Quelle due icone sul mondo
Carissimo,
duemila anni fa, Qualcuno poneva sul mondo un altare inimmaginabile.
Era la Pasqua di un Dio. Evento impossibile, che accadeva, che faceva entrare l’umanità nella sua più grande trasformazione storica.
Da quel tempo, il mondo continua a guardare lo stesso altare, su cui Cristo attualizza la sua presenza. Credenti o non credenti, gli uomini celebrano il giorno, che è in se stesso la vita, frammento di luce, che sottintende un significato di eternità.
Eppure, quest’anno 2005, il grido più forte di tutte le voci è venuto da due icone rimaste mute sull’altare.
La prima icona, quella del Papa, di questo Papa straordinario. Segnato dall’infinito del silenzio. Un mistero agonico, una morte che ha fatto trasalire di resurrezione la storia della terra.
Questo Papa che ha commosso il mondo, alla finestra di quel decimo piano del Gemelli. Che non ha nascosto la sua povertà, la sua debolezza fisica, che si è presentato alle telecamere di tutte le genti sempre più debole.
Un Papa muto nella benedizione solenne “urbi et orbi”, dinanzi ad un mondo sgomento. E che, però, senza voce, ha continuato a gridare la speranza dell’uomo, di ogni uomo debole, escluso dal diritto alla vita.
In una società delle apparenze, dei sorrisi, della bellezza, della forza, un Papa che ha manifestato, senza voce, il suo corpo ferito, stremato, non come qualcosa di “suo”, ma come corpo radicalmente, profondamente, iscritto nel valore dell’essere.
Ed ecco l’altra icona, muta, senza voce, sull’altare, quella di Terri Schiavo.
Questo patibolo posto nella vetrina del mondo, la condanna a morire, lo sfacelo del suo corpo, deciso dal labirinto dei processi, dai teoremi della giurisdizione di morte.
Sì, la verità della vita, la sfida muta che interpellerà per sempre la delittuosa ipocrisia della Babele dei nostri tempi.
Icona senza parola. Adesso, che ti abbiamo ucciso, cara Terri, il silenzio grida ancora più forte. Ci condanna tutti.
Nino Barraco
|