ESPERIENZE
 

 

    Paolo Risso   

 

 

 

 

IL CORAGGIO DELLA VERITÀ
PIO XII

 

 

 

La sera del 2 marzo 1939, impartita la prima benedizione a Roma e al mondo, dopo l’elezione al Sommo Pontificato, il volto nascosto tra le mani, Pio XII prese a singhiozzare a lungo. Ora, chiamato a essere il suo Vicario sulla terra, sapeva che gli toccava essere assolutamente conforme a Gesù, a Gesù Crocifisso.
Che cosa fare altro che piangere di dolore e di amore indicibile per Lui? e invocarlo, tra i singhiozzi: "Miserere mei, Deus"? Le lacrime e il sangue della Passione di Gesù gli sarebbero rimaste sempre in fondo al cuore, in un’offerta di sé senza limiti, fino al culmine del sacrificio.
Proprio come Gesù che, compiuta la sua immolazione savifica a pro degli uomini, ancora gli erano riservati il disprezzo e l’insulto. Davanti a questo urge che noi mettiamo sempre più in chiaro l’ammirabile irradiazione di luce e il servizio di amore che Pio XII ha realizzato per tutti, sino alla sua ultima ora, il 9 ottobre 1958.

Irresistibile

Certamente un Papa come lui è stato autorevolissimo per il suo risalire contro corrernte, per il culto costante della Verità e della Giustizia.
"Capi di stato e Ambasciatori - scrive Mons. Paganuzzi - sanno perfettamente quanto fosse difficile resistere alle sue decisioni: nessuna personalità, nessuna dignità poteva arrestarle o mutarle, quando esse coinvolgevano la causa di Dio".
E ancora: "Apostolo infaticabile della pace, guidò in guerra con infinita carità l’attività della S. Sede: il suo nome, la sua parola, la sua persona, le sue benedizioni e le sue minacce sensibilizzarono sull’arco immenso della enorme guerra, l’intervento più coraggioso, più massiccio che il Cattolicesimo abbia mai tentato nelle tragedie umane. Dalle città ai deserti, dai fronti di guerra ai campi di prigionia, fu presente al dolore del mondo, dei popoli, delle famiglie, dei singoli. Creò per il Magistero della Chiesa un diritto di presenza in tutte le sfumature, in tutte le pieghe, in cui si snoda la vita umana. In lui, il Papato ottenne un primato indiscusso"’ (Pro Papa Pio, Omicron, Roma, 1998, pp. 18-19).
È evidente che la vicenda biografica di Eugenio Pacelli, consacrato Vescovo il 13 maggio 1917 e posto sul candelabro come Nunzio Apostolico prima a Monaco e poi a Berlino, smentisce nel modo più assoluto qualsiasi cedimento da parte sua alle moderne ideologie della razza, dei senza-Dio di ogni risma.

 

Il drago e l’Arcangelo

Nel tempo in cui Mons. Pacelli si trovava a Monaco, in una birreria della medesima città, Hitler esponeva 25 tesi, un vero invito alle furie a far ritorno nel nostro pianeta. Il Nunzio non fece altro che ripetere ai cattolici tedeschi, come già nell’estate 1921: "Mai più di oggi, il mondo ha avuto bisogno di pace. Mai ha bramato così profondamente la pace sociale tra le varie classi e le varie condizioni".
Iniziava così quella che Nazareno Padellaro ha definito "la lotta tra il drago e l’Arcangelo". Trasferitosi a Berlino nel luglio 1925, tutti coloro che avvicinarono Mons. Pacelli, s"accorsero che egli visibilmente imitava un modello, Gesù, verso cui da 2000 anni, siamo irresistibilmente attratti.
A Berlino, apparve chiaro anche ai non-credenti che l’ombra di quel giovane Vescovo, dolce, distinto e austero, era luce di Cristo. Anche Hindemburg non sapeva sottrarsi a qull’aura sacra che il Nunzio creava attorno a sé: l’uomo di stato avvertiva che Mons. Pacelli aveva familiarità con il divino, con cui prima o poi tutti siamo chiamati a fare i conti.
A Fulda, parlando di S. Bonifacio, l’evangelizzatore della Germania, Mons. Pacelli, affermò che "egli stava dinanzi ai cristiani come esempio vivente della divinità della Chiesa". Lo stesso potevano dire di lui cololoro che lo incontravano.
Dopo che nel dicembre 1924, Hitler lasciò la fortezza di Landsberg per imporsi alla Germania fino a afferrare il potere nel 1933, scoprì che una mano di colore alla propria anima sarebbe servita a intrappolare amici e nemici. Questo camouflage di Hitler è proprio ciò che rivela a Mons. Pacelli che l’uomo aveva scelto la tattica dell’insidia e del travestimento.
Nei 44 discorsi pronunciati da Nunzio in terra tedesca dal 1917 al 1929, almeno 40 sono testi anti-nazisti. Ogni qualvolta Mons. Pacelli prende la parola, ha un duplice sguardo: uno vicino per l’argomento, e l’altro lontano per il pericolo che corre il messaggio cristiano.
Hitler dice: germanesimo; Pacelli dice: amore a Dio e all’umanità.
Hitler dice: odio di razza; Pacelli risponde: amore di fratelli a fratelli. Hitler aizza l’aggressività germanica: Pacelli predica sempre la pace opus iustitiae, come scritto nel suo stemma.
Si raffrontino alcuni passi del Mein Kampf di Hitler, precisamente quelli del 2° capitolo del secondo tomo, sulla formazione della gioventù, con tre discorsi (maggio e settembre 1928, febbraio 1929) che il Nunzio dedica all’argomento.
Per Hitler i giovani sono puledri da scatenare; per Pacelli sono anime ancora incontaminate da educare alla statura di Cristo. Il nazismo predica la salus ariana, a cui Pacelli ribatte con la salus in Christo Jesu. Pacelli percore la Germania da un capo all’altro per evidenziare la sua Tradizione cristiana che mostrerà con la purissima armonia delle sue linee in contrasto con la sconcia e deforme costruzione del nuovo paganesimo della svastica.
Quando Hitler poneva sui problemi sociali e politici gli accenti falsi del super-uomo, Pacelli riaffermava la supremazia assoluta della Legge di Dio, quale dispensatrice di giustizia. A Dortmund, dopo aver visitato le acciaierie Hoesch e aver indossato la tuta del minatore ed essere sceso nella miniera di Gelsenkirchen, il I° settembre 1927, dinanzi a migliaia di operai, parla della dottrina sociale cristiana, liberando lo spazio mentale dalle tenebre che le forme naziste venivano occupando (N. Padellaro, Pio XII, Saie, Torino, 1958).

 

Nessuno l’ha fatto tacere

Un pensiero angoscioso turbava il Nunzio alla sua partenza dalla Germania nel dicembre 1929, per ricevere la porpora cardinalizia e prendere il posto di segretario di stato cui Papa Pio XI lo chiamava: il continuo progredire del nazismo. Come era stato perspicace già allora nel giudicare Hitler e quante volte aveva messo in guardia il popolo tedesco dal tremendo pericolo che lo minacciava! Ma non gli vollero credere.
A chi in quei giorni, gli domandò il suo parere su Hitler, rispose: "Quest’uomo è completamente invasato: tutto ciò che non gli serve, lo distrugge; quest’uomo è capace di calpestare i cadaveri e di eliminare tutto ciò che gli è di ostacolo. Non riesco a capire come tanti in Germania non lo comprendano e non sappiano tratte insegnamento da ciò che scrive e dice. Chi di questi ha almeno letto il suo raccapricciante libro Mein Kampf?".
Verrà il giorno in cui scenderà a Roma uno di costoro che si erano fidati di Hitler e dovrà riconoscere: "Quanta miseria morale e quanta vergogna sarebbero state risparmiate a noi e al mondo, se allora avessimo dato retta al Nunzio Pacelli" (P. Lenhert, il privilegio di servirlo, Rusconi, Milano, 1984).
È noto quanto il Card. Pacelli, da Segretario di Stato, operò in difesa della Fede e in difesa dell’uomo, a cominciare dai più indifesi, non solo con l’enciclica Mit brennender sorge (1937), di cui egli è l’ispiratore, ma con l’appoggio appassionato che dava, e diventato Papa, ancora di più darà all’opera dei grandi Pastori della Germania cattolica: il Card. Faulhaber di Monaco, e gli Arcivescovi Von Preysing di Berlino e Von Galen di Munster, veri titani della resistenza cattolica al nazismo, forti soltanto dei diritti di Dio e della Verità, orgogliosi e fedeli esecutori delle direttive del loro grande Pontefice e amico.
Lo ha messo in luce, ancora una volta Pierre Elet, oltre che con il libro Pio XII e la 2° guerra mondiale (S. Paolo, Alba, 1997), anche con l’articolo Pio XII e il Terzo Reich (La Civiltà cattolica, 3650, 20 luglio 2002, pp 117-131) che conferma la giustezza della linea cui Pio XII si attenne davanti agli orrori del nazismo.
Eletto alla cattedra di Pietro, pubblicando la sua prima enciclica Summi Pontificatus (20 ottobre 1939), egli vide le tenebre più nere calare sulla terra, come nel venerdì in cui Gesù fu tolto di mezzo sulla croce. Le tenebre erano il nazismo, il comunismo e ogni ideologia che proclama la morte di Dio, facendovi seguire subito la morte dell’uomo.
Così da quel giorno della sua elezione, i suoi interventi nella immane tragedia non si contarono più. Nel radiomessaggio del Natale 1942, denunciò il genocidio in atto nei confronti di innumerevoli vittime che senza colpe, "per ragioni di nazionalità e di stirpe (l’allusione è chiarissima agli Ebrei) sono destinate alla morte o a un progressivo deterioramento".
Mai nessuno lo fece tacere. Gli stessi Ebrei, per la voce di uomini autorevolissimi, riconobbero la sua azione a loro favore, oltre ogni limite umano. Non poteva fare di più. Si pensa che abbia fatto salvare circa un milione di Ebrei.
Il Rabbino Dalin ha recentemente affermato: "Nessun Papa è stato così ampiamente lodato dagli Ebrei e coloro che lo hanno lodato non si erano sbagliati. La loro gratitidine, come quella dell’intera generazione dei sopravvissuti all’olocausto, testimonia che Pio XII era genuinamente e profondamente un giusto delle nazioni" (A. Tornielli, Pio XII, il Papa degli Ebrei, PiEmme, CAsale, 2001).
Così lo giudicano i puri di cuore che conoscono bene l’uomo e vedono Dio, secondo l’evangelica beatitudine, i quali di Pio XII possono solo dire che fu "orbis terrarum sidus, omnium gentium tutamen, doctor optimus, Ecclesiae sanctae lumen".
Attendiamo l’ora della sua glorificazione anche su questa terra: santo subito, che è davvero ora, e non solo giusto delle nazioni, come propone il Rabbino Dalin, ma santo e dottore della Chiesa, al più presto, anzi subito.

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ultimo aggiornamento 19 marzo, 2006