équipe di pastorale giovanile vocazionale
 

 

 

 

"Fissatolo, Gesù, lo amò

 

 

 

 

 

Cari amici,

quando raccogliamo tutte le nostre forze per ascoltare Gesù, nella migliore delle ipotesi, capita di rimanere intrappolati nella rete del suo linguaggio. Un linguaggio parabolico, fatto di immagini che vogliono interrogare il cuore1. Una rete davvero internazionale o interplanetaria, perché fatta di maglie che, pur essendo di matrice giudaica, sorpassano gli orizzonti, più o meno ristretti, di ogni cultura.
Aprendo i Vangeli con l’intenzione di captare lo stile di Gesù e ricalcare il suo linguaggio, ultimamente mi sono incontrata più volte ad ascoltare un episodio dal sapore parabolico, quello dell’incontro di Gesù con “il ricco triste” (non mi viene in mente un modo sintetico migliore per definirlo) che tante volte preferiamo chiamare, con riferimento alla versione matteana, “il giovane ricco”.

Presentiamo la sinossi di Matteo, Marco e Luca:

MATTEO
Mt 19,16-22

Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?». Egli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». Ed egli chiese: «Quali?». Gesù rispose: «Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso». Il giovane gli disse: «Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?». Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze.

 

 

MARCO
Mc 10,17-22

Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre».

Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni.

 

LUCA
Lc18,18-30

Un notabile lo interrogò: «Maestro buono, che devo fare per ottenere la vita eterna?». Gesù gli rispose: «Perché mi dici buono? Nessuno è buono se non uno solo, Dio. Tu conosci i comandamenti: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre». Costui disse: «Tutto questo l’ho osservato fin dalla mia giovinezza». Udito ciò, Gesù gli disse: «Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi». Ma quegli, udite queste parole, divenne assai triste, perché era molto ricco».

 

 

 

Facciamo ancora il tentativo di rendere le similitudini e le differenze dei tre Evangelisti con colori e caratteri tipografici diversi. Questo vuole aiutare a “leggere” con attenzione, ma non impedisce alla persona coraggiosa di buttarsi nella rete dell’incomprensione di questa “Parabola”, luogo frequente di tanti incontri con i giovani, anche di quelli che proponiamo come Famiglia religiosa.

Ai coraggiosi di turno può succedere di rimanere interdetti, bloccati dall’esito triste della storia. Tanto più se scegliamo di approfondire la versione di Marco, che rispetto a quella di Matteo e Luca, presenta un inciso originale: «Fissatolo, Gesù lo amò». Quest’espressione, in modo lapidario, rende quasi tangibile, per quanto possono le parole (anche quelle del Vangelo), l’amore di Gesù, l’Amore di Dio.
Com’è possibile, allora, andare via scuri in volto, come il cielo buio prima della tempesta; perché mai diventare tristi?

 

MOLTI BENI… O TROPPI?

In realtà, i tre Vangeli rispondono a questo interrogativo: il ricco andò via triste «poiché aveva molti beni».
La dimensione dell’avere riguarda tutti. A me personalmente non è mancato mai nulla: famiglia, casa, lavoro, soldi… Anch’io ho osservato i comandamenti fin dalla mia giovinezza. Ma una vita “buona”, una vita “ricca”, per quanto possano gratificare e far dormire sonni abbastanza tranquilli, sono beni materiali che non scaldano il cuore, non rendono pienamente felici.
L’Evangelista, come sottolinea bene Maggioni ne Il racconto di Marco, condensa in un versetto «i tratti tipici della sequela: la iniziativa di Cristo, l’urgenza, il distacco, il seguire»2. La sequela, però, non si identifica con l’osservanza dei comandamenti della legge, che già faceva del ricco un uomo giusto, ma chiede qualcosa di più: il distacco dai molti, troppi beni.
Chissà, forse anche l’approccio iniziale del ricco aveva il sapore di chi si avvicina a Gesù come a un “Bene” da consumare, alla stregua degli altri: «Maesto buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?». C’è probabilmente un’idea della Fede, o meglio, della Religione, come di un bene da possedere. Anche le ricche feste in occasione dei Sacramenti: Comunione, Confermazione, Matrimonio, in particolare, spesso perdono il loro significato profondo e ciò che è solo strumentale e passeggero prende il posto di ciò che rimane in eterno. La festa ruba il posto al Festeggiato. L’abito della festa diventa la festa dell’abito, se non addirittura un “ballo in maschera”. Ma Gesù ricorda al ricco e a noi che «solo Dio è buono». Dio non può essere trattato come un bene qualunque, semplicemente perché è l’unico Bene.
Pensate che questo invito radicale di Gesù al distacco dei beni riguardi soltanto i consacrati? Non è così. Il contesto del brano ci consente di vedere, nelle maglie di questa chiamata specifica al ricco, il disegno di una sequela proposta a tutti.
Scrive Ravasi: «questo elemento del distacco dalle cose e della povertà è costitutivo del cristianesimo, anche se nella storia si è quasi sempre cercato di edulcorarlo»3.
Anche volendo applicare l’esigenza del distacco primariamente a chi professa la povertà con voto pubblico, come nel caso di noi Religiosi, la tentazione ad addolcire la pillola amara della rinuncia, l’abbiamo tutti.
In proposito lasciamo la parola a Madre Speranza che fa notare: «esistono anche anime consacrate che hanno fatto voto di povertà per avere tutto secondo i propri gusti, così le più piccole privazioni le spingono a lamentarsi e a criticare; sono bambine vecchie, schiave di piccinerie e frivolezze; il loro cuore è attaccato ad un libro, a quella casa, a quell’impegno, a mille capricci»4. Quanto è suggestiva l’immagine della “bambina vecchia”! Mi aiuta a comprendere che anche sposando la tradizione che vede nell’uomo incontrato di Gesù un “giovane ricco”, proprio perché a questo giovane manca il gusto del rischio, l’amore per l’avventura e la voglia di giocare tutto in una sola mossa, quella di seguire Gesù, in realtà questo ragazzo è solo un “giovane vecchio”, schiavo di troppi beni.
In virtù di quel “vero contratto”, di quel “solenne patto”, la professione dei voti evangelici, che ci lega a Gesù, Lui stesso «vuole che il nostro cuore, libero da ogni legame, cerchi solo Lui come l’unico bene»5.

 

BENI O… IDOLI?

Il ricco che Gesù incontra sulla “via” , e a cui propone la “sequela”6, era ricco di possedimenti e ricco di cose da fare per avere la vita eterna, per bloccare la paura sotterranea e onnipresente della malattia, del fallimento, della morte. Aveva previsto un prezzo da pagare per garantire a se stesso la salvezza: che cosa devo fare?
Anche noi crediamo a volte che , facendo, possiamo approdare alla vita eterna fai-da-te e mentre facciamo, sussurriamo all’orecchio dell’anima: «Io, facendo, speriamo che me la cavo».
Questo ricco, però, non è tutto da buttare. E’ un buon uomo, in fondo. Capace di riconoscere in Gesù il Maestro buono, il Maestro “bello”, verso il quale dobbiamo correre e dinanzi al quale vale la pena prostrarsi, quasi in atteggiamento di adorazione, sulla scia luminosa dei Santi Magi.
Questo giovane forse intuiva, nel profondo della sua coscienza, che le ricchezze non possono comprare la vita eterna, e nemmeno una vita bella, una vita felice.
Sono convinta che la proposta di Gesù: «Va’, vendi quello che hai, dallo ai poveri… poi vieni e seguimi» non sia stata troppo esigente. Gesù aveva visto nel cuore di quell’uomo un’ansia vera, profonda e per questo apre davanti a lui la strada per riconoscerla e dare a questa tensione vitale la giusta direzione.
Gli offre la possibilità di essere non solo ricco per sé, ma ricco per gli altri.
Gli chiede di seguirlo nella libertà del dono di sé, perché la sequela sia davvero umanizzante ed in grado di liberare l’intelligenza, il cuore, gli affetti, la solidarietà con i poveri, di proiettare la propria vita, i “molti beni” ricevuti, uscendo dall’angustia del fai-da-te, nella dimensione spirituale della vita eterna.
Ma il ricco dice di no. Perché?
Ci può aiutare ancora meglio questo tentativo di andare alla radice del rifiuto a “vendere” tutto per seguire Gesù la lettura psicologica e spirituale che Anna Bissi propone nel suo ultimo libro “Peccatori amati”: «Anche nei confronti dei beni, e non solo verso le persone, noi viviamo una forma di attaccamento, l’incapacità di metterci da parte e di godere delle cose “in sé”, per la loro utilità o bellezza e non in quanto nostra possibile proprietà. Raramente il desiderio di impossessarsi di qualcosa dipende da una vera necessità; vogliamo possedere perché il molto avere è sinonimo di potere e di valere. Trasformiamo in idoli anche gli oggetti, attribuendo loro il compito di proteggerci e di salvarci»7. L’Autrice continua la sua analisi interessante del cuore umano citando «la parabola dell’uomo ricco (Lc 12,16-21)» come l’esempio evangelico eccellente di questa illusione di possesso, di autonomia assoluta che determina di fatto una vita chiusa “a Dio e ai fratelli”.
C’è una logica diversa, però, che la Bissi ci aiuta a riconoscere, «quella dell’umile fiducia, della debolezza salvata, del superamento dell’ansia per la vita (Lc 12,22), per ciò che mangeremo o berremo, poiché abbiamo un Padre che sa ciò di cui abbiamo bisogno (Lc 12,30)»8.
Questa logica richiede un salto, o per lo meno un superamento di quell’inclinazione, così radicata nel nostro cuore, che ci porta a fuggire la paura della morte rifugiandoci nei palazzi incantati delle nostre sicurezze e a innalzare templi sontuosi all’idolo più amato, e temuto per la sua intrinseca debolezza: il nostro povero Io.

 

L’AMORE NELLO SGUARDO

Messo di fronte all’esigenza di confrontarsi con la «seconda tavola» del Decologo, i comandamenti che riguardano i rapporti con gli uomini, esposti da Gesù in un ordine che sembra riguardare «più da vicino i doveri di un possidente», il ricco «risponde bene alla prova»9 e afferma in verità di aver osservato «tutte queste cose fin dalla mia giovinezza».
Gesù allora sembra sciogliere quella barriera di riserbo che aveva suscitato all’inizio: «Perché mi chiami buono?», fissa a lungo lo sguardo su di lui e lo ama.
Ci sono sguardi che non ci lasciano indifferenti, che ci trafiggono il cuore.
Ci sono altri sguardi che scavano lentamente, giorno dopo giorno, dentro di noi come una goccia la roccia e, a lungo andare, ci lasciano il cuore amareggiato e ferito.
Anche Gesù ha guardato con indignazione i suoi astanti, soprattutto se avevano il cuore indurito, chiuso alla verità e alla compassione10.
Ma in questo caso, come in altre circostanze11, lo sguardo di Gesù è solo uno sguardo d’amore. Anzi è l’Amore nello sguardo.
«Una cosa sola ti manca…». «Quando Gesù chiama qualcuno a seguirlo, l’afferra di colpo per il suo lato debole, perché Dio vuole tutto l’uomo»12.
Dio afferra la nostra debolezza, perché è Misericordia.
Gesù non chiede nulla all’uomo, prima di averlo incontrato sul piano dell’amore.
Gesù non chiede di essere seguito come un cagnolino segue il padrone, ma chiede di permettergli di prolungare il suo sguardo amante, il suo “buffetto affettuoso”13, le sue carezze “di padre e di tenera madre”.
«Vieni e seguimi»: questo è l’invito di Gesù che libera da ogni legame con ciò che dà e non può dare la felicità e la vita. La felicità è rimanere con Gesù, seguire Lui come discepoli prediletti, come deboli salvati, come “peccatori amati”.
Vale la pena seguire Gesù: Lui è davvero l’unico che può colmare quella mancanza originaria, quella lacuna insondabile, la nostalgia profonda che sempre sorge nel cuore degli uomini onesti: fissare a propria volta il nostro sguardo negli occhi misericordiosi di Dio.

Per l’équipe di pastorale
giovanile e vocazionale

Sr. Erika di Gesù


Fissa il tuo sguardo nei suoi occhi misericordiosi

 


1 «Il tipo di Parabola-Arte che ci turba maggiormente non è quella che ci mostra con più chiarezza, come attraverso una lente, una via che possiamo seguire, né quella che ci pone davanti uno specchio perché quell’immagine ci induca a prendere una direzione nuova e migliore: ma la Parabola-Arte che ci imbarazza profondamente, che ci è assolutamente incomprensibile, tanto che in principio non sappiamo che pesci pigliare. Molte delle parabole di Gesù avevano proprio questo scopo: non dare una risposta facile, ma provocare una domanda del tutto nuova». R.L. Short, Le parabole secondo Snoopy, Torino 1972, 35.

2 B. Maggioni, Il racconto di Marco, Assisi 1994, 150.

3 G.F. Ravasi, Il Vangelo di Marco, Bologna 1990, 71.

4 M. Speranza Di Gesù, Consigli pratici, Collevalenza 2004, 185.

5 M. Speranza Di Gesù, Consigli pratici, Collevalenza 2004, 187.

6 Cf. G.F. Ravasi, Il Vangelo di Marco, Bologna 1990, 24-25.

7 A. Bissi, Peccatori amati. Il cammino umano tra fragilità e valore, Milano 2004, 149.

8 A. Bissi, Peccatori amati. Il cammino umano tra fragilità e valore, Milano 2004, 150.

9 Cf. R. Schnackenburg, Commenti spirituali del Nuovo Testamento. Vangelo secondo Marco, vol. II, Roma 1973, 96-97.

10 Cf. Mc 3,1-6: la guarigione in giorno di sabato dell’uomo dalla mano inaridita: «E guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori…» (Mc 3,5a).

11 «Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: “Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte”. E uscito, pianse amaramente» (Lc 22,61-62). Abbiamo scelto questa citazione fra tutte, perché qui si riconosce lo sguardo misericordioso del buon Gesù.

12 R. Schnackenburg, Commenti spirituali del Nuovo Testamento. Vangelo secondo Marco, vol. II, Roma 1973, 97.

13 Così si possono anche intendere le parole: “Fissatolo, Gesù lo amò”, secondo quanto spiegava a noi studenti del secondo teologia P. R. Meynet (SJ) nel corso introduttorio al Nuovo Testamento, presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma nel primo semestre dell’a.s. 2000-2001.

 

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ultimo aggiornamento 30 marzo, 2005