FESTA DEL SANTUARIO

 

  S.E. Mons. Giuseppe Betori
  Segretario Generale della CEI

Collevalenza - 25 settembre 2004

Dalla omelia di Sua Eccellenza nel Santuario
(Is 52,13-15 e 53,1-7.10; Sa122; Ef2,1-10; Gv 18,33-38 e 19,13-15)

“Una festa per scoprire la misericordia di Dio”

 

 

 

 

 

Ecco il vostro re!”. Le parole di Pilato vogliono suonare irrisione nei confronti del popolo che chiede la morte di Gesù. Sono invece parole di rivelazione per noi, il popolo che nella morte di Gesù accoglie l'Amore misericordioso di Dio.

Cari fratelli e sorelle, non è facile oggi accettare questa rivelazione, pensare cioè che qualcuno possa regnare sulla nostra vita. Siamo figli di una cultura che esalta l'individuo e la sua indipendenza, la sua autonomia. Negli ultimi tre secoli hanno cercato di convincerci che il traguardo della piena umanità fosse la sua emancipazione: ci hanno detto che solo emancipati dalla fede, da stabili legami affettivi, da costose responsabilità sociali... si può essere veramente liberi. Le tragedie generate dalle ideologie scaturite da tali dottrine - le guerre, i genocidi, la devastazione dell'ambiente, la dissoluzione delle fondamentali strutture sociali a cominciare dalla famiglia... - non sono bastate a destarci da questi pericolosi sogni.

Tutt'oggi il modello che le culture dominanti ci propongono, e che il sistema consumistico divulga, è quello di un uomo o di una donna che non ha bisogno di nessuno, di uomini e donne pronti a prevaricare sugli altri, ad affermare se stessi e i propri desideri a prescindere dagli altri, soprattutto dai più deboli: quelli che vivono nei paesi più poveri e quelli non ancora nati, di cui si può impunemente negare la vita con l'aborto o che si possono utilizzare come materia senza volto per esperimenti nei laboratori scientifici, la loro vita in cambio di un ipotetico miglioramento e prolungamento della nostra.

Il Vangelo invece ci dice che la verità sulla nostra vita viene soltanto da colui che è il Signore del regno della verità, Gesù. Lo abbiamo ascoltato dire di sé: “Io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità”. Se gli uomini di oggi ripetono scettici con Pilato: “Che cos'è la verità?” e negano la possibilità di raggiungerla per contentarsi di coltivare le proprie opinioni e tollerare quelle degli altri, noi affermiamo con forza che all'uomo non può bastare una opinione che renda tollerabile la vita. Egli ha bisogno di dare una risposta alla sete di verità ultima che scaturisce continuamente dal profondo del suo cuore.

Questa verità, ci dice la fede, può darcela soltanto Gesù. È lui che ha detto di sé: “lo sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). È lui la via che conduce alla verità che dà la vita. Solo lui, l'agnello innocente “trafitto per i nostri delitti”, colui che “maltrattato, si lasciò umiliare”, lui che ha offerto “se stesso in espiazione” dei nostri peccati, solo lui può darci questa verità. Lo riconosce anche Pilato, che è costretto ad ammettere: “Io non trovo in lui nessuna colpa”. L'uomo innocente che dà la sua vita per noi è colui a cui dobbiamo guardare per trovare la verità di cui abbiamo bisogno, per ridare a noi stessi saggezza di vita e per ridare al mondo pace e concordia.

“Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce”, dice Gesù a Pilato. Come cristiani, nella fede, sappiamo di essere “dalla verità”, di affondare le nostre radici nella verità di Dio e di trarre da essa linfa per la nostra vita. Affidarci a questa verità, come ci ricorda Gesù, richiede che ci mettiamo all'ascolto di lui. Non sono soltanto le parole di Gesù che dobbiamo ascoltare, ma tutta la sua vita. Soprattutto dobbiamo ascoltare il grido di abbandono e di fiducia con cui egli chiude la sua vita sulla croce, e in cui ci rivela che la suprema verità dell'uomo è il volto misericordioso di un Dio che è Padre: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46).
I vescovi italiani, in questo primo decennio del nuovo millennio, invitano tutti i fedeli a una rinnovata contemplazione del volto di Cristo, a riscoprirne i tratti mediante un'intimità più profonda con la sua persona e la sua opera. Essi ci chiedono, con le parole della lettera agli Ebrei, di tenere sempre “fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede” (Eb 12,2). Non possiamo pensare di far germinare la fede nel nostro cuore e di farla crescere, rendendola consapevole e operosa, se non ancoriamo la nostra vita a questo sguardo contemplativo su Gesù, fatto di preghiera e di meditazione delle sue Scritture, di riflessione sulla parola della sua Chiesa e di frequentazione delle proposte di comunione che essa ci offre.

Ma è soprattutto il volto di Gesù Crocifisso che deve sempre risplendere davanti ai nostri occhi, come ha ben intuito Madre Speranza, ponendo il Crocifisso, che apre il suo cuore pieno d'amore, alla nostra venerazione. Sulla croce, infatti, Gesù dona la rivelazione suprema del Padre e ne svela tutto l'Amore misericordioso. Ci ha ricordato san Paolo: “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati”.

Quanto grande immeritato - gratuito, per l'appunto - è stato l'amore di Dio per noi! Per salvarci ha portato il suo stesso Figlio ad assumere la nostra condizione di uomini, fino al suo estremo esito, la morte. Di lui ha parlato nella prima lettura il profeta, dicendo che “egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori... è stato trafitto per i nostri delitti e schiacciato per le nostre iniquità... Il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti”. L'amore di Dio giunge fino al punto che il Figlio si addossi il nostro peccato e lo viva fino alle sue estreme conseguenze, di umiliazione dell'umanità e di sua negazione, fino alla morte. Morendo con noi, può cosi condurre a rivivere anche noi, che eravamo morti per i nostri peccati.

L'intuizione in cui si esprime il carisma di Madre Speranza, e che la conduce a porre al centro della sua spiritualità il mistero della misericordia di Dio, coglie il centro stesso della rivelazione cristiana. La verità cristiana sta qui: nel volto d'amore di Gesù e nel volto paterno di un Dio che non smette mai di amarci. Ha detto Madre Speranza: “Se anche avessimo commesso i più grandi peccati, non abbiamo da temere: il cuore misericordioso del Signore perdona e ama con amore infinito”. Questo grande amore la festa di oggi celebra e proclama.

Ma anche in questo caso occorre riconoscere che non è facile credere. Come la verità di Gesù trova ostacolo in un mondo che riconosce soltanto opinioni, così il contenuto di questa verità, la misericordia, l'amore che perdona, trova ostacolo in un mondo che non riconosce più il peccato. È difficile accettarci peccatori mentre la mentalità diffusa, intorno a noi e dentro di noi, pensa che ciascuno possa scegliere quel che vuole purché non intralci gli altri, o che ogni esperienza è buona perché nessun limite può essere posto all'arbitrio dell'uomo.

Nella cultura del nostro tempo non è soltanto in crisi il concetto di verità ma anche quello di libertà. Si pensa che essere liberi significhi non avere riferimenti, essere slegati da ogni appartenenza e da ogni valore superiore. Per questo stiamo diventando incapaci di amare, soprattutto nelle famiglie, perché amare significa appartenersi reciprocamente, scoprire la propria più profonda identità nella perfezione della comunione. Così confondiamo il peccato con l'errore, il tradimento del nostro rapporto con Dio con la svista rispetto a una norma.
Senso del peccato e comprensione della misericordia di Dio sono tra loro strettamente connessi. Sapere che Dio mi ama nonostante tutto, mi rende più consapevole della mia lontananza da lui, più avvertito dei miei peccati. Riconoscere i miei peccati è la condizione perché io senta il bisogno dell'amore misericordioso di Dio che mi perdona e mi riaccoglie tra le sue braccia.

L'invito che la festa odierna ci fa a riscoprire la misericordia di Dio, a non avere paura di tornare a lui se ce ne siamo allontanati, non è soltanto per noi. Quando facciamo esperienza della misericordia di Dio, attraverso di noi essa risplende a tutto il mondo. Essendo fin d'ora partecipi della vita di Dio, ci ricorda san Paolo, per mezzo nostro il Padre mostra a tutti “la straordinaria ricchezza della sua grazia”. Di questa grazia, di questo amore gratuito ha bisogno oggi l'umanità lacerata da guerre, vittima di atti di terrorismo, divisa tra genti ricche e popoli della fame. La fede che oggi ci è chiesta deve diventare speranza per tutti. È una responsabilità che ancora una volta solo l'amore misericordioso del Padre può sostenere. Da lui la invochiamo per noi e per tutta la Chiesa.

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ultimo aggionamento 31 ottobre, 2004