ESPERIENZE
 

     Prof. Luigi Alici

 

Una donna di nome Speranza

 

 

Lo sguardo, prima di tutto lo sguardo. Uno sguardo penetrante e insolito, capace di fondere insieme severità e tenerezza, allenato a contemplare il mistero dell’Altissimo e le miserie del mondo. Il primo incontro risale agli anni ’60. Un ragazzino incuriosito e spaesato, tenuto per mano da una madre devota. Poche parole, in un italiano che non riusciva ad affrancarsi dall’accento spagnolo. Inizia una consuetudine di incontri fugaci, dai quali uscivi con la sensazione nettissima di esserti avvicinato, per un istante, ai confini dell’originario. Pellegrinaggi con un carico di storie dolenti, sempre in bilico tra una voglia impura di miracolismo e un bisogno autentico di rigenerare la normalità inaridita della fede.

Poco a poco scopro una storia segreta e straordinaria, che comincia nel 1893, in una regione poverissima della Spagna; una ricerca sofferta, che approderà alla maturazione di uno speciale carisma religioso e alla fondazione di due congregazioni religiose, prima femminile e poi maschile. Dopo gli anni duri della guerra civile, il trasferimento in Italia nel 1936, e i prodigi della carità, a Roma, durante gli anni della guerra; infine l’inspiegabile approdo, negli anni ’50, a Collevalenza, un minuscolo paese dell’Umbria, dove nasce il Santuario dell’Amore Misericordioso. La visita, nel 1981, di Giovanni Paolo II, subito dopo l’attentato e ad un anno di distanza dalla pubblicazione di una delle sue encicliche più intense e coraggiose, Dives in misericordia, rappresentava il riconoscimento magisteriale più alto di quel messaggio.

Madre Speranza – questo è il suo nome – ci ha ricordato che la misericordia è il nome più alto dell’amore, ed indica lo slancio del cuore che assume su di sé e redime la miseria dell’uomo. Eppure quel messaggio, in tempi ancora lontani dalla stagione conciliare, per lei era stato all’origine di un vero e proprio calvario di incomprensioni, che non le impedì di suscitare una straordinaria fioritura di opere assistenziali, sempre accompagnata dalla profonda meditazione di questo mistero, come attestano i suoi scritti: «Quanto più una persona è debole, povera e miserabile, tanto più Gesù prova tenerezza per lei. La sua misericordia, cioè, è più grande e con una bontà straordinaria lo si vede attendere o bussare alla porta di un’anima colpevole o tiepida». Alla base di tutto, la sempre dimenticata follia del Vangelo: «Da dove scaturisce questa tenera compassione, che non trova spiegazione, verso i peccatori? Quale ne è la causa? La causa è che il suo amore lo raddoppia nella misura in cui l’uomo diventa più miserabile».

Da quegli incontri, continuati fino al 1983, anno della sua morte, ho potuto cogliere anch’io qualche barlume della straordinaria energia spirituale di cui è capace una persona, quando si lascia avvolgere dal mistero inaudito di un Padre materno, che dinanzi al male non arretra verso la sanzione, ma risponde all’eccesso del male con un eccesso di misericordia. In una società incapace di articolare insieme teoria e prassi, in una comunità ecclesiale che stenta a coniugare l’altezza della fede e l’impegno della carità, Madre Speranza mi ha insegnato a cercare nelle profondità di questo mistero di dono e di perdono la radice segreta di una vita cristiana, che può volare alto solo se è sostenuta contemporaneamente dalle due ali della contemplazione e dell’azione.

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ultimo aggiornamento 28 maggio, 2007