STUDI

   Prof. Ing. Calogero Benedetti

Contro ogni speranza

"Fede è sostanza di cose sperate
ed argomento delle non parventi"

(Ovvero una questione di logica applicata esposta nella forma di un immaginario colloquio fra un Docente ed i suoi studenti).

1) Docente: "Qualcuno di voi sa darmi una ragione logica che fa della Fede biblica un assolutamente "altro" che non le fedi religiose dei popoli così detti "pagani"?"

2) Allievi: (Silenzio assoluto).

3) Docente: "Coraggio. Questo non è un esame. È un semplice scambio di idee>>.

4) Un Allievo (facendosi animo): "Propongo il fatto che il contenuto della Bibbia non è mai "fiabesco", come invece sono sempre i contenuti delle altre fedi religiose>>.

5) Docente: "Quanto Lei afferma giocando sul mai e sul sempre riguarda la figura espositiva, narrativa, e la sua "modalità" storico-letteraria; ma non è "una ragione logica". E poi non è del tutto vero.
Per esempio, il racconto biblico su Giona, gettato in mare, inghiottito da un grande pesce da cui poi viene vomitato vivo sulla spiaggia del Regno di Israele, è chiaramente un racconto mitico, fiabesco.
Nella Bibbia ce ne sono moltissimi altri.
Per contro la religiosità dei monaci tibetani non è assolutamente fiabesca pur non essendo affatto ancorata alla Fede biblica. La classificazione che Lei ha proposta non è perciò soddisfacente quale discriminante fra la Fede biblica e le altre fedi>>.

6) Allievo (alquanto imbarazzato): "Quando ho usato l’aggettivo "fiabesco" intendevo qualcosa il cui fondamento coinvolge una "finzione" della mente umana>>.

7) Docente: "Sono d’accordo con Lei a riguardo della caratterizzazione della parola "fiabesco" (che, tra parentesi viene dal latino "fabula", a sua volta derivato dal verbo arcaico "for-faris" = parlare).
Fiabesco indica in sostanza un parlare disancorato dalla realtà. Ma tutto ciò ha a che fare con la narrativa e con la linguistica, non con la logica.
La domanda iniziale riguarda invece la possibilità di indicare una ragione logica, se esiste, che dimostri esser la Bibbia "altro" che non la religiosità di tutti gli altri popoli.
Quando dico "ragione logica" mi riferisco ad una struttura profonda, specifica, esclusiva, nonché oggettivamente riconoscibile.

8) Allievo (dopo aver confabulato sottovoce con gli altri studenti e tutti l’un l’altro fra di loro): "Professore, è troppo difficile. Ci arrendiamo>>.

9) Docente (Va allora alla lavagna e traccia il seguente schema):

(Poi si volge ai suoi studenti e dice):

"Voi conoscete tutti il distico in cui Dante seppe condensare, in due righe soltanto, tutta la Teologia di S.Tommaso a riguardo della relazione logica che intercorre tra Fede e Speranza.

Ecco le sue parole:

"Fede è sostanza di cose sperate

ed argomento delle non parventi".

Con la terminologia dei suoi tempi, questa dizione, il cui contenuto risale a S.Paolo, classifica (1^riga) la come " antecedente", e le come suo "conseguente".
Lo stesso (2^riga) è indicato tra la
e le , che si possono cioè conoscere con la mente ma non con i sensi.

Riferendomi allo schema che ho disegnato sulla lavagna, ciò corrisponde alla freccia in linea intera tracciata "muovendo" dalla Fede (l’antecedente) verso la Speranza (il conseguente).
Ebbene: la Fede biblica è l’unica Fede in tutto il mondo e in tutte le epoche "che ha questa struttura"; tutte le altre Fedi hanno invece come riferimento interno la freccia in punteggiato che propone la Speranza come antecedente della Fede.

È questa diversità di struttura la "ragione logica" che fà della Fede biblica qualcosa d’altro che non tutte le altre Fedi>>.

"Mi rendo conto (aggiunge il Docente) che Vi debbo alcune spiegazioni.

La Speranza è l’abito mentale che ha come radice ultima, profonda, l’impulso istintuale di ogni essere vivente di "sopravvivere", di sfuggire alla morte, alla nullificazione del sè.

Stante peraltro l’innegabilità della morte fisica, l’uomo si è da sempre aggrappato all’idea che però, forse, sotto opportune condizioni, qualcosa del proprio sè possa tuttavia sopravvivere nonostante la morte fisica; ed è da ciò indotto a votarsi ad una "Fede" che glielo prometta in termini di "Spirito".

In tal ottica la Speranza si colloca nella posizione di un "antecedente" della Fede, e la loro reciproca connessione è la freccia in punteggiato sullo schema sulla lavagna, freccia che muove dalla Speranza verso la Fede.

Ma la struttura che si costituisce con tale modalità è fragile, perchè è una struttura mentale esposta al rischio di rivelarsi (Mainardi) null’altro che una fantasia escogitata (coscientemente od inconsciamente) per sottrarsi allo squallore della morte.

Il prezzo che si paga assumendo la Speranza come "antecedente" della Fede è quello di ridurre quest’ultima ad un forse ingannevole gioco di specchi per sottrarsi alla desolante constatazione della morte quale frontiera ultima, dopo di cui il nulla, come recita l’antico canto egizio: "sogni di poeti e di sognatori poiché, in realtà, nulla dopo la morte".

Profondamente diversa è la posizione dell’antico Israele, ove la Fede è costituita non "secondo" ma ogni Speranza.

Il racconto su Abramo (Gn.17-5) riferisce che Dio gli dice: "...... non ti chiamerai più, d’ora innanzi, Abramo (= Padre Grande) ma Abrahamo (= Padre di moltitudine)", ed a tale scopo gli accorda in Sara, ormai anziana, un unico figlio, Isacco, il figlio irripetibile della loro comune vecchiaia. Ma poi Dio chiede paradossalmente ad Abrahamo di sacrificargli Isacco in olocausto nel territorio di Morià (= terra di visione), mandando così in frantumi proprio la Speranza datagli con la precedente promessa di renderlo "Padre di moltitudine".

Abrahamo, si accinge tuttavia ad ubbidire.

La narrazione biblica mostra con ciò una Fede (Fedeltà) che non si costituisce a seguito della Speranza (freccia in punteggiato sullo schema), ma è "altro".

Ecco il resto del racconto biblico:

"(Dopo aver fermato la mano di Abrahamo già levata su Isacco) "la Voce del Signore chiamò Abrahamo una seconda volta, e gli disse: "Io giuro per me stesso che siccome hai fatto questo e non mi hai negato il Tuo unico figlio, Io ti colmerò di benedizioni e moltiplicherò la tua progenie che sarà come le stelle del cielo e la rena che è sul lido del mare; e tutte le genti della Terra saranno benedette nella tua discendenza".

È per questo che Abrahamo è nominato in Israele "Padre della Fede", perché Egli fu fedele non secondo ma contro ogni Speranza. E la Speranza che è scaturita da questa Fede di Abrahamo è la sua discendenza, , in cui tutte le genti sono benedette.

Il percorso tra Fede e Speranza è con ciò un percorso messianico, ed è unidirezionale, non invertibile, và dalla Fede alla Speranza, e non è un percorso mentale ma fattuale, il cui vertice è Cristo, costituito come segno di Speranza e di Salvezza fra tutte le genti, ma dopo (cioè successivamente nel tempo) alla Fede di Abrahamo, cosicché questa è l’antecedente e Cristo-Speranza è il conseguente (freccia in linea continua sullo schema).

Ove si inverta la relazione tra Fede e Speranza, ponendo quest’ultima come antecedente, la Fede, come si è visto, si frantuma nel gioco di specchi dell’irreale e dell’immaginario.

Conservando invece la relazione tra Fede e Speranza partendo dalla Fede, questa si traduce nella Salvezza di Cristo, promessa da Dio a tutte le genti.

È questa struttura unica, irripetibile e non invertibile, che fà della Fede biblica "altro" che non tutte le altre Fedi>>.

10) Un Allievo (che ha ascoltato in silenzio dal fondo dell’aula): "Se la Fede non scaturisce dalla Speranza, da cosa scaturisce?".

11) Docente: "Dal dono scambievole di sè, per amore, di Dio all’uomo e dell’uomo a Dio, quello stesso che corre fra l’uomo e la donna che gli si dona per amore e che lui prende con sè per amore, quello stesso che Geremia proclama di sentire ardere chiuso nelle proprie ossa e di non riuscire a conculcare, quello stesso infine che Michelangelo seppe sintetizzare in sole otto parole che Voi conoscete e non dovrete mai dimenticare: "questo sol m’arde e questo mi innamora".

Questa è la Fede, e questa è la sua Logica profonda".

Alleluia.

 

 

Note a margine

1) L’antico Israele non conobbe nè condivise l’idea della sopravvivenza post mortem se non limitatamente forse all’ambito del sacello, o al più della Sheol, triste e melanconica.
Dopo tutto l’origine o la frequentazione del popolo Ebraico con le etnie aramee ne associa il pensiero a quello dei popoli mesopotamici che nell’epopea di Gilgamesh si
chiude tristemente, come in Egitto, con l’asserzione che "in realtà nulla dopo la morte".

In una parola l’Ebreo delle origini nell’al di là. Eppure ha Fede.

2) L’Archeologia e la Paleontologia, gli Studi storici, critici e letterari, hanno mostrato l’enorme importanza assunta in tutto il mondo, nell’antichità, dal culto dei morti.
Non si tratta di un atteggiamento affettivo, di una rimembranza individuale o sociale, ma di un fatto cultuale, religioso, sempre connesso a ritenere reale l’esistenza della sopravvivenza post mortem.
Così i dolmen in Inghilterra, i menhir in Cornovaglia, i sesi a Pantelleria, le are in Etruria, le necropoli nella civiltà minoica e nei suoi derivati, le piramidi in Egitto e nel Centro America, i riti di mummificazione e di conservazione del corpo dei defunti, quelli del loro incenerimento e dispersione delle ceneri nelle acque di un fiume sacro o nel mare, l’esposizione dei morti sui rovi alle intemperie perché tornino nell’immensità della natura del deserto e dell’atmosfera, il sogno germanico di un Walhalla di luce ove vengono raccolti i corpi degli eroi caduti in battaglia, di una costante della psiche umana, quella di una sperata sopravvivenza di un qualcosa del sè post mortem.
Questa costante, contrapposta peraltro alla varietà e molteplicità delle sue espressioni culturali e materiali, ne mostra la derivazione da un’unica sorgente, che con terminologia dissacrante è designabile dicendo che la mente umana si è costantemente "costruita", "inventata" sin da ab antiquo ed in tutti i modi possibili, l’immagine (o Speranza) della sopravvivenza post mortem come antidoto alla desolazione della morte fisica, constatata ineluttabile.

Questa universalità di credenza non si estende però all’Ebreo delle origini, il che fa sì che la Fede di lui in Dio è qualcosaltro che non le Fedi di tutti gli altri popoli.

3) L’immagine dell’immortalità qual è presente in tutti i popoli (meno che nel popolo Ebraico delle origini) è quella di ritenerla una "proprietà specifica" dell’essere umano, di essere cioè una sua "caratteristica di natura", od acquisibile tramite azioni umane.
Ma l’Ebreo delle origini non l’accetta, e tanto meno la concepisce e perviene (però solo tardivamente, [il che è importantissimo, poiché nel frattempo "crede"]) a ben altro: perviene alla Fede nella Resurrezione quale grandiosa e gioiosa opera salvifica operata da Dio per amore della creatura di cui non tollera la cancellazione dall’esistente, ma che vuole ancora con sè, partecipe di sé, semplicemente perché l’ama.

L’aldilà è connesso con ciò ad un atto di amore di Dio, un dono di Lui alla creatura, e non è un fatto di natura nè un diritto acquisibile e che comunque spetti alla creatura. E’ un atto di Redenzione operato con potenza da Dio per amore di lei, che egli ama e da cui vuol essere riamato ed a cui dice allora: "vieni servo buono e fedele, vieni nel gaudio del Tuo Signore".

Questa è la Redenzione.

Capodanno 2008

 
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ultimo aggiornamento 11 marzo, 2008