ESPERIENZE

 

    Paolo Risso

 

 

"Piccolo lume che mandi i tuoi bagliori"

 

 

Limmane incendio che avrebbe devastato l’Europa era già cominciato da più di un mese e nessuno tra i grandi della terra pensava a lui, il ragazzo del quale stiamo scrivendo. Tuttavia, il 7 ottobre 1939, festa della Madonna del Rosario, era festa umile e grande nel convento domenicano di Chieri (Torino): undici giovani vestivano il bianco abito dei Predicatori.

Tra di loro, vi era Sergio Poggi, di La Spezia. Come allora si usava, gli cambiarono nome e lo chiamarono "fra Candido". Quella sera, assai lieto, scrisse nel suo diario: "Il mio nome sarà il mio ideale. Conserverò il candore per tutta la vita. La mia vita sarà per Gesù Crocifisso e per Maria. Vivrò fedele all’ideale domenicano fino alla morte".

Iniziava così, sotto la guida del Maestro, il Padre Feliciano Gargiulo, il suo noviziato, che doveva portarlo a vivere in pienezza la sua futura vita di domenicano e di sacerdote. Al suo direttore spirituale, P. Enrico Panavagna, lasciato a La Spezia, scriveva ancora, subito dopo: "Sono felice, Padre! Canterei da mattina a sera le lodi del Signore…. Per Gesù dimenticherò tutto: per Lui e per le anime dimenticherò me stesso".

 

Il sentiero di un ragazzo

Era nato il 1° luglio 1923 a La Spezia, figlio di una famiglia di umili lavoratori. Molto presto aveva perso il papà, rimanendo solo con la mamma e un fratello. Nella sua parrocchia, retta dai Padri Domenicani, Sergio si innamorò di Gesù e di Maria SS.ma, sua e nostra madre. Diventò piccolo rosariante e chierichetto all’altare, presto capo dei chierichetti, quasi un piccolo "cerimoniere", così bravo da stupire il Vescovo diocesano Mons. Stella in visita pastorale nella sua parrocchia.

S. Domenico di Guzman e la vita apostolica dei suoi Frati lo affascinarono. A chi gli chiedeva, come si fa spesso con i bambini: "Che cosa farai da grande?", rispondeva convinto: "Farò il Predicatore". Lo disse persino al Papa Pio XI, un giorno che, con altri ragazzi, andò in udienza da lui, in S. Pietro a Roma.

Cresceva limpido e generoso come un torrente di montagna pieno di cielo che tutti dissetava. Aveva iniziato la scuola media con entusiasmo e l’aveva continuata fino in 5° ginnasio, qualche volta "zoppicando" un po’, per poca voglia di studiare. Ma nel cuore, forse un po’ velato, sempre lo stesso grande progetto: "Sarò sacerdote e domenicano".

Gesù rimase, nell’adolescenza, il suo grande amore, mai tradito, mai rinnegato, neppure mai dimenticato, neanche quando provò una leggera simpatia per un bel volto di ragazza. Dio lo riservava per Sé, solo per Sé.

Il 19 settembre 1938, Sergio, in oratorio, incontrò il P. Enrico Paravagna, già maestro dei Frati studenti, a soli 30 anni, per volontà del Maestro Generale, P. Bonaventura di Paredes (+ 1936). Il P. Enrico ora si stabiliva a La Spezia e diventava la sua guida spirituale, il suo "Padre".

Anima ardente di apostolo, educò Sergio quindicenne a vivere un’intensa vita cristiana. Gli voleva un bene grandissimo e proprio per questo non gli perdonava neppure un piccolo difetto, lo illuminava, lo sosteneva, lo innamorava di Dio. Lo guidava a essere simile a Gesù, a ogni costo, secondo una saggia mirabile pedagogia, che dovrebbe essere propria di ogni sacerdote anche oggi.

Da lui, Sergio imparò a accostarsi ogni giorno alla Comunione eucaristica, ogni settimana alla Confessione e al colloquio con il Padre. "Tocca a te – gli disse il P. Enrico – scegliere tra l’amore esclusivo, pieno, totale a Gesù Cristo, e l’amore, sia pur santo, ma diviso verso una sposa. Tutte e due le vie sono buone, anche se la vita consacrata è più alta in se stessa. Sia che domani ti sposi o ti faccia religioso e sacerdote, Sergio caro, devi essere santo".

Gesù gli parlava al cuore e lo conquistava ogni giorno di più. Il 24 maggio 1939, festa dell’Ausiliatrice, Sergio accompagnò "il Padre" a passeggio sul molo del porto della sua città. In quello scenario, splendido, tra cielo e mare, Sergio esclamò, come rapito in un’estasi di amore e di gioia: "Sì, Gesù, io sarò tuo, tuo per sempre. Sarò tuo nell’Ordine Domenicano fino alla morte".

 

Sulla vetta di Dio

La sua piccola vita narrata in seguito dal P. Paravagna ("Fra Candido", dall’Azione Cattolica al chiostro, Stringa Editore, Genova, 1953), ha incantato Dio solo sa quanti ragazzi ed è uno dei libri più incantevoli che abbiamo letto.

All’alba del 7 settembre 1939, Sergio partì felice per il convento di Chieri, dove un mese dopo, come abbiamo narrato, diventò fra Candido. Aveva solo 16 anni, ma vestito del suo bianco abito fu davvero un innamorato di Cristo, un piccolo contemplativo, un fratellino eroico per tutti, per gli altri novizi e per i Padri. Studio, preghiera, obbedienza, silenzio, lavoro: voleva essere proprio, sulle orme di S. Domenico, un altro Gesù.

Aveva subito compreso che l’essenza della vita consacrata è la ricerca della perfezione della carità teologale per vivere e agire solo per amore a Gesù, fino alla totale configurazione a Lui, nel più piccolo come nel più grande gesto, nel gioco per riposarsi e riprendersi ogni giorno, come nel sacrificio e nella rinuncia: tutto per amore a Gesù, Verbo incarnato per noi, Crocifisso immolato in espiazione del peccato, vivo e vero nell’Eucaristia per perpetuare il suo sacrificio e darsi come nostro pane di vita eterna.

Su questo tema, fra Candido tenne una predica sola, nel marzo 1940 ai suoi confratelli di noviziato, come esercizio richiestogli di predicazione, parlando del suo patrono, S. Candido, uno dei 40 giovani martiri a Sebaste, annegati in un lago ghiacciato, e sviluppando l’idea dominante di tutta la sua vita: "L’amore di Gesù forma i martiri e li spinge a dare la vita per Lui". Lo ascoltarono, anche i Padri più anziani, con sconfinata compiacenza, quasi ascoltando un angelo.

E come un angelo che ritorna al cielo, si spense, dopo breve agonia, il 13 aprile 1940, fatti i voti "in articulo mortis", nelle mani del suo Padre Maestro, e promettendo di "far scendere dal Cielo, come S. Teresina, una pioggia di rose".

Nei mesi del noviziato, rimasto incompiuto, fra Candido era diventato un intimo di Gesù nella preghiera e nell’amore a Lui eucaristico.

Quando aprirono le sue note d’anima, il Maestro P. Gargiulo, la sua guida P. Paravagna, e quanti già sperimentati nelle vie di Dio lo lessero, provarono un sovrumano incanto, soprattutto quando si era paragonato al lume acceso davanti al Tabernacolo, scivendo così:

"Un raggio di sole in un giorno quieto di primavera,

il chiarore lunare in una notte serena…

ma bello, più bello il piccolo lume

che arde nella tua casa, Signore!

Oh, quando la sera, vengo per salutarti

L’ultima volta, mio Dio, prima del sonno,

bramo la sorte del lume…

Sempre con Te, in un abbraccio d’amore,

per Te lentamente ardere

fino all’estremo, alla morte!

Tu per me prega. La tua fiammella,

sempre, sempre per me arda!

Piccolo lume, che mandi i tuoi bagliori

Solo, solo nella casa del Signore!".

Ardere, risplendere, irradiare Gesù. Consumarsi per additare Gesù alle anime: ecco il suo ideale.

Che sia l’ideale di molti giovani d’oggi, di tutti i chiamati a consacrarsi a Lui.

(dal libro di P. Risso, In braccio a Gesù, Casa Mariana, Francescane dell’Immacolata, 83040 Frigento – AV – che contiene 25 profili di giovani esemplari).

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ultimo aggiornamento 21 gennaio, 2007