P A S T O R A L E

g  i  o  v  a  n  i  l  e

p a s t o r a l e  g i o v a n i l e

     Sr. Erika di Gesù, eam

 

 

Piccola goccia di pace...

 

 

Carissimi,

nell’ufficio del Roccolo Speranza, conservo ancora gelosamente tante piccole gocce di carta.

All’inizio del Raduno ragazzi 2007 le abbiamo date ai bambini perché vi scrivessero un desiderio da gettare nel pozzo dell’amore di Dio…

Non posso nascondere che ogni tanto riprendo in mano quelle gocce colorate, ne leggo il contenuto e lo porto al Signore.

Una goccia in particolare ha sempre catturato la mia attenzione: «Il mio desiderio è quello che il mondo possa "guarirsi" e ritornare come prima, felice e pacifico e che le guerre finissero per sempre».

Mi fa impressione che nel cuore di un bambino ci sia un desiderio così grande. Che un bambino abbia la memoria di un Eden lontano, ma reale, come se i suoi occhi l’avessero potuto vedere, contemplare.

Il ricordo di una pace pura, una felicità incontaminata.

La memoria di un "prima" che potrebbe essere oggi, adesso, magari subito…

La fine delle guerre per sempre.

Un bambino che la guerra non l’ha mai vista e che, pure, fa suo il desiderio di tanti che la fanno.

Una guerra che spegne i loro desideri di pace.

Sulla scia di questo desiderio, vorrei fare memoria dei giorni che ci hanno visti pellegrini nella terra di Siria, dietro invito del carissimo amico e fratello Don Giuseppe Bazouzou…

Appena arrivati all’aeroporto di Aleppo, così raffinato nelle strutture in legno che decorano il soffitto d’ingresso, ci accoglie una significativa rappresentanza di giovani, alcuni dei quali hanno partecipato al Raduno giovanile in Italia, due anni fa.

Ci sentiamo a casa: Don Giuseppe e quei giovani, i loro occhi brillanti, poche parole in italiano, in arabo (mamma, aiuto!) e in inglese, poi via… un tuffo nel cuore pulsante di Aleppo, città più grande della Siria dopo la capitale…

Ormai al tramonto, i fratelli musulmani rompono il saum, digiuno del mese di Ramadan, e affollano strade, piazze, mezzi di trasporto…

Un turbine di colori si incrocia nei costumi di uomini, donne, bambini, intere famiglie in festa.

Rimaniamo abbagliati, quasi storditi: c’è qualcosa di un mondo già visto, almeno in TV, e qualcosa di più… una realtà straordinaria ci viene incontro.

Le donne velano il viso, a volte le mani; scarpe a punta sporgono dal fondo delle vesti.

Camminano in coppia, o a gruppetti. Si fermano davanti una vetrina a guardare: a volte alzano pudicamente il velo, per vedere, apprezzare, fare acquisti.

Giovani lustrascarpe agitano le mani svelte sui piedi di un passante distinto.

Quando camminiamo, qualcuno ci osserva: mi fermo, un po’ a distanza, e guardo: prima noi, poi loro. Loro e noi.

Noto le differenze, certamente. Sono palpabili.

Mi interrogo, ma so che ci vuole tempo per capire: il significato della preghiera cantata, che si propaga nella città, rompe la notte con le sue note caratteristiche, insistenti… Per noi, abituati spesso a pregare raccolti nel silenzio della propria stanza.

C’è qualcosa che ci accomuna?

Vorrei rispondere rievocando in particolare il nostro incontro con il Gran Muftì del Paese, Ahmad Badr El Dine El Hassoun, avvenuto appena ventiquattrore dopo il nostro arrivo.

Alla fine di un giorno nel quale abbiamo visitato le Chiese cristiane della città, l’incontro con il Gran Muftì risveglia in noi una consapevolezza nuova.

Tutto è nuovo, in realtà: togliere le scarpe all’ingresso, per entrare scalzi in un luogo riservato alla preghiera, ricevere l’ospitalità di una bevanda calda, e per noi donne, salutare chinando leggermente il capo, quindi ascoltare con riverenza le parole di Ahmad El Hassoun.

Parole che ci rivolge con calma, sorridente, parole che quando don Giuseppe traduce in italiano possiamo comprendere, condividere, piacevolmente sorpresi di trovarci protagonisti di un dialogo fra culture e religioni diverse.

Si sente nelle sue parole, la sapienza di un uomo di lettere, capace di comunicare concetti chiari attraverso l’universalità delle immagini.

L’affermazione con la quale ha esordito è quella che ci ha impressionato di più: Non è corretto dialogare usando la categoria di "altro". Per me non c’è "l’altro". Altro è solo l’animale.

L’uomo che sono, l’uomo che sei, sia dal punto di vista biologico, che spirituale mi dice che siamo fratelli. Non c’è differenza che possa diminuire o negare questa realtà.

Non c’è razza, lingua, religione diverse che possano impedire il dialogo fraterno, sentirsi ed essere parte della grande famiglia dell’umanità, creata da Dio.

Per questo la guerra è ingiusta e non c’è nessuna "guerra santa".

Perché nella guerra uccido mio fratello. Uccido la mia stessa umanità.

L’unica guerra che potrebbe essere giustificata è quella dettata dalla necessità di difendersi da un attacco nemico.

Ma gli uomini, anche quando incombono minacce di guerra, possono trovare nel dialogo con "il fratello" la via della pace. E, se ci riescono, sono veri profeti.

Nostra Aetate, un documento del Concilio Vaticano II, afferma:

Non possiamo invocare Dio come Padre di tutti gli uomini, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati ad immagine di Dio. L’atteggiamento dell’uomo verso Dio Padre e quello dell’uomo verso gli altri uomini suoi fratelli sono talmente connessi che la Scrittura dice: « Chi non ama, non conosce Dio » (1 Gv 4,8). Viene dunque tolto il fondamento a ogni teoria o prassi che introduca tra uomo e uomo, tra popolo e popolo, discriminazioni in ciò che riguarda la dignità umana e i diritti che ne promanano. In conseguenza la Chiesa esecra, come contraria alla volontà di Cristo, qualsiasi discriminazione tra gli uomini e persecuzione perpetrata per motivi di razza e di colore, di condizione sociale o di religione. (NA 5).

Questo hanno fatto alcuni profeti del nostro tempo. Il Gran Muftì cita il nome di Madre Teresa di Calcutta, Giovanni Paolo II. Sono certa che, se la conoscesse, nominerebbe anche Madre Speranza!

Ahmad El Hassoun ascolta quindi le parole di P. Sante: vivere l’incontro con il fratello, anche quello lontano, percorrere insieme la via della riconciliazione e della pace, per noi significa annunciare, testimoniare e vivere la misericordia del Padre.

Un Padre che ama tutti gli uomini. Non fa preferenza di persone.

C’è una differenza sola: quella di amare ancora di più i figli che si sono sottratti al suo abbraccio paterno e misericordioso.

Quando ho avuto il piacere di salutarlo, aiutata dal suo traduttore inglese, il Gran Muftì mi chiede di pregare per lui, per loro.

Leggo nello sguardo, in quelle parole essenziali, una stima sincera.

Vivo anch’io la stessa stima.

Leggo ancora nel prezioso documento del Concilio Vaticano II: "La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini" (NA 3).

Quest’unico Dio, dunque, ha riversato su di noi, su questi nostri fratelli, la goccia della pace.

Per quanto dipende da noi, per essere realmente "figli del Padre che è nei cieli", dobbiamo stare in pace con tutti gli uomini (NA 5).

Chissà come mai, il giorno del nostro arrivo, quando i nostri piedi si sono posati per la prima volta sulla terra siriana, il cielo ha lasciato cadere qualche tiepida goccia?

Forse perché basta una piccola goccia. Per un grande desiderio di pace.

Il viaggio continua…

A presto,

sr. Erika di Gesù

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ultimo aggiornamento 24 dicembre, 2007