parole e dalle sue opere: in lui emergeva l’impegno continuo a essere limpido e fedele, la volontà decisa di diventare un santo sacerdote.
Il Cuore di Gesù era il suo modello e la sua sorgente di vita. Maria SS.ma alla quale si era affidato nello spirito della “schiavitù d’amore” di S. Luigi de Montfort – lo portava all’imitazione sempre più perfetta di Gesù.

 

Ostia, con Gesù-Ostia

Nel febbraio 1961, Antonio non si sentì bene. Le prime cure non servirono a nulla. Per lungo tempo non si capirà il suo male, alternando degenze in ospedale e soggiorni a casa. Nell’autunno del ’61, rientrò in Seminario e con uno sforzo immane riuscì a sostenere gli esami di teologia. Nella primavera del ’62, seguì un altro ricovero. Antonio era smarrito.
Dal suo parroco, Mons. Luigi Cherchi, imparò a “soffrire e offrire”.
Il suo “sì” al dolore cominciava a farsi eroico. Nell’estate, fu operato di appendicite. In autunno, riusciva ancora a rientrare in Seminario per il 4° anno di teologia. Finalmente, nel gennaio 1963, i medici scoprirono il suo vero male: linfogranuloma maligno, incurabile, mortale. Tra cure in ospedale e ritorni a casa, continuava una “via crucis” lenta e dolorosa.
Affidandosi totalmente alle mani di Dio, Antonio alimentava nel cuore un solo grande desiderio: diventare sacerdote al più presto, anche se i suoi studi non erano più stati regolari. Per ordinarlo, occorreva una dispensa particolare del Santo Padre. Così, il 16 luglio 1963, Mons. Pirastru, suo Vescovo, inoltrò alla Congregazione romana competente la richiesta. Nel frattempo, Antonio andò a Lourdes ai piedi dell’Immacolata, dove tuttavia non chiese il miracolo della guarigione, ma soltanto di diventare sacerdote e di compiere la volontà di Dio.
Dopo qualche settimana Papa Paolo VI rispose che Antonio Loi poteva essere ordinato sacerdote. Il fatto singolare – che un giovane seminarista, nonostante sia vicino a morire e immerso nei dolori più, atroci, sia ordinato per un ministero breve e limitato apparentemente tra le mura di una stanzetta – si ripeterà altre volte, in quegli anni. Lo scrivente conosce almeno altre due vicende simili, di quegli anni: Cesare Bisognin, di Torino, ordinato a 20 anni, nel 1976, e Pietro Gonella, di Asti, ordinato dopo quasi 30 anni di letto, nel 1978.
Sembra che Papa Paolo VI, nel momento in cui diversi preti lasciavano il ministero per tristi avventure, abbia voluto indicare in queste singolari figure l’immagine del sacerdote nella sua essenza e nella sua grandezza più alta: l’essere configurato a Cristo Crocifisso nel suo essere e nel suo sacrificio, interamene occupato a unire alla S. Messa, Sacrificio di Cristo sulla croce, il suo personale sacrificio di lacrime e di sangue, per la salvezza delle anime. Di qui sgorga, in questi preti giovani, venuti dal dolore e destinati all’olocausto supremo, la singolare vocazione a offrire e a immolarsi per i confratelli, soprattutto per quelli “in crisi” e sul punto di “lasciare”, e per la santificazione di tutti i sacerdoti. Vocazione sublime. Sarà così per Antonio Loi.
All’inizio di settembre 1936, iniziò gli esercizi spirituali in preparazione all’Ordine sacro. Nel suo diario, in quei giorni santi, scrisse: “Padre, è giunta l’ora. Quel giorno tanto sospirato è giunto. È giunta l’ora. Perdono. Ringraziamento. Questi esercizi preparano la mia glorificazione. Padre, glorifica il tuo Figlio. Anch’io sarò glorificato, perché diventerò un altro-Cristo. Ma Gesù è stato glorificato sulla croce. Anche per la mia glorificazione, il Signore ha preparato la croce”.
Il 21 settembre 1936, nella cappella del Seminario di Iglesias, Antonio veniva ordinato sacerdote da Mons. Pirastru, che a chiare lettere, interpretando il desiderio del Santo Padre e della Chiesa, nell’omelia, gli affidò l’incarico “tutto per lui”: “Sarà questa la tua missione sacerdotale: vittima di immolazione con Gesù sul Calvario: per essere appunto salvatore di anime: salvatore della tua anima, salvatore di tante anime sacerdotali, che avranno bisogno della tua passione sacerdotale per essere totalmente di Gesù”.
Con lucidità estrema sul particolare momento della storia che si sarebbe aperto, in quegli anni, Il Vescovo continuava, quasi implacabile: “Tu ben lo sai, don Antonio, che vi sono tanti che sono lontani dal Cuore Sacratissimo di Gesù: anime sacerdotali! E allora ecco qui la tua missione: offriti, come io stesso ti ho offerto stamattina nella Messa, vittima di amore con Gesù, per la salvezza di tante anime sacerdotali”.
Non poteva avere una missione più grande e più bella. Il 23 settembre 1963, proprio 40 anni fa, don Antonio celebrava la sua prima Messa a Decimoputzu. Quella sera, alla festa in suo onore, disse, come pregando: “Se ti chiedo, Gesù, quale fu il motivo della tua sofferenza, Tu mi rispondi: “Nessuno ha amore più grande di chi dà la vita per i suoi amici”. Ecco la mia risposta all’amore di Gesù: “Disponi come a Te piace della mia vita”.

 

Incontro alla morte, cantando

La sua Messa sarebbe durata 20 mesi. Un povero corpo in sfacelo, ma un’offerta sempre più piena che saliva a Dio, per la Chiesa, per la santificazione dei sacerdoti, come gli aveva chiesto il suo Vescovo e come, di persone, gli chiederà ancora il Papa. Nel maggio ’64, Antonio andò in udienza a Paolo VI, che, conosciuta la sua storia, gli disse abbracciandolo: “Accetta tutto con gioia e con amore. Offri per la Chiesa e per il mio difficile pontificato e per me”.
A luglio, ritornò a Lourdes dove celebrò la Messa alla grotta, assistito dal suo Vescovo. Seguirono ancora ricoveri in ospedale e rientri a casa. Nei brevi momenti di sosta del suo “male”, poté anche confessare e dare il perdono di Dio a divesi “lontani”. La sua camera, nella clinica “Regina Elena” di Roma, dove si tentò di tutto per guarirlo, e finalmente nella sua casa a Decimoputzu, diventò luogo di incontro per moltissimi fratelli che andavano da Lui a attingere serenità, luce e senso cristiano della vita.
Ma la sua missione era soprattutto quella di offrire se stesso con Gesù immolato, di unire il suo sacrificio a quello di Gesù nella S. Messa. Annotava nel suo diario: “Sento il desiderio prepotente di saltare giù dal letto per correre a salvare tante anime, di lavorare fino all’esaurimento di me stesso. Là, nell’attività c’è la gioia del lavoro; qui, nel mio letto, solo il vivere di fede… O Signore, ti offro il sacrificio della mia immobilità”.
Finché poté, si alzò tutte le mattine per celebrare la Messa, poi ebbe il permesso di celebrare stando seduto sul letto: “La Messa – scriveva – è il Sacrificio di Gesù, è tutto per me, è fonte di gioia e di grazia e di forza per la mia giornata. Fisicamente soffro e piango, ma sento in me una gioia profonda che non riesco a raggiungerne i confini”. Così, giorno dopo giorno, affinandosi nell’offerta, egli veniva compiendo la sua singolare missione, che come quella del Crocifisso, esprime la “socialità” più alta, il servizio e il dono più perfetto.
Il 29 maggio 1965, al mattino don Antonio chiamò attorno al letto i suoi cari: “Ora me ne vado a casa mia… da Gesù… non piangete. Il Signore vi ricompenserà. Vogliatevi bene. Amate la Madonna. Per tutti prego e tutti benedico”. Gli fu amministrata l’Unzione degli infermi. Don Antonio riprese a parlare e, presentando la statuina della Madonna, che aveva vicino, disse: “Tenetela cara. Io sono qui, con Lei… Per la pace nel mondo, per il Papa, per il mio Vescovo. Regina dell’universo, attira a Te tutte le anime, fa’ capire che sulla terra solo Gesù è tutto”.
A mezzogiorno, esclamò: “Su cantiamo insieme, cantiamo il Te Deum. Cantate con me”. E sul suo letto di morte, Antonio, distrutto dal tumore a 28 anni, con lo slancio dei santi, con l’energia che viene soltanto da Dio, con voce forte, intonò il cantico della lode. I presenti cantarono con lui, come se fossero sul monte dell’Ascensione.
Continuò a parlare e a pregare. Poi benedisse ancora una volta tutti. Infine, esclamò: “Arrivederci tutti in Paradiso. Che nessuno manchi. Aiutatemi: ora me ne vado a casa mia”. Tacque. Nel silenzio, i presenti recitavano dolcemente il Rosario. Al “gloria” dell’ultimo mistero glorioso (“il Paradiso”), don Antonio andò incontro a Dio. Erano le ore 17 circa del 29 maggio 1965, sabato dopo l’Ascensione di Gesù al cielo.
Presso Dio, Amore infinito, don Antonio Loi, vissuto e morto per i confratelli sacerdoti, come narra la presente biografia, possa intercedere con la sua preghiera, affinché agli uomini d’oggi non manchino mai i sacerdoti santi per insegnare la Verità e comunicare il perdono, per offrire il Sacrificio di Cristo nella S. Messa e portare la vita e la gioia della Redenzione.

Articolo precedente

Articolo successivo

[Home page | Sommario Rivista]


realizzazione webmaster@collevalenza.it
ultimo aggionamento 14 settembre, 2003