CONVEGNI

DEUS CARITAS EST

CONVEGNO
SULLA PRIMA
ENCICLICA DI
BENEDETTO XVI

Collevalenza
27-29 ottobre 2006

Si è chiuso felicemente da qualche ora il Convegno sull’Enciclica Deus Caritas est, la prima di Benedetto XVI, quindi una Enciclica programmatica di tutto il suo Pontificato(1).
Abbiamo registrato una notevole partecipazione (tra le 250 e le 300 persone) che sinceramente ci ha sorpresi, visto l’andamento normale di Convegni di questo genere.
Era il secondo Convegno organizzato dal CESDIM (Centro Studi Dives in misericordia), con il fine di approfondire la Deus Caritas est, vero dono alla Chiesa e al mondo.
Riassumerei i contenuti del Convegno attraverso delle immagini che sono emerse lungo il percorso:

¨ Cuore e mente aperti a ricevere il dono dall’alto.
¨ Mente che pensa la carità nella verità.
¨ "Cuore che vede" (espressione bellissima del Papa nella DCE).
¨ Mani e piedi che operano nell’amore concreto.

Qualcuno mi ha detto che è stato come un corso intenso di Esercizi. Il clima vissuto è stato di famiglia, di grande attenzione, di momenti di preghiera intensa, di gioia.
Ringraziamo l’Amore Misericordioso e l’intercessione materna di Maria Mediatrice, così come la presenza viva della nostra cara Madre Speranza, strumento docilissimo nelle mani del Signore per farci arrivare questo messaggio.
Avrete modo di iniziare ad assaporare la ricchezza dei contenuti trattati nel
convegno già da questo numero della rivista. Potete, poi, consultare il nostro sito
www.collevalenza.it, nello scorrevole che offre i momenti del Convegno. Tra non molto potrete consultare gli interventi per intero alla pagina web del CESDIM sullo stesso sito. Ci attiveremo anche per la pubblicazione degli Atti del Convegno in tempi brevi.
Ci auguriamo, con parole della nostra Madre, che una tale esperienza non lasci solo foglie ma dei buoni frutti. Il frutto vero e duraturo è sempre quello della carità. Ci conceda il Signore di "ardere nel fuoco della sua carità" come recita la Novena all’Amore Misericordioso, e di diventarne strumenti efficaci.

P. Aurelio Pérez García fam


(1) Come diceva il Cardinale Renato Martino nella presentazione: “Si tratta indubbiamente di un´Enciclica
programmatica, nel senso più nobile e impegnativo che deve attribuirsi all´aggettivo programmatico”

MOMENTI DEL CONVEGNO

Saluto di S.Ecc. Mons. GIOVANNI SCANAVINO,
Vescovo della Diocesi di Orvieto - Todi

"È con grande gioia, sinceramente, che partecipo a questo convegno che è segno concreto di un "miracolo" che continua nella nostra storia. Ripeto ancora una volta, come ho già detto all’inizio del mio mandato di Vescovo, che il santuario di Collevalenza è il polmone vero della nostra diocesi di Orvieto-Todi, per l’amore che qui si vive, per il segno costante di speranza che si rivive ogni giorno e soprattutto anche ogni domenica nelle celebrazioni eucaristiche. Vorremmo tanto arrivare, e qui approfitto della presenza del card. Saraiva Martins, a poter indicare, ancora più solennemente, questo santuario come luogo della Misericordia del Signore, in modo che ogni anno la festa dell’Amore Misericordioso sia celebrata da tutta la chiesa; un modo per sentire ancora di più la Misericordia di Dio e della Chiesa come dono per continuare il nostro cammino.
Il tema del convegno mi riempie sempre di una grande gioia, perché ho sempre visto la sintonia tra il pensiero di Papa Benedetto XVI, il messaggio dell’Amore Misericordioso del santuario di Collevalenza, e l’amore agostiniano. Guardare la vita cristiana, partendo dall’amore a Dio e al prossimo, significa definire l’identità cristiana fondandola sull’amore.
Ringrazio per tanto gli organizzatori, i responsabili del Centro Studi "Dives in Misericordia", l’intera Famiglia dell’Amore Misericordioso, Padre Bartolomeo Sorge, qui presente, che è un po’ la memoria storica della chiesa, e voglio sperare che questo sia un convegno della nostra diocesi per l’intera nostra chiesa."

 

Saluto di P. DOMENICO CANCIAN,
Superiore Generale dei Figli dell’Amore Misericordioso

"Porgo il saluto a nome di tutta la Famiglia dell’Amore Misericordioso. Siamo qui per approfondire l’enciclica di Papa Benedetto XVI, pubblicata il 25-12-2005, che richiama l’enciclica "Dives in Misericordia del Servo di Dio, Papa Giovanni Paolo II, pubblicata il 30-11-1980. Venticinque anni di distanza sono trascorsi tra la prima enciclica sull’Amore di Papa Benedetto XVI e l’enciclica sulla Misericordia del Servo di Dio, Papa Giovanni Paolo II.
Come Famiglia dell’Amore Misericordioso, queste due encicliche ci riguardano in modo particolare. Proprio in questa sala, intitolata a Giovanni Paolo II, dove ora ci troviamo per il convegno, sono passati gli ultimi tre Papi:
Papa Giovanni Paolo I, (il card. Luciani), che presiedette una giornata di spiritualità sacerdotale, con 820 sacerdoti, il cui pensiero viene spesso racchiuso nella frase: "Dio ci ama come un Padre e come una tenera Madre", sintesi sia della tradizione biblica, sia del messaggio di Madre Speranza.
Papa Giovanni Paolo II, che venne a Collevalenza il 22-11-1981, dichiarando che "L’Amore Misericordioso è il cuore della nuova evangelizzazione", come aveva già scritto nella sua enciclica un anno prima
Papa Benedetto XVI, che da cardinale presiedette un’altra giornata di spiritualità sacerdotale.
Guardando alla storia delle chiesa ci sono tre donne consacrate: S. Teresa del Gesù Bambino, la venerabile Madre Speranza, S. Faustina Kovaska, che hanno annunciato l’Amore Misericordioso del Signore; lo stesso messaggio che si ritrova nel magistero degli ultimi pontefici, e che possiamo chiamare anche "la nostra missione" come Famiglia dell’Amore Misericordioso."

 

Saluto di M. MEDIATRICE BERDINI,
Superiora Generale delle Ancelle dell’Amore Misericordioso

"Sono lieta di dare a tutti il più cordiale benvenuto, salutando in particolare le sorelle venute dall’estero. La Venerabile fondatrice, Madre Speranza, direbbe: "sentitevi tutti a casa vostra, e possiate fare esperienza dell’Amore Misericordioso del Signore. Il soffio della Parola di Dio accenda la carità che dà vita nel vostro cuore, come avvenne nel cuore di Maria. Solo attraverso la mediazione di Maria giungeremo al cuore di Gesù". Maria Mediatrice ci porti tutti a toccare con mano che Dio è amore".

 

Prolusione di Sua Em.za il Card.
JOSÉ SARAIVA MARTINS,
Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi

"Sono molto lieto di introdurre i lavori del Convegno, ringrazio di cuore gli organizzatori, felice di poter ritornare in questo luogo consacrato all’Amore Misericordioso del Signore, dove si viene sempre volentieri, e si riparte confortati dall’Amore di Gesù.
Vorrei proporre una breve comparazione tra le due encicliche sull’amore e sulla misericordia e il messaggio di Madre Speranza. C’è una continuità ideale tra la prima enciclica di Papa Benedetto XVI e la seconda enciclica del Servo di Dio, Papa Giovanni Paolo II. L’oggetto è l’essere e l’agire di Dio, l’Amore è l’essere di Dio, la Misericordia è l’agire di Dio verso di noi, Dio "ricco di Misericordia".
La prima enciclica di Papa Benedetto XVI è un’esplosione di gioia, per l’amore di Dio per l’umanità; è un moderno cantico dei cantici, che si fa prosa meditata, insegnamento articolato.
L’enciclica sulla Caritas nella prima parte tratta dell’essere di Dio, quale ci risulta dalla Rivelazione, le differenze tra eros ed agape, i travisamenti sulla loro natura, la fede biblica che ci rivela l’amore di Dio. C’è un’unità dell’Amore nella storia e nella salvezza; il messaggio biblico purifica l’eros per farlo maturare verso la sua vera grandezza. In Cristo contempliamo la vera grandezza di Dio. L’Amore di Dio e quello del prossimo sono indissolubilmente uniti, è un unico comandamento di Dio, in cui si riassume tutta la legge e i profeti.
La seconda parte dell’enciclica tratta dell’esercizio dell’amore nella chiesa, dalla caritas di Dio si passa alla caritas della chiesa (n. 19), che ha un fondamento trinitario. Dal mandato evangelico si passa ad analizzare il tema delicato del rapporto tra giustizia e carità. La chiesa svolge il servizio della carità, che è la testimonianza dei santi, in primis la Vergine Maria, modello della fonte dell’amore a cui si deve attingere.
Il messaggio di Madre Speranza, lasciato qui a Collevalenza e nella Famiglia dell’Amore Misericordioso, si inserisce sulla scia dei santi, con cui il Papa chiude l’enciclica. La Venerabile Madre Speranza dice che: "Dio è un Padre, pieno di bontà, che cerca i suoi figli con un amore instancabile, come se non potesse essere felice senza di loro"…. "non è un giudice severo, ma un Padre che raddoppia il suo amore con i figli più miserevoli"…parole sublimi, sia da un punto di vista teologico, che spirituale. Dio ci ama con un amore paterno e materno, superiore ad ogni logica umana. L’Amore di Dio si è manifestato in Gesù, la Misericordia incarnata; il cuore di Gesù arde con immenso amore per tutti gli uomini. L’Amore di Dio è un fuoco, che accende, purifica, trasforma tutto ciò che tocca. La Madre Mediatrice ha lo stesso atteggiamento del Figlio, con le braccia aperte, per implorare la Misericordia per tutti i suoi figli. La Misericordia di Dio, alla fine, trionfa sul male e sul peccato. Il compito della carità è il comandamento nuovo di Gesù. La carità, dice Madre Speranza: "che precetto sublime figli miei; come vorrei vedere scolpito questo comandamento nel cuore dei miei figli; le nostre case siano come la casa di Nazareth". Basti ricordare come Madre Speranza abbia speso tutta la sua vita per i poveri e per i sacerdoti.
Il santuario dell’Amore Misericordioso, e sono contento di dirlo qui, riveste un ruolo particolare, è il centro scelto da Gesù per elargire le sue grazie, dove tutti possono trovare il conforto della fede e il sollievo della carità. La Venerabile Madre Speranza diceva: "fa Gesù mio che vengano qui tutte le anime per curarsi….aiuta, consola, conforta Gesù tutti i bisognosi".
Il 22 novembre 1981, il Servo di Dio, Papa Giovanni Paolo II, durante la sua prima uscita da pellegrino dopo l’attentato del 13 maggio dello stesso anno, disse: "un anno fa pubblicai l’enciclica Dives in Misericordia, con questa presenza desidero riconfermare il messaggio di tale enciclica. Fin dall’inizio del mio ministero ho ritenuto questo come il mio particolare compito, diffondere il messaggio che Dio è Provvidenza, è il mistero imperscrutabile dell’Amore e della Verità. Prego per implorare quest’amore per il mondo intero".
L’enciclica di Papa Benedetto XVI è stata paragonata ad una fontana romana, in un l’acqua trabocca da una vasca all’altra, dall’alto verso il basso; tutto viene dalla carità di Dio, che si riversa nel cuore dell’uomo. Dio è colui che ama, non colui che comanda o impone. Questo è il volto vero del cristianesimo. Nei primi secoli era la carità tra i fratelli, che esercitava un fascino attrattivo, ora è la stessa carità, che continua a diffondere i suoi benefici. Il mondo ha bisogno di giustizia, di perdono, di riconciliazione, non sarà la violenza a risolvere i conflitti tra i vari popoli.
Personalmente sono d’accordo che la festa del santuario sia riconosciuta come la festa dell’Amore Misericordioso per tutta la Chiesa, e mi auguro che quanto prima sia una bella realtà."

 

Intervista a P. BARTOLOMEO SORGE (SJ)
A cura di Alberto Di Giglio

Domanda: Al convegno di Collevalenza sull’Enciclica Deus Caritas est, del 27-29 ottobre 2006, tra i relatori una brillate relazione è stata quella di Padre Bartolomeo Sorge, su un interessantissimo tema, anche impegnativo e difficile da un punto di vista della comunicazione, dalla Dives in misericordia alla Deus Caritas est, il cammino della chiesa di oggi all’insegna dell’Amore Misericordioso. Padre Sorge lei ha detto, che al convegno di Verona il Papa nel suo intervento in qualche modo a come completato questa enciclica, quasi come una terza parte, conclusiva, dell’enciclica.
Risposta: Direi più propriamente che non è una parte aggiunta. Il Papa ha ripreso diversi paragrafi, nn. 28-29 della enciclica, e li ha applicati in qualche modo al cammino della chiesa, parlando alla chiesa italiana, e vorrei dire che è un’autorevole interpretazione e applicazione pastorale degli orientamenti più universali che sono presenti nell’enciclica. È di un interesse estremo, perché praticamente fa vedere come la testimonianza della carità, di cui oggi dobbiamo essere artefici, per portare al mondo l’amore di cui ha bisogno, passa attraverso l’amore ai poveri, che è stata sempre una perla della chiesa, il tesoro della chiesa sono stati sempre i poveri, la gemma della propria corona, ma accanto a questo, ed è un fatto che mi ha molto colpito, il Papa dice che c’è una forma alta di carità, che è esattamente l’assumere le responsabilità civili e politiche da parte di un laicato maturo; questo mi ha fatto venire in mente una frase celebre che ormai tutti citano, di un discorso del 1927 di Papa Pio XI alla Fuci, in tempi non sospetti, in cui il Papa diceva che dopo l’amore di Dio, la carità politica è la forma più alta di amore. Oggi è di una attualità estrema, soprattutto in Italia attraversata da una crisi generale di un ritorno all’illuminismo, ad un laicismo come dice il Papa, al relativismo etico che mina alle radici il progetto di società che ci siamo dati.

Domanda: Evidentemente è di straordinaria attualità e anche urgente l’annuncio di un Dio, Amore Misericordioso, in un mondo in cui, come lei dice, le intelligenze si sono come disorientate.
Risposta: Il problema è che noi non possiamo ridurre la persona umana soltanto alla ragione; certo la ragione è fondamentale, ma il limite del razionalismo è stato proprio quello di ridurre tutto al ragionamento. La persona umana è anche cuore, ha bisogno di affetto, di amore, la giustizia è fredda, e arriva dopo; io commetto un delitto e poi la giustizia interviene e ristabilisce l’ordine, la compensazione, ma questa non basta, la compensazione deve essere umana, degna dell’uomo e questa può avvenire solo se ci trattiamo da fratelli; quindi giustizia sì, ripartizione dei beni sì, ma non basta per costruire una città a misura d’uomo, quella che è la civiltà dell’amore; quindi il cristianesimo non solo non è passato di moda, ma risponde al bisogno intrinseco che ogni persona ha di affetto e di amore, per cui noi non siamo delle monadi isolate, non siamo come qualcuno dice un gregge in cui una pecora va per conto proprio, fa il proprio interesse e chi si è visto se visto, siamo una famiglia. La vita umana è fatta di relazioni, di affetto e di razionalità; essendo questo un desiderio forte del nostro tempo, sentito più che altre volte, è un modo di invocare la presenza dell’amore, dell’Amore Misericordioso, ecco perché ho sempre detto che la chiesa del XXI° secolo sarà la chiesa dell’Amore Misericordioso e sarà la chiesa di un laicato maturo, perché soltanto attraverso un laicato maturo passa poi nella legislatura, nella vita concreta, nella storia di ogni giorno, questa forza dell’amore cristiano.

Domanda: Questa civiltà dell’amore, di cui le fondamenta sono l’Amore Misericordioso, è affidata in modo particolare, come lei ha detto, ai laici, ad un laicato maturo, ecco questo edificio è già stato costruito con le pietre fornite da tre Papi, che ha citato nel suo intervento, Paolo VI, Giovanni Paolo II, e Benedetto XVI, in qualche modo come una progressione nella costruzione di questo edificio della civiltà dell’amore
Risposta: Ecco questo è uno degli aspetti più belli nella storia e nel magistero della chiesa. Si ha la netta sensazione che c’è una mano superiore, che guida la chiesa, e quindi anche la verità cristiana viene compresa meglio a misura in cui si va avanti. Uno degli spettacoli più belli è vedere come il Vangelo illumina la storia, ma la storia illumina il Vangelo. Quindi noi oggi conosciamo il Vangelo meglio degli Apostoli, perché dopo 2000 anni di cristianesimo e 2000 anni in cui lo Spirito ci porta verso la verità piena, noi comprendiamo meglio le parole del Signore. Allora questa è una grande responsabilità, il mondo è smarrito, questo passaggio dal secondo al terzo millennio è drammatico, perché il mondo si globalizza, non solo economicamente o finanziariamente, ma anche culturalmente, con squilibri enormi; c’è bisogno di una sintesi nuova, quindi il Signore sta preparando una nuova stagione di chiesa; questa è una legge che si verifica in tutta la storia della chiesa, più noi si sentiamo impotenti, più grandi sono i problemi da affrontare che ci sembrano montagne invalicabili, più diminuiscono le forze e diventiamo minoranza, e più sta per intervenire Dio; tutte le volte che uno sperimenta la propria debolezza e sente il bisogno di Lui, sono le condizioni per cui Dio intervenga e prepari una nuova stagione di fede; quindi non possiamo essere pessimisti, un cristiano pessimista è un cristiano che ha perduto la fede, perché Dio è morto per noi e non può essere morto perché poi il mondo si distrugga o vada in malora, il che non vuol dire un’attesa fideistica o automatica della salvezza. Rimbocchiamoci le maniche, viviamo con il nostro tempo il dramma della civiltà contemporanea, lavoriamo con tutti, rischiando con tutti, perché la fede non si sostituisce alla professionalità, studiamo, in modo da essere i santi dei nuovi tempi, la presenza di Cristo risorto vivo, ed al tempo stesso conoscitori dei drammi dell’uomo alla ricerca delle soluzioni dei problemi con tutti gli uomini di buona volontà. Serve il superamento del clericalismo, superamento del confessionalismo, perché c’è una laicità nella politica, nelle realtà temporali che è voluta da Dio stesso. Il Concilio Vaticano II ci ha fatto capire che la laicità è un valore cristiano, e questo consentirà il dialogo con tutti i fratelli, il dialogo interculturale, e il dialogo interreligioso.

Domanda: Questo dialogo è nutrito naturalmente da una profezia in atto, che è quella del carisma dei Figli dell’Amore Misericordioso, qui in questo santuario, e lei ha indicato come un compito speciale, drammatico se vogliamo, carico di responsabilità, che hanno coloro che hanno scelto di solcare il terzo millennio proprio sul carisma dell’Amore Misericordioso.
Risposta: Vede, il problema è questo, che i carismi vengono dati dallo Spirito, non alla bella faccia del fondatore o della fondatrice, ma alla chiesa. Non esiste una proprietà privata dei carismi, ed allora chi ha ricevuto nella chiesa il carisma dell’Amore Misericordioso deve essere cosciente che lo Spirito ha suscitato questo carisma in visione del futuro cammino della chiesa, quindi la gioia più grande della Famiglia dell’Amore Misericordioso dovrebbe essere questo di portare il messaggio nella chiesa universale, perché i carismi sono di tutta la chiesa, del corpo della chiesa non di solo una sua parte; ad una parte è affidata la missione, ma il dono è per tutti. Ora io vedo una provvidenza speciale, conoscendo anche da vicino la spiritualità della Famiglia dell’Amore Misericordioso, vedo una grazia speciale di illuminazione che ha condotto Madre Speranza a diffondere l’amore, in un mondo dove la giustizia molte volte si tramuta in costi umani incredibili, ed al tempo stesso la funzione di un ramo laicale, cosa che allora era un po’ prematuro nella vecchia cultura ecclesiale, e qui credo che la Famiglia religiosa di Madre Speranza abbia una grande responsabilità perché dovrebbe dimostrare in se stessa, che questa sintesi tra misericordia, giustizia, contemplazione e impegno nella storia è possibile, e è la risposta ai problemi di oggi.

 

Intervista al Prof. ENRICO PEROLI (Università di Chieti),
realizzata da Alberto Di Giglio

Domanda: Tra i relatori del Convegno di Collevalenza c’è stato un intervento molto interessante, impegnativo e direi molto complesso dal punto di vista dell’enunciato, l’intervento del prof. Enrico Peroli, docente dell’Università di Chieti, che ha sviluppato il tema: eros e agape, dal conflitto-esclusione, all’unità-comunione. Professore vuole sciogliere questo enunciato?
Risposta: Sì, al centro della prima parte dell’enciclica, di cui io mi sono occupato, vi è appunto un’analisi di queste due dimensioni fondamentali dell’amore, eros e agape, due dimensioni che nella tradizione, come nota l’enciclica, sono state viste in netta contrapposizione e in netta antitesi l’una rispetto all’altra, mentre è uno degli intenti di fondo di Benedetto XVI di mostrare come queste due dimensioni debbano essere intese nella loro profonda unità; questa unità ha il senso fondamentale di ricostituire una fenomenologia dell’amore umano, in cui le diverse dimensioni dell’esperienza umano siano ricondotte ad una profonda unità; una unità per la quale il desiderio, la tendenza naturale del desiderio umano non sia più compresa come una tendenza egoistica, ma nella quale si veda che il desiderio umano tende per sua natura al dono, e nella logica del dono non vi è qualcosa di altro, ma vi è il completamento, il compimento pieno, la piena fioritura di ciò a cui il desiderio umano tende. Questa mi sembra che sia una delle proposte più significative nella prima parte dell’enciclica, mentre poi io ho cercato nella seconda parte del mio intervento di mostrare come dentro la tradizione cristiana vi siano dei momenti culturali, delle storie, che permettono di ripercorrere criticamente i modelli culturali e antropologici. Per elaborare questa comprensione dell’amore, che vuol dire anche dell’esistenza umana, in cui questi due momenti, il momento del desiderio e il momento del dono, dell’eros e dell’agape, non siano più compresi in modo antitetico, conflittuale tra di loro, una maniera per la quale se io desidero, il desiderio è necessariamente egoistico, e se invece entro nella logica del dono, questa si configura come qualcosa di eccezionale, di eroico nel contesto dell’esistenza umana, così come viene spesso vista nel contesto odierno, dove la caritas, il dono, è qualcosa di eccezionale rispetto alle dinamiche sociali sulle quali si costruisce l’esistenza individuale. Ricomporre l’unità di queste due dimensioni significa invece vedere nella logica del dono il luogo naturale, a cui tende il desiderio umano, che per sua natura non è necessariamente egocentrico, egoistico, mentre il dono non è necessariamente il luogo del sacrificio di se stessi. Queste due dimensioni l’enciclica cerca di farcele vedere nella sua unità, ed è importante poi ripercorrere quei luoghi culturali nei quali c’è dentro la storia dell’occidente.

Domanda: Lei cita ad esempio Platone, Aristotele, Riccardo di San Vittore, Agostino, davvero una bella compagnia, che ci da la possibilità di camminare verso un’interpretazione e un’accoglienza compiuta, autentica, vera, della realtà di eros e agape; questo conflitto che poi deve divenire comunione, perché significa poi essere felici.
Risposta: Sì, io ho cercato di ripercorrere un itinerario culturale, che mostrasse come la tradizione cristiana abbia spesso saputo prendere il meglio della tradizione culturale precedente, per farlo confluire in due cose essenzialmente, cioè in una nuova immagine di Dio, che ha il suo centro nella dottrina trinitaria, la quale è riuscita poi a fecondare il modello anche di una nuova immagine dell’uomo, nella quale la dimensione della relazione, della comunione viene pensata proprio a partire dal modello trinitario, come un qualcosa di costitutivo dell’identità di una persona. Da questo punto di vista ho assunto come modelli, da un lato la teologia iniziale, quella greca del IV sec., e dall’altro Riccardo di San Vittore, che si inserisce all’interno della tradizione agostiniana, perché appunto con Agostino inizia la seconda parte dell’enciclica, per cui chi vede la carità vede la trinità, mentre Riccardo di San Vittore ci fa vedere con il suo De Trinitate il significato antropologico di questa frase, un significato che è stato espresso benissimo da un filosofo contemporaneo, il quale commentando Agostino diceva: "quando raggiungi la prospettiva nella quale ciò che è importante nella vita umana è ciò che intercorre tra di noi, allora ti stai avvicinando alla trinità. Riccardo nella sua De Trinitate sviluppa l’ontologia dell’amore, che parte dall’esperienza dell’amore umano, per mostrare come questa esperienza abbia il suo fondamento, nella trinità.

 

Prof. ROBERTO MANCINI, Università di Macerata:
Una giustizia più grande: condividere l’amore di Dio con tutti

L’essere umano per vivere ha bisogno di senso. La realtà più antica del cristianesimo è ricordare che Dio è amore. Riflettere su questo è qualcosa che ci invita a ripensare il senso della vita. L’esperienza attuale di grande confusione e di disorientamento deriva dalla mancanza di senso. Per noi cristiani l’amore vuol dire imparare ad amare. L’amore di Dio ha tre caratteristiche principali, è fedele, generoso, misericordioso, mentre il nostro amore è spesso geloso, avaro, distruttivo, per cui è un amore sbagliato o mancato. La prima enciclica di Papa Benedetto XVI parla dell’amore che è il fondamento della famiglia umana, in dialogo, non più lacerata. L’amore si può apprendere solo da Dio. L’espressione: Dio è amore, non è una semplice definizione, ma è l’esperienza dell’aprire la nostra esistenza all’amore di Dio. La ragione umana si confronta con il mistero, ha affermato un pensatore ebreo, senza il mistero sarebbe un buio totale; tuttavia oltre il mistero c’è qualcosa, la Misericordia, perché Dio è un mistero che generosamente si è rivelato.
C’è bisogno di ritornare ad attingere all’amore di Dio, ma in questo si può maturare solo con la vita, dato che per comprendere che Dio è amore ci possono volere 30-40 anni, o anche tutta la vita. In questa comprensione noi a volte abbiamo la fretta di portare agli altri qualcosa, mentre nella logica del dono si impara a ricevere. Tutto quello che siamo, lo dobbiamo agli altri, che ci hanno dato dei doni, per cui noi siamo assolutamente originali.
Per progredire occorre un lavoro del pensiero riflessivo. Se ci interroghiamo su dove siamo oggi, possiamo vedere la storia dell’umanità sotto due prospettive: disperata o piena di promesse; disperata, perché il 20% della popolazione mondiale vive nell’opulenza, mentre l’80% è nella povertà. Il modello unico di civiltà, con la globalizzazione, ha portato alla proliferazione delle nostre schiavitù, in una società dove si venera il denaro, in un contesto sociale dove o sei un esubero, per cui non servi, o sei una risorsa, che può produrre profitto; mentre spesso le risorse di oggi saranno gli esuberi di domani. In una società dove valgono solo i valori quotati in borsa, occorre cambiare rotta e riscoprire le relazioni umane, l’umanità del Dio vivente. Invertire la tendenza del potere del denaro, per riscoprire il valore del creato. Oggi il meccanismo del mercato non può essere considerato come "salvifico", nessun meccanismo lo sarà mai, perché non può riscattare le iniquità, che producono vittime. L’essere umano è un valore incondizionato, perché il valore umano va al di là dei calcoli. Noi siamo i responsabili, i custodi della natura, che non va vista come una semplice cornice ambientale, ma che è la rete vitale, in cui viviamo. La vita stessa ci chiede non l’espansione incondizionata, che genera nella società conflitti continui, alimentando solo la sete di dominio, che toglie il futuro agli altri. Quando riconosciamo il valore autentico del creato, allora questa è la premessa di una vera liberazione della vita.
Il concetto greco di "senso" nella Bibbia non c’è, ma si parla solo di "promessa". La storia umana è vista come la narrazione dell’incontro con Dio, che genera e fa nascere; la vita pertanto è la piena comunione con Dio, è il regno di Dio. Gli scribi ed i farisei sono una categoria sempre permanente, coloro che, rendendo la religione ripiegata su se stessa, perdono l’esperienza del Dio vivente. Se Dio è solo un concetto, ci saranno mille concetti di Dio, mentre se si fa esperienza del Dio vivente, la prospettiva cambia radicalmente, e si riuscirà a dare ciò che si è ricevuto:l’amore di Dio.
La chiesa oggi può essere come il buon samaritano (Luca 10, 29-37), colui che si ferma vicino al fratello, che è stato travolto dalla storia. Di fronte al dolore ci possono essere modi diversi di reagire: o c’è un giudizio a distanza, che riduce il Vangelo a morale, mentre in realtà è un’irruzione di vita nuova, la reale esperienza di Dio, o si pensa con le categorie della lotta ideologica, mentre la chiesa non può condannare chi è nell’errore, ma promuovere l’esperienza di misericordia, affermando che solo la verità assoluta può opporsi alla violenza.
L’invito dell’enciclica di Papa Benedetto XVI è: non abbiate paura. L’amore toglie la paura, tutte le paure, tra cui anche quella della perdita della vita. Se il cuore è pieno di paura, anche le azioni umane saranno improntate alla paura, per cui prima occorre cambiare il cuore. Se Dio è amore generoso, fedele, misericordioso, i cristiani non hanno nemici, ma tutti per loro sono fratelli. Gli errori del passato hanno generato guerre ai nemici, mentre i cristiani possono avere dei persecutori, ma mai dei nemici. Il filosofo danese Kierkegaard ha affermato: occorre riconoscersi contemporanei di Cristo; finchè noi percepiamo pericoli, la nostra risposta sarà solo una reazione, mentre la vera libertà inizia quando si passa della reazione all’azione. Dice il filosofo Levinàs: l’ "io" significa "eccomi"; questo è quello che dovrebbe dire la Chiesa: eccomi. Occorre acquisire lo sguardo di Gesù, che dice il Vangelo: "vide le folle, e ne ebbe compassione". Occorre riconoscere qualcuno non come un ostacolo, né come un nemico. In Mt. 5,20 Gesù afferma: "se non avrete una giustizia più grande, non entrerete nel regno di Dio", per cui la nostra non può essere una giustizia retributiva, ma la giustizia più grande è l’amore di misericordia. L’amore è la giustizia superiore, radicale, che può risanare tutte le situazioni. Occorre pertanto cambiare lo sguardo, e mettere al centro della nostra esistenza la memoria del Cristo risorto, da cui è nato il cristianesimo. Occorre cogliere la sorgente da cui prendiamo l’energia. La resurrezione non è un premio per i buoni, ma è l’esperienza della liberazione dal male. S. Paolo dice: voi siete risorti con Cristo, per cui la libertà dei figli risorti è la liberta dalla paura e dal male. Attingendo all’amore di Dio, si viene liberati dalla paura. Occorre ritornare al centro dell’evangelizzazione, per cui siamo chiamati ad imparare ad amare per risorgere, chiamati da Dio in modo irrevocabile. Sta scritto nel libro della Sapienza che i malvagi dicono: dalla morte non c’è ritorno, dal male non c’è ritorno, mentre nel Vangelo c’è l’esatto contrario, c’è la liberazione dal male. La novità è che Dio ci fa suoi figli, per cui c’è la libertà dei figli di Dio, che è l’identità radicale dell’essere umano.
La visione lucida della realtà umana è quella dello sguardo di Gesù. Noi agiamo sulla base di ciò che vediamo. Uno sguardo pieno di amore, che incontra quello di Dio, trasforma il dovere in desiderio. Uno sguardo rinnovato porta ad una azione rinnovata, per cui poi si agirà in modo naturale. Oggi possiamo vivere e testimoniare l’universalità del Cristo. ma occorre una continua conversione a Cristo, per evitare il rischio indicato da Gesù: "per la vostra tradizione, avete annullato la Parola di Dio". Occorre evitare i due pericoli, quello dell’identificazione del cristianesimo con l’occidentalismo, e la rimozione di Cristo, in nome di un comune minimo denominatore umano. L’universalità di Cristo si vede in una esistenza cristologia, che si lascia trasformare dalla Parola di Dio. Se davvero i cristiani si impegnassero secondo tale carisma, questa sarebbe la più forte attestazione della figliolanza con Dio. Tutto nasce dal modo in cui ci lasciamo trasformare da Cristo, attraverso l’esperienza di Misericordia. S. Paolo nella lettera ad Romani afferma che la fede nasce da quello che si ascolta. La Misericordia è l’amore perdonante, che supera il sentimento di indegnità, che è profondissimo nell’essere umano. Serve un battesimo dell’anima, per riconoscere che Dio ci ama, nonostante i nostri limiti, senza di questo continueremo sempre ad avere una fede piena di giudizi. Occorre entrare nello sguardo misericordioso di Dio. Poi nascerà spontaneamente il desiderio di comunicare la Misericordia anche ai fratelli. L’amore misericordioso, che è amore risanante, dovrebbe diventare la logica nell’economia, nella politica, nell’educazione.
Il pericolo sempre presente è l’attivismo, anche nella Chiesa, nella ricerca di un fare che ha perso di vista il suo fine. L’azione cristiana nel mondo dovrebbe essere ispirata a quattro criteri:

1) la tolleranza risanatrice degli effetti negativi; è il male che produce gli effetti negativi nel tempo, i suoi frutti velenosi. Occorre disinnescare gli effetti del male, neutralizzandoli con il bene. Il cristiano è colui, che come Gesù, si fa carico in prima persona. Il Figlio di Dio viene ucciso dal male, questa è la via cristiana. Mentre gli effetti del bene nascono dal perdono, che è indispensabile ovunque.

2) la nonviolenza come amore dei nemici; l’azione non violenza è il criterio evangelico, che si radicalizza nel bene nei confronti dei nemici, le persone umane costituiscono una comunità, un insieme che condivide l’amore di Dio, che porta al dissolvimento del concetto di nemico, contro la violenza la migliore risposta è l’amore.

3) l’incarnazione, come condivisione: l’amore di Dio si è incarnato, per cui amare significa percorrere un cammino di incarnazione. Il mondo non si conquisterà mai né con la violenza né con il controllo di tutti i mezzi di comunicazione, ma solo con la nonviolenza; basti pensare all’esempio di Gandhi, che partendo dalla considerazione della casta indiana degli intoccabili, come gli ultimi della terra, diceva che rappresentavano in realtà il popolo di Dio.

4) la restituzione, dei diritti e dei doveri fondamentali; in Atti 3,21 si dice che "Dio reintegrerà coloro che sono stati esclusi".

Il cristiano, imparando dall’amore di Dio, ama, perché partecipa della vita divina, come l’acqua che scaturisce da una fonte. I cristiani non dovrebbero essere coloro che stanno al centro della scena, ma coloro che decidono di aiutare stando anche ai margini. Il cristianesimo pertanto diventa così un viaggio, non un barricarsi dentro la chiesa. Dall’esperienza del Dio vivente nasce la liberazione dal male, che rinnova il volto del mondo, per cui la forma della vita umana diventa il Cristo vivente. Il compito dei cristiani è quello di vivere una vita cristologia, in modo che gli altri possano dire "veramente costui è figlio di Dio". Ogni giorno Dio si rinnova come amore, ma per capire questo occorre tornare ad essere bambini, per scoprire di essere figli di Dio.

 

S. Em.za Card. NICOLAS DE JESUS LOPEZ, Arcivescovo di S.to Domingo
L’esercizio concreto della carità rende credibile la Chiesa

La prima enciclica di Papa Benedetto XVI ha avuto un’accoglienza ampia in tutto il mondo. L’argomento è il cuore stesso del cristianesimo. La prima enciclica di un Papa è sempre un’enciclica programmatica. Papa Benedetto XVI propone un nuovo umanesimo, incentrato sull’amore incarnato di Cristo.
L’attività caritativa della Chiesa ha una forma specifica nell’attività pastorale, che diventa manifestazione dell’amore trinitario. È importante che tale attività mantenga lo splendore originario, senza diluirsi in un’organizzazione assistenziale generica.
Secondo il Papa l’essenza della carità cristiana si articola in tre elementi:
        – la carità cristiana è la risposta a ciò che in una determinata situazione costituisce la necessità immediata;
        – la carità cristiana deve rimanere indipendente da partiti e ideologie;
        – la carità cristiana non deve essere un mezzo per favorire il proselitismo;
L’amore gratuito non deve essere esercitato per raggiungere altri scopi. Coloro che esercitano la carità in nome della chiesa non devono imporre agli altri la loro fede.
Le note caratteristiche della pastorale della carità si possono riassumere in un "decalogo" dell’azione caritativa della chiesa:

1) umanistica: perché è un servizio ad esseri umani; il criterio di comportamento è quello del buon samaritano, che deve estendersi fino ai confini del mondo;

2) universale: perché supera i confini della chiesa;

3) personale: perché coinvolge ogni discepolo di Gesù;

4) comunitaria: perché coinvolge tutte le comunità ecclesiali;

5) comunione, perché anima e promuove la vita in comunione nella stessa chiesa come famiglia;

6) ecumenica: perché per lo sviluppo del mondo verso il meglio, è necessaria la voce comune dei cristiani;

7) imperativa: perché la chiesa non potrà mai fare a meno dell’esercizio della carità come attività organizzata dei credenti;

8) cooperativa: perché favorisce la coordinazione tra gli organismi dello stato, le associazioni umanitarie e le entità ecclesiali;

9) testimoniale: perché l’amore nella sua purezza e nella sua gratuità è la migliore testimonianza del cristianesimo;

10) pianificata: perché l’amore necessita di una organizzazione.

Tra i responsabili dell’azione caritativa della chiesa ci sono i vescovi, come successori degli Apostoli, e il Pontificio Consiglio "Cor Unum".
Sono importanti anche le qualità che devono avere i responsabili dell’azione caritativa:

– capacità professionali
– senso di umanità
– l’umiltà, nata dall’imitazione di Cristo
– la fede
– la preghiera
– l’azione mossa dall’amore di Cristo
– l’amore ecclesiale
– l’apertura alla dimensione cattolica
– diventare testimoni credibili di Cristo.

In questo modo la chiesa sarà espressione dell’amore che promana da Cristo.
Tra i tanti testimoni dell’amore di Cristo, Papa Benedetto XVI ricorda, prima tra tutti la Vergine Maria, la Madre del Signore, che nel suo canto del Magnificat durante la visita ad Elisabetta fa emergere la dimensione della preghiera di lode unita al servizio. Di seguito vengono elencati altri modelli illustri di carità: San Martino di Tours, una icona della carità, Francesco d’Assisi, Giovanni di Dio, Camillo de Lellis, Giuseppe Benito Cottolengo, Luigi Orione, Teresa di Calcutta. Santi la cui carità continua a vivere oltre la morte. Nei santi è evidente che chi va verso Dio, non si allontana dagli uomini, ma si avvicina al prossimo. Tra le tante opere, che la chiesa cattolica svolge: predicazione, celebrazione dei Sacramenti, organizzazione pastorale, lavoro ecumenico, comunicazione mediatica, nessuna come l’esercizio concreto della carità le da una maggiore credibilità davanti al mondo. Come nella vita del Maestro, in cui quello che diceva era avallato dalle opere che compiva, dandogli autorità e credibilità. Papa Paolo VI diceva: l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri quelli che danno una testimonianza, più che quelli che insegnano.

 

Testimonianze di soggetti e operatori di "Casa Caritas", a cura di
don
LUCIO GATTI, direttore della Caritas di Perugia
"Va e anche tu fa lo stesso"

Nel mondo moderno dove sembra contare solo la perfezione, il fisico atletico, la famiglia tutta sorrisi senza problemi, il tutto e subito, secondo le immagini veicolate dai mezzi di comunicazione di massa, la realtà concreta, fatta di insoddisfazioni, di salute in pericolo, di crisi esistenziali, sembra bussare prepotentemente alla porta con tutto il suo carico di problemi.
L’omologazione di tutto, l’egoismo, grande male di oggi, sembra aver rubato la gioia vera, sapore di altri tempi lontani. La frenesia della vita contemporanea riesce a colpire alcuni individui più deboli, sbattendoli come canne al vento. Si finisce per vivere come tanti mondi paralleli, che non si incontrano mai, cercando sempre di nascondere le proprie lacrime, le proprie solitudini. La medicina per sconfiggere questa malattia moderna può essere solo quella dei piccoli gesti, del fermarsi per ascoltare, del dare una mano.
Spendersi concretamente nel mare odierno dell’egoismo, in cui il mondo è come una nave alla deriva, può sembrare anacronistico. Ma questo è possibile, vivendo in una comunità, in cui si viva l’amore. Ogni comunità nasce attraverso alcuni piccoli sì di condivisione, un’adesione ad un progetto più grande, per dare un tetto ai naufragi dei nostri tempi. Solo l’amore riesce a cambiare la vita delle persone, riscoprendo la gioia di vivere ed il dono grande, immenso, della vita.
Nella comunità Caritas di Foligno in quattro anni sono passati 12.000 giovani, attivi dopo il terremoto del 1997. In una villa del Cinquecento, immersa nel verde, sede della Caritas, si impara a prendersi cura dell’ambiente. Chi vive l’esperienza del volontariato, diventa poi un segno di speranza, imparando che solo un uomo può raccogliere le lacrime di un altro uomo, solo un uomo può impegnarsi nella relazione con altri uomini e con Dio.
Nel 2001 la diocesi di Spoleto-Norcia ha promosso una comunità, con 30 ettari di terra con olivi e boschi, dove ragazzi travolti dall’esperienza della droga potessero riscoprire la capacità di entrare in relazione con altre persone. Una vita essenziale, faticosa, responsabile, serve per riscattare una vita che si è rischiato di perdere.
Sul lago Trasimeno c’è un’altra azienda, con 16 ettari di terreno con una villa e varie case, dove attraverso la fatica si cerca di costruire qualcosa di prezioso, un luogo dove chi arriva possa trovare il calore di un’accoglienza fraterna. Il bene non è solo una poesia, ma è esigente, perché rompe le certezze, ti piega, ma poi ti rende docile e buono. Solo il bene rende possibile il miracolo di far passare un uomo dalla morte alla vita.
Nella diocesi di Orvieto-Todi, a Massa Martana, presso l’abbazia di San Faustino, è nata la più giovane realtà della Caritas umbra. In un luogo con una lunga storia, iniziata nel XIII sec., rifiorisce ora la vita, rialzando i muri crollati, ritrovando nel silenzio antico quella pace che il caos moderno ci ha tolto.
Il vero modo di vivere è imparare a voler bene, e questa è una lezione che non finirà mai. Come è bello quando qualcuno accoglie chi bussa al suo cuore.
Nel 1999 dal campo di Nocera Umbra alcuni giovani sono partiti per il Kossovo, dove hanno trovato persone distrutte dall’atrocità della guerra. Hanno cominciato ad andare a trovare le famiglie, ricostruire case distrutte, accogliere i bambini abbandonati. Piccoli gesti di bontà e di condivisione riescono ancora a commuovere le persone, a farle uscire dal dolore.
Tutto questo è stato fatto per andare dietro al fiume della carità. Ad un certo punto ti ritrovi a dire di sì sempre, a compiere i passi della carità, che sono lo stesso linguaggio che Dio ha usato con l’uomo.
Quanta abbondanza d’amore nella moltiplicazione dei pani e dei pesci, nel vino delle nozze di Canaan, sulla croce, dove l’amore per essere donato, doveva essere inchiodato. Tutti i volti umani si riassumono in un unico volto, quello di Cristo crocefisso, in cui l’amore di Dio per l’uomo ha toccato il vertice della bellezza di Dio. Questa è la vera sfida in un mondo dominato da troppe parole inutili. Nell’Umbria mistica, Francesco d’Assisi ha trovato Dio nel lebbroso. Oggi per uscire dalla crisi esistenziale, dal nulla, serve una via semplice, essenziale, la via è quella di Gesù. Mentre noi abbiamo troppa certezza di saper vedere, possedendo tanti beni, solo Gesù può ridonarci la vera vita, la vera bellezza di Dio.
Noi abbiamo bisogno di gente che si innamori di Gesù, per riscoprire poi il Suo volto in quello di tutti i fratelli. C’è bisogno oggi di santità collettiva, vissuta in comunità, dove nessuno sarà mai solo. I giovani drogati, i cosiddetti delinquenti, possono aiutarci a riscoprire la vera vita, quella della condivisione; loro ci interrogano sul valore della vita, sulla vita vera.
Non dobbiamo dimenticare che la carità è per tutti, come il Vangelo è per tutti, anche se talvolta ci fa un po’ paura perché mina le nostre presunte certezze.

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ultimo aggiornamento 25 novembre, 2006