STUDI

 

Antonio Colasanto

Dal 27 al 29 ottobre 2006 si è tenuto a Collevalenza, presso il Santuario dell’Amore Misericordioso, un Convegno di Studio sulla prima enciclica "Deus Caritas est" di Sua Santità Benedetto XVI per iniziativa della Famiglia religiosa dei Figli e delle Ancelle dell’Amore Misericordioso e con il patrocinio della Diocesi di Orvieto-Todi, della Regione Ecclesiastica Umbria e della Delegazione Regionale Caritas.

Cronaca del Convegno di Studio sulla Enciclica
"DEUS CARITAS EST"
di Benedetto XVI

 

Collevalenza, 27 ottobre 2006

I numerosi partecipanti, italiani e stranieri, sono stati accolti dal saluto di P. Domenico Cancian e di madre Mediatrice Berdini, superiori generali Fam ed Eam, di mons Giovanni Scanavino,Vescovo di Todi-Orvieto, e di mons. Giuseppe Chiaretti, Arcivescovo di Perugia e Presidente della conferenza episcopale Umbra. All’inizio dei lavori è stata data lettura dei messaggi del Santo Padre Benedetto XVI e del Presidente della Cei.

La prolusione è stata svolta da Sua Em.za il Card. José Saraiva Martins, Prefetto della Congregazione per le cause dei santi, cui hanno fatto seguito una relazione del P. Bartolomeo Sorge, s.j. sul tema "Dalla dives in misericordia alla Deus Caritas est: il cammino della Chiesa oggi all’insegna dell’Amore Misericordioso". Moderatore dei lavori il P. Aurelio Perez.

1. La prolusione

Il Cardinale Saraiva Martins dopo aver rilevato una continuità ideale tra la prima enciclica di Benedetto XVI Deus Caritas est e la seconda enciclica di Giovanni Paolo II Dives in misericordia ha ricordato che le due encicliche hanno per oggetto l’essere e l’agire di Dio che è amore e misericordia: amore nel suo essere (Deus caritas est) e amore nel suo operare (Dio verso di noi è Dives in misericordia) perché come afferma S. Tommaso "amor est effusivum sui ipsius".

"L’enciclica "Deus caritas est" –ha detto il card. Seraiva Martins- è una vera esplosione di gioia per la sublimità dell’amore di Dio verso l’umanità, sua creatura prediletta e verso la Chiesa. È un moderno Cantico dei cantici che, pur erompendo dalla poesia dell’esperienza vissuta dell’Amore di Dio, si fa prosa meditata, insegnamento motivato e articolato."

L’analisi del Papa partendo ab experientia humana dal linguaggio sull’amore e dalla differenza e unità tra eros e agape si propone di dimostrare l’unità dell’amore nella creazione e nella storia della salvezza facendo emergere la fondamentale positività del messaggio biblico sull’amore che non distrugge l’eros ma aiuta a purificarlo dalla sua tendenza egoistica e autodistruttiva, frutto del peccato, per farlo maturare verso la sua "vera grandezza". "È in Cristo –ha detto il Cardinale- che noi contempliamo in modo sommo l’amore incarnato di Dio (cf DCE, 12-15). Da questa visione chiara della Parola di Dio sull’essere dell’amore e di Dio stesso, scaturisce la dimensione operativa e consequenziale : amore di Dio e amore del prossimo sono indissolubilmente uniti, e questo è il comandamento di Dio per noi, in cui si riassume tutta la legge e i profeti, una volontà d’amore (cf DCE, 16-18) ".

Il Card. Saraiva Martins ha poi presentato la seconda parte dell’enciclica che come recita il titolo tratta dell’esercizio dell’amore da parte della Chiesa quale "comunità d’amore".

"Questa è la caritas della chiesa- ha detto il porporato-Dalla caritas di Dio, quindi, alla caritas della Chiesa.L’analisi della carità della Chiesa parte dal suo fondamento trinitario, ne evidenzia la natura di compito ineludibile per la testimonianza ecclesiale come si evince dal mandato evangelico e da tutta la storia della Chiesa (cf DCE, 20-25), ne analizza anche il delicato tema del rapporto tra giustizia e carità (cf DCE, 26-29) e si sofferma sull’organizzazione concreta, il profilo specifico e i responsabili che la Chiesa mette in gioco per svolgere questo servizio di carità in un mondo complesso come il nostro (cf DCE, 30-39). E nella conclusione siamo invitati a volgere lo sguardo verso la testimonianza dei Santi, e in particolare della Vergine Maria, modelli luminosissimi di vera carità e della fonte a cui attingerla. A questo punto è quanto mai opportuno constatare che il messaggio dell’Amore Misericordioso che Madre Speranza ha lasciato in questo Santuario di Collevalenza e nella Famiglia religiosa, si inserisce nella scia della testimonianza luminosa dei Santi con cui il Papa Benedetto XVI conclude la sua enciclica. Più in dettaglio, riguardo all’essenza della natura di Dio, M. Speranza era solita dire e lo ripete con molta insistenza nei suoi scritti, che Dio è ‘un Padre pieno di bontà che cerca con tutti i mezzi di confortare, aiutare e rendere felici i propri figli; e che li segue e li cerca con amore instancabile, come se Lui non potesse essere felice senza di loro’. È un Padre ‘che non tiene in conto, perdona e dimentica…un Padre, non un giudice severo!...un Padre che attende il figlio prodigo per riabbracciarlo. Egli raddoppia il suo amore nella misura in cui l’uomo diventa più miserabile’. Parole sublimi profonde, sia da un punto di vista teologico, sia da un punto di vista spirituale. "

Il Cardinale concludendo le sue riflessioni introduttive al Convegno di studio, riprendendo una immagine di Remi Brague, ha paragonato l’enciclica a una fontana romana, in cui l’acqua trabocca da una vasca all’altra, a partire da un primo getto posto in alto, che è la Carità di Dio. Così nell’enciclica, l’amore di Dio si riversa nel cuore dell’uomo che da solo non può darsi l’amore se non lo riceve dall’alto, dalla sua sorgente divina. Infatti Dio non è colui che comanda e opprime, ma colui che ama e dona.

"È questa la vera buona notizia ed anche il volto più attraente del cristianesimo: ‘noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi (1Gv 4,16)’ –ha detto il Cardinale Saraiva Martins- come nei primi secoli cristiani era la carità che affascinava i non cristiani ("vedete come si amano"), così oggi è ancora la carità congiunta alla sua espressione suadente della misericordia che stupisce il mondo, diffondendo i suoi benefici effetti nella storia e nella società contemporanea".

2. Dalla "Dives in misericordia alla Deus Caritas est"-

P. Bartolomeo Sorge ha subito affermato che leggere il cammino della Chiesa di oggi all’insegna dell’Amore Misericordioso, alla luce delle encicliche Dives in misericordia [DM] di Giovanni Paolo II e Deus Caritas est [DCE] di Benedetto XVI. è un compito facilitato dalle «riflessioni» (così le definisce il Papa stesso) che Benedetto XVI ha svolte al Convegno ecclesiale di Verona il 19 ottobre 2006, con le quali in certo senso completa il suo magistero sulla carità.

«Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (I Gv, 4. 6). Queste parole dell’evangelista Giovanni – scrive Benedetto XVI nella DCE – esprimono con chiarezza «l’immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino». E aggiunge: «In un mondo in cui al nome di Dio viene a volte collegata la vendetta o perfino il dovere dell’odio e della violenza, questo è un messaggio di grande attualità e di significato molto concreto. Per questo nella mia prima Enciclica desidero parlare dell’amore, del quale Dio ci ricolma e che da noi deve essere comunicato agli altri». Il Papa, cioè, ritiene che l’annunzio di Dio-Amore sia «di grande attualità e di significato molto concreto» in questo inizio del Terzo Millennio, segnato da profondi contrasti: da un lato, il terrorismo islamico insanguina il mondo in nome di Dio, gli Stati Uniti teorizzano e praticano la «guerra preventiva», il mondo è sull’orlo di un terribile scontro di civiltà, esplodono nuove tensioni sociali in seguito ai crescenti flussi migratori, le intelligenze e le coscienze sono disorientate dal relativismo morale e dall’ateismo pratico; d’altro lato, non mancano segni che annunziano che un mondo diverso è possibile: la riconciliazione e la collaborazione tra nazioni che si sono combattute ferocemente, una sensibilità nuova e generalizzata per il rispetto dei diritti umani, la domanda di una nuova qualità di vita specialmente da parte dei giovani, il bisogno crescente di pace e di giustizia, di dialogo e di comunicazione.

In un simile contesto culturalmente contraddittorio e socialmente incerto, Benedetto XVI richiama il dovere che abbiamo, come cristiani, di annunziare e di testimoniare che Dio è Amore. E definisce questo annunzio «un messaggio di grande attualità e di significato molto concreto». È particolarmente significativo che noi oggi rilanciamo questo messaggio dal Santuario di Collevalenza, la Casa di Madre Speranza, alla quale il Signore ha affidato il carisma di far conoscere al mondo il suo Amore Misericordioso."

Il «messaggio» di Benedetto XVI – che egli stesso definisce «di grande attualità e di significato molto concreto» – si può enunciare così: 1) la Chiesa del XXI secolo è chiamata a promuovere la «civiltà dell’amore», essa pertanto sarà «la Chiesa dell’Amore Misericordioso»; 2) a questo fine, però, è necessaria la presenza di un «laicato maturo», pertanto la Chiesa del XXI secolo sarà la «Chiesa dei laici»; 3) infine il messaggio del Dio-Amore si concretizza nella «testimonianza della carità» nelle forme più alte, cioè nel servizio ai poveri e nella assunzione delle responsabilità civili e politiche da parte dei fedeli laici.

"Benedetto XVI, con l’enciclica Deus caritas est, va oltre, -ha sottolineato P.Sorge- fino a cogliere la radice ultima dell’insegnamento di Paolo VI e di Giovanni Paolo II sulla Civiltà dell’Amore. Papa Wojtyla, in particolare, aveva insistito sull’«agire» di Dio, cioè sul fatto che Dio agisce sempre per amore, Papa Ratzinger sposta l’accento sull’«essere» stesso di Dio: Dio agisce sempre per amore, perché è amore. Così, dopo aver distinto l’agàpe dall’eros (cioè l’amore primo, totalmente gratuito e disinteressato, dall’amore secondo, che non esclude la propria soddisfazione), mostra che l’Amore in Dio è un’unica realtà, in cui eros e agàpe si integrano.

La novità stravolgente del Nuovo Testamento sta nel fatto che questo Amore Misericordioso acquista una forma del tutto imprevedibile: quella del Figlio unigenito, che si incarna, cerca e insegue l’uomo peccatore, per abbracciarlo, perdonarlo e salvarlo, immolandosi sulla croce e perpetuando la sua oblazione e la sua presenza nell’Eucaristia. La Chiesa, che continua la missione di Cristo-Amore, non potrà mai fare a meno di annunziare la Carità, di incarnarsi con Lui nel mondo, assumendo su di sé le angosce e le speranze della umanità, dei poveri di tutti i tempi. Questa missione della Chiesa è resa più efficace anche dal fatto che la persona umana non è soltanto ragione e intelligenza, ma «porta dentro di sé, iscritto nel più profondo del suo essere, il bisogno di amore, di essere amata e di amare a sua volta». La rivelazione biblica, dunque, è sconvolgente: «il Creatore del cielo e della terra, l’unico Dio che è la sorgente di ogni essere ama personalmente l’uomo, lo ama appassionatamente e vuole essere a sua volta amato da lui. […] il suo amore si mostra ricco di inesauribile fedeltà e misericordia, è l’amore che perdona al di là di ogni limite. In Gesù Cristo un tale atteggiamento raggiunge la sua forma estrema, inaudita, drammatica: in Lui infatti Dio si fa uno di noi, nostro fratello in umanità, e addirittura sacrifica la sua vita per noi». Questo significa Amore Misericordioso"

Di conseguenza, l’annunzio e la testimonianza dell’Amore Misericordioso nel nostro tempo impongono – per usare l’immagine della parabola evangelica – che la Chiesa non si chiuda in sé, non viva ripiegata su se stessa; essa non può essere la Chiesa «clericale», del «levita» che tira diritto per la sua strada, ma deve essere la Chiesa «del samaritano», che fa proprie le sofferenze altrui e si prende cura dei problemi del prossimo, pagando di persona. In altre parole, la Chiesa del XXI secolo si impegnerà affinché amore dell’uomo e amore di Dio, filantropia e carità, eros e agàpe, ragione e fede, giustizia e perdono si incontrino e si integrino nella civiltà dell’amore. Sarà la Chiesa dell’Amore Misericordioso

Benedetto XVI richiama la attenzione sul cammino che la Chiesa è chiamata a fare all’insegna dell’Amore Misericordioso: un discorso, questo, – così lo definisce egli stesso – «di grande attualità e di significato molto concreto».

"Il Papa -ha concluso P. Sorge- insiste, in modo particolare, a) sulla identità e b) sulla testimonianza del cristiano: occorre –egli dice– ripartire da Cristo e dalla carità."

Collevalenza, 28 ottobre 2006

I lavori del Convegno di studio e di approfondimento della enciclica "Deus Caritas est" di Benedetto XVI sono ripresi con le relazioni del Prof. Enrico Peroli dell’Università di Chieti su "Eros e agape: dal conflitto-esclusione all’unità-comunione", del P. Domenico Cancian, Superiore generale Fam su "Eros e agape nella storia d’amore che la Bibbia ci racconta", del prof. Roberto Mancini dell’Università di Macerata su "Una giustizia più grande: condividere l’amore di Dio con tutti", una tavola rotonda animata da Don Segundo Tejado del Pontificio Consilium Cor Unum, da Don Vittorio Nozza direttore della Caritas italiana, mons. Riccardo Fontana Arcivescovo di Spoleto-Norcia e da mons. Giovanni Scanavino Vescovo di Todi-Orvieto che si sono confrontati su "Come ‘organizzare’ la carità in un mondo complesso come il nostro?"

1. "Eros e agape: dal conflitto-esclusione all’unità-comunione"

Il Prof. Enrico Peroli con la sua relazione ha analizzato nella prima parte le ragioni storiche e culturali per le quali eros e agape, due forme o figure dell’amore hanno conosciuto una lunga storia di separazione e a volte di conflitto.

La relazione ha mostrato come ripensare il legame profondo che lega eros e agape nell’evento dell’amore significa ricomporre in unità le diverse dimensioni della realtà e dell’esperienza dell’uomo; significa sviluppare una fenomenologia dell’amore umano che metta in luce l’insopprimibile componente oblativa del desiderio e che, quindi, sottragga quest’ultimo dall’iscrizione "naturale", normale, nell’orbita dell’"amor concupiscientiae", dell’egoismo, secondo una concezione per la quale, se è naturale, il desiderio dev’essere spontaneamente possessivo, autocentrato, dominatore. La conseguenza di una tale impostazione è poi la tendenza, che attraversa in profondità la nostra cultura, a considerare la figura della caritas, la dinamica del dono, che fa la sua comparsa dentro le mille pieghe dell’esistenza individuale e, come mostra la II parte dell’enciclica, dell’esistenza collettiva, come una variabile indipendente rispetto alla struttura naturale del desiderio e ad inquadrarla come una anomalia rispetto alla normale razionalità dell’esistenza e alle forme della sua costruzione sociale.

Il superamento sarà uno dei contributi essenziali della riflessione cristiana sin dai primi secoli, un contributo che potrà essere raggiunto attraverso la elaborazione di una nuova immagine di Dio e, con essa, di una nuova immagine dell’uomo.

Di questa duplice novità introdotta dalla fede biblica l’enciclica si occupa a partire dal paragrafo nono, dove appunto troviamo il riferimento ad Aristotele, e viene poi ripresa anche nella seconda parte, la quale si apre con la citazione delle parole del De Trinitate di Agostino: "Chi vede la carità vede la Trinità".

La novità della dottrina trinitaria che, sin dai primi secoli, concepisce la realtà delle Persone divine come un evento interpersonale ha consentito di pensare a) che l’amore connota l’essere stesso di Dio, la sua stessa identità : Dio è amore; b) e che l’essere umano è chiamato ad una vita di comunione come la relazione ha mostrato in Gregorio di Naziazeno.

. Il prof. Peroli nella parte conclusiva della relazione ha dedicato un’ampia analisi al De Trinitate di Riccardo di san Vittore nel quale la riflessione trinitaria sviluppa una "ontologia dell’amore" che parte dall’esperienza dell’amore umano .

"Chi vede la carità vede la Trinità", scrive Agostino nel suo De Trinitate e a proposito di questo testo un filosofo contemporaneo, Charles Taylor, ha scritto :"quando raggiungi la prospettiva secondo la quale quel che è importante nella vita umana è ciò che intercorre tra di noi, allora ti stai avvicinando alla Trinità".

2. "Eros, philia, e agape nella storia d’amore che la Bibbia ci racconta".

Il P. Domenico Cancian, Superiore generale dei Figli dell’Amore misericordioso ha ricordato la storia d’amore di Dio nei confronti dell’umanità e la storia di Dio nei confronti d’Israele.

"Yahvé ama il suo popolo -ha detto P. Cancian- in modo smisurato, straordinario, inspiegabile, pazzo.

Dio ama così Israele per rivelare che questo stesso amore lo ha per tutti, per salvare tutti. I profeti Isaia, Ezechiele, Osea hanno descritto questa passione di Dio per il suo popolo con ardite immagini erotiche rivelando che questo amore divino può essere qualificato senz’altro come eros, che tuttavia è anche e totalmente agape".

Uno dei temi dominanti nella predicazione dei profeti è l’alleanza sponsale di Dio con Israele: "Yahvè- ha ricordato P. Cancian- è lo sposo fedele, Israele è la sposa, spesso adultera e traditrice. Il rapporto sponsale umano diventa segno dell’alleanza divina. Il rapporto sposo-sposa è figura del rapporto Dio-uomo. In questo senso il femminile diventa simbolo di tutto l’umano carico di profetismo particolare in quanto svela all’uomo la sua incredibile identità: l’uomo è la sposa di Dio, simile a lui perché suo partner, chiamato all’amore sponsale.

Questo tema attraversa tutta la Bibbia, ma è particolarmente sviluppato dai profeti e nel Nuovo Testamento da Gesù, da Paolo, dall’Apocalisse".

L’oratore ha presentato poi la storia d’amore raccontata dall’evangelista Giovanni."Deus caritas est" ,

Dio è Amore, una folgorante intuizione che può essere considerata il vertice della rivelazione cristiana, la sua novità. E il punto più alto di questo Amore è Il Cristo Crocifisso, più precisamente il cuore trafitto di Gesù: "Volgere lo sguardo al Crocifisso significa per Giovanni vedere e comprendere, nella fede, il mistero dell’amore che salva, come già gli ebrei morsi dai serpenti velenosi erano salvati guardando il serpente di bronzo (cfr Num 21,4-9). Cristo crocifisso che si rivela così il Salvatore dell’umanità e il Signore della storia. "Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me" (Gv 12,32). Giovanni legge nel Crocifisso che versa acqua e sangue, l’espansione, nella storia umana, della gloria di Dio che risplende nel Figlio, pieno di grazia e di verità e che dona lo Spirito.

E nella storia d’amore che la Bibbia ci racconta, l’ultima cena di Gesù con i suoi discepoli costituisce il momento che sintetizza tutta la sua vita-morte-risurrezione. Gesù trasforma la Pasqua ebraica nella sua Cena, nella sua Pasqua. Con piena consapevolezza, animato dal suo eros-filia-agápe umano e divino, senza misura, compie alla perfezione, in modo inimmaginabile, tutti i simboli dell’Antico Testamento. Pane e vino diventano Corpo e Sangue di Cristo affinché noi pure mangiando lo stesso cibo possiamo diventare l’unico Corpo di Cristo, una cosa sola con Lui e tra di noi.

"Se rimaniamo in Gesù - ha concluso P. Cancian - formando un tutt’uno con Lui, come il tralcio è un tutt’uno con la vite, noi portiamo molto frutto, possiamo amare come Gesù, vivere come Lui. Per cui un’altra versione del comandamento di Gesù ancora più sintetica è la seguente: "Rimanete nel mio amore (agape)" (Gv 15,9). Sant’Agostino scrive: " Prendere il calice della salvezza e invocare il nome del Signore significa essere ricolmi di carità in tale pienezza che si è pronti a morire per i fratelli", come ha fatto Gesù".

3. "Una giustizia più grande: condividere l’amore di Dio con tutti"-

" L’essere umano per vivere ha bisogno di senso.. La realtà più antica del cristianesimo è ricordare che Dio è amore. Riflettere su questo è qualcosa che ci invita a ripensare il senso della vita. L’esperienza attuale di grande confusione e di disorientamento deriva dalla mancanza di senso. Per noi cristiani l’amore vuol dire imparare ad amare. L’amore di Dio –ha sottolineato il Prof. Roberto Mancini- ha tre caratteristiche principali, è fedele, generoso, misericordioso, mentre il nostro amore è spesso geloso, avaro, distruttivo, per cui è un amore sbagliato o mancato".

La prima enciclica di Papa Benedetto XVI parla dell’amore che è il fondamento della famiglia umana, in dialogo, non più lacerata. L’amore si può apprendere solo da Dio. L’espressione: Dio è amore, non è una semplice definizione, ma è l’esperienza dell’aprire la nostra esistenza all’amore di Dio. La ragione umana si confronta con il mistero, ha affermato un pensatore ebreo, senza il mistero sarebbe un buio totale; tuttavia oltre il mistero c’è qualcosa, la Misericordia, perché Dio è un mistero che generosamente si è rivelato.

Per progredire occorre un lavoro del pensiero riflessivo.

"Il modello unico di civiltà, con la globalizzazione, - ha detto Mancini - ha portato alla proliferazione delle nostre schiavitù, in una società dove si venera il denaro, in un contesto sociale dove o sei un esubero, per cui non servi, o sei una risorsa, che può produrre profitto; mentre spesso le risorse di oggi saranno gli esuberi di domani. In una società dove valgono solo i valori quotati in borsa, occorre cambiare rotta e riscoprire le relazioni umane, l’umanità del Dio vivente. Invertire la tendenza del potere del denaro, per riscoprire il valore del creato. Oggi il meccanismo del mercato non può essere considerato come "salvifico", nessun meccanismo lo sarà mai, perché non può riscattare le iniquità, che producono vittime. L’essere umano è un valore incondizionato, perché il valore umano va al di là dei calcoli. Noi siamo i responsabili, i custodi della natura, che non va vista come una semplice cornice ambientale, ma che è la rete vitale, in cui viviamo. La vita stessa ci chiede non l’espansione incondizionata, che genera nella società conflitti continui, alimentando solo la sete di dominio, che toglie il futuro agli altri. Quando riconosciamo il valore autentico del creato, allora questa è la premessa di una vera liberazione della vita".

La chiesa oggi può essere come il buon samaritano (Luca 10, 29-37), colui che si ferma vicino al fratello, che è stato travolto dalla storia. Di fronte al dolore ci possono essere modi diversi di reagire: o c’è un giudizio a distanza, che riduce il Vangelo a morale, mentre in realtà è un’irruzione di vita nuova, la reale esperienza di Dio, o si pensa con le categorie della lotta ideologica, mentre la chiesa non può condannare chi è nell’errore, ma promuovere l’esperienza di misericordia, affermando che solo la verità assoluta può opporsi alla violenza.

L’invito dell’enciclica di Papa Benedetto XVI è: non abbiate paura. L’amore toglie la paura, tutte le paure, tra cui anche quella della perdita della vita. Se il cuore è pieno di paura, anche le azioni umane saranno improntate alla paura, per cui prima occorre cambiare il cuore. Se Dio è amore generoso, fedele, misericordioso, i cristiani non hanno nemici, ma tutti per loro sono fratelli. Gli errori del passato hanno generato guerre ai nemici, mentre i cristiani possono avere dei persecutori, ma mai dei nemici. Il filosofo danese Kierkegaard ha affermato: occorre riconoscersi contemporanei di Cristo; finché noi percepiamo pericoli, la nostra risposta sarà solo una reazione, mentre la vera libertà inizia quando si passa della reazione all’azione. Dice il filosofo Levinàs: l’ "io" significa "eccomi"; questo è quello che dovrebbe dire la Chiesa: eccomi.

" Occorre acquisire lo sguardo di Gesù –ha affermato Mancini- che dice il Vangelo: "vide le folle, e ne ebbe compassione". Occorre riconoscere qualcuno non come un ostacolo, né come un nemico. In Mt. 5,20 Gesù afferma: "se non avrete una giustizia più grande, non entrerete nel regno di Dio", per cui la nostra non può essere una giustizia retributiva, ma la giustizia più grande è l’amore di misericordia. L’amore è la giustizia superiore, radicale, che può risanare tutte le situazioni. Occorre pertanto cambiare lo sguardo, e mettere al centro della nostra esistenza la memoria del Cristo risorto, da cui è nato il cristianesimo. Occorre cogliere la sorgente da cui prendiamo l’energia. La resurrezione non è un premio per i buoni, ma è l’esperienza della liberazione dal male. S. Paolo dice: voi siete risorti con Cristo, per cui la libertà dei figli risorti è la liberta dalla paura e dal male. Attingendo all’amore di Dio, si viene liberati dalla paura. Occorre ritornare al centro dell’evangelizzazione, per cui siamo chiamati ad imparare ad amare per risorgere, chiamati da Dio in modo irrevocabile. Sta scritto nel libro della Sapienza che i malvagi dicono: dalla morte non c’è ritorno, dal male non c’è ritorno, mentre nel Vangelo c’è l’esatto contrario, c’è la liberazione dal male. La novità è che Dio ci fa suoi figli, per cui c’è la libertà dei figli di Dio, che è l’identità radicale dell’essere umano".

La visione lucida della realtà umana è quella dello sguardo di Gesù. Noi agiamo sulla base di ciò che vediamo. Uno sguardo pieno di amore, che incontra quello di Dio, trasforma il dovere in desiderio. Uno sguardo rinnovato porta ad una azione rinnovata, per cui poi si agirà in modo naturale. Oggi possiamo vivere e testimoniare l’universalità del Cristo. ma occorre una continua conversione a Cristo, per evitare il rischio indicato da Gesù: "per la vostra tradizione, avete annullato la Parola di Dio". Occorre evitare i due pericoli, quello dell’identificazione del cristianesimo con l’occidentalismo, e la rimozione di Cristo, in nome di un comune minimo denominatore umano.

Il cristianesimo diventa così un viaggio, non un barricarsi dentro la chiesa. Dall’esperienza del Dio vivente nasce la liberazione dal male, che rinnova il volto del mondo, per cui la forma della vita umana diventa il Cristo vivente. Il compito dei cristiani è quello di vivere guardando a Cristo, in modo che gli altri possano dire "veramente costui è figlio di Dio". Ogni giorno Dio si rinnova come amore, ma per capire questo occorre tornare ad essere bambini, per scoprire di essere figli di Dio.

4. Una Tavola rotonda su "come organizzare la carità in un mondo complesso come il nostro?"

Ha concluso i lavori di questa seconda giornata di studi una tavola rotonda animata da Don Segundo Tejado del Pontificio Consilium Cor Unum, da Don Vittorio Nozza direttore della Caritas italiana, da mons. Riccardo Fontana Arcivescovo di Spoleto-Norcia e da mons.Giovanni Scanavino Vescovo di Orvieto-Todi che si sono confrontati su "Come ‘organizzare’ la carità in un mondo complesso come il nostro?"

I partecipanti dopo aver ribadito che la carità per essere credibile deve recuperare il senso della presenza del Signore in mezzo a noi hanno, poi, indicato un approccio metodologico fondato sull’ascolto, sull’osservazione e sul discernimento. Ascolto di Dio e delle persone; osservazione delle risorse e delle povertà (povertà economica, povertà dei beni materiali, povertà delle relazioni, povertà generata da mancanza di senso della vita); discernimento attento ricordando che è sempre la persona da mettere al centro dell’azione caritativa. È stato anche sottolineata la necessità di realizzare dimensioni comunitarie degli interventi per andare oltre le presenze mappate chiamando a collaborare laici disponibili e preparati.

Collevalenza, 29 ottobre 2006

Una relazione sul tema "L’esercizio della carità rende credibile la Chiesa" del Cardinale Nicolas de Jesus Lopez Rodriguez, Arcivescovo di Santo Domingo, ha aperto i lavori di questa giornata conclusiva del Convegno.

Successivamente, a cura di Don Lucio Gatti, direttore della Caritas di Perugia sono state presentate le più significative iniziative di carità delle Diocesi dell’Umbria.

Una solenne celebrazione eucaristica nel Santuario dell’Amore Misericordioso ha concluso questa interessante tre-giorni di studio e di dibattito.

1. "L’esercizio della carità rende credibile la Chiesa"

Il Cardinale Nicolas de Jesus Lopez Rodriguez dopo aver affermato che l’asse trasversale che attraversa tutto il documento è la proposta di un nuovo umanesimo centrato nell’Amore incarnato, Gesù Cristo, ha fatto riferimento a tre fondamenti dottrinali, antropologico, teologico e socio-politico, sui quali poggia l’intera enciclica, sottolineando, in particolare, la relazione tra Giustizia e Carità.

"Con molta frequenza-ha detto il Cardinale- si presenta, tanto nella Chiesa come nella società, una dicotomía tra giustizia e carità: da una parte, si tende a parlare di una giustizia senza carità o di una giustizia senza amore; e dall’altra parte, di una carità al margine delle relazioni di giustizia. La giustizia senza carità rimane ridotta al compimento esterno di una norma che é vicina alla crudeltà, come dicevano i romani: "Summum ius, summa iniuria".

La carità senza giustizia non é autentica, si converte in sterile paternalismo e diventa un pretesto perché i governanti commettano ogni tipo di prepotenza. La giustizia perché sia realmente tale, necessita di essere animata dall’amore alla dignità dell’essere umano; e la carità, da parte sua, deve precedere la giustizia, la deve ispirare nelle sue profonde motivazioni, sostenere nel suo esercizio e, finalmente, la deve sorpassare nella sua realizzazione posteriore".

Una forma privilegiata per rendere viva la fede che professiamo é l’attività pastorale, animata dalla carità, di profondo fondamento biblico, vincolata allo stesso processo di liberazione del popolo di Israele dalla schiavitú d’Egitto, quando Dio ascolta le grida del popolo e vede la sua situazione, lo libera dalla terra in cui era sottomesso e lo guida, attraverso un’esperienza comunitaria, verso una nuova terra (Ex. 3, 7.15; Dt. 5, 6). Oggi anche la Chiesa, nuovo popolo di Dio, per mezzo di una pastorale animata dalla carità e da una pastorale della carità, compie la missione che il Signore le ha affidato di evangelizzare gli uomini e donne di tutti i confini della terra.

"Quando il Santo Padre Benedetto XVI -ha sottolineato il Card. Lopez Rodriguez- parla dell’esercizio dell’amore da parte della Chiesa come "comunità d’amore" si riferisce alla carità come manifestazione dell’amore trinitario che deve animare tutta la vita pastorale nelle comunità ecclesiali.

Il Cardinale ha poi illustrato un decalogo dell’azione caritativa della Chiesa, per i diversi organismi della Caritas operanti ai diversi livelli, perchè siano sempre ispirati dall’amore misericordioso di Dio per i più poveri e bisognosi.

2. Testimonianza di operatori di Casa Caritas

* Sul tema "Va e anche tu fa lo stesso", dopo la relazione del Cardinale Nicolás de Jesús López Rodríguez, hanno fatto seguito testimonianze di soggetti e di operatori di Casa Caritas a cura di Don Lucio Gatti, direttore della Caritas di Perugia che ha anche presentato le più significative iniziative in corso nelle Diocesi dell’Umbria.

*A conclusione dei lavori il Cardinale Nicolás de Jesús López Rodríguez ha presieduto una solenne celebrazione eucaristica nel Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza.

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ultimo aggiornamento 21 gennaio, 2007